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venerdì 17 luglio 2020

ERNEST HEMINGWAY

IL VECCHIO E IL MARE

Ph. Francesca Lucidi

HEMINGWAY, IL “PAPA”

Cenni biografici

Ernest Hemingway fu un uomo solido, coraggioso… la personificazione del mito dell’Americano forte e indistruttibile. Come tutti i miti, purtroppo, vengono chiamati in causa il “cammino”, la tragedia e i simboli. Hemingway era come un iceberg, e questa similitudine ha le sue ragioni, che vedremo con calma.

La sua fu una vita avventurosa, che fatichiamo a immaginare intorno a un solo uomo.

Entriamo nel dettaglio, che ne dite?

Beh, lui ebbe ben quattro mogli; è stato padre e combattente. Ha attraversato due Guerre Mondiali, dittature. Hemingway ha percorso  continenti e visto i leoni; è sopravvissuto a incidenti potenzialmente mortali, ha tirato di boxe e ha ottenuto le sue belle soddisfazioni. Tutto questo è stato facile? Le vincite facili sono anch’esse un mito.

Dal fuoco delle bombe, lo scrittore è arrivato alla Guerra Fredda… anzi, a due Guerre Fredde: una storica e una personale.

Ernest Hemingway nasce ad Oak Park, negli USA, nel 1899. Suo padre era medico e proprio insieme al suo papà Hemingway ha conosciuto e vissuto la natura dei Grandi Laghi: la pesca, la caccia e la vicinanza con gli Indiani d’America. Ernest non va all’università: dopo i nostri “studi superiori” inizia subito a scrivere e a lavorare come cronista per il Kansas City Star.

Nel 1917 gli Usa entrano in guerra. Ernest non viene arruolato per un difetto all’occhio sinistro, però il Nostro non si arrende e riesce a partecipare al conflitto come autista volontario nella Croce Rossa. Viene mandato in Italia sul fronte del Piave e viene ferito; ricoverato a Milano vi resta diverso tempo.

Torna in patria come un eroe. Inizia a impegnarsi nella scrittura di racconti ma la madre vede questa attività come una perdita di tempo. Ernest si trasferisce a Chicago e inizia a lavorare per il Toronto Star e lo Star Weekly.

La sua lunga sfilza di matrimoni inizia con una donna più grande di lui di sei anni: Elizabeth Hadley Richardson. La donna gode di una cospicua rendita e i due progettano di andare in Italia. In realtà, la meta diventa Parigi, dove lo scrittore conosce importanti personaggi della Lost Generation[1] come Ezra Pound e Scott Fitzgerald.

Poi, lo scrittore scopre la Spagna e durante il suo soggiorno entra in contatto con le tradizioni locali come la corrida. Tra il 1923 e il 1926 vengono pubblicati Tre racconti e dieci poesie, Torrenti di Primavera e Fiesta. Arriva il primo divorzio ed Hemingway scrive contestualmente Uomini senza donne.

Sposa Pouline Pfeiffer, nasce un altro figlio. La famiglia si trasferisce in Florida e lo scrittore termina Addio alle armi.

I viaggi si fanno sempre più intensi e tra le varie mete spicca l’Africa. Ernest e Pouline si godono anche un lungo Safari; lo scrittore, durante il viaggio, viene però colto da una grave dissenteria che gli provoca il prolasso dell’intestino. Questo problema di salute è solamente uno tra i tanti che tra le mille avventure incontreranno il volitivo Hemingway. È da ricordare un bizzarro infortunio causato da un sacco da boxe.

La personalità e la fisicità dello scrittore sono ormai leggendarie; gli amici finiscono per soprannominarlo “IL PAPA”.

Il rapporto di Ernest con la Guerra e le battaglie di mezzo mondo resta il più duraturo nella vita dello scrittore. Scoppia la guerra civile in Spagna, e nel 1937 Hemingway abbraccia questa nuova avventura portando avanti con passione e cieca abnegazione il suo lavoro di corrispondente.

Durante l’attività sul fronte spagnolo incontra la scrittrice e giornalista Martha Gellhorn, conosciuta, però, un anno prima negli Stati Uniti… a Key West, dove lo scrittore aveva vissuto una tranquilla parentesi familiare con Pouline e i figli.

