giovedì 28 gennaio 2021

STORIE DI BIMBE, DI DONNE, DI STREGHE

 UNA RACCOLTA DI RACCONTI 

di ELIZABETH GASKELL

Parte prima:

 IL RACCONTO DELLA VECCHIA BALIA

Ph Francesca Lucidi

INTRODUZIONE

Una raccolta di quattro racconti, quattro storie che rievocano aspetti della biografia dell’autrice come la perdita dei genitori; la natura sconfinata, dura o avvolgente che ella visse prima del trasferimento a Manchester. Abbiamo i temi della maternità espressa non solo in concepimento, gestazione e parto ma anche nelle declinazioni del cuore, nelle cure che una donna può e sa donare al prossimo, spesso fragile. La Gaskell è sincera nel presentare situazioni quotidiane piegate dai doveri, dalle convenzioni e dai sentimenti contrastanti di personaggi che si nascondono spesso in cupi silenzi, in segreti sanguinanti. La dolcezza di personaggi puri, ingenui, venuti da una vita semplice; il muro ispido di famiglie strutturate e rispettabili che covano il seme della discordia, della vergogna o della colpa. Nelle opere gotiche della Gaskell si percepiscono le mani gelide di una società che si strazia tra un passato glorioso, nobile o contadino, e un nuovo ordine gestito da un progresso che ha la sostanza della devastazione; nella realtà dell’autrice, e dei suoi romanzi, ciò è esplicato dallo scontro della civiltà industriale con gli spazi rurali.

Nella raccolta qui presentata la donna si manifesta come strega, come infante, come megera: pare di vedere le forme umane della dea Hecate, la trina creatura che rappresenta le tre facce della vita e il mistero insito nel potere femminile che pare cullare i segreti della vita e della morte.

Quattro racconti: LA STREGA LOIS, IL RACCONTO DELLA VECCHIA BALIA, LA CLARISSA e SUSAN DIXON; li affronteremo singolarmente in questo piccolo spazio dedicato. Vi ho già parlato degli occhi grigi della delicata Lois, potete leggere il contenuto cliccando QUI; lì potrete anche posare lo sguardo su una breve biografia dell’autrice.

Ripeterò la stessa introduzione per ogni racconto, così tutti i miei lettori occasionali avranno la possibilità di usufruirne senza dover tornare al principio.

 

IL RACCONTO DELLA VECCHIA BALIA

Ph Francesca Lucidi

Mi bruciava dentro una smania ansiosa; e le dissi che per lei era facile parlare, dato che sapeva cos’erano, apparizioni e suoni, e forse aveva anche avuto a che fare con lo Spettro quand’era in vita. E la molestai talmente, che alla fine mi disse tutto ciò che sapeva; ma dopo, avrei preferito che non m’avesse detto niente perché ne fui ancora più impaurita.

˜

«Sto solo cercando la mia piccola Rosa-Rosetta», risposi, ancora convinta che la bambina fosse lì vicina a me, anche se non riuscivo a vederla.

Pare di avvertire lo scricchiolare del legno, alla sera quando le temperature scendono e il buio pare avere un tocco freddo che inquieta mobili e infissi. Si sente il fruscio dell’ampia gonna di una balia, pare salire nel naso l’odore della cera che si consuma insieme al passare dei minuti… che ora andranno a dilatarsi in un racconto, in una cronaca spaventosa che ci sembrerà lieve solo perché le parole escono dalla bocca dell’amore.

Una balia e delle bimbe che ascoltano: viene ripercorsa la storia di una famiglia attraverso il ricordo di una donna che entrò in una casa sconosciuta quando era ancora una bambina. La servitù non è presentata come qualcosa di avvilente, diviene anzi la forza stessa di una casa, la depositaria di verità e memorie. Una cameriera, una governante… sono qui amiche, quasi madri delle loro padrone. La Gaskell dona dignità al servizio, quando esso si esplicita nell’amore del proprio lavoro, nel fervore di una missione votata ad affiancare, affrancare e rendere migliori le vite altrui gioendo di un’affezione reciproca che dona una nobiltà pari o superiore a quella di nascita. La servitù ha la semplicità del passero e l’acume e la furbizia di una volpe; può anche manifestare lo scatto della lupa e lo sguardo attento e premonitore della civetta.

Morti premature, bambini venuti alla luce senza vita; una creatura fatta di delicatezza e allegria che viene protetta dalla sua balia con il grembiule e l’affetto incondizionato. La nobiltà che va a reclamare i suoi discendenti per dovere ed egoismo di sopravvivenza. Sotto le montagne vi è una grande casa: Lord Furnivall non ci vive, però alla piccola Rosamond potrebbe giovare l’aria pura. Una bimba di neanche cinque anni si stringe al grembo di una balia che non ne ha neanche diciotto, di anni. Ad aspettare l’arrivo una casa gigantesca; rami fitti che oscurano, al cui interno la luna non riesce a passare. Pochi abitanti: una nobile signora triste e silenziosa, con il viso solcato da rughe che paiono esser state tracciate da un ago sottilissimo; la governante della signora, un angelo custode, uno sguardo che pietrifica ma che spiegherà le sue ragioni; i domestici fedeli, che non fanno domande e cercano di dare meno risposte possibili.

