giovedì 15 giugno 2023

LA PESTE DELL'ANNO UNO

DI 
ANDREA TOMASELLI
Ph Francesca Lucidi

  • Anno di Pubblicazione 2014
  • Edizione 1°
  • Editrice Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano
  • Edito nella collana ZOOM Filtri
  • Edizione digitale
  • LINK ALL’ACQUISTO QUI
  • FORMATO KINDLE €0,99
  • Pagine 21

DALLA DESCRIZIONE EDITORIALE

“Un apologo allucinato e allucinatorio, nero come l’inferno sotterraneo che strangola i due protagonisti. La ricerca disperata di una via di uscita, qualsiasi possa essere. Un gioiello della narrativa underground, in tutti i sensi.” (Alan D. Altieri)

L’AUTORE

Andrea Tomaselli, regista, sceneggiatore, scrittore e poeta, insegna sceneggiatura e regia cinematografica presso la Scuola Holden di Torino. Oltre al racconto LA PESTE DELL’ANNO UNO, è autore del romanzo BODIES, STORIA DI UN POLIAMORE (2021) e della raccolta poetica VERSI EROTICI NEL DESERTO. Ha curato la sceneggiatura e la regia dei film ZOOSCHOOL, del 2015, e KYO, del 2019. È da ricordare anche lo spettacolo teatrale LA CREPANZA DEI MANIACI D’AMORE, di cui cura sceneggiatura e regia. 

IL TERRORE DI RICONOSCERSI IN UN RACCONTO CHE CHIAMERETE “IMPOSSIBILE”

UN’ALLUCINATORIA ESPERIENZA DI VIOLENTA PRIGIONIA. LA PACE ORRORIFICA DI UN ETERNO PRESENTE, UN’APOCALISSE DEL SÉ…

SOPRAVVIVERANNO ELETTI O CATTIVI? UN RACCONTO ASFISSIATE, DI GENIALE E CRUDELE LUCIDITÀ. COSA RESTA? FORSE UN NOME? 

Ventuno pagine in cui scivolare svelti, come in un pozzo apertosi sotto ai piedi di un’innocente creatura che gioca alla vita, ignara fanciulla.

Una prosa dal peso evangelico e dalla tagliente determinazione profetica. Sfido il lettore a credere a ciò che è accaduto, anche se non basta restare nella vicenda per sentirsi al sicuro, dietro infissi solidi, muri di confine.  

Come può ciò che non c’è essere allegorico? Il dubbio crea il doppio, lo specchio la fa incarnare quell’allegoria impossibile. Il fatto è tremendo, ancor più straziante è capire che un’apocalisse non deve avere per forza la dimensione dell’universalità. 

Un padre, dei figli… una figlia. Straniati dai tempi verbali che non portano avanti o indietro, ma ti immobilizzano: saremo invitati sull’arca della nuova alleanza. Una mano sulla spalla, un sussurro amorevole: il mondo è un posto orribile, tu sei orribile. Tu sei il frutto di quel mondo. 

Non occorre chiamare per nome un insulto; come non è forse determinante uccidere il lupo se le pecore non ne hanno mai veduto uno. E così deve essere. Il buon pastore, il padrone, conosce la regola. E sa selezionare la razza migliore, la più forte, la più docile. 

La peste dagli echi metaletterari è globale e domestica. Un’infezione epidermica che entra dagli occhi, per la bocca, per il sangue puro. I cattivi sono malati, i malati sono le bestie che si sono cibate di un arbitrio da temere. “Lui” li tiene sotto il controllo del suo occhio. I lupi “infetti” corrono, liberi, oltre le pecore che stanno a pascolare sane, in attesa del macello. 

Una lettura multidimensionale, che riesce a moltiplicare le visioni sinistre, le critiche sociali che si arrovellano su sé stesse come un serpente morente, ma che sta solo lasciando la dura pelle di un vecchio stato. Un racconto che è così vicino all’inaccettabile da straniare dolorosamente in bellezza. 

La storia moltiplica, in uno spazio piccolo, personaggi e lettore. Es e Super Io si specchiano, si confrontano e si scambiamo. Il bambino interiore e il genitore interiorizzato sono qui invenzione, concetto, poi realtà. Agnello e lupo condividono il pericolo di un medesimo predatore.

Una trama di per sé già simbolica, riesce a farsi eco cocciuto che non smette di dire i nomi di tutte le persone, poi di alcune persone, poi di nessuno… per poi ricominciare. 

“Mi spiega che esistono pensieri che si travestono, di speranze, si fanno belli per distrarti, farti togliere il fermo dalla porta, e poi invece sono cose mostruose, che ti possono anche uccidere. 

[…] Perché è in quel modo che la peste ci imbroglierà.”


“ESPRIMERSI È STATA BRUCIATA”




 



giovedì 8 giugno 2023

LETTERA DI UNA SCONOSCIUTA

 di 
STEFAN ZWEIG

LETTERA DI UNA SCONOSCIUTA di Stefan Zweig
Ph Francesca Lucidi

  • Anno di Pubblicazione 2014 (1°1922)
  • Editrice Garzanti
  • Formato Ebook
  • Link all’acquisto per tutte le edizioni in commercio QUI

L’AUTORE

Per la biografia di Stefan Zweig si rimanda a un precedente post. CLICCA QUI per leggerla. 

PERFETTO PER chi ha amato in silenzio e da lontano, e per chi si è accorto tardi di essere stato amato. 

ADATTO PER riflettere sui rimpianti, sulle avventure romantiche; sul significato degli incontri con il prossimo e sulla memoria.


CENNI SULLA TRAMA E RIFLESSIONI

Ricordi che non ricordano per persone che non si “incontrano” 

“Come uno sfarfallio di una pietra che luccica inconsistente nel fondo di un torrente.

Ombre si affacciavano nella sua memoria per poi di nuovo dileguarsi, senza prendere forma in un’immagine. Sentiva di avere dei ricordi, ma non ricordava nulla.”

Vivendo, troppo spesso, ci si distrae dalla vita. La memoria degli eventi, delle persone incontrate è l’appiglio a cui cerca di aggrapparsi il senso di un vissuto; il luogo dove possono imprimersi durevolmente i numerosi profili degli anni sfiorati passandovi attraverso. È impossibile percorrere le giornate, le strade, senza incontrare gli altri; si potrebbe impazzire pensando a come si è toccato chi su di noi ha poggiato uno sguardo, una fantasia, un’aspettativa. 

“Non c’è nulla di più terribile dell’essere soli in mezzo alla gente.”

Ma cosa è davvero la solitudine? Essere dimenticati, o essere sempre stati invisibili al vedere autentico altrui è la tomba definitiva, quella che si ricopre di rovi e viene risucchiata nella terra dell’oblio. Incontrare il prossimo, essere visti, arrivare alla memoria e trovarvi ricovero: la sopravvivenza oltre la morte può essere solo nell’incorporeità di un ricordo garantito dall’unione di vissuti che si sono riconosciuti, e poi conosciuti fino creare tracce che sanno rimanere sospese oltre la caducità del tempo, del corpo, della carne che soffre o che ama.

I fiori su una tomba cosa sono se non il segno che vuole far mantenere una reminiscenza, e altresì un souvenir macabro che si deteriora troppo presto. 

Una tomba già riempita, troppo presto; un’altra vuota, in attesa, notata troppo tardi solo nel momento in cui è ora di deporvi il contenuto. 

