martedì 26 maggio 2020

IL ROMANZO SULLE "JANARE" DI GAETANO LAMBERTI: STORIA, ALLEGORIA E VEZZI HORROR

Ph. Francesca Lucidi. Volume edito da Il Seme Bianco. I edizione febbraio 2019, disponibile in ebook e formato cartaceo.

BIOGRAFIA DELL’AUTORE

Gaetano Lamberti nasce il 4 agosto del 1989 a Nocera Inferiore, in provincia di Salerno.

A vent’anni si arruola nelle Forze Armate: lì prosegue gli studi ottenendo la laurea in Giurisprudenza. Consegue, poi, un master in Criminologia e Studi Giuridici Forensi.

Nel 2016 si iscrive alla scuola creativa Omero e viene selezionato per la pubblicazione di cinque racconti, sulle riviste <<MagO>> e <<Grado Zero>>.

Gaetano Lamberti vive attualmente a Roma.

 

TRAMA… INTRECCI E “FILI”

A Castel di Sopra, alla fine degli anni 90, una tradizionale famiglia del sud… allargata e rumorosa… si trova a fronteggiare un nefasto destino, un malevolo alito che infetterà le menti e i corpi dei personaggi.

La storia è riportata dal piccolo Martino, un bambino sveglio ma semplice come lo erano i bambini di un’epoca così vicina ma lontana per tecnologie, percezioni e convinzioni.

La vicenda di Martino e della sua famiglia è raccontata al passato. Il ricordo inquieto di un adulto si confonde con gli occhi innocenti e accusatori di un bambino che ancora vive, dopo molti anni, nella sua forma infantile senza essere cresciuto: sopravvive nella forma di un trauma vivo che ha ancora la necessità di raccontarsi e raccontare ciò che è accaduto alla sua famiglia. Quel bambino ancora si fa domande e non ha dimenticato.

In una casa vecchia, come lo erano le case di tanti borghi d’Italia ai tempi in cui erano ancora molto abitati, convivono tre generazioni: due nonni, un’anziana zia, i genitori di Martino e ovviamente il piccolo e sua sorella… un’altra giovane vittima di questa oscura storia. In realtà, vive tra quelle mura anche una sorta di “mostro” in forma umana, una disgraziata o un’anima perduta… o un’anima innocente: una donna disabile presa in custodia in cambio di denaro.

I rancori spaccano i muri antichi di una casa umile in cui si scontrano vecchi odi e nuove speranze. Gli anziani si trincerano dietro ai segreti che Martino cerca di comprendere e scoprire… anche se neanche ai suoi genitori sembra essere vicina la chiave dei misteri che avvolgono questa famiglia.

La vecchia casa è preda delle Janare: entità femminee che hanno fatto un patto con il maligno e diventano, senza mezzi termini, streghe… streghe cattive.

Questa verità sarà man mano sempre più inoppugnabile: la famiglia è maledetta, ha il malocchio… ha subito fatture.

Tutto il paese di Castel di Sopra sa bene cosa sono le Janare: ha tutte le informazioni e i rimedi; i protagonisti della vicenda, però, dovranno dolorosamente tentarle tutte… e ogni apparizione della Janara annienterà il precario equilibrio domestico e andrà a colpire fisicamente alcuni personaggi, che si troveranno pian piano in un incubo che sembrerà senza fine.

Alla fine, molti ne pagheranno le spese. Martino dovrà rinunciare agli ultimi sprazzi della sua innocenza, a causa dei dolori e degli orrori che sarà costretto a vedere e vivere in prima persona.


SPIANDO I PERSONAGGI

Nonno  Alfonso è un uomo mite che mangia caramelle alla menta, Nonna Immacolata è una creatura educata che si contrappone alla sorella Vincenza… orribile nell’aspetto e nei comportamenti. Martino e sua sorella Marisa bevono latte in cucina mentre si interrogano e si danno risposte; il papà e mamma Luisa vogliono solo scappare da quella casa in cui vivono per necessità e in cui il piccolo Martino è costretto a dormire rannicchiato in una vecchia culla. Tutti sembrano a disagio, anche i personaggi “positivi”.