Le premesse non erano delle migliori, ma la bimba riesce ad illuminare quelle stanze avvolte dal vento gelido, dagli eventi atmosferici perennemente arrabbiati. Dopo poco inizia l’ascolto… la balia Hester ha sentito l’organo suonare, nonostante Dorothy cerchi di smentire una musica fin troppo chiara per essere ignorata. Ma come può essere malevola la musica? Se passeggiate per gli infiniti corridoi potrete notare che un solo ritratto è stato girato.

La Gaskell anticipa elementi paranormali che saranno il cardine dell’arte del brivido: i bambini che per primi avvertono turbolenze extraterrene e ne sono purtroppo vittime; testimoni a cui non si crede; sparizioni spaventose e apparizioni che mostrano quanto la rabbia, la violenza e il rancore riescano a resistere alle ere e alla morte.

Ahimè! ahimè! ciò che si fa in gioventù non si disfa in vecchiaia! Ciò che si fa in gioventù non si disfa in vecchiaia.

Una scrittura di neve: gelida e paralizzante; dolce e calmante. Le coscienze delle persone, i loro cuori e i loro desideri renderanno quella neve soffice tappeto di gioco o crudele tormenta assassina.

I brividi prodotti dalla Gaskell non sono sguaiati; ogni cosa assume un certo peso perché la storia non è solo intrattenimento di un attimo ma riflessione duratura. Ordinario e paranormale si esaltano a vicenda.

Mi diede uva passa e mandorle per acquietare la signorina Rosamond: ma lei non toccò quelle buone cose e continuò a singhiozzare per la sua bambina nella neve.

 

A presto, con il prossimo racconto della raccolta.

 

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sabato 23 gennaio 2021

LA FILOSOFIA DEL GIARDINIERE

 RIFLESSIONI SULLA CURA

di Roberto Marchesini

Ph Francesca Lucidi 
Ebook disponibile su Amzon Kindle

ROBERTO MARCHESINI

Filosofo ed etologo nato il 16 aprile del 1959; Marchesini è inquadrabile nella corrente del cosiddetto Post-Human: una concezione comprendente l’idea di un uomo-ibrido, che considera la diversità non come una devianza ma come principio stesso dell’essere.

Marchesini ha collaborato con numerosi giornali e riviste come Il Manifesto, La Stampa e Tuttoscienze. Da ottobre 2017 cura la rubrica di Etologia del Corriere della Sera. Formatosi come veterinario ha ampliato i suoi studi e la sua filosofia in numerose direzioni; voglio ricordare il suo impegno didattico verso i più piccoli, indirizzato all’importanza della relazione dell’uomo con le altre specie. L’alterità e l’interazione sono per Marchesini fondanti per lo sviluppo della personalità; l’animale non è più considerato un oggetto ma un soggetto stesso della relazione.


LA FILOSOFIA DEL GIARDINIERE. Riflessioni sulla cura

“Il giardino ti mostra sempre ciò che non sai, del mondo e quindi di te, che sei del mondo. Ti insegna a rispettare la terra, a comprendere come ogni cosa sia in realtà una relazione […]”

Parte dei saggi brevi Parva e edito da Graphe Edizioni nel 2018, questo testo è un complesso discorso sul decentramento e sulla cura di chi sa abbracciare la “chiamata”; di chi può ambire all’epifania potenziale della Filosofia del giardiniere.

Il filosofo si fa giardiniere; il giardino si fa filosofia e viceversa. Un cammino lento attraverso le stagioni e gli anni, proiettato in una sospensione che porta, attraverso la cura, alla creazione del giardino. Anche se di mera creazione non si può parlare. Una terra arida calpestata dai trattori e dai passi; animali nascosti negli anfratti. Tutto parte dalla speranza che è il principio cardine della diligenza del giardiniere, che ancora riesce ad immaginare. Nell’immaginazione come nel giardino in potenza vi è una sospensione che sa di desiderio; ciò, però, non è mancanza, come siamo abituati a percepire.