Un famoso scrittore torna a casa dopo tre giorni in montagna. Una quotidianità comoda e distratta, calzata con superficiale sicurezza, piacere, leggerezza; senza pensare troppo così che ogni cosa non abbia il tempo di imprimersi nella mente. Una lettera anonima, aperta con gesti generici, una scrittura femminile, un contenuto troppo lungo che potrebbe dover sforzare la mente verso stimoli pericolosi, che rischiano di rendere quelle parole degne di un tempo necessario che può aprire le scomode stanze della memoria. Lo scrittore conosce l’abilità del leggere a lungo, lo testimoniano i volumi in più lingue che riempiono lo studio; una lettera, però, ha un destinatario preciso, chiede una responsabilità diversa a chi ne viene coinvolto direttamente. 

Una innocente curiosità che male può fare… perché non sbirciare in quelle righe per giocare a sorprendere l’anonimato del mittente sul fatto. 

Lo scrittore, però, si accorge subito che quella lettura avrebbe sconvolto la sua vita, ormai era troppo tardi. 

Una donna scrive una lunga missiva, in occasione della morte del suo bambino. Sente anch’ella i brividi della malattia, ed il momento è giusto: confessare un amore disperato, perpetuo, segreto, all’uomo oggetto del suo desiderio da quando era bambina. Tra le pagine il racconto di una vita: dall’infanzia all’età adulta, il peregrinare attraverso luoghi ed eventi con l’unico scopo di amare, desiderare; poi essere vista, riconosciuta. L’innocenza giace con delle candele intorno e le mani giunte, mentre gli altri paiono tutti colpevoli. Un’abnegazione cieca, un fanatismo romantico, un’idealizzazione folle: la sconosciuta ha conosciuto solo l’attesa, la nevrosi di un desiderio che ha avuto anche la sfortuna dell’illusione del compimento. L’attenzione per l’altro che diventa intrusività, imposizione, violenza. Alla disattenzione non è concessa alcuna ingenuità, perché a nessuno è permesso di non accorgersi di un simile. Un “macello di vergogna” che restituisce solo i resti di chi ha vissuto fino a consumarsi, sperperandosi, negli opposti di atteggiamenti diversi nella forma ma tragicamente simili nella sostanza. Amare troppo, pazzamente, o non amare affatto: energie che si estinguono in fiammate gemelle che bruciano tutto ciò che è nei dintorni. 

Chi ama ha diritto di tacere un amore? Chi non ama ha colpe di fronte al non aver avuto la cosciente facoltà di ricambiare? Il segreto può diventare menzogna, la leggerezza offesa, la distrazione un’azione criminosa e fatale.

Zweig pone di nuovo la luce negli angoli oscuri dove si celano individui eccezionali perché figli della disperazione dell’eccesso. L’umanità mostrata in modo autentico, perché non edulcorata o filtrata dalla rappresentazione “giusta” della realtà. Diversità, anomalie: personaggi estremamente eccessivi, veri e vividi, che si scontrano con simili sentiti come specie estranee perché superficialmente tiepidi e istituzionalmente sani. La comunicazione impossibile tra il linguaggio del salubre ordinario e il codice indecifrabile degli outsider. 

Una storia tragica, un racconto che è stato portato avanti con cieca volontà e che riacquista la focalizzazione nel momento in cui non è più possibile un finale differente: così da anelare al controllo, a tutti i costi.

Zweig riporta ancora al valore della profondità dell’approccio al prossimo, alle responsabilità di essere persone. Nessuno può slegarsi da tutti gli altri. L’eco lontano di una musica canta una marcia funebre per tutto ciò che nella dimenticanza perde per sempre davanti alla mortalità. 

Molti segreti saranno svelati in quella lettera, e forse si narra un intreccio potenzialmente probabile per chiunque. 

CITAZIONE SCELTA PER VOI

“Il volto di una ragazza, di una donna, deve essere una cosa estremamente mutevole per un uomo, perché è quasi sempre solo un riflesso, ora di passione, ora di candore fanciullesco, ora di stanchezza, e svanisce in fretta come un’immagine allo specchio.”

Se volete acquistare questo volume, o scoprirne altri dello stesso autore, basta cliccare QUI: grazie alla mia affiliazione con Amazon si aprirà la pagina dedicata nello shop. Se acquisterete tramite il mio link potrete permettere al Penny Blood Blog di ottenere delle monete virtuali, fornite da Amazon, da investire in altri volumi sui quali discorrere insieme!

venerdì 2 giugno 2023

L'ARTE DI LEGARE LE PERSONE

 DI 
PAOLO MILONE
Ph Francesca Lucidi

  • Anno di Pubblicazione 2021
  • Edizione 1°
  • Editrice Einaudi
  • Prezzo di copertina €10,92 per l’edizione cartacea
  • Copertina flessibile
  • FORMATO KINDLE €9,99
  • Pagine 200
  • LINK ALL'ACQUISTO CLICCA QUI

DALLA QUARTA DI COPERTINA

" Quante volte parliamo dei medici come di eroi, martiri, vittime... In verità, fuor di retorica, uomini e donne esposti al male. Appassionati e fragili, fallibili, mortali. Paolo Milone ha lavorato per quarant'anni in Psichiatria d'urgenza, e ci racconta esattamente questo. Nudo e pungente, senza farsi sconti. Con una musica tutta sua ci catapulta dentro il Reparto 77, dove il mistero della malattia mentale convive con la quotidianità umanissima di chi, a fine turno, deve togliersi il camice e ricordarsi di comprare il latte.”

L'AUTORE
Paolo Milone, psichiatra, nato a Genova nel 1954. Il 1980 lo vede incontrare la sua professione all’interno di un Centro di Salute Mentale. Tra il 1988 e il 2016 lavora in un reparto di Psichiatria D’Urgenza. 


REPARTO 77, VISITE APERTE SOLO UN SUSSULTO ALLA VOLTA

“IL VERO DISCRIMINE È NON ABBANDONARE LE PERSONE”

“Certi pazienti sono così soli
Che per farsi mettere le mani addosso,
devono spaccare tutto.”
/-/
“Il dolore in urgenza è inesprimibile a parole,
viene espresso col corpo […]”

Un diario, senza date, senza progetti o programmi. Un resoconto fuori controllo, un rigurgito d’altre persone che ti hanno infestato lo stomaco, la testa, la colonna spinale, gli orari e le notti. Tutto intorno puzza, e le finestre sono sbarrate e l’aria non passa. 

I vicini buttano un occhio, i carabinieri alzano la paletta. Le cinghie, il Narcan, iniezioni di ogni colore e densità. Chi è troppo tranquillo e chi ribalta una lettiga. Un ragazzino si butta dalla finestra… Chi l’ha spinto?

  Un medico così bravo, sì, Milone lo è: lui nel suo diario non è professionale, ed è proprio il suo nudo coinvolgimento a mostrarlo come totalmente immerso nella missione di salvare il prossimo. 

Dove inizia la vita degli altri oltre la tua? Dove sta quella cortina che fa sì che non ti possano toccare? Queste sono domande per medici “illustri”, di quelli che hanno borse pesantissime, perché non devono correre dietro a un paziente psichiatrico in carne e ossa; di quelli che vanno ai convegni e parlano di qualcosa che non ha nome, ed inizia dove finiscono le univoche e rassicuranti profilassi. Il protocollo di Paolo Milone comprende lo scontro fisico, la menzogna, le chiamate a casa di notte; l’aggiustare un lavandino. 

Davanti c’è una bella donna, che chiede di essere salvata solo con lo strozzato verso di un intestino che brontola. Quasi quasi sarebbe da innamorarsi di lei. Ma come potersi avvicinare smettendo di provare ciò che prova un uomo e allo stesso tempo diventare l’umanità più impavida, dura e determinata? Qui ci si ammazza davvero. “Lo hanno scelto loro”, direte voi. Se solo sapeste quante persone gettatesi dal quarto piano in poi chiedono chi è stato a spingerli di sotto. 

