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martedì 24 gennaio 2023

GLI OCCHI DELL'ETERNO FRATELLO

 di 
STEFAN ZWEIG

  • Anno di Pubblicazione 2013 (1°1922)
  •  Prima edizione digitale 2014
  • Editrice Adelphi
  • Lunghezza stampa 73 pagine
  • Prezzo formato cartaceo in copertina flessibile 6,65€
  • LINK ALL'ACQUISTO QUI

Stefan Zweig, Gli occhi dell'eterno fratello

Ph Francesca Lucidi

DALLA DESCRIZIONE EDITORIALE

«Una riflessione sulla Giustizia e sulla sua impossibilità in una narrazione dal respiro ampio, in cui palpitano il divino e una natura incantata. Un libro amato da Hermann Hesse, che vedeva nella "leggenda indiana" dell'amico Zweig un'opera in sintonia con il suo "Siddhartha".»

L’AUTORE

Per la biografia di Stefan Zweig si rimanda a un precedente post: CLICCA QUI per leggerla.

 

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Temi, valori, riflessioni (che spesso confondono i saggi)

Non se eviti qualsiasi azione

Sarai davvero libero dall’agire,

mai potrai essere libero dall’agire

neppure per un solo istante.

(Bhagavadgita, Canto terzo)

La Bhagavadgītā (Canto del Beato) è un poema filosofico e religioso, contenuto all’interno dell’immenso poema epico Mahābhārata. È il testo sacro più noto e permeante per milioni di Indiani: nei suoi settecento versi, è raccontato il dialogo tra Viṣṇu e l’eroe panduide Arjuna, il quale è sgomento davanti alla responsabilità della guerra, del combattere fratello contro fratello.

Zweig racconta la sua leggenda indiana in contemporanea con l’uscita di Siddharta: la fascinazione della ricerca mistica, in contesto buddhista, è il pretesto per portare il lettore in un tempo lontano dove si sospende la vita conosciuta per considerare l’inconsiderabile, per approcciarsi all’eventualità che le risposte alla vita giacciano più vicine di quanto si sia mai percepito (o forse no?). Lo stesso Hesse, con il quale Zweig aveva intrapreso un profondo legame epistolare nel suo periodo svizzero, aveva definito questa opera dell’autore come in linea con Siddharta. È da dire, però, che nel caso di Gli occhi dell’eterno fratello non si sfiori una conciliazione; e che quelle risposte si mostrino con dolore, tra settanta frustate, tra morti innocenti, per poi sedere tra i cani ed essere dimenticate. È quindi chiaro che Zweig porti il lettore, ancora una volta, ad annullarsi e commuoversi nella catarsi, attraverso le azioni di uomini che dal clamore a un’umile capanna gridano giustizia verso il cielo e verso il proprio simile: una giustizia che è serpente che sfugge tra gli ambienti sfarzosi e poi angusti e putrescenti della storia di Virata.

Numerologia, reiterati passaggi, scandite evocazioni mistiche alla corte dei Birwagha. Lì dove un Re deve la sua salvezza a Virata, colui che nella sua vita assumerà i Quattro nomi della Virtù, per poi scomparire dai racconti e dagli scritti. Egli vive prima del Buddha, e sulla sua vita ci si interroga ossessivamente, insieme a lui, cercando di afferrarla quell’esistenza. Quale il senso delle azioni, quali le responsabilità? Virata salva il Re, ma uccide nella furia il suo fratello maggiore: è così chiamato “Lampo della spada”, ma quella spada la getta nel fiume e rifiuta di uccidere perché chiunque uccide un uomo uccide suo fratello. E proprio gli occhi della sua colpa lo seguono in ogni cosa che vede, restituendogli il riflesso di un pensiero così pesante da ancorare Virata alla terra; mentre cerca disperatamente di sfuggire ai ritorni in altre vite, di non vedere più quegli occhi morti che sono sulla faccia di chiunque, si fa così giudice e “Fonte della giustizia”. Ma non basta pensare di essere dalla parte dei giusti, o che le vasche che accolgono il sangue dei condannati siano divenute bianche: Virata incontra ancora quegli occhi. Quando vede un condannato alle prigioni implorare la morte… sputare sulla grazia, Virata comprende che ha rivisto quegli occhi perché ha agito secondo le parole altrui.

 La punibilità, la giustizia, la negazione della libertà… con quale diritto? Virata segue una sua evoluzione o solo una fuga dalla “sua” coscienza? Noi con esso ci troviamo destrutturati, e siamo fortunati a subire ciò. Virata sceglierà di andare nelle profondità della terra, scambierà la sua identità: si annullerà.

Nell’annullamento scompare la volontà, che è caos: dove c’è la volontà di vivere vi è paura, ed è su questo che si basa la consistenza del tempo. La brama della vita, il pungolo che spinge avanti la carovana degli esistenti con i loro carri carichi di ori, ricchezze, convinzioni, miserie.

Virata trasmuta in “Campo del Consiglio”, e le lodi alla libertà rilucono sulle sue labbra. Mentre è seduto però su una stuoia che è frutto del lavoro di uno schiavo: è questo che i suoi figli adirati gli ricordano. La giustizia è la pretesa del potere, e dove c’è potere c’è possesso: dove c’è possesso vi è legame con la vita degli altri uomini, se ne dispone. Fuggire, uscire dalla vita degli uomini e trovare nella foresta l’assenza del possesso, della violenza, della colpa. Ma anche gli animali sono violenti, e a Virata basta guardare fuori dalla sua misera capanna per vedere ovunque i semi della malvagità farsi germorgli. Egli è Stella della solitudine, Virata si fa contemplazione, libera dall’agire e dalle sue conseguenze.

Ad ogni passaggio, da sette anni in sette anni, pensiamo con Virata di essere mondi… ormai.

Poi altri uomini fanno lo stesso, e fluiscono fuori dal mondo per andare nella foresta. Una donna fuori da una capanna guarda con odio, con gli occhi morti dell’Eterno fratello: reiterati segnali, di come tutti si viva comunque negli altri, essendo tutti in quegli occhi morti.

Ma Dio? Se i testi sacri non parlano di diseguaglianze, ma non mancano di segnare le caste, Il Dio dalle mille forme sì, è lui ad avere il controllo dell’inizio e della fine delle cose. E se nel mezzo ci si è macchiati di una colpa, è poi alla divinità che deve tornare quel fardello: Virata sa come fare, ne è sereno…

Zweig mostra una storia di formazione che passa per il disfacimento, e si annuncia subito nel vessillo sepolto della memoria, così come è caro all’autore.

Un libro che non poteva avere una pagina in più, altrimenti altri anni si sarebbero susseguiti. Il senso pare lì, sempre su una mano tesa. Poi su quel dono improvviso due occhi gettano un’ombra: l’estinzione, il Nirvana, trascendono il “non atto” perché è attraverso i crediti degli atti compiuti che si torna alla matrice delle mille forme, probabilmente.

La storia di Virata non smette di interrogare il lettore, la società: il nostro piede è legato alla terra, e finché si è lì non si può dare nutrimento solo alla propria vita, pena la condanna a morte per fame degli altri viventi.

 CITAZIONE SCELTA PER VOI

“C’è sempre più conoscenza della verità nel dolore che nell’imperturbabilità di tutti i saggi.”

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