Un linguaggio non facile; un’idea che si nasconde dietro a poetica e filosofia, come una bestiolina rara che si protegge in una profonda tana circondata di radici dagli intrecci spaventosi perché di bellezza e forza incontenibili. Un’etica che esce dall’umano per riportare a un tutto dove l’individuazione è sciolta dalla vita. L’idea e il linguaggio dell’Evangelista di Pan possono sembrarci condanne, a noi presuntuosi dell’ordine… destinati, per questa idea, all’insuccesso. Si inneggia al languore che ha immensa bellezza rispetto alla sazietà; l’immaginazione e il giardino insegnano la beffa del “progetto”. Potremmo davvero aver bisogno del sublime della perdita di controllo.

La natura stessa non è più concepita come arredo ma come un essere vivente; all’interno e intorno vi sono altri innumerevoli esseri viventi che interagiscono in modi anche inaspettati: virtualità nascoste che il giardiniere può esplorare. Estro ed Estasi: saper fuggire da sé in un abbandono alla nostalgia ancestrale della terra. Poggiare l’orecchio su di essa… perché non dovremmo farlo?

Il giardiniere risponde a una chiamata, è inquieto e continuamente sollecitato dalla cura. Nel grande giardino egli andrà sempre alla ricerca della pianta che soffre; è un posseduto e rinuncia a ogni forma di chiusura.

L’autore appunta e immagina su un taccuino. La città pare concedere alla natura un qualche spazio verde nato solo per biciclette, cani e bambini. Mentre il giardino saprebbe connettere i piani temporali, insegnarci il disordine dionisiaco. Quando si pianta non si sa dove porterà il ramo o la siepe.

“Un bosco, uno qualsiasi di quelli che ornano il qui intorno, ha più ordine nell’apparente confusione di quanto ne sapremmo fare con precisa metrica.”

Un’umiltà felice della consapevolezza della propria pochezza, la potenza del volo sgraziato che comunque resta in aria. La “verità” lascia posto al fallimento, ora visto come la facoltà di poter intercettare un ordine imprevisto. Il giardiniere non cerca l’ascesa e così trascende. Il giardiniere è un vero creativo grazie allo strumento del dialogo. La filosofia delle cose non è nelle cose, ma dobbiamo poter comprendere che non è neanche nella nostra testa. Il dialogo e la coesione non vogliono la corsa: correndo perdiamo coesione… la nostra frenesia di controllo erode lo spazio e non lo può dominare. La filosofia fa finalmente emergere frasi che non solo sue.

La terra ci feconda, e non accade il contrario.

La terra è proposta come un partner con cui accordarsi, nell’armonia e non nella negoziazione.

Le piante sanno insegnarci lo scorrere, l’unione felice tra la cinetica dell’emergere e la staticità del radicamento. La nostra felice ignoranza! Che giace nella meraviglia sgombra di esperienza, come accade per i bambini.

“Vorrei dei bambini qui accanto, perché l’arte del giardiniere è il miglior seminario per la gioventù. Purtroppo in questa pallida giornata so che sono rimasti intrappolati dietro un banco ad ascoltare storie che non possono capire e apprezzare.”

Passano tre anni e il giardino si apre alla nostra vista, come anche la scrittura che pare farsi più chiara… per noi che abbiamo faticato nello sradicamento di certezze che ci privavano del vero radicamento. Un albero si eleva e si fa metafora della conoscenza. Noi siamo abituati ad aver paura di ciò che si nasconde, cerchiamo la certezza del tronco dimenticando che un albero non cresce ascendendo al cielo: le radici, anche, rappresentano un moto di crescita. L’indefinito è la vera direzione che ci fa ergere, evolvere. l’ALTERITÀ non è polarità, polemica: nella mente collettiva si è giardiniere lasciandosi abitare.

Diventare giardino è accettare di non poter dire l’ultima parola: Marchesini ci porta alla conclusione con il concetto cardine della virtualità dei dialoghi possibili, ora ai nostri occhi necessari… dopo la lettura.

A fine saggio una serie di foto da diversi giardini del mondo, le parole si perdono nel silenzio del verde.

Un testo per decentrarsi, essere forti nell’elevazione che viene dall’estendersi al nascosto, all’altro e al non ordinato o ordinario. Essere post-umani in una forza rinnovata.

 

 

giovedì 21 gennaio 2021

LA PRINCIPESSA D'OMBRA


Testo di Valentina Lini

Illustrazioni di Alessia Ferretti

Ph Francesca Lucidi

PROIEZIONI D’AMORE, BELLEZZE BLU CHE DALLA FINESTRA PROFETIZZANO

Edito nel 2020, LA PRINCIPESSA D’OMBRA è un altro indimenticabile albo illustrato della casa editrice BALENA GOBBA; un albo artistico, un “gioiello” che unisce fiabe, verità antiche, con veri e propri affreschi su carta. Storie reali che forse nel tempo hanno mantenuto la loro natura straordinaria divenendo la testimonianza più resistente al tempo: la leggenda.

Libri orizzontali in copertina rigida che si fanno finestre, specialmente in questo caso, su mondi lