CHI È BANANA YOSHIMOTO
Mahoko Yoshimoto nasce a Tokyo il 24 luglio del 1964. Suo padre, Takaaki Yoshimoto (noto con il nome Ryumei Yoshimoto), fu un importante critico e filosofo nipponico. La sorella di Mahoko è Haruno Yoiko, una famosa disegnatrice di manga.
Lo pseudonimo Banana viene alla mente della
scrittrice durante l’università: “carino”, “androgino”… nomignolo assai adatto
a una scrittrice delicata ma forte, buffa ma attenta e abile a diventare la
voce di uomini e donne. Uno pseudonimo volutamente androgino è assolutamente perfetto
per chi racconta le storie di tutti. E lo sa fare molto bene.
Banana studia arte all’Università di Nihon, e si
specializza in letteratura.
Nel 1987 Inizia a lavorare per un golf club; intanto scrive,
e dà alla luce il suo primo libro, Kitchen, l’anno successivo. Il
libro riscuote grande successo e diventa anche materiale per piccolo e grande
schermo, prima in Giappone e poi ad Hong Kong.
La produzione della scrittrice è viva e ricca. Banana
si dedica ogni sera alla scrittura e vive questa sua professione con la naturalezza
inquieta tipica dell’animo contemporaneo giapponese.
Si sposa con il musicista Hiroyoshi Tahata. Nel 2003 dà alla luce suo figlio Manachinko.
Banana conosce bene l’Italia, ammira profondamente
Dario Argento… e nei suoi romanzi si rivolge amorevolmente al Bel Paese nei
piccoli spazi di conversazione dei POSTSCRIPTUM.
L’Italia viene definita come un luogo di bellezza, e
fa strano leggere tanti ringraziamenti sinceri da parte di una scrittrice così
famosa, e “lontana”. Banana è così: al livello di tutti, perché tutti siamo
interdipendenti (sono parole sue, ed io concordo).
Una scrittrice riservata, essenziale e originale… bizzarra,
coraggiosa, consapevole. Banana è una medicina per l’anima perché non fa finta
che va tutto bene: con lei si guarda in faccia all’inferno… sapendo che dall’altra
parte esiste un paradiso. Ci si tiene in equilibrio, imparando a camminare
anche su terreni accidentati, con un peso sulle spalle.
Banana racconta Tokyo, ma anche la vita e la
quotidianità che in tutti i posti del mondo si manifestano in esperienze
contrastanti: gioie e dolori, separazioni e unioni profonde, cadute ripide e
rinascite.
LUCERTOLA
INTRODUZIONE: CONTESTO, STILE E ANALISI
Uscito nel 1993 e pubblicato in Italia da Feltrinelli
nel 1995, Lucertola è una raccolta contenente sei racconti: GIOVANI
SPOSI, LUCERTOLA (da cui prende nome l’intero libro), SPIRALE, SOGNO CON
KIMCHEE, SANGUE E ACQUA, STRANA STORIA SULLA SPONDA DEL FIUME.
I punti di vista sono interni: i personaggi novellano, ricordano. I dialoghi danno vivacità a spaccati di vita brevi ed efficaci, indipendenti ma parte dell’ampio discorso sulla vita che caratterizza questa come le altre opere della scrittrice.
I racconti sono storie di uomini e donne, di coppie e relazioni… che trapassano la norma, i generi, e le etichette. Il tutto diviene ancor più forte perché vien fuori da una società giapponese ambivalente: così intrisa di tradizioni e convenzioni, credenze, ma anche così impregnata di piccole rivoluzioni, inquietudini e stranezze.
Tokyo fa da sfondo, insieme ad altre
località che sanno di magico. La metropoli assume, però, il ruolo di
personaggio a sé stante: è il luogo dove tante vite si intrecciano
inconsapevolmente, un posto dove il caso rimescola carte ed energie in un tutto
disarmonico che ha una tipicità che Banana Yoshimoto sa vedere e narrare. Il
Giappone è presente in ogni gesto, anche nel lessico nel quale campeggiano una
serie di tipici termini che raccontano storie e abitudini; un glossario finale
è la guida ideale per questo viaggio nella cultura nipponica, che riesce però
ad ampliarsi nell’opposto movimento dello stringersi negli animi e nei cuori
dei protagonisti. Occhi che assumo una vita quasi indipendente dal viso che li ospita,
capelli che cambiano a seconda delle età e delle personalità… sorrisi che parlano
in una compostezza tipicamente giapponese. Anche il movimento di un cappotto
riesce a determinare un carattere, una persona.