Credere che togliersi la vita sia un atto volontario rassicura. Anche se preferiamo gli assassini ai suicidi. Ci piace pensare che la morte sia controllabile, prevenibile e soprattutto punibile. E quest’ultimo tratto contraddistingue il dito puntato verso i “pazzi”. Se solo sapeste come odora di buono un nevrotico… 

Il caffè è pessimo, le tazzine unte, i dolcetti andati a male: è una domiciliare.

La macchina passa a fatica tra i vicoli, le scale odorano di urina di gatto, la sofferenza gioca a nascondino: è un TSO. 

Marcello, Chiara, Lucrezia, Carmelo: nomi comuni di pazzi. Paolo Milone vuole bene ad ogni singolo cazzotto o spinta che si è beccato. Due costole rotte per due vite riaggiustate. 

Ci sono i farmaci? Oh, ci sono. Ma ci sono anche le urla, anche quando non si sentono. 

Brevi stralci dove essere disgustati, infastiditi; sentirsi esseri biechi che provano ribrezzo celato. Il paradiso piace a tutti, piace meno partire dall’inferno. Delegare, dimenticare, eppure: 

“Il bene e il male che facciamo a un’altra persona si riverbera
E si proroga in mille modi
Tra i suoi parenti, amici e conoscenti
E, nel tempo, si trasmette a tutti i discendenti. 
Sarà qualcosa di infinitesimo, un movimento atomico,
un’ombra, un fremito, ma esiste e si diffonde nell’universo. 
Vedi Giulia, noi contribuiamo a migliorare o peggiorare 
L’universo,
e, su questo, abbiamo una responsabilità.”

Oltre il “Reparto 77” c’è la stanza del glicine. Oltre la finestra c’è la città. Tossici, trans, donne rispettabili: tutti potenziali figli prediletti della malattia mentale. E come è imbarazzante essere salutato da tante prostitute e i loro clienti, quando sei fuori dall’ospedale e tenti di goderti una cena galante. Il protagonista di questa storia è uomo quando è medico, ed è medico quando è uomo. Pensieri, innamoramenti, professionalità, ancora messaggi ossessivi sul cellulare: Lucrezia. Non tutti si salveranno, ma il mondo può ancora essere salvo per un giorno… perché qualcuno ci ha provato. 

“L’arte di legare le persone al letto. 
Legare le persone a te. 
Legare le persone alla realtà.”
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venerdì 26 maggio 2023

LA DISOBBEDIENZA CIVILE


DI 
HENRY DAVID THOREAU

Ph Francesca Lucidi
  •  Anno di Pubblicazione 2018 (or. 1849)
  • Tradotto da Alba Bariffi
  • Casa Editrice Garzanti
  • Prezzo edizione cartacea €4,89
  • Prezzo ebook €0,99
  • Num. Pagine 58
  • LINK ALL’ACQUISTO: QUI

DALLA DESCRIZIONE EDITORIALE

«La disobbedienza civile, il più noto tra gli scritti di Henry Thoreau, sancì l’affermazione della lotta non violenta come forma di opposizione al potere. Pubblicato nel 1849, suscitò l’entusiasmo di Tolstoj e raccolse poi il plauso e l’adesione di alcuni dei maggiori pensatori del Novecento, da Gandhi a Martin Luther King. Ma la sua ragione fondamentale, ovvero la critica costruttiva del libero cittadino nei confronti dello stato, è ancora al centro del dibattito delle idee e fa di questo pamphlet un grande classico del pensiero politico.»

L’AUTORE

 Per la biografia di Henry David Thoreau, rimando ad un post precedente. CLICCA QUI    PER LEGGERLA

LA PREZIOSA EREDITÀ DEL PENSIERO DI THOREAU

Thoreau è il padre dell’ecologismo e della lotta non violenta: a proposito della profonda teorizzazione dell’autore intorno al valore della Natura rimando al precedente post su VIVERE SECONDO NATURA (tratto dal Walden). Nel presente contenuto si affronterà anche il racconto di figure storiche che hanno segnato l’incarnazione e il successo dei coraggiosi comportamenti scaturiti da un approccio ribelle e rivoluzionario dai tratti non violenti, di cui LA DISOBBEDIENZA CIVILE ne è il capostipite. Nell’edizione è incluso anche il discorso IN DIFESA DEL CAPITANO JOHN BROWN.

LA DISOBBEDIENZA CIVILE

Introduzione

Thoreau propone un modello di comportamento sociale, strettamente indirizzato in primis all’individuo e non alla massa, volto a contrastare il mal governo, la vessazione, lo schiavismo e la pressione che in generale uno stato, anche una democrazia, rivolge al cittadino in nome di un bene di maggioranza che finisce per trasformarsi nella totale assenza di responsabilità e sensibilità morale da parte del singolo. 

Thoreau, convinto antischiavista e pacifista, pronunciò un discorso presso il Concord Lyceum, il 26 gennaio del 1848. Il testo fu dato alle stampe l’anno successivo, con il titolo di RESISTANCE TO CIVIL GOVERNMENT: il titolo oggi noto fu attribuito all’opera solo dopo la morte dell’autore. Le motivazioni che spinsero Thoreau a parlare liberamente del fallimento di quel cieco affidamento allo stato trovano giustificazione dalla stessa reazione dell’autore verso la situazione politica e sociale del tempo: gli stati Uniti erano in guerra d’espansione con il Messico, conflitto che portò all’annessione del Texas; gli schiavisti difendevano la propria posizione su più fronti e gli antischiavisti pronunciavano lodi alla libertà riempiendosi le cucine di servi e pagando tasse volte a finanziare azioni violente verso il prossimo loro. 

Thoreau teorizza qualcosa di nuovo, molto diverso da una “rivoluzione” in senso stretto: egli rifiuta categoricamente l’uso della violenza. Lo scopo non è sconfiggere a tutti i costi un nemico ma riunire sotto un ordine morale libero, benefico e benevolo, tutti gli uomini e le donne; ciò è raggiungibile secondo l’atto di convincere, non sottomettere, e di spingere a una, appunto, resistenza che apparirà del tutto naturale una volta che ci si riapproprierà dei diritti elargiti dalla natura e non dal processo di, presunta a suo parere, civilizzazione. Il programma d’azione di Thoreau nasce in totale ottica trascendentalista: la promozione della libertà del singolo e la forte fiducia per lo spirito di ognuno si giustifica dalla sostanza che esso condivide con l’Anima Universale. L’Io individuale, parte di un Io Universale che tutti permea, riscatta il proprio diritto alla decisione non in ottica egocentrica ma in una generale bonifica, in ottica morale non prestabilita da un organo dall’alto, del comportamento, e in primis della mente e dello spirito, che esula dalle prescrizioni della legge. Si infrangono le regole se esse sono sbagliate per l’uomo “buono” che osserva il mondo con occhi liberi e respiro indipendente, ma si deve essere disposti a gestirne e subirne le conseguenze. Molte persone sono sedute sulle spalle degli altri, dice Thoreau, accorgersi di come noi non avanziamo e di come chi sta sotto il nostro peso sprofonda è il vero sguardo della bontà. Tutto è fermo e il progresso è paurosamente solo decantato ma mai davvero sfiorato. I buoni propositi restano tali, da quando vengono abbandonati presso una sessione di voto elettorale dove si incaricano altri del lavoro che dovrebbe riguardare ogni persona, sempre. 

Il Mondo è quel tempio mistico dove la religione non è gerarchia ma uguaglianza, dove il governo è in primis autogoverno, dove la transustanziazione passa da cuore d’uomo a cuore d’altro uomo perché essi sono della stessa sostanza. Il miracolo non è mera speranza ma solo prodotto dell’azione: ogni fatto, benché piccolo, è fatto per sempre. 

