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venerdì 15 gennaio 2021

L'UOMO CHE PIANTAVA GLI ALBERI

 di 

JEAN GIONO

A PIEDI NUDI, CON UN BASTONE PER NON FERIRE... VENITE A TOCCARE LA VOSTRA UMANITÀ

Ph Francesca Lucidi

CENNI BIOGRAFICI SULL’AUTORE

Jean Giono nasce il 30 marzo del 1895 a Manosque. Suo padre è un calzolaio e sua madre una stiratrice. Autore dalle origini piemontesi e dall’indole così libera da rendere la sua figura inclassifficabile. Si sa che la libertà può generare paura e incomprensioni, specialmente in periodo storico in cui le divisioni sono le spaccature profonde che fanno sopravvivere a stento l’umanità; Giono ne pagherà le spese.

A causa della malattia del padre, Giono abbandona gli studi e va a lavorare in banca. Riesce però a formarsi una solida conoscenza e passione letteraria grazie alle autonome letture della Bibbia, di Omero, di Kipling. La sua modesta famiglia non è affatto gretta e lo incoraggia nei suoi incontri con i libri e la scrittura.

Partecipa direttamente alla Prima Guerra Mondiale, come “soldato di seconda classe senza croce di guerra”. Resta ferito a Verdun, dopo il concedo vede rafforzarsi i suoi ideali pacifisti.

Nel 1924 pubblica la raccolta di versi ACCOMPAGNATI DAL FLAUTO; nel 1927 lavora alla stesura del primo romanzo: LA MENZOGNA DI ULISSE (uscito solo nel 1930), una trasposizione dell’Odissea nel tempo presente.

Atmosfere mediterranee e pagane perdurano nella “Trilogia di Pan”: COLLINA (1929), UNO DI BAUMUGNES (1929), REGAIN (1930). La Natura si pone sempre più al centro degli scritti di Giono, con forza misteriosa e ambivalente. I contadini provenzali diventano i portavoce di questo legame misterico, idilliaco, anche tinto degli aspetti ostili di questa Natura potente e manifestata in tutte le sue espressioni.

Grazie al successo di COLLINA, lo scrittore può dedicarsi completamente alla letteratura. Nel 1931 esce IL GRANDE GREGGE, dove viene rievocato il dramma della guerra in trincea. Poi, la Natura fa il suo ritorno con una voce che ha i toni della predicazione: sono da ricordare IL CANTO DEL MONDO (1934) e CHE LA MIA GIOIA RESTI (1935). Personaggi inviolati come i paesaggi che abitano, strettamente a contatto con le realtà della vita: tristezza e gioia si mostrano senza veli.

Giono è un solitario e al contempo è profondamente interessato all’umanità nei suoi aspetti più autentici, appunto “inviolati”, forti e, a volte, contradditori. La sua osservazione si nutre delle conversazioni che intreccia con i contadini provenzali incontrati durante lunghe passeggiate: così nascerà anche L’UOMO CHE PIANTAVA GLI ALBERI. Una fattoria di Contadour diventa luogo di incontro tra Giono e un nugolo di ascoltatori. “Vere ricchezze” e pace tra gli argomenti delle aperte disquisizioni.

Lo scrittore propone i suoi ideali in numerosi saggi, tra cui PRESENTAZIONE DI PAN (1930) e LETTERA AI CONTADINI SULLA POVERTÀ E SULLA PACE (1938). Nel 1939 viene incarcerato con l’accusa di propaganda antimilitarista. In molti iniziano a posare l’occhio del sospetto sul libero e indipendente Giono. Lui, che aveva dato rifugio a due cugini comunisti, si guadagna anche le accuse degli stessi comunisti francesi. Lui, che aveva dato rifugio a due ebrei e un ricercato della Gestapo, viene accusato di collaborazionismo con i nazisti nel 1944: una nuova prigionia, e un divieto a pubblicare.

Dall’isolamento continua a nutrire il suo spirito: nasce così il ciclo di cronache con al centro la leggendaria figura del nonno dello scrittore, Pietro Antonio Giono, colonnello degli ussari… generoso e appassionato “eroe” del risorgimento. Nascono così MORTE DI UN PERSONAGGIO (1949), l’USSARO SUL TETTO (1951), LA PAZZA GIOIA (1957), ANGELO (1958): commistioni di generi dalla storia d’amore fino all’avventuroso, passando per il racconto picaresco.

Giono si spegne il 9 ottobre del 1970, nella casa di Manosque in cui ha sempre vissuto con la moglie e le due figlie.


L’UOMO CHE PIANTAVA GLI ALBERI

“NON BISOGNA DISDEGNARE NULLA. LA FELICITÀ È UNA RICERCA. OCCORRE IMPEGNARVI L’ESPERIENZA E LA PROPRIA IMMAGINAZIONE.” 

(da Viaggio in Italia di Jean Giono, 1953)

“La loro condizione era senza speranza. Non avevano altro da fare che attendere la morte: situazione che non predispone alla virtù.”