Attraverso questi racconti, Banana Yoshimoto parla di
tutto ciò che l’universo umano ed energetico contiene: vita, morte, amore e
corporalità, salute e malattia (anche e soprattutto interiore); incontro e
scontro, disillusione e ferite, assenza di speranza e rinascita. Nel corso
delle narrazioni si ritrova la caoticità di Tokyo, così occidentale, così presa
dal fascino delle cose dell’altra parte del mondo. Una calma di gesti e
abitudini che si rifugia troppo spesso nell’alcol, e negli eccessi, riesce a far
emergere i pensieri dei personaggi in modo semplice. Banana è abilissima nel
parlare delle cose più difficili, semplicemente dando voce alla gente, e alle
esperienze di vita più disparate. Gli individui che guardiamo in questi
racconti sembrano familiari: l’empatia risulta agevole perché, anche se una vena
di magia attraversa ogni cosa, tutto è assolutamente quotidiano nella sua
imperfezione, nelle paure e anche nei comportamenti fuori dalla norma che
possono raccontare di tradimenti, di sesso, di rapporti carnali di gruppo o relazioni
extraconiugali. Bisogna però sapere che Banana è una scrittrice educata,
pacata, riflessiva: anche se si parla di eccessi non si arriva mai sulla sponda
dello shock. Tutto è sempre accennato, dolce anche nell’amarezza; il modo di raccontare
è intriso di profonda cura e rispetto.
L’epopea intima e metropolitana di Yoshimoto è
moderna, ma anche filosofica e ancestrale. Ho citato l’energia: sì, le energie
sono un elemento importante di molte delle credenze e dei modi di fare e
pensare orientali. Ogni personaggio è il prodotto delle proprie radici, anche
se spesso nasce discostato dall’albero principale per germogliare in un tronco
esile che si affaccia al mondo cercando di capire come adattarsi all’habitat
che lo accoglie. Le radici sono la famiglia, elemento presente in ogni racconto
sotto forme diverse. Ogni personaggio si trova a ripercorrere la ferite passate,
i segreti familiari, i vuoti disorientanti che hanno causato diverse corse nel
nulla alla ricerca di quel senso di appartenenza che, però, a suo modo arriva. L’autrice
ha un romanticismo tutto suo: si guarda ai rapporti con senso critico, con
sincerità… non c’è la fiaba ma c’è la forza prorompente della liberazione, che
può avvenire solo dopo lo scontro e nello scorrere. Le energie universali non sono
mai immobili, e il nostro corpo fa parte di un flusso che potrebbe
essere percepito se ogni cosa viene vista come “processo”.
«Non
si tratta di scegliere quale è buona o cattiva, giusta o sbagliata, ma di
riconoscere che le idee di inferno e paradiso prendono forma nel corso di un
processo ininterrotto che chiamiamo “io”. È soprattutto questo processo
ininterrotto che qui mi interessava descrivere.»
(Banana Yoshimoto dal
POSTSCRIPTUM a Lucertola)
Ogni storia è intrisa di piccoli oggetti, di rituali,
e di metafore che non sono aeree ma materializzate in cose semplici come una
zuppa, un fiume, la voglia di un espresso da bere fuori casa.
La trasformazione è il vento che attraversa ogni pagina
della raccolta. Nessuno, però, resta fermo. I personaggi sono persone fatte di
segreti, cicatrici e insicurezze… ma riescono a passare all’azione perché ognuno
di noi è parte del destino cosmico.
La via di un famoso tempio di notte è deserta e fa
quasi paura… al mattino i colori si accendono e il profumo di cose buone
avvolge l’aria. Ognuno di noi è solo: la solitudine è l’altra entità misteriosa
che guarda i personaggi, come fa Tokyo. Ma l’oscurità si alterna alla luce, la
morte è intesa come “vita futura”. Il nostro tempio personale non è una
fotografia immobile ma un luogo vivo che si riposa o si adombra; può far paura… ma
è popolato di tante cose oltre noi. Siamo abitati dal nostro passato, dalle
nostre esperienze, dal nostro retaggio. Ma capendo che siamo soli non dobbiamo
credere che tutto ruoti intorno a noi, siamo noi a ruotare e cambiare verso la
nostra “naturale destinazione”, in “interdipendenza” con persone… palazzi,
monti e forze invisibili e visibili.
Tra queste storie senti addosso i gesti preparatori al rituale del bagno, impari che i giapponesi non sono soliti urlare… che le donne imparano a ridere con la mano davanti alla bocca. Certo, però, molti personaggi escono dalle regole. C'è sorpresa e scoperta, ovunque.
Un foroshiki[1] può contenere l’idea della casa e della famiglia, come anche delle verdure, e un segreto. Un involucro non è solo un oggetto… qui tutto parla e racconta in una sintesi piacevole che avvolge la solitudine del lettore per profumarla di speranza; sembra quasi di avvertire, qui con me, un sentore dolce di obanyaki[2].
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Grazie e buona lettura!
[1] Furoshiki:
quadrato di tessuto, generalmente di seta dai colori vivaci, usato per avvolgere
oggetti. I quattro capi sono annodati in modo da rendere agevole il trasporto. (Dal
Glossario a fine volume).
[2] Obanyaki:
focacce dolci farcite di marmellata di fagioli azuki, prima cotte al vapore e
quindi arrostite su una piastra. (Dal Glossario a fine volume).