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domenica 8 novembre 2020

IL GRILLO DEL FOCOLARE di Charles Dickens

EDIZIONE A CURA DI ENRICO DE LUCA
PER CARAVAGGIO EDITORE

Ph Francesca Lucidi

INTRODUZIONE

Ancor prima del Trillo Primo, quello che succedette al borbottio del ramino: sì, perché deve esser chiaro che fu quest’ultimo a cominciare, Il Grillo prese fiato durante un viaggio di Dickens in Italia. Al suo ritorno, lo scrittore confidò all’amico e biografo Forster di voler fondare un periodico: un solo foglio settimanale che contenesse racconti, osservazioni su libri e teatri. Prestando ascolto, le parole di Dickens affermarono: “Dominerà sempre l’ardente, cordiale, generosa, allegra e splendida allusione al domestico focolare e alla famiglia. Lo intitolerei IL GRILLO! Allegra creatura che garrisce sul focolare”.

Alla fine il periodico non venne alla luce e il grillo saltò nell’abitazione dei coniugi Peerybingle: nacque The Cricket on the Hearth, novella facente parte del gruppo dei Racconti di Natale che uscirono negli anni quaranta del XIX secolo (Un Canto di Natale nel 1843, Le Campane nel 1844, il Grillo del Focolare nel 1845, La Battaglia della vita nel 1846; Lo Stregato o Il Patto col fantasma nel 1848). In seguito, le novelle vennero pubblicate in un unico volume. In Italia, la prima traduzione dell’autore venne dedicata proprio ai Racconti di Natale.

La Caravaggio si ripropone di presentare autenticamente lo stile originario dell’autore, il quale ha subito nel tempo numerose epurazioni e normalizzazioni che ne hanno appiattito il guizzo linguistico e stilistico.

La bellezza di questo volume non sta tanto nella trama, assai semplice come una “favola domestica”, e infatti così è definito nel sottotitolo, ma soprattutto per la scrittura non scorrevole, saltellante e vivace come il verde ospite, che nasconde in sé una magia potente.

Ora mettiamoci ad attendere, perché un’attesa apre le porte di un casolare umile: si alza il sipario su una commedia sentimentale, tragicomica, viva nei gesti… dal più minuto al più eclatante.

CENNI SULLA TRAMA

Non pensate sia un racconto che si snoda tra le strade addobbate per il Natale, ci troviamo alla fine del primo mese dell’anno. Tutto è gelo, nebbia. Due piccoli zoccoli arrancano nella fanghiglia per riempire solertemente il secchio dell’acqua. Una piccola donna attende. La questione spinosa è quella rivolta al primato di chi cominciò. Il narratore si avverte come una vera e propria voce esterna a un palcoscenico che ha pochi scenari, definiti, caratterizzati e assolutamente sufficienti all’economia della storia.

È stato il ramino a cominciare, ossia il calderone che in passato bolliva perpetuamente nei focolari: per attendere nascite, per dar vita a una tazza di tea fumante, per accogliere qualche patata. In una piccola casa il ramino non collabora e una donna paffuta e graziosa si spazientisce; l’orologio olandese si unisce al coro… ma qui è il Grillo a segnare il tempo, e a dirigere, a fare da cassa di risonanza ai cuori duri e a quelli teneri e sinceri.

Questa è una storia domestica, di una moglie che aspetta un marito che di mestiere fa il corriere: un carro contiene aspettative e tante storie; le persone conoscono benissimo il buono e semplice John Peerybingle, e anche il cane Boxer, sempre pronto a salutare, annunciare e indagare… e soprattutto a capir tutto prima degli altri.

È una sera particolare, oltre ad esser particolarmente fredda fino a far letteralmente gelare il viso di John, il carico porta tre novità, attese, e anche meno attese perché non auspicabili o ritenute difficilmente esperibili. Il carico porta un pacchetto prezioso, tanto atteso da un altro personaggio, abile a farci sciogliere il muscolo cardiaco alla vista del suo dolce e triste guardare la figlia cieca. Stiamo parlando di Caleb Plummer, padre di Bertha; cosa è disposto a fare un padre per la felicità di una sfortunata figlia?

Il Grillo una volta parlò a Caleb:  

“Ma anch’egli aveva un Grillo nel suo Focolare, e ascoltando tristemente la sua musica quando la Bimba Cieca senza madre era molto piccola, quello Spirito gli aveva dato coraggio con il pensiero che persino la grande privazione di lei potesse essere tramutata quasi in una benedizione […]”

Caleb fa l’impossibile, soprattutto perché oltre a essere un costruttore di giocattoli è un creatore di realtà, di persone e bontà e bellezze che non esistono. Incredibile come l’amore sia generatore in tutte le sue manifestazioni. Leggendo la novella, potrete commuovervi scoprendo ciò che non c’è ma che qualcuno sente e vive dalla nascita.

I Grilli sono un po' in tutte le case, anche se qualcuno non li ascolta ma vi si accanisce, li schiaccia. Questo ci riporta a un’altra delle sorprese portate da John: una enorme scatola contenente una torta nuziale. Lieto evento? Niente di più sbagliato dato che non si riesce neanche a pronunciare il nome dello “sposo”, e Mary Peerybingle si sente quasi mancare. Il Capo, il Padrone di Caleb, il giocattolaio Tackelton, è colui che sta per sposare una donna, anzi una giovane e bella fanciulla di nome May Fielding, vecchia compagna di scuola di Mary.

l’idea di qualunque essere umano nelle mani Tackelton può certo far rabbrividire, se si pensa che quell’uomo sa solo creare giocattoli mostruosi per il puro piacere di torturare il prossimo. Un vero topos dickensiano: avaro, brutto, comico nelle sue convinzioni e massime che circondano un animo arido perché avvinto dalla solitudine e dall’incapacità di comunicare con gli altri, con sé stesso. Sospetto e macchinazioni… le armi di chi non conosce amore nel proprio cuore.