Nel 1939 Ernest si trasferisce a Cuba; lì si gode la sua leggendaria barca: Pilar, acquistata qualche anno prima tra i suoi viaggi e i suoi altri soggiorni a Cuba.

Questo periodo è però segnato dalla rottura del suo secondo matrimonio e dal consolidamento del rapporto sentimentale con Martha.

Nel 1940, lo scrittore pubblica Per chi suona la campana. Il romanzo trae ispirazione dalle vicende della Guerra Civile Spagnola. La Gellhorn ha spinto molto per la redazione di quest’opera. Per chi suona la campana sfiora il Premio Pulitzer. Martha ed Ernest si sposano.

Hemingway non resta mai fermo da qualche parte, e anche i suoi manoscritti viaggiano insieme a lui: Per chi suona la campana viene scritto tra Cuba, la residenza estiva in Idaho, e il Wyoming.

Nel 1941 Martha viene mandata in Cina, per il suo lavoro da giornalista. Hemingway la raggiunge ma non prova la stessa attrazione avvertita per altri luoghi e i due tornano presto a Cuba, prima della dichiarazione di guerra degli Stati Uniti. Lo scrittore salpa con la sua leggendaria Pilar e inizia a pattugliare le acque cubane alla ricerca di sottomarini tedeschi. Hemingway è così convinto della sua missione che ha equipaggiato la sua barca con bombe e mitragliatori. Il governo cubano è a conoscenza dell’attività dello scrittore che, infatti, prosegue nella caccia agli U-Boats tedeschi proprio dietro approvazione governativa (il piano viene presentato a Washington dall'ambasciatore americano a Cuba). Quest’atto porta lo scrittore sotto il mirino dell’FBI che, da quel momento, lo sorveglierà per tutta la vita…

Hemingway viene mandato in Europa come corrispondente di guerra nel secondo conflitto mondiale. A Londra conosce Mary Welsh, di cui si infatua immediatamente mentre il rapporto con Pouline è al capolinea.

Il 6 giugno del 1944 partecipa allo sbarco in Normandia. Come semplice testimone dei fatti lo scrittore non dovrebbe intervenire direttamente… ma Hemingway non è abituato a starsene con le mani in mano, a scrivere solamente. Il “Papa” arriva persino a guidare una milizia poco fuori Parigi, e la cosa non passa inosservata. Il coraggioso Ernest viene accusato formalmente…  nonostante questo, però, riceve la medaglia di bronzo per il coraggio dimostrato durante la Seconda Guerra Mondiale, ma solo nel 1947.

La salute dello scrittore diventa sempre più precaria e il suo rapporto con la scrittura diventa piuttosto complicato. Ciò che ancora non scema è la sua irrequietezza, la sua eterna ricerca. I viaggi continuano ed Hemingway viene richiamato dal fascino europeo; in realtà, ciò nel senso più stretto del termine dato che a Venezia si infatua, addirittura, di una diciannovenne.

Tornato negli Stati Uniti, termina le bozze de Il vecchio e il mare in poche settimane. Il romanzo, che lo scrittore aveva intrapreso con l’intento di creare la sua opera migliore, viene pubblicato nel 1952. La breve storia di Hemingway vende milioni di copie in due giorni… e questa volta sì, vince il premio Pulitzer.

Saremmo tentati di pensare che a quel punto lo scrittore si sarebbe potuto sentire “a posto”, con la fortuna e con la sua coscienza di scrittore. In realtà no. Hemingway decide di tornare in Africa.

Durante il soggiorno nel continente africano, lo scrittore viene coinvolto in ben due incidenti aerei e viene dato per morto. La vita di Ernest, invece, vince ancora la fortuna. Hemingway riporta gravi ferite e ulteriori traumi… che vanno ad aggiungersi a quelli regalati da tutti i precedenti scontri con la morte.

Nel 1954 viene insignito del Premio Nobel. Lo scrittore accetta il premio in denaro ma non si reca a Stoccolma per la premiazione: la sua salute inizia a piegarsi sotto i colpi di quella fortuna che sembra aver sempre battuto.