Vilma, la donna disabile che vive nella vecchia casa, e mostra i suoi innocenti e disgustosi gesti, subisce al contempo indifferenza e gentilezza; gli occhi di Vilma, però, saranno una parte importante della storia… quando tutta la questione inizierà a farsi davvero misteriosa, terribile.

Gli occhi di Vilma non sono gli unici sguardi “attivi” della storia: in paese ci sono molte persone che fissano, che si fanno gli affari degli altri… che segnano con gli occhi una persona o una famiglia, per sempre. Tutti guardano e, chi più e chi meno, danno vita ad atti e conseguenze con la forza di un pensiero cattivo, di un vecchio rancore. La gente mormora: tra preghiere e insulti e sputi si consuma un misero dramma folkloristico che è ancora oggi perpetrato dai peggiori sentimenti umani. Non è solo l’ignoranza a generare mostri ma anche la volontà individuale o un desiderio mancato, un’invidia cocente.

 

SEGUENDO LE TRACCE

Molti echi sommessi si possono udire ascoltando i sussurri, e le formule anti-tutto che circolano tra le strade di Castel di Sopra. Un altro luogo, però, viene citato: Benevento.

Benevento è un indizio ben preciso, cui forse non si fa caso immediatamente ma che è una di "quelle" chiavi (sì perché ci si accorge che le “entrate” sono più di una).

Nel romanzo ci si trova di fronte a un documento storico e antropologico: si ritrova una certa Italia, quasi perduta, e le indicazioni per comprendere e ricollegare i fili di varie tradizioni che si possono ancora ascoltare nei racconti degli anziani. In realtà il tutto è anche l’allegoria di una famiglia, o di un’umanità che si pone domande quando soffre e cerca risposte.

Le superstizioni e le leggende sono un organo vitale della storia italiana… qui però si deve esser pronti a tremare e correre. Non si deve aver paura se si vuole poter afferrare i propri “mostri”.

 

ANALISI, VISIONI E SENSAZIONI SULLA PELLE

Il romanzo ti attira, e ti senti tra le pagine prima di una novella verista, poi di un libro di Roald Dahl… alla fine, però, ti tira violentemente per il braccio e ti scaraventa in un horror di Pupi Avati.

La storia di Lamberti è un’esperienza senza pietà. La focalizzazione interna ti coinvolge e gli odori sono vividi e veri e sembra di avvertirli. Il linguaggio è semplice, oserei dire “sempliciotto”: tutto è perfettamente sovrapposto alle mentalità dei personaggi e alle loro terrene necessità.

I panorami non sono belli: anche una foresta diventa il luogo di incontri spiacevoli; gli animi invece sono i veri paesaggi a mostrarsi orrorifici o salvifici.

Primamente la vicenda sembra distaccata da noi, poi iniziamo a riconoscere le miserie quotidiane, gli odi e le invidie di tutti i giorni. Ci sentiamo anche noi additati, esclusi… maledetti. La paura cresce a ogni pagina e tutti possiamo avvertire, se siamo un po’ “sempliciotti” o probabilmente sensibili, il pericolo presunto che qualcuno ci abbia maledetto nel passato o nel presente.

Chi ha vissuto le piccole realtà dei minuscoli centri italiani è sicuramente facilitato nel processo d’immedesimazione. Il romanzo, però, non è solo fantasia ma anche storia in senso stretto.

Ho adorato l’accenno furbo e fulmineo a Benevento… e a tutto l’immaginario legato alle strane energie che permeano molte località della nostra penisola.

Le indicazioni sulle janare sono dichiarate come vere: questo non c’è bisogno di farlo apertamente… sono il contesto e il linguaggio e i personaggi a rendere tutto tremendamente credibile.

A un punto il romanzo accellera e sembra che Martino stesso, il narratore interno, venga posseduto da una furia che si impossessa del ritmo del racconto, delle descrizioni e degli eventi. È proprio questo il punto in cui si gioca il tacito patto con il testo: o siamo colpiti e rapiti o ci sentiamo straniti… il che può essere in positivo o in negativo.

I protagonisti passano da essere stilizzati personaggi di un presepe paesano a mutarsi nelle figure contorte di un quadro di Francisco Goya.

Personalmente avevo bisogno di una storia così assurda e al contempo VERA, REALE E SPORCA.