˜

DENTRO LA DISOBBEDIENZA CIVILE 

Il nemico è dentro le nostre stesse case:

“Perché il nostro nemico è la quasi universale legnosità di testa e di cuore, la mancanza di vitalità dell’uomo, che è l’effetto del nostro vizio; e da qui nascono paura, superstizione, fanatismo, persecuzioni e schiavitù di ogni sorta, con il fegato al posto del cuore.”

L’uomo è attore principale all’interno del sistema “vita”: ognuno, con ogni azione che compie in virtù di una forma di pensiero individuale, condiziona ciò che accade intorno… a tutti gli altri.

Si potrebbe pensare che la democrazia implichi un certo coinvolgimento nella vita dello Stato di chi dentro vi vive; in realtà, il votante pone delega ad una struttura chiusa, coscientemente chiusa. La modalità con cui si da atto alla propria volontà diviene un sistema di abusi, permesso da chi ne subisce lo scotto più grande. Ma il cittadino, l’uomo, svende la propria responsabilità in nome di una tranquillità, di un riposo dell’anima che diviene una irrequietezza che soggiace in una inconsapevole sofferenza fatta di dipendenza, inutilità, colpa. Le persone sono nate per essere libere, e solo questo è il vero riposo dello spirito. La libertà però costa: il governo non ha sempre la flessibilità per mettersi in discussione, analizzare, giudicare lucidamente e modificare una direzione, se ciò non conviene o se tra i pochi che governano ce ne sono solo pochissimi che agiscono nel bene. 

“Il miglior governo è quello che governa meno.”

E chi con il proprio voto ha costituto una minoranza che si maschera da maggioranza, mette in mano al caso il proprio destino e quello di tutti gli altri. Non basta una sessione di votazione per affrancarsi dalla responsabilità personale e sociale, e neanche dai propri problemi. 

Thoreau sottilmente osserva: 

“L’unico voto che può accelerare l’abolizione della schiavitù è quello di colui che con il voto afferma la propria libertà.”

Rispetto al concetto e alla giustificazione di “maggioranza”, l’autore pone la coscienza: 

“Non è sbagliato dire che una comunità costituita non ha coscienza; ma una comunità di uomini coscienziosi è una comunità dotata di coscienza.”
“Qualsiasi uomo più giusto dei suoi vicini costituisce già una maggioranza.”

Perché delegare a una forza esclusivamente quantitativa? Egli si chiede a quel punto a cosa serva, quindi, avere una coscienza. 

Thoreau, però, non invoca un’anarchia ma un ordine di libertà, responsabilità, lucidità di cuore: 

“Io non chiedo da subito l’assenza di governo, ma da subito un governo migliore.”

Lo Stato non è una macchina perfetta, anche perché le macchine stesse non sono un buon esempio. L’uomo assoggettato all’ingiustizia, come un soldato che senza la volontà personale di andare a morire diventa egli stesso solo un’arma, sta senza occhi e senza nome. 

Chi serve lo stato lo fa facendosi strumento, perdendo la propria natura e così portando a sé e ai posteri una morte in vita che scivola velocemente verso una dipartita che non ha mai realmente conosciuto il suo opposto. 

Thoreau fa sua una citazione di Shakespeare che riporta d’esempio:

“Sono di nascita troppo illustre
per essere proprietà di qualcuno
Per essere secondo nel comando
O l’utile servo
E strumento di una qualsiasi sovranità al
Mondo.”
(dal Re Giovanni)

Ma come fa lo Stato a tenersi stretti i cittadini? Beh, sono essi stessi a consegnarsi perché in totale dipendenza da esso. Il gioco perverso è nella graduale snaturalizzazione e sfiducia personale subita passivamente dall’individuo, che lo ha portato a far parte di un sistema nel quale non sa costruirsi una casa, si fa schiavo e strumento per mantenere lussi di cui non ha bisogno; vive nella paura di perdere i propri privilegi che non sono altro che una gabbia mascherata da deliziosa abitazione ammobiliata di tutto punto. 

È però giusto tenere in piedi un sistema di organizzazione di cui tutti godono, senza differenze. A tal proposito, Thoreau era ben felice di pagare la tassa per la manutenzione delle strade, ma non altrettanto accondiscendente riguardo ad altre imposte. 

Durante l’isolamento al lago Walden, dove l’esperimento della suddetta indipendenza e del rapporto mistico e familiare con la natura prendono sostanza, Thoreau venne raggiunto da un esattore e finì irrimediabilmente in prigione, per una sola notte, nel 1846. La cauzione di una zia lo portò fuori dalle sbarre, ma l’esperienza gli rimase attaccata nella coscienza mentre guardava come gli amici si disperdono facilmente nei tempi difficili. Poi un pensiero, una possibilità:

“Se l’alternativa è fra tenere in prigione tutti gli uomini giusti e rinunciare a guerra e schiavitù, lo stato non avrà esitazione su cosa scegliere.”

Tramite le tasse il governo chiede di essere riconosciuto, ma la disobbedienza non inneggia a falsificare una dichiarazione dei redditi per essere poi più ricchi alle spalle di un altro componente di una comunità. La ricchezza, tra l’altro, è la catena più solida che lega allo stato. Le cose possedute rendono paurosi, dipendenti, egoisti. 

Thoreau immagina tante persone che mettono la testa nel fuoco, prendendosela poi solamente con le fiamme. 

E il povero esattore? Dovrebbe dimettersi. 

“Quando il cittadino ha ritirato la propria fedeltà e il rappresentante si è dimesso dall’incarico, allora la rivoluzione è compiuta.”

Si aspetta, gli antischiavisti non fanno che inneggiare a tempi più maturi. Mentre le navi negriere vedono precipitare da esse corpi senza vita. Il tutto per un sistema mantenuto da altri negrieri, quelli che Thoreau chiama i “negrieri di sé stessi”. 

Invece di riconoscere uno stato smettendo di riconoscersi è necessario un processo inverso: 

“Non esisterà mai uno stato davvero libero e illuminato finché lo stato non arriverà a riconoscere l’individuo come potere più alto e indipendente, dal quale deriva tutto il suo potere e la sua autorità.”

˜

FIGURE STORICHE A TESTIMONIANZA DELLA BUONA DISOBBEDIENZA CIVILE

THOREAU

“Non importa quanto piccolo possa sembrare l’inizio, ciò che è ben fatto una volta è fatto per sempre.”

Queste le parole di David Thoreau, ed egli stesso partecipò all’Underground Rail Road, un sistema di fuga segreto per gli afroamericani ridotti in schiavitù.

GANDHI 

Contro la tassa sul sale indiano e il SALT ACT, il 13 marzo del 1930 Gandhi e settantotto volontari percorsero 385 Km fino al mare. Lungo il tragitto molte altre persone si unirono per combattere l’obbligo all’acquisto del sale britannico imposto agli indiani. Gandhi si bagnò nel mare, raccogliendo il sale a dimostrazione di come il sale fosse un bene disponibile e gratuito. Questa marcia diede la spinta ad altre azioni che determinarono l’indipendenza dell’india. 

ROSA PARKS 

Denominata come MOTHER OF CIVIL RIGHTS MOVEMENT, Rosa Parks, il 10 dicembre del 1955 a Montgomery in Alabama, si rifiutò di lasciare il posto a sedere su un autobus ad un passeggero bianco, data la separazione delle sedute e l’obbligo per i neri di lasciare il proprio posto qualora un bianco si fosse trovato con i posti destinati occupati. Rosa Parks fu incarcerata, anche se poi rilasciata su cauzione.