A Cuba, il rifugio preferito di Hemingway inizia ad essere in pericolo. Castro è intenzionato a nazionalizzare le proprietà degli americani, lo scrittore e la moglie lasciano così Cuba per l’ultima volta, nel 1960. Beni e manoscritti vengono messi al sicuro in una banca dell’Avana. In realtà le proprietà di Hemingway verranno espropriate dopo gli eventi della Baia dei Porci; la moglie dello scrittore chiederà aiuto al presidente Kennedy che riuscirà a intervenire con successo: ciò che verrà recuperato sarà donato dalla vedova al Museo Presidenziale. In verità, Castro non ha ceduto senza nulla in cambio: durante l’incontro con la vedova, organizzato grazie all’impegno del Presidente, si riuscirà a riavere documenti e manoscritti solo dopo la donazione da parte della vedova della tanto amata residenza cubana di Hemingway.

Lo scrittore continua a rimaneggiare manoscritti ma inizia ad avvertire difficoltà nell’organizzare le stesure. Va in Spagna e viene fotografato dalla rivista Life… ma non il suo stato di salute appare sempre più provato, a tutti.

Il vigoroso corpo di Hemingway e la sua mente lucidissima iniziano ad abbandonarlo ed egli si presenta sempre più sofferente e preoccupato.

Lo scrittore viene ricoverato alla Mayo Clinic nel Minnesota, sotto falso nome; l’FBI, però, che lo tiene nel mirino dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, viene subito a conoscenza della difficile situazione di Ernest Hemingway.

Dopo le dimissioni, e il ritorno nell’Idaho, non vi è alcuna evidente ripresa. Lo scrittore viene trovato con in mano il suo fucile… e viene ricoverato per una seconda volta. Al quadro clinico difficile di Hemingway si era aggiunto un problema alla vista, che lo affliggeva particolarmente  perché gli toglieva la possibilità di continuare la sua più grande partita con la fortuna e con se stesso: la scrittura.

Alla fine, Hemingway si spara nella sua casa di Ketchum, in Idaho. È il 2 luglio del 1961.

Anche suo padre, anni prima, aveva deciso di suicidarsi per sfuggire a un male incurabile; in realtà si è molto ipotizzato su problemi di salute ereditari al sangue, che potrebbero aver minato la salute fisica e mentale di molti membri della famiglia Hemingway. Si è addotto anche ai numerosi traumi cranici che avrebbero potuto portare a un deterioramento della mente dello scrittore. Alla fine, si cerca sempre di spiegare ciò che è terribilmente doloroso, si cerca di sopravvivere ponendo spesso domande che non hanno risposta. Negli anni successivi alla morte dello scrittore, si suicidano anche la sorella Ursula e il fratello Leicester.

Quando lo scrittore riceve il Nobel, anche se non si reca a Stoccolma, manda un discorso da leggere pubblicamente. Nel discorso spiccano parole dure, chiare e che esplodono di significati forti… come tutta la scrittura di Hemingway:

“SCRIVERE, NELLA MIGLIORE DELLE IPOTESI, È UNA VITA SOLITARIA.”

 

IL PRINCIPIO DELL’ICEBERG, e dopo mezzogiorno a nuotare…

Per comprendere la scrittura di Hemingway basta aprire a caso uno dei suoi romanzi: se leggiamo poche righe sembra di trovarsi dinanzi a un articolo di giornale. Non è da dimenticare che Hemingway fu un corrispondete di guerra: uno abituato a vedere gli orrori peggiori senza far “poesia”. Il sentimento dello scrittore non traspare, almeno non nell’immediato. Tutto è diretto, riferito, oggettivo.

In verità, nel complesso tutto ciò che viene descritto e riportato ha echi, significati nascosti che non vengono resi attraverso termini difficili o voli pindarici: l’oggetto più semplice, il pesce più piccolo e l’uccellino più insignificante diventano la personificazione di un concetto, di un sentimento personale del personaggio, del romanzo o dell’uomo in generale.

Nel maggio del 1954, Ernest Hemingway risponde alle domande di George Plimpton, durante un’intervista rilasciata a Madrid. In quella chiacchierata emerge il “principio dell’Iceberg”: sostanzialmente i sette ottavi di uno scritto sono sommersi… lo scrittore conosce tutto ma ne mette la maggior parte sott’acqua.