Mi sono emozionata dinanzi ai sacrifici e ai problemi veri… e anche davanti agli assurdi eventi legati alla Janara.

Io alle janare ci ho creduto: siano esse simbolo o demonio… non potrebbero essere entrambe le cose?

Da piccola, mia madre faceva riferimento alle scope davanti alle porte come protezione; ho vissuto una bisnonna e so perfettamente cosa significa ricevere un malocchio o cercare di toglierlo. Qui non si parla di essere sciocchi e gretti: lo siamo! Tutti gli uomini possono esserlo, anche senza bisogno delle janare. La differenza la fa la “scelta”; e ciò ci viene ricordato anche dall’autore nelle ultime pagine del suo libro quando si riappropria della realtà e del SUO tempo.

Buona Lettura… brutta, sporca e cattiva.

INDICAZIONI PER LA LETTURA

Parlando, l’autore mi ha informata che nella zona del salernitano la leggenda delle janare è viva e presente quanto in altre zone più famose agli occhi dei neofiti della stregoneria italiana. Oggigiorno molti segreti e paure sono principalmente nelle bocche dei “vecchi”; Gaetano ha però preso questi elementi per farli non solo propri, per ricongiungere delle linee della sua vita passata che ancora infestano la sua psiche di adulto razionale e realizzato, ma anche per generalizzarli sul piano di una riflessione sulla natura umana e il libero arbitrio, che possono essere il piano dove si gioca la vendita o la salvezza dell’anima.

Ringrazio l’autore.

PER APPROFONDIMENTI SULL'ORIGINE E L'EVOLUZIONE DELLA LEGGENDA DELLE JANARE... RIMANDO ALL'ARTICOLO DEDICATO DELLA SEZIONE "STORIA E CULTURA":

https://pennybloodblog.blogspot.com/search/label/SEZIONE%20DI%20STORIA%20E%20CULTURA.%20ARTICOLO%20num.5%20-%20LA%20LEGGENDA%20DELLE%20%22JANARE%22

 

ORIGINI ED EVOLUZIONE DELLA LEGGENDA DELLE "JANARE"

LA JANARA

Henry Fuseli (Johann Heinrich Füssli), The Three Witches ( post 1783); The Royal Shakespeare Theatre, Picture Gallery and Museum, Stratford-upon-Avon. Immagine di pubblico dominio.

PROLOGO

Il termine janara deriva, probabilmente, da dianara (sacerdotessa di Diana) o dal latino ianua (porta).

La janara può assimilarsi a una “strega”, nel senso nero e malevolo del termine. Questa entità è una donna, un’apparente normale donna che ha fatto, però, un patto con il maligno.

La figura della janara è originaria dell’Italia centro-meridionale: ciò ha ragioni storiche che  si radicano su eventi realmente accaduti, su credenze… paure… e documenti antichi risalenti ai primi periodi dell’Inquisizione in senso stretto. La zona di Benevento ne è il terreno di plasmazione; da lì, poi, la leggenda si è estesa fino a far assumere alla janara diversi nomi o conformazioni. Per comprendere questa affascinante ma oscura storia si deve ripartire, appunto, dalle presunte origini del termine.


JANARA COME DIANARA?

IL COLLEGAMENTO CON LE DIVINITÀ FEMMINEE DELL’ANTICHITÀ

Il collegamento con Diana è riconducibile alla simbologia legata alla dea. Diana era una divinità latino-italica protettrice delle selve, dei corsi d’acqua e delle donne. Gemella di Apollo e figlia di Giove e Latona, Diana è legata anche ai culti lunari. Diana viene ricollegata alla dea Artemide della mitologia greca.

Diana-Artemide simboleggia la fase crescente della luna; Selene simboleggia invece la luna piena ed Ecate la luna calante. Il tutto è da ricondurre alla triplicità della divinità femminea che ancora oggi è venerata dalla stregoneria moderna: una stregoneria prettamente pacifista e “bianca”.

Diana era una dea vergine. Ricordiamo, infatti, il mito di Atteone: un cacciatore che imbattutosi nella dea che faceva il bagno con le sue compagne ne restò immediatamente attratto; Diana non apprezzò l’attenzione ricevuta e tramutò Atteone in un cervo. Il cacciatore trasformato in animale delle selve fu poi divorato dai suoi stessi cani. Diana è spesso rappresenta con accanto il simbolo di un cervo.