Di risposta, Jo Ann Robinson, presidentessa della Women’s Political Council, fece circolare dei volantini che invitavano al boicottaggio dei mezzi pubblici della città. Lo stesso Martin Luther King, venuto a sapere dell’iniziativa, diffuse il messaggio. In molti si unirono alla protesta, inclusi i tassisti che abbassarono i prezzi. Molti pullman si fermarono e la città restò paralizzata per più di trecento giorni. 

Nel 1956, il caso di Rosa Parks arrivò alla Corte Suprema, la quale stabilì all’unanimità l’incostituzionalità della segregazione sugli autobus pubblici dell’Alabama. 

MUHAMMAD ALI

Nel 1966, Muhammad Ali si rifiutò di essere arruolato nell’esercito, mentre gli Stati Uniti erano impegnati nella Guerra del Vietnam. Fu arrestato nel 1967 e condannato ad una pena di cinque anni. La licenza da pugile gli fu revocata, ma la Corte Suprema annullò la sentenza quattro anni dopo. 

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martedì 16 maggio 2023

VIVERE SECONDO NATURA

di
HENRY DAVID THOREAU

(dal WALDEN)

VIVERE SECONDO NATURA (dal Walden), di Henry David Thoreau
Ph Francesca Lucidi

  • Anno di Pubblicazione 2021 (or. 1854)
  • Casa Editrice Garzanti
  • Prezzo edizione cartacea €4,66
  • Prezzo ebook €0,99
  • Num. Pagine 112
  • LINK ALL’ACQUISTO QUI

DALLA DESCRIZIONE EDITORIALE

«”Rinunciando a ciò che è superfluo, e abbracciando così un'esistenza all'insegna della semplicità e dell'autonomia, saremo in grado di guardarci intorno con occhi nuovi: ci accorgeremo di conoscere in verità «solo pochi uomini, ma una gran quantità di soprabiti e calzoni”.»

L’AUTORE

Biografia di Henry David Thoreau

Nasce il 12 luglio del 1817, a Concord, Massachussets. Terzo figlio di un uomo d’affari che non brilla per successi ed iniziativa, John Thoreau, e di Cynthia Dunbar Thoreau. 

Nel 1823 viene mandato alla Concord Academy, e in seguito entra All’Università di Harvard, dove si laurea nel 1837, ma non senza aver manifestato e vissuto una cerca incompatibilità con il sistema d’insegnamento, organizzazione e concezione dell’istituto. 

Inizia ad insegnare alla scuola di grammatica di Concord ma, anche lì, sperimenta una certa insofferenza che lo costringe a lasciare l’impiego. Tenta di lavorare nell’impresa familiare ma poi crea una piccola scuola con il fratello John, iniziativa che dura circa tre anni, nonostante i tratti progressisti. L’esperimento viene meno a causa della malattia di John, che muore nel 1842 lasciando Thoreau nel dolore. Dalla relazione fra i due fratelli, nascerà il primo scritto importante di Henry Concord and Merrimack Rivers, del 1849, ispirato ad una gita fatta proprio in compagnia di John.

Durante questo periodo di confusione e sofferenza, il sostegno più grande gli viene donato dall’amicizia con Ralph Waldo Emerson, conosciuto dopo il trasferimento di quest’ultimo a Concord nel 1837. 

Emerson, ex ministro della Chiesa Unitariana, culto caratterizzato da un rigido monoteismo che rinnega il dogma trinitario e la natura divina del Cristo, vede subito in Thoreau un discepolo da accogliere in seno al Trascendentalismo. 

Il Trascendentalismo si presenta subito come un movimento letterario, ma anche e soprattutto filosofico, che combina il romanticismo con un umanesimo tipicamente americano. Si celebra l’individuo e non le masse, l’emozione a scapito della ragione; si valorizza il valore essenziale e principale dell’esperienza diretta in relazione ad un rapporto stretto con la natura. L’uomo ha un potere straordinario perché ha in sé l’Io Universale, ma ciò implica un costante potenziamento nell’assunzione della realtà esterna attraverso la conoscenza della realtà e dei suoi limiti solo immergendosi in essa. Una visione romantica e panteistica, che sì richiama echi Kantiani, ma tratteggia una costruzione filosofica che richiama emancipazione dalla tradizione europea. L’Umanesimo americano si decolonizza creando le basi di una visione del vivere che ancora oggi è spinto a livelli a volte anche eccessivi dall’amore statunitense per il Self Empowerment.

Proprio Emerson spinge Thoreau ad iniziare un diario, pubblicato poi postumo in 14 volumi nel 1906. E a scrivere su The Dial, la rivista dei trascendentalisti. 

Nel 1840, Thoreau tenta di prendere moglie proponendosi ad Ellen Sewall, che alla fine rifiuta di sposarlo. Nel frattempo, lo scrittore si trasferisce da Emerson e vi resta mentre affronta la morte del caro fratello John e una profonda instabilità lavorativa. La famiglia Emerson aiuta Thoreau anche impiegandolo come insegnante in casa di William, il fratello di Ralph, a New York. L’esperienza dura però poco. Thoreau torna a Concord e all’impresa di famiglia, ma ormai la sua voglia di sperimentare e il suo modo di pensare rivoluzionario lo spingono a cercare l’illuminazione in un’esperienza radicale e formante: nel 1845 il ventisettenne Henry parte con un’ascia presa in prestito e si costruisce la sua capanna sulle rive del fiume Walden, dove vi resta due anni. Meditando e, soprattutto, sperimentando, appunta ogni cosa su un diario che sarà la base per la pubblicazione di Walden, Ossia vita nei boschi, del 1854: uno dei suoi lavori più famosi ed influenti. Durante l’esperienza non mancano intrusioni dal mondo esterno: Thoreau viene persino rintracciato da un esattore delle imposte, e chiamato a rendere conto del fatto che da anni non paga la poll tax, ovviamente non per dimenticanza per forte volontà di protesta contro la guerra degli Stati Uniti contro il Messico. Thoreau viene così tratto in prigione, dove vi resta per una notte: una zia paga la cauzione, e nonostante le sue lamentele Henry viene rimesso nel mondo. La sua convinta posizione pacifista e abolizionista cresce sempre di più, portando alla nascita del saggio La disobbedienza civile, pubblicato nel 1849 con il titolo originale Resistenza civile; nel 1854, stesso anno del Walden, pubblica anche Slavery in Massachussetts. È da ricordare che i suddetti saggi sono le trascrizioni di conferenze pubbliche che Thoreau tiene volentieri e con assai molta veemenza, come anche Emerson. È da annoverare l’intervento di Thoreau tenutosi il 30 ottobre del 1859, presso il municipio di Concord, In difesa del Capitano John Brown .  

Negli ultimi anni Thoreau si distacca un po' dal trascendentalismo per diventare soprattutto un naturalista, attività che svolge anche come lavoro insieme ad altre mansioni tecniche. Muore di tubercolosi nel 1862. 

Postumi sono The Maine Woods, Cape Cod, A Yankee in Canada; e raccolte di poesie e lettere curate da Emerson. 

LA PREZIOSA EREDITÀ DEL PENSIERO DI THOREAU

Thoreau è il padre dell’ecologismo e della lotta non violenta: a proposito di questo ultimo aspetto… attendete il futuro post su La disobbedienza civile.

VIVERE SECONDO NATURA

VIVERE SECONDO NATURA è un saggio estratto da WALDEN, OSSIA VITA NEI BOSCHI, di cui ne costituisce la prima e prodromica parte.