In fine, ciò che appare oggettivo e striminzito è una totalità che parla attraverso frasi corte, facili. Essere facili è estremamente difficile… così dice Carver (e non lo cito testualmente), e ciò ci mostra Hemingway.

L’idea romantica che abbiamo sulla scrittura spesso è un costrutto di fascinazione e poca conoscenza. Sì, è vero che gli scrittori sono gente strana… ma dietro vi è conoscenza, metodo e vita. L’abnegazione è indubbia quando si parla di grandissime penne come Hemingway, che presumibilmente ha scelto di uccidersi pur di non vedersi impossibilitato a scrivere. Ma ciò che si scrive viene solo dalla mente? Perché quando affronto un autore per la prima volta mi piace dilungarmi proponendo dei cenni biografici? È davvero evidente che la vita è il grembo da cui gli artisti portano alla luce storie, sentimenti e convinzioni… filosofie. Unisci la vita all’abilità e alla pratica costante e, se la fortuna ci mette del suo, ecco che può venir fuori il capolavoro.

Hemingway è riuscito a partecipare a due Guerre Mondiali, a sposarsi quattro volte, a girare mezzo mondo e ad esser mezzo morto per decine di volte… e a scrivere grandi capolavori vincendo il Nobel. Davanti a questi esempi è difficile non sentirsi abbastanza inetti. Ma, in realtà, dovremmo pensare che partire da esempi e dimenticarsi di vivere la propria vita per prendersi le proprie verità è una follia; questo ce lo dimostra lo stesso Hemingway, e basta guardare al modo in cui egli si rapportava alla scrittura. Lui scriveva al mattino, in piedi, e appuntava un numero di battute che doveva raggiungere su una tabella. A mezzogiorno chiudeva tutto e andava a farsi un bagno in piscina. Ecco tutto. L’emulazione è un brutto tarlo, ma sicuramente possiamo trarre ispirazione dalle vite dei grandi artist. Ricordiamoci innanzitutto di vivere E DI NON SCONTRARCI CONTRO QUALCHE ICEBERG: è meglio pensare alla profondità prima di fermarsi sulla pericolosa apparenza.

 

IL VECCHIO E IL MARE: accenni di trama, lo stile e il gioco del “trova i temi”

Santiago è il protagonista di questo romanzo, anzi, è uno dei protagonisti; e Santiago non è solo ciò che sembra. Questo personaggio è vecchio e la sua anzianità va oltre il conto degli anni e si misura tramite i giorni e le notti in mare… e tutte le sfide che ha dovuto affrontare tra il sole cocente, l’uccisione di innumerevoli esseri marini… e gli ancor più innumerevoli addii; siano essi alla moglie defunta, alla “fortuna” o ai tanti luoghi attraversati su un’imbarcazione. La storia è ambientata a Cuba, nelle acque del Golfo e sotto le luci delle stelle e dell’Avana.

Sono ottantaquattro giorni che Santiago non pesca nulla. La descrizione del suo aspetto fisico sembra sottolineare quella vecchiaia non solo anagrafica che lo affligge. Santiago ha la parte posteriore del collo solcata da rughe profonde, il viso è segnato dai tumori della pelle e dalla vita in barca fatta di sole cocente, di freddo vento notturno e di fatica inimmaginabile, per noi. Il vecchio è un solitario e vive in una capanna umile e spoglia, senza nulla di confortevole. A prendersi cura di lui solo un ragazzo di nome Manolin.

Manolin ha iniziato ad andare in mare da bimbo, e proprio con Santiago. Da qualche tempo, però, Manolin è andato a pescare su un’altra barca per volontà dei genitori… perché il vecchio è, oramai, salao: è sotto i colpi della più terribile sfortuna. Il ragazzo ha dovuto seguire gli ordini del padre, e va a prendere pesci su una barca che non è quella di Santiago con la vela consunta e rattoppata con dei vecchi sacchi di farina. Manolin, però, non abbandona il vecchio e si prende cura di lui come farebbe il figlio più amorevole. Il ragazzo fa finta di credere alle stringate frasi di rassicurazione di Santiago… che si alternano a bugie buone e alle informazioni su pasti mai consumati. Manolin, grazie alla solidarietà di quel posto di pescatori, riesce sempre a procurare del cibo caldo al vecchio. I due mangiano insieme e parlano del Baseball. La realtà umile e “fuori dal tempo” di quel porto cubano entra in contrasto con il sogno americano che ha il volto del grande Di Maggio, il giocatore di Baseball che Santiago ammira tanto… anche perché il padre del grande Di Maggio era pescatore, e forse quell’idolo mondiale potrebbe capire… forse.