Le janare rientrano nell’immaginario legato alle “streghe”. Quest’ultime erano spesso donne sole; e questo socialmente era percepito come disfunzionale e perseguibile per la paura che l’indipendenza femminile creava nelle grette menti del passato… e anche perché la procreazione era vista come un obbligo biologico della donna. Le streghe potevano essere fanciulle ammalianti, e quindi pericolose per l’equilibrio dell’istituzione matrimoniale, o donne anziane esteticamente trascurate e dedite a pratiche medicamentose misteriose… e qui ci ricolleghiamo all’eco della figura di Ecate. Ecate è una divinità antichissima non sempre associata a qualità positive. La dea è spesso rappresentata come anziana ma in realtà è trina e racchiude in sé la fanciulla, la donna e la megera. Ecate è la custode tra i tre regni: quello sensibile, quello etereo e quello intuibile; o tra il Cielo, la terra e il mare. Ecate è una divinità psicopompa, ossia in grado di viaggiare tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Tra i simboli associati a questa divinità, trina, vi sono il crocicchio, la chiave, la fiaccola e il cane.

William Blake, Ecate (1795 ca). Immagine da artesplorando.it.

Ecate veglia al contempo tra passato, presente e futuro. La chiave è l’apertura verso il mondo dell’Ade, come anche i cani… che accompagnerebbero le apparizioni della divinità con il loro latrato. Il crocicchio, ossia il punto di incontro di tre strade, è associato alla dea sempre per la simbologia del tre. Appunto per questo in quei luoghi spesso venivano erette statue e altari a protezione dei viandanti; l’avvento della Cristianità ha però trasformato anche questa credenza pagana in simbologie nefaste e negative… fino a designare il crocicchio come un posto ideale per la sepoltura dei suicidi. Ecate è in realtà luce e oscurità interdipendenti ed è sapienza illuminata dalla fiaccola di una conoscenza che travalica i confini dei mondi.

Le donne accusate di stregoneria avevano spesso tutti gli aspetti che abbiamo qui ricondotto a Ecate: sapienza, lungimiranza, conoscenza di pratiche protettive per la salute della donna.

Alla base dei processi di inquisizione sono da ricondurre elementi politici e sociali. Una donna non ascrivibile nell’ordine stabilito era un pericolo; poi se nubile e magari possidente di terre… era ancor più un fastidio da eliminare. Questo argomento lo affronteremo tra un po’, con calma e sangue tremante.

La janara però è una strega assolutamente cattiva… se anche molte simbologie pagane possono identificarsi come i prodromi della leggenda i connotati positivi si perdono totalmente.

È curioso che tra gli animali associati ai cattivi presagi, e anche agli atti delle janare, vi sia la civetta: un altro degli “animali simbolo” di Ecate.

 

LA IANUA

La janara infesta le case passando dai buchi della serratura o sotto le porte: ecco perché il termine latino ianua sembra logicamente associabile all’origine dell’epiteto di questa maligna creatura.

Per bloccare l’ingresso della janara bisogna mettere davanti a ogni ingresso una scopa di saggina, con il bastone rivolto verso il basso. La malvagia creatura è costretta a contare ogni rametto della scopa, uno ad uno: una sola notte non basta a finire il conto e l’alba sopraggiunge, così, facendo fuggire la janara.

Questa sposa del maligno di giorno è una persona normale, magari un conoscente, un vicino… un parente stretto. Nella sua quotidianità cova rancore e gelosia… di notte corre a sfogare i cattivi sentimenti addosso alle vittime prescelte. Malocchi e fatture: così la janara mina la serenità mentale e la salute fisica dei suoi bersagli.

Questa particolare strega riesce a muoversi agevolmente grazie a un unguento con cui aspergerebbe il suo corpo, così deformato nella sua trasformazione notturna. La janara è nuda, orrenda: ha capelli scompigliati e occhi terrificanti; lunghe unghie affilate, e una pelle rugosa e disgustosa. Per muoversi può usare una scopa, ma il più delle volte viene detto che ella si introduce nelle stalle per rubare delle giumente che cavalcherebbe durante le sue macabre scorribande. I crini dell’animale, al mattino, riportano il segno del passaggio della strega con la comparsa di una treccia. Il cavallo è spesso un bene dello stesso bersaglio della janara… l’animale spesso si ammala e muore, sotto il mefitico tocco della janara.