Due anni presso il lago Walden, senza null’altro che un’ascia presa in prestito. Una capanna costruita con mani che non avevano mai sentito il peso della responsabilità dell’autosufficienza. L’indipendenza gustata tra panini non lievitati cotti sulla pietra, e qualche mobile necessario anche perché sedere su una zucca sarebbe un eccesso che non giova alla causa. Fagioli coltivati da sé e pochi libri: una mente sgombra per creare un business senza denari ma con utili assai preziosi per la costruzione di una strada praticabile verso una vita migliore, perché di scontenti ce ne sono davvero molti, nel farisaico benessere che si lamenta; ed è per loro che Thoreau mette su il suo esperimento, anche se è noto che chi giova di una scoperta ha prima additato con paura a chi avesse avuto il coraggio di impiegarsi nella vera conoscenza dell’immanente, che è l’unico testo sacro e scientifico dove risiedono le idee. 

Grazie a Thoreau, e alle invocazioni del Trascendentalismo, si è invitati ad un “riformismo” dell’individuo: la chiamata può e deve riguardare chiunque; ma ognuno ha un solo particolare percorso, totalmente personale e specifico. 

L’Io individuale ha le sue radici nell’Io Universale: The Over soul, la Superanima che in sé include tutti gli esseri viventi, i quali sono qui spinti a superare ogni limite esteriore e, soprattutto, interiore. In nome dell’Anima Universale, tutti gli esseri viventi sono connessi: la Natura è il locus perfetto per trovare le soluzioni esistenziali e per tornare in armonia con un’indipendenza che non è mai egoistica ma esclusivamente responsabile, per sé ma soprattutto per tutto il resto. L’Energia Superiore agisce, o meglio dobbiamo ad essa permettere di agire, attraverso gli individui: rientrare nel flusso naturale delle cose, con essenzialità, rispetto, coraggio, curiosità e incuranza delle leggi precostituite da una vuota maggioranza è il mezzo per conoscersi e valorizzarsi, andando così a rimpinguare le risorse di un mondo già depredato e ridotto a un commercio di felicità a buon mercato, generiche; insalubri, ottenebranti, false.

L’uomo timorato di Dio sta in realtà in una perpetua penitenza inconscia: tra preoccupazioni futili ed eccessive, fatiche inutilmente brutali… assolutamente autoinflitte. 

La stessa religione invischia nel pronunciamento di canti fatti della paura di Dio e mai della gioia della vita. La carità si riduce a raccolte fondi ed elargizioni una tantum, fatte con una mano mentre l’altra continua a scavare una grande fossa comune per tutte le persone presenti e future.

“Se donate denaro, investitevi anche voi stessi, e non limitatevi a consegnarlo loro.”

Fare del bene, presunto, è cosa inutile se chi si prodiga così alacremente non è in realtà buono, e non sa neanche in cosa consista un minimo di bontà.

Al bando ogni ipocrisia, anche se l’autore non nega il suo piacere nelle cene fuori e ogni peregrinazione esistenziale fatta di fallimenti e di desideri. Ma egli ha tentato, ha sperimentato, ha sofferto carcere, fame e freddo; ha vissuto nel bosco tra gli animali riuscendo a sentire una voce che gli raccontava di come gli uomini sono strumenti delle loro bestie al giogo, e di come le fattorie siano la vera povertà del contadino. 

Mangiando vegetali le ossa non si formano, dicono cittadini e membri della “comunità” mentre stanno curvi sotto il peso di chincaglierie, mobili e cianfrusaglie esotiche estirpate da popoli “selvaggi” e depositari di una dignità sconosciuta al commerciante affannato, al fattore stremato, all’intellettuale soggiogato e al filosofo che insegna la filosofia senza averla praticata neanche un giorno della sua vita. 

La malattia del benessere e i deliri di una febbre dell’inutile; un morbo che ha alzato al massimo la superficialità che toglie l’essenziale alla fetta più numerosa della popolazione terrestre.

 Thoreau parla di un progresso mendace, che costruisce ferrovie mentre gli operai vi si ammazzano costruendole; di industrie che creano abiti belli per la gente per bene, mentre gli altri simili soccombono a ritmi di lavoro inumani. Il consumismo prima di essere chiamato così… è già chiaro: agli occhi di Thoreau c’è l’urgenza di essere svegliati:

“Non intendo scrivere un’ode allo sconforto, ma vantarmi gagliardamente come fa il gallo al mattino appollaiato al suo trespolo, se non altro per dare la sveglia ai miei vicini.”

/-/

Ironia pungente; coscienza ipersviluppata mostrata in una testimonianza che a volte cede alla tautologia, perdonata però per l’efficacia di un messaggio scaturito dalla prova, dal coraggio di fare qualcosa di diverso. E benedetta sia la diversità per Thoreau, che non vuole propinare una sola verità ma solo spingere verso l’emancipazione da una schiavitù non solo reale ma ideologica, sociale. L’uomo si affama perché il pane spirituale è sostituito da cibi che non saziano, da abiti che non scaldano e da case che non proteggono ma imprigionano: per le quali i costruttori ci invogliano verso travestite celle dorate, confinanti con vicini molesti. La separazione del lavoro si tramuta nella convinzione che siamo incapaci davanti all’autosostentamento, all’indipendenza. Il mutuo soccorso diviene solo l’organizzazione di uno spettacolare ed elegante funerale globale, di una morte dell’umanesimo per una società che celandosi dietro pubblicizzata sicurezza rifila solo indifferenza verso l’individuo e la natura. Quest’ultima si consuma perché l’uomo non è più solo una entità passeggera pervasa di meraviglia ma un parassita insaziabile che impara troppo presto a consumare, specialmente sé stesso dato che non si sa cibare di ciò che gli serve ma solo di ciò che gli viene preconfezionato senza alcun riguardo per i nutrienti davvero necessari. 

“Il prezzo di una cosa è la quantità di ciò che definisco vita da dare in cambio.”

Le istituzioni divorano la vita del singolo, ridotto a un vecchio signore che arranca trascinandosi dietro il peso di cose inutili. 

“Potrebbe essere la casa a possedere lui e non viceversa”. 

L’uomo insoddisfatto non sta facendo altro che lamentarsi dei tempi duri “perché non può permettersi ci comprare una corona”. 

Thoreau pone il suo Io a narrare, ma il discorso è aperto alle conclusioni e soprattutto alle azioni mancate del destinatario ben identificato: egli si rivolge “alla massa di uomini che sono scontenti o si lagnano inutilmente della durezza della sorte o dei tempi, quando potrebbero essere loro a migliorare la situazione”

DESIDERI E BISOGNI 

Il capovolgimento del modello motivazione dello sviluppo umano di Maslow, in tempi non sospetti

Credo di avervi già parlato della PIRAMIDE DEI BISOGNO DI MASLOW ma, per i nuovi arrivati e per quelli che come me hanno una labile memoria, meglio ripassare.

Nel 1954, lo psicologo Abraham Maslow immagina un modello motivazione dello sviluppo umano basato su una gerarchia di bisogni. L’uomo tende a sviluppare primamente dei bisogni primari, e solo dopo può far emergere quelli di ordine superiore che portano alla consapevolezza e all’attuazione dell’autorealizzazione individuale. In sostanza, si realizza la propria identità solo se prima si sono soddisfatti i bisogni primari, considerati di “sopravvivenza”. 

In ordine, partendo dal basso, Maslow parte dai bisogni fisiologici (fame, sete, sesso, combustibile); poi vi sono quelli di sicurezza (come un riparo); salendo arrivano i bisogni sociali come l’appartenenza e in seguito la stima, e solo in ultimo si giunge all’autorealizzazione. Questo modello è dimostrato essere parziale, e rigido, anche perché non contempla l’influenza dell’ambiente esterno che potrebbe spingere a concentrarsi anche su più bisogni contemporaneamente a seconda delle occorrenze. 