Santiago ogni mattina va a svegliare il ragazzo e i due fanno parte l’uno della quotidianità dell’altro. Il vecchio è solo, ma non troppo: ha Manolin, e ha il mare. L’acqua è la vera casa di Santiago, e lì entra in contatto con i suoi fratelli che sono i pesci, anzi tutte le creature dell’acqua e del cielo.

Un giorno, il vecchio parte con la convinzione che quella giornata di pesca sarebbe stata diversa. Manolin lo accompagna all’imbarcazione, gli procura la colazione e insiste per aiutarlo con i pesci che serviranno da esca. Santiago parte… e va molto al largo. La decisione di spingersi verso un certo punto, così lontano, sarà ciò che porterà vittoria e rovina.

Oramai tutti sappiamo che Santiago avrà a che fare con un Marlin, un pesce enorme. Non tutti, ma la maggior parte di voi, probabilmente, saprà se Santiago prenderà il pesce o no. La pesca di quell’enorme e “nobile” creatura si estende per giorni, ma occupa la prima parte del romanzo e potremmo venir disorientati pensando che la questione si potrebbe considerare risolta. La fortuna, però, ha il suo bel da fare… anche se uno è “a posto”: Santiago crede di essere perfettamente pronto a tutto, perché è convinto che la fortuna può arrivare in ogni momento, anche se non si sa quando, e un uomo devi farsi trovare “a posto”. Santiago si renderà presto conto delle cose che non aveva considerato prima della partenza: molte cose non sono affatto pronte, tante eventualità vengono dimenticate… perché ottantaquattro giorni di inattività annebbiano la mente più della fatica.

Ciò che colpisce durante la lettura è che sembra di leggere una cronaca. Tutto viene riportato in maniera pulita e oggettiva. Gli eventi sono raccontati tra i pensieri della gente di quel luogo che vive grazie al mare, riferiti senza alcun commento e fortificati dall’uso di termini nella lingua madre di Santiago. Lo stile è maschile e vigoroso: non si perde in chiacchiere e in metafore pindariche… anche se tutto è in realtà allegorico. Mentre il mare ci culla tra la corrente e i pesci che tirano le lenze, possiamo godere della dolcezza dello sguardo che Santiago riserva a tutte le creature. I poli della compassione e della necessità si mettono su un tavolaccio umido e consunto dal sale e giocano a braccio di ferro. Anche Santiago era stato, un tempo, un campione di braccio di ferro… Santiago, tanti anni prima, era stato EL CAMPEON.

Il vecchio è un pescatore e la gente tra le capanne si nutre grazie ai pescatori. Chi non è pescatore si nutre comunque del lavoro di mani callose e braccia corrose dal sole. Pescare e uccidere è una necessità imprescindibile. Anche gli animali uccidono: ognuno ha il suo ruolo e lo persegue senza remore. Santiago fa ciò che deve fare ma non manca di addolorarsi della sorte degli uccelli più indifesi del cielo, e di provare pena nel ricordare quando, con Manolin, catturò un grande Marlin femmina mentre il maschio non la lasciò per tutto il tempo… alla fine i due pescatori si affrettarono a uccidere il grande pesce a bastonate, per compassione, senza esitare. A volte l’esitazione è un prolungamento della pena. Al lettore tutto potrebbe apparire estremamente crudele, a partire dal racconto di come i pescatori amano accanirsi sulle tartarughe solo perché il cuore di quella specie continua a battere per lungo tempo dopo la morte. Santiago, però, è diverso: pensa alle tartarughe constatando quanto quei cuori e persino quelle zampe siano quelle di una creatura affine. Per Santiago i pesci che uccide e gli uccelli che vede assassinati da uccelli più grandi sono FRATELLI. Anche il grande Marlin che abbocca al suo amo così “a posto” è suo fratello. Il lirismo di questo romanzo si mostra tra i pensieri e il parlar da solo di Santiago. Si sa che i pescatori non amano parlare; ma da quando il ragazzo ha abbandonato il vecchio quest’ultimo ha iniziato a parlar da solo a voce alta. Santiago si rivolge a ogni creatura, da quelle bellissime e fragili che gli nuotano o volano intorno, fino a quelle che uccide e di cui si ciba non per gola ma per rendersi forte. La transustanziazione del mare, attraverso la materialità di prede svariate, e soprattutto di una che Santiago si pente di aver acciuffato dopo essersi rotto la schiena e le mani. Il vecchio si ciba dei fratelli che vivono nel mare, e quei pasti ci appaiono qualcosa di più di una semplice sussistenza, anche se così ci vengono raccontati.