Edito da Salani editore nel 2016, con nota sull’autore di Leopoldo Carra e le straordinarie illustrazioni di Peppo Bianchesi, un libro che nella sua brevità incarna il succo dell’impegno nella semplicità e nella fecondità, il senso dell’essere un “atleta di Dio”.

Giono amava la calligrafia: proprio un tratto, un segno nero scaturisce da una penna per farsi figure e significati. Le illustrazioni mescolano le forme della vita con le parole francesi di Giono, che si fanno vento ed erba. Il testo non può prescindere dalla parte visuale del libro, e viceversa. La comunione di queste due forme espressive si fa bandiera di comunità, di collaborazione silenziosa con i sensi profondi della vita. Questo è Giono: lavoro costante senza fatica, schiena piegata senza dolore, serenità e socialità nella solitudine che opera senza conoscere cosa sia l’egoismo.

Ph Francesca Lucidi

lo scrittore bambino camminava con il padre portando ghiande in tasca per piantarle. Dall’esperienza, dai ricordi e dal fervore di chi vuole promuovere un messaggio rivoluzionario parte la storia di pace che riesce anche a spezzare la scia distruttiva dell’umanità, della guerra, della lotta gli uni contro gli altri sponsorizzata dal progresso e dal capitalismo.

L’ordine naturale riesce a parlare attraverso le poche parole scelte di Giono. Sottomettendoci alla Natura, uscendo senza scarpe dal folle antropocentrismo possiamo scoprire una forza generatrice non rinchiusa su sé stessa. Possiamo essere seme, possiamo essere ventre, possiamo essere padri e madri del mondo non solo per capacità biologica ma per volontà dell’animo e libertà del cuore e della mente.

Non ci troviamo dinanzi a un semplicistico idillio bucolico, l’uomo si distacca da un’esistenza vissuta in funzione di sé stessi: la felicità non viene più cercata perché ne diventiamo noi stessi il germoglio. Come? Attraverso la soluzione più semplice ed ardua al contempo: le azioni.

L’eroe di questa storia sembra incrollabile, sopravvive a due guerre, sopravvive alla morte della speranza. Chi è? Una sagoma nera che appare durante una passeggiata dello scrittore in territori aridi, su in una altitudine che riflette un cielo spietato e un vento violento, che paiono essere a loro volta il prodotto di mondo umano sottostante perso nel suo sanguinoso dividersi e guerreggiare. La sagoma nera è un pastore, un uomo dalla casa ordinata, che mangia minestre profumate e si presenta ben sbarbato al cospetto della sua solitudine. Il pastore passa la serata a dividere ghiande, le scruta, sempre il silenzio. Lo scrittore è suo ospite e osserva. Il giorno dopo la morbosa curiosità di Giono gli fa seguire l’uomo: un passo dopo l’altro, un bastone appuntito, buche nel terreno e da un sacchetto umido le ghiande vanno a finire nella terra. Ma di chi è quella terra? Forse tale imponente e instancabile lavoro è per far fruttare una proprietà, per ricavarne un guadagno in denaro… no! Proprio il discorso sulla proprietà si scioglie nell’azione perpetua di un uomo che sfida il vuoto con il lavoro silenzioso. Il pastore si fa creatore. Le evocazioni bibliche si liberano degli esclusivi connotati religiosi per diventare una dimostrazione universale di quanto l’uomo possa avvicinarsi davvero a DIO, ma questa volta non solo per la potenza distruttiva.

Una storia che tiene in parallelo un uomo solo, due guerre e piccoli villaggi dove si muore presto perché si pensa solo all’ambizione di stare da un’altra parte. Vite spezzate. L’uomo buca altrettanti appezzamenti di terra ma non semina vita… sparge morte e sangue. I tratti neri delle illustrazioni si animano di colore solo per enfatizzare la sostanza e il contrasto tra le simbologie della vita e della morte.


Ph Francesca Lucidi

Pensate che un povero pastore solo possa sopravvivere? E per giunta senza l’ufficializzazione e la certificazione di un ente, di un potere. Forse qualcuno oltre lo scrittore aprirà gli occhi. Ma voi, cercate di camminare a passo lento, riscoprite il gesto, perdete l’uso della vana parola. Giono riesce a far scorrere l’acqua nelle crepe, a tingere di verde il rosso liquido della crudele ambizione umana. Ridimensionarsi per diventare assoluti, spogliarsi dell’essere degli uomini per riscoprire davvero la missione che il divino, o se preferite… la vita, ha dato alle nostre mani e ai nostri spiriti. Una lettura schietta, una lettura non adatta a chi ricerca tante parole o intrecci e orpelli. Giono è la ghianda da cui può iniziare a fiorire la varietà più grande della pace espressa nella comune presa di responsabilità del mondo intero… ma partendo sempre da un piccolo sguardo attento, da una mano che leggera si posa su ogni cosa.

“CHI AVREBBE POTUTO IMMAGINARE, NEI VILLAGGI E NELLE AMMINISTRAZIONI, UNA TALE OSTINAZIONE NELLA PIÙ MAGNIFICA GENEROSITÀ?”

 

Ph Francesca Lucidi

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