Thoreau, e appunto il suo “pane spirituale”, pone innanzitutto una riflessione sulla confusione tra bisogni e desideri. Il bisogno, chimicamente, mette in moto nel sistema nervoso una serie di percorsi che inducono all’urgenza, e lo fa smuovendo anche i fattori emotivi. Il desiderio dovrebbe essere un qualcosa in più, assolutamente non necessario. Thoreau fa l’esempio della moda, dei calzoni sempre nuovi indossati da manichini; non manca anche di portare a conoscenza studi antropologici che hanno osservato come un uomo selvaggio grondi di sudore in case troppo riscaldate che inducono un indebolimento delle naturali difese corporee. La contemporaneità di Thoreau, e ancor più la nostra, sostituisce il bisogno con il desiderio che è anche, nella maggior parte dei casi, indotto e non libero e specifico. 

Ciò cosa produce? Ansia, moltissima ansia. L’uomo si dimentica della natura, capace di adattarsi alla forza come alla debolezza degli esseri viventi, e la sostituisce con un’ansia che sopravvaluta l’importanza del lavoro, del fare schizofrenico. “Ma quante cose non sono state compiute da noi?” dice Thoreau, e guardandosi intorno senza paraocchi ciò è più limpido di quanto si potesse pensare… anche se, forse è troppo tardi, oggi, per rientrare in un certo circolo naturale. Ma questo saggio serve anche a ritrovare la fiducia. 

I bisogni primari e l’autorealizzazione possono e devono agire all’unisono, e solo così la piramide pare più flessibile e quindi solida. 

Uomini nuovi: ecco cosa serve, e i cosiddetti vecchi saggi non costituiscono un alibi. Più che cambiarsi d’abito l’umanità deve fare la muta, che negli animali indica uno stato superiore e non un cambiamento esteriore e inutile. Appena si può non morire di fame, di certo c’è altro in sostituzione del superfluo: esplorare la vita. 

Nessuna frase vuota, nessuna teoria che si adagia su sé stessa: VIVERE SECONDO NATURA significa imparare un’economia del vivere, che è sinonimo di filosofia. 

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martedì 21 febbraio 2023

IPOCONDRIACI

COME LIBERARSI DALLA PAURA DELLE MALATTIE

di 

Brenda Hogan e Charles Young 

IPOCONDRIACI, come liberarsi dalla paura delle malattie

  • Anno di Pubblicazione 2017
  • Edizione 1°
  • Editrice Red!
  • Prezzo di copertina €8,55 per l’edizione cartacea
  • Copertina flessibile
  • FORMATO KINDLE €4,49
  • Pagine 96
  • LINK ALL'ACQUISTO QUI

DALLA QUARTA DI COPERTINA

“Un piccolo libro di auto-aiuto per capire cos’è l’ipocondria e come si può superare. Un percorso graduale, delineato con grande chiarezza, per imparare a guardare in faccia la paura delle malattie e scoprire le strategie più efficaci per combatterla.”

TEMI

Un libro amico, un libro che ascolta ma invita all’azione. La paura delle malattie potrebbe considerarsi normale, ma quando essa diventa ossessione, e regola ogni pensiero o azione, si è davanti ad una fobia e a meccanismi radicati che vanno attaccati con la conoscenza del problema e delle possibili soluzioni. L’era di internet mette davanti agli occhi degli utenti una grande quantità di informazioni senza il filtro di un esperto che possa interpretarne i contenuti; appunto per questo, l’ipocondriaco trova nella rete il luogo perfetto per restare intrappolato, confuso e ancora più spaventato. Se alla base del disturbo ci possono essere ragioni comprensibili, è pur vero che chi ne soffre passa a un terrore che pare non trovare pace e rassicurazione. Proprio la rassicurazione è una delle ricerche senza sbocco dell’ipocondriaco: ricerca ossessiva di risposte ed evitamento sono i due segnali del giogo a cui questo disturbo costringe. Grazie a questo manuale si può comprendere meglio i propri pensieri, le proprie paure e i gradi di ansia a cui si è soggetti e a cui si cerca di sottrarsi. Un piccolo affanno o un battito del cuore accelerato possono bloccare l’ipocondriaco a una vita immobile, terrificata da ogni segnale corporeo che può essere semplicemente fisiologico. Grazie a schemi da compilare, esercizi ed esposizioni si può allentare la tensione costante e si può imparare a stare nell’ansia facendone affievolire la potenza distruttiva. 

Una giusta prevenzione aiuta a prenderci cura della salute, non vivere per il terrore di stare male toglie solo il senso a giornate che potrebbero tornare a essere un contenitore di esperienze e non solo di cieco terrore. Questo manuale di auto-aiuto non promette facili rimedi ma percorsi di cui essere partecipi e padroni. Il consulto di uno specialista resta, comunque, un’ottima soluzione per completare un salvifico processo di emancipazione dall’ipocondria. 

GLI AUTORI 

BRENDA HOGAN vive e lavora a Vancouver, Canada. È psicologa clinica, specializzata nel trattamento della depressione e dei disturbi d’ansia.

CHARLES YOUNG, psicologo, dirige il dipartimento di Psicologia alla Rhodes University, in Sudafrica, e coordina i corsi di formazione di counselling e psicologia clinica.

BRENDA HOGAN e CHARLES YOUNG hanno entrambi lavorato al Primary Care Psychological Treatment Service, a Cambridge, collaborando allo sviluppo di un servizio pioneristico di assistenza sanitaria di base improntato al self-help per una vasta gamma di disturbi psicologici comuni.

UNA VITA NON VISSUTA 

Escalation, seme del dubbio e sfiducia


“Capita a molti di preoccuparsi, di quando in quando, per la propria salute, ma in genere la preoccupazione dura poco e di solito non interferisce con la vita di tutti i giorni. Per alcune persone, invece, dubbi e timori non passano tanto facilmente e finiscono per diventare fonte di grande stress.

[…]

La preoccupazione può trasformarsi in ansia e attacchi di panico, e nella sensazione che tale angoscia finirà per prendere il sopravvento sulla loro vita.”

L’ansia per la salute è comprensibile, se limitata nel tempo. Quando la preoccupazione cresce fino a fagocitare giornate e progetti si è di fronte a un problema. Comunemente si crede che gli ipocondriaci non abbiano alcun sintomo reale; ciò non è vero. Dolori di varia natura, palpitazioni, sudorazione, mal di testa, dolori al petto: questi sono solo alcuni sintomi che ciascuno di noi può avvertire di sovente; l’ipocondriaco parte dal notare effettive presenze di sintomi o segni, il problema è che il soggetto interpreta tutto ciò, immediatamente, in maniera catastrofica. Le rassicurazioni del medico spesso non bastano, e gli specialisti si susseguono in una serie di accertamenti che non fanno altro che far montare l’ansia; proprio quest’ultima, nella maggior parte dei casi, diventa la responsabile di un peggioramento dei sintomi. 

L’ipocondria ha sempre un’origine. In modo diretto, può essere proprio un trauma legato allo stato di salute, propria o di altri, ad avere scatenato un’allerta senza pace. A questo punto arriva il secondo punto dolente dell’ipocondriaco: la fiducia. Chi soffre di questo disturbo non si fida delle rassicurazioni; ma non si fida neanche della propria capacità nel saper affrontare un grave problema di salute, la cui eventualità deve comunque essere pensata come più rara di quanto creda un ipocondriaco. Le aspettative di autoefficacia ci pongono nella posizione di poter considerare che un buon risultato sia raggiungibile: l’ipocondriaco pensa che non saprebbe affrontare una malattia, sfiducia che proietta anche sui propri cari. 