 Santiago non manca di dialogare con se stesso, con Dio, o forse con l’idea che si ha di Dio… e con la sua mano sinistra. Tutto il corpo del vecchio si piegherà alla più grande battuta di pesca della sua vita. La mano sinistra è afflitta da continui crampi, la sola cura che conosce Santiago è fatta di dialoghi alla stessa mano, di acqua di mare e del calore del sole.

Non possiamo non tifare per il vecchio, ma da un lato tifiamo anche per il suo avversario… e anche Santiago fa il suo dovere addolorandosi di quello che c’è da fare. In lui c’è sensibilità, c’è cuore; lui è però un pescatore e i pescatori sono nati per prendere pesci, come Di Maggio è nato per il Baseball e il padre di Di Maggio era nato per essere anch’egli un pescatore, come il vecchio.

In questo romanzo uno dei tanti protagonisti è l’onore, anche se Santiago riflette più volte sul fatto che l’uomo è più forte perché inganna.

Per tutto il romanzo abbiamo a che fare, praticamente, con un solo uomo… così sembra: ci sono anche la Fortuna, l’onore, le necessità; i pesci volanti, i delfini e i dentusi; i sogni di Santiago che vede i leoni che una volta scorse su una spiaggia, in Africa. Ci sono anche tutti gli elementi naturali: il vento, la luna e le stelle. Santiago si rallegra che l’uomo non debba uccidere le stelle; quell’uomo che può morire ma non essere battuto. Santiago sarà un vincitore o un perdente? Ho paura che la risposta non ci sia o che ognuno di voi ne possa avere una, diversa da quella degli altri fratelli lettori.

L’osservatore che sembra non smettere mai di fissare silenziosamente la vicenda è l’oceano.

Santiago si rivolge alle acque marine chiamandole al femminile, apostrofandole con l’espressione la mar. Tutti quelli che amano il mare gli parlano come a una donna… anche perché il mare va dietro alla luna, come le femmine dell’uomo. I giovani pescatori usano l’espressione el mar, al maschile, come rivolgendosi a un avversario da battere a pugni.

Santiago combatterà duramente con diversi avversari, in quei tre giorni solitari al largo. Il suo sfidante principale è un fratello, è messo al maschile ma la lotta non è fatta solo di violenza e sofferenza ma anche di amore, un amore che non è romantico e non è poetico. Pensando alle lunghe giornate di guerra vissute da Hemingway non si può cogliere l’evocazione di valori militari e di drammi e necessità che solo la guerra può portare. Nel combattimento ci sono ruoli e cose da fare, simile contro simile: c’è chi è spietato e sadico e chi fa il dovere che è chiamato a compiere sapendo anche piangere per il fratello nemico.

In questo breve romanzo, fatto di oggettività e pochi fronzoli, dobbiamo stare attenti a guardare sotto la superficie dell’acqua; o possiamo pregare che ciò che si nasconde sotto il velo possa saltare fuori e farsi vedere, finalmente. Quest’ultima riflessione la capirete leggendo il romanzo.

Siate pronti a soffrire e sentire la fame e la sete. Cercate di non farvi distrarre dalla stanchezza perché la fortuna non smette mai il suo gioco. Possiamo però sperare che ciò che salva l’uomo, anche se l’uomo uccide, è la solidarietà che può giocarsela molto bene con gli inganni della fortuna… che credo sappia barare molto meglio degli uomini.