Quando una famiglia è preda di una janara… spesso a farne le spese sono i bambini. La bestia dalle sembianze umane sembrerebbe prediligere le tenere creature per lo sfogo dei suoi atti. La janara si siede sul petto dei piccoli della famiglia scelta fino a farli quasi soffocare, o li fa ammalare. L’unica cosa da fare, si dice, è la pratica inversa al malocchio… la quale è conosciuta da selezionate figure femminili che sanno, con olio e acqua e forbici, mettere fine al maleficio. In realtà ci sono anche altri stratagemmi che permetterebbero di catturare e intrappolare una janara, fino a farsi promettere di proteggere la famiglia per generazioni. Tutto dipende dal sangue freddo di chi volesse o potesse stringere tra le mani i sudici capelli di una janara.

BENEVENTO

I RITI DEI LONGOBARDI

I Longobardi regnarono in Italia per lungo tempo, dal VI secolo: entrati nella penisola attraverso il Friuli, estesero il loro dominio per quasi tutto il territorio italico. Si distinguono una Longobardia Maior, nell’Italia del nord, che durò fino alla conquista franca del 774; e una Longobardia Minor, nell’Italia centro-meridionale, che impose la sua forza per lungo tempo opponendosi con onore al franco Carlo Magno e posò la corona solo con l’avvento dei Normanni dopo l’anno mille.

Benevento e Salerno furono tra i territori maggiormente “resistenti”. Benevento in particolare.

Nonostante la loro conversione al Cristianesimo, i Longobardi continuarono a praticare molti dei loro riti legati specialmente al culto degli alberi e alla venerazione della dea Iside.

Img.Pixabay

Iside, sorella e sposa di Osiride, è una divinità egizia legata alla femminilità, alla luna… e al regno dei morti. Ella resuscitò lo sposo assassinato da Seth attraverso l’acqua sacra, per questo è un’entità legata alla magia, alla fertilità… e questo non può non ricollegarsi ai miti delle altre divinità femminee già citate.

Nel paganesimo gli alberi sono un fondamentale elemento di connessione con i “mondi” e le divinità.

Per i Longobardi la natura del Sannio era lo scenario ideale per praticare gli antichi rituali tra fronde vecchissime e corsi d’acqua tortuosi. In particolare, il fiume Sabato… che bagna Benevento… era un luogo prediletto. Il culto di Iside, in realtà, era già radicato nel passato di quelle località.

Img.Wikipedia

Pietro Piperno BENEVENTANO, “Filosofo et medico, e della gran Giurisdittione di S. Sofia di essa Città Protomedico”, nel trattato Della superstitiosa noce di Benevento, del 1640, spiega la natura dei rituali longobardi. I conquistatori appendevano pelli di caprone ai rami di un albero, li colpivano con le frecce e poi si cibavano dei resti.

Nel passato molte donne, tra quelle considerate “sospette”, erano profonde conoscitrici delle erbe. È presumibile che proprio sulle rive del Sabato queste si fermassero a raccogliere radici medicamentose, erbe officiali… e anche allucinogene come la belladonna. Queste donne, passando di lì, probabilmente avevano la possibilità di assistere ai riti dei longobardi, e spinte da curiosità potevano unirsi alle celebrazioni. In queste circostanze è possibile pensare che queste donne si concedessero carnalmente ai prestanti uomini stranieri, da lì… se pensiamo che tutto si svolgeva lungo le rive del fiume Sabato… ecco tutti gli elementi che circondano, appunto, l’immaginario del SABBA: il famoso rituale orgiastico e demoniaco delle streghe.

Ovviamente si deve considerare che tutte queste occorrenze sono da filtrare attraverso gli stretti buchi dell’imbuto della superstizione, dell’intolleranza e in seguito del clima inquisitorio.

Pietro Piperno, nel suo trattato, fa anche riferimento alla VITA BARBATI, il racconto agiografico della vita di San Barbato: vescovo di Benevento attivo nell’area tra il 663 e il 682. La VITA BARBATI è nota sicuramente dal secolo X.