Quindi, rassicurazioni e sfiducia sono due colonne portanti da abbattere; come? Attraverso una serie di esercizi e di appunti. Nella memoria si può aggirare il trauma per ritrovare il proprio coraggio e la propria forza. Solo questo può rassicurare; invece, chiedere continuamente a un’altra persona di controllare una nostra macchia sulla pelle, o chiedendo informazioni sconnesse si può solo peggiorare il senso di consapevolezza e le aspettative di autoefficacia. 

Fare domande è uno degli strumenti principali del manuale: attraverso un’attenta analisi dei pensieri si impara a riconoscerli, valutarli. L’ansia viene conosciuta attraverso una scala di valutazione che affianca l’ipocondriaco nel suo percorso di comprensione. 

Ma non esistono solo gli ipocondriaci che passano la vita tra gli studi medici: l’evitamento è un altro meccanismo di protezione che non fa che mantenere il disturbo d’ansia. Si possono evitare controlli medici, argomenti, articoli o qualunque altro contenuto inerente alla sfera della salute. Il manuale aiuta, con esercizi e schemi, a capire la propria ansia, imparando a saperla valutare secondo una scala; e poi, una volta padroneggiati i mezzi di consapevolezza, si può iniziare un processo di esposizione graduale che mira a “desensibilizzare” il soggetto. C’è la concreta possibilità di non sentire così forte i segnali del corpo, non evitare ciò che spaventa, capire come prendersi cura della propria salute in modo equilibrato. 

Nessuna facile promessa: ci possono volere mesi; l’aiuto di uno specialista può essere un passo successivo. 

BREVI CONSIDERAZIONI, SENTENDOSI MEGLIO

Il volume è perfetto: agile, facile, dal linguaggio divulgativo. Ci si sente capiti. Si scardinano i luoghi comuni sull’ipocondria per comprenderne meccanismi e sintomi. Gli esercizi si susseguono per accompagnare il lettore in un percorso coinvolgente, che manifesta un atteggiamento comprensivo e propositivo. Il libro non è eccessivamente lungo: è essenziale, perché un ipocondriaco ha innanzitutto bisogno di fare ordine e chiarezza. 

Lettura promossa a pieni voti; da tenere sempre a portata di mano per non perdere di vista il vero significato dello stare in salute. 

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domenica 5 febbraio 2023

LA NOSTRA CASA

di 

SIMONA CAPONE

Ph Francesca Lucidi

  • Anno di Pubblicazione 2020
  • Edizione 1°
  • Editrice AUTOPUBBLICAZIONE
  • Prezzo di copertina €10,39
  • Copertina flessibile
  • Lunghezza stampa 196 pg.
  • LINK ALL'ACQUISTO QUI

DALLA DESCRIZIONE SU AMAZON

“La nostra casa era uno di quei luoghi in cui sia il tempo che lo spazio si arrestavano, proliferando in un oceano di oppressione e violenza e questo, Amalia lo ricordava bene. Adesso che aveva l’età giusta per riflettere razionalmente, pensava spesso a quella casa come faceva fin da bambina, prima che un incidente spazzasse via ogni cosa, lasciandole soltanto la rievocazione sbiadita di quelle giornate, fatte di preghiera e solitudine.”

TEMI

Un ricordo sospeso nei capogiri di un trauma che si cela volendosi, però, far scoprire e riconoscere. La storia di una casa e dei suoi dolori attraverso memorie raccontate da altre memorie; personaggi tormentati che nella mente della giovane Amalia tornano in vita tra urla, silenzi e preghiere strette tra i denti. Un lamento nervoso perenne, un tragico evento da cui gli altri hanno tentato di sottrarre Amalia; ella però è ancora in quella casa, e in una cantina colma di buio e sussurri. 

Presenze schive che si allontanano e poi si avvicinano, visioni sfocate della storia di una famiglia spezzata dalla colpa. La religione vissuta non come pace ma come una malattia del corpo e della carne; la fede come il mezzo per sopravvivere tra la violenza e i frutti del libero arbitrio che non conosce remissività. 

Una bambina piange disperata, un’altra sta chiusa tra assi marce; una madre rigata dal sangue della rabbia e del peccato. Una storia in cui incontrare spettri che avranno il volto di chi è sempre stato lì. 

AVVICINIAMO UNA LUCE SUL VISO DI QUESTA STORIA

"Poteva a volte paragonarsi a quella luna, fredda e sola in quel cielo in cui le stelle sfrecciavano lontane da lei. E nuovamente ricordava che la sua esistenza era sempre stata nel passato e in quella luce che, un tempo, era stata la sua unica guida."

Due ricordi che si stagliano davanti al lettore come apparizioni insistenti: le parole di Amalia e il racconto di un narratore che sta con noi e ci porta indietro. Un’atmosfera opprimente, un presente che potrebbe lasciarsi vivere con spensieratezza se solo Amalia comprendesse che la sua affezione per la “nostra casa” non è altro che un trauma che ha portato il buio. La giovane, dopotutto, è cresciuta nel buio dove sovente la madre la rinchiudeva in un castigo confuso e senza motivi chiari. Protezione? Punizione? Amalia sa solamente che era una bambina allegra, una creatura curiosa e coraggiosa. La piccola sapeva immaginare, cantare e danzare. Però era anche brava a sentire e scovare nell’oscurità. Gli “altri” si facevano sentire… “i peccati dell’uomo” diceva la mamma, e solo la preghiera può fare scudo, portare luce. Amalia è scontrosa e cupa, però sa anche commuoversi sui petali di una rosa, quel fiore bellissimo che le ricorda la mamma che non c’è più. 

I ricordi di Amalia però non sono teneri, sono brucianti di dolore e domande. La zia che l’ha presa in casa cerca di nasconderle verità che però si mostrano in numerosi indizi quotidiani, che strisciano tra i piedi di Amalia come scarafaggi: simili a quelli che anni prima uscirono dalla sua bambola. 

Piccoli sgraziati amici che si nascondono negli armadi e prendono il tea seduti con noi; ombre che corrono e si rivelano in occhi scavati e abiti consunti. Fantasmi? Gli “altri” si mostreranno… lo capirete.  

CONSIDERAZIONI

Le descrizioni minuziose vengono da mani delicate che si percepisce abbiamo preso ogni oggetto, abbiano toccato ogni superficie, anche se solo con la forza della mente creativa. L’autrice è delicata e ha un timbro d’altri tempi anche se la storia porta verso un finale che riesce a superare le conseguenze che il lettore si illude di aver lì pronte e scontate.

Uno stile elegante e ricercato per un romanzo che vibra delle passioni dell’autrice. L’intento si mostra subito nella tessitura di un fraseggio complesso che a volte sfugge alla sua creatrice, ma ciò non compromette affatto la godibilità del libro. 

 L’idea è originale e ambiziosa; furba nei suoi intenti raffinati celati in una trama che riesce a stupire. L'unico momento di smarrimento è stato dovuto all’assenza di coordinate: è vero che il ricordo sta sospeso nel tempo e lo spazio… ma è anche vero che il lettore vorrebbe essere accompagnato nella sua immaginazione. Non sappiamo in che epoca o in che luogo ci troviamo. I pregevoli particolari che l’autrice dipinge, con la leggiadria di cui abbiamo già parlato, non sono supportati da uno sfondo dichiarato. Simona ha il pregio di essere umile, di sapere ascoltare. Mi ha comunicato che determinate perplessità le sono state già espresse, spero che le osservazioni ricevute le saranno utili per cesellare sempre più il suo tocco distintivo.

  • LETTURA CONSIGLIATA AGLI AMANTI DEI MISTERI E DELLE VECCHIE CASE OSCURE E SUSSURRANTI. 

È già disponibile il secondo capitolo della storia: seguite le indicazioni qui di seguito per trovare i libri dell'autrice. 

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