 

LA VERSIONE GRAFICA DELLA NICOLA PESCE EDIZIONI

Questo fumetto è stato per me un colpo di coraggio. Non sapevo se sarei riuscita a formulare un’opinione dato che non sono un’esperta del genere e amo molto il romanzo Il vecchio e il mare.

Iniziamo dal fatto che la lettura della breve introduzione mi ha rassicurata e mi sono sentita “sorella” di questo progetto editoriale. Lo sceneggiatore Andrea Laprovitera parla della nascita dell’idea, partendo subito da un concetto che può riassumere il romanzo e anche lo stesso Hemingway, se si mette da parte il tragico suicidio e le sue sfumate motivazioni. Laprovitera parte analizzando cos’è la RESILIENZA:

“Resilienza: capacità di un sistema di adattarsi al cambiamento. In psicologia si intende la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di restare sensibile a quello che il mondo o la vita può (ancora) offrire.

Chissà se Hemingway voleva parlare di questo (o anche di questo) quando nel 1952 ha scritto Il vecchio e il mare.”

Il concetto di “resilienza” è sicuramente divenuto famoso specialmente negli ultimi anni, tra tatuaggi e aforismi infestanti. Chissà se dieci anni fa si pensava alla “resilienza” quando si leggeva questo romanzo. Io, sinceramente, non ci ho pensato.

Continuando a godermi l’introduzione ho avuto l’impressione di parlare con un amico; anche perché la sera prima avevo detto delle cose molto simili parlando, in casa, del romanzo appena riletto.

Lettori, lo dice Laprovitera, e io lo confermo: IL VECCHIO E IL MARE, una volta letto, si rileggerà più volte… e in diversi momenti della vita.

Concordo anche sull’efficacia del lavoro del disegnatore, Ludovico Lo Cascio, evidenziata dallo sceneggiatore. Io non sono un’esperta ma sono una lettrice… e a me le “nicchie” non piacciono, perché i prodotti di nicchia spesso sono tali per l’atteggiamento snob non di chi ama determinati prodotti ma di chi non tenta nemmeno di approcciarsi a qualcosa di “diverso” dall’edizione canonica e confortante, da leggere composti sulla propria poltrona.

Lo stile del disegno è rispettoso: il creatore della parte grafica si è messo al servizio della storia senza mettere in mezzo la questione del “IO HO IL MIO STILE”. Il fumetto è interamente in bianco e nero, anche se la copertina è meravigliosamente viva e colorata. Lo stile di Hemingway e il romanzo sono fatti di azioni, dialoghi e silenzi: il fumetto è fatto di Santiago che pesca, che parla e che lotta. Se non ci sono le parole c’è il mare e c’è il volto segnato del vecchio. Come ho già detto, questa storia può avere diverse interpretazioni e quella di questo fumetto è una delle possibili. Per trasformare un romanzo in una sceneggiatura bisogna fare scelte coraggiose. Gli incontri di Santiago vengono ridotti all’osso, e forse io avrei scelto di inserirne altri; però, il modo in cui viene resa la gestualità e viene onorato l’AVVERSARIO principale è meraviglioso. 

 Questo fumetto è come Hemingway: non si perde in orpelli e ci mette davanti la realtà nuda e cruda, non mancando di mostrare simboli che spiazzano (ma non voglio svelarvi troppo).

L’editoria dovrebbe essere una custode della letteratura; reinterpretare un grande classico è un modo per fare quello che si deve fare… ma senza dimenticare l’emozione, la commozione, e una giusta attrezzatura. Alla fine, questo è lo “Stile Santiago”.

Consiglio di leggere integralmente il romanzo e di provare, in seguito, con questa versione grafica. Avrei voluto che si inserisse la parte sulla dicotomia tra el mar e la mar; beh, però ho potuto vedere con occhi fisici e non solo mentali una delle battute di pesca più leggendarie della storia della letteratura, e forse della storia dell’uomo… di che mi voglio lamentare!

 Buona lettura...

 

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[1] Espressione resa famosa dallo stesso Hemingway che la utilizza per indicare gli scrittori che hanno raggiunto la maggiore età durane la Prima Guerra Mondiale.