Piperno fa riferimento all’aneddoto raccontato da Barbato riguardo allo sradicamento di un albero “demoniaco”, di una NEFANDA ARBOR. Non si specifica di quale albero si tratti, ma è descritto l’atto con l’aggiunta della terribile informazione riguardo a un demone in forma di serpente trovato sotto le radici della pianta.

È importante porre lo sguardo sulla tipologia dell’albero perché a partire dal XV secolo nacque la famosa  leggenda del NOCE DI BENEVENTO. Piperno cerca di ricostruirne la storia… ma la prima menzione storica documentabile riguardo, proprio, a un albero di noce, risale al processo a MATTEUCCIA DI FRANCESCO DA TODI: la donna fu processata per stregoneria nel 1428.

Dalla testimonianza di Matteuccia si originarono tutti i dettagli, poi durati nei secoli, riguardo alle famose “STREGHE DI BENEVENTO”, che da quel processo ottennero la loro “consacrazione”.

 Francisco Goya, Il Sabba delle Streghe (1823). Img. da arteworld.it.

LA “STREGA” MATTEUCCIA DA TODI

GLI ATTI DEL PROCESSO E LA NASCITA DELLA LEGGENDA DELLE “STREGHE DI BENEVENTO”

Già dal 1426 è nota l’attività di San Bernardino da Siena che predicò in Umbria tra Spoleto, Montefalco e Todi. In seguito si impegnò anche nella persecuzione di tale Matteuccia di Francesco da Todi, come ricordato negli atti del processo.

Matteuccia fu processata come “fatuchiara”, “maliarda” e “striga”. La donna confessò, presumibilmente aiutata dall’insistenza del tribunale, diverse nefandezze. Matteuccia era molto nota per la sua attività di “guaritrice” e consigliera, anche di personalità molto potenti: ricordiamo, infatti, un documentato collegamento con Braccio da Montone, capitano di ventura e condottiero.

La donna confessò le sue arti magiche. Nei riti venivano utilizzate erbe, ossa e grasso di cadavere, e sangue di infante. La donna ammise l’omicidio di cinque bambini: gli atti del processo riportano i luoghi degli assassini e i nomi dei genitori delle vittime.

La cosa che rimarrà assai nota di questo processo è un dettaglio riferito da Matteuccia: la donna racconta che il luogo di ritrovo delle streghe era Benevento, e che la località veniva raggiunta grazie a una formula recitata dopo l’aspersione con un olio stregato.

Dalla confessione di Matteuccia Benevento verrà additata per sempre come il luogo preferito delle streghe di mezza Europa. La formula imputata recita:

Unguento, Unguento

Mandame a la noce de Beniviento.

Supra aqua e supra ad vento

et supra ad omne maltempo.

Matteuccia fu bruciata al rogo il 20 marzo 1428.

Nella sentenza di condanna vi è un inquietante schizzo che riporta la figura di una donna con i capelli scompigliati, impegnata a incantare un piccolo animale tramite una bacchetta.

Di Matteuccia non si conoscono altri dettagli personali, fisici… se non quelli tristemente descritti nell’impietoso schizzo.

Dalla pubblicazione, datata 1486, del  manuale principe sull’ inquisizione e la stegoneria: il Malleus Maleficarum, redatto dai domenicani Heinrich Kramer e Jacob Sprenger, si dà avvio alla nota “caccia alle streghe”.

Diversi processi avvenuti tra i secoli XV e XVI riporteranno la ripetizione della formula di Matteuccia… con delle piccole varianti. A tale proposito si rimanda anche al processo a Bellezza Orsini (1528).

CONCLUSIONE

Si può quindi pensare che la storia si sia incontrata con la superstizione e i modi inquisitori… per creare il mito della janara.

Ancora oggi questa “presenza” è riscontrabile in molti luoghi geografici che ne riportano il nome. La fama della janara si estende a tutto il centro-sud, anche se ormai le memorie degli anziani ne sono il principale luogo di mantenimento.

Atti del processo: Mammoli Domenico (a cura di), Processo alla strega Matteuccia di Francesco (Todi, 20 marzo 1428), Spoleto, CISAM, 2013, (prima ed.1969).