“Tackelton il giocattolaio, quasi generalmente noto come Gruff e Tackelton — perché quella era la ditta, sebbene Gruff fosse stato rilevato da molto tempo, lasciando nella società solo il nome, e, come dice qualcuno, la natura, secondo il suo significato nel Dizionario[1]”.

Le descrizioni sul Giocattolaio non lasciano dubbi sulla natura del suo animo:

“Non assomigliava molto a uno sposo, mentre stava in piedi nella cucina del Corriere, con una smorfia sulla faccia asciutta e una torsione del capo, e il cappello tirato sulla gobba del naso, e le mani ficcate in giù in fondo alle tasche, e tutto il suo essere sarcastico e malintenzionato facente capolino da un angoletto di un piccolo occhio, come fosse l’essenza concentrata di uno stormo di corvi.”

Proprio quell’occhio si posa sospettoso su l’ultimo carico misterioso della serata: un viandante sordo, silenzioso, con capelli bianchi e un viso sfuggente. L’uomo par gentile e chiede ricovero per la notte. I corvi sorvolano sul viandante e su Mary, che pare a disagio, molto a disagio.

Qualcosa accadrà, ma non prima che Tackelton si autoinviti alla consueta merenda che i Peerybingle organizzano periodicamente nell’umile casa di Caleb, che per la giovane e candida cieca è una reggia. Mistificazioni, bugie e sospetti. Chi male vive proietta un’ombra su tutto ciò che vede. Qui si parla di cattivi consiglieri, di cose giuste da fare nonostante i rischi…

Purtroppo, i malintesi la faranno da padroni, tra esilaranti quadretti e scenette che hanno per protagonisti le sprezzanti offensive massime e recriminazioni del Giocattolaio, i poetici slanci di Bertha; da non dimenticare la sbadata bambinaia Tilly Slowboy, che con tanto amore si prende cura del pupo dei Perrybingle, anche se ogni spigolo pare pronto ad accogliere il capo del lattante. E non perdetevi i discorsi della querula voce della madre di May: alla fine tutti i personaggi si troveranno a quella merenda, l’inizio dell’inizio e della fine, prima di arrivare alla vera conclusione e risoluzione.

Tackelton è ossessionato dalla sua età matura, rispetto a quella di May; dovete sapere che anche John e Mary hanno una grande differenza d’età… ma nella casa dove Il Grillo ha trovato ricovero, il canto ha dato un benvenuto rassicurante per una coppia che pare perfetta perché vive nell’accettazione delle reciproche differenze, arricchendosi nella semplicità dei ruoli ricoperti con la solerzia che i bambini adoperano quando giocano a far i grandi.

Il Grillo, però, sta a guardare. I Grilli son spiriti potenti, sono fate… appaiono quando devono, ma le risposte devono venire dal cuore di chi è coinvolto in visioni che sanno mettere alla prova, non svelare, non ancora.

Secondo voi uno stormo di corvi può fermarsi a banchettare allegramente tra ghiandaie, colombi e pettirossi? Potrebbe…

ANALISI E CONSIDERAZIONI

L’edizione della Caravaggio, curata da Enrico De Luca, ci restituisce uno stile da affrontare lentamente, anche se a volte corriamo per andar dietro a periodi che paiono indovinelli. Finte reticenze, cose da non dire che vengono assolutamente dette, dette tutte; nomignoli e descrizioni minuziose. Un voyeurismo puro e simpatico, tra le moine di Mary e l’impacciato modo di comunicare di John. Una maniacale attenzione per i dettagli, che porta ogni cosa ad avere la sua importanza e la sua voce. Non è una lettura facile perché per comprenderne la bellezza bisogna scendere a patti con un testo che si abbellisce come una ghirlanda decorativa assai carica: bella, sì, ma carica. La storia, però, a perdifiato tiene incollati, avvinti.

Rispetto ad altre traduzioni, troviamo alcune scelte coraggiose: Mary, viene definita “Piccina” non “Dot”, come spesso si può leggere in differenti edizioni. Dot sta per punto, e questo termine trova la sua ragion d’essere nel testo. Ce lo dice John, riferendosi a Mary come a un “punto e a capo”, guardando il loro figliolo. Io sono affezionata all’espressione inglese, ma è una mia personale preferenza.

La scrittura di Dickens dirige prossemica, cinetica e ogni significato come un regista preciso, all’avanguardia. Si prendono pochi personaggi, un tema vecchio come il mondo, persone non belle e non speciali: l’insieme è una sinfonia che si eleva forte e chiara grazie a un’orchestrazione di sentimenti e cose piccole piccole che creano un’epica rappresentazione della vita.

 La morale? Potete respirarla dal primo scalpiccio degli zoccoletti di Mary.

Piccina si guadagna una di quelle appassionate descrizioni minuziose che l’autore spesso dedica alle rotonde donne che abitano i suoi racconti. Descrizioni assolutamente lusinghiere.

Dalla novella si esce con un sospiro di sollievo, e con la voglia di mettere su il tea e godersi in silenzio il beneficio di avere una famiglia, o anche solo una mente capace di creare castelli da una baracca.

Alla fine del volume potete ammirare le riproduzioni di due antiche illustrazioni: sono stata stupita di vedere come ricalcassero ciò che avevo immaginato; per scorgerle dovrete decidere di leggere questa piccola edizione, che dietro ha un lavoro lungo e meticoloso.

 

 



[1] Gruff significa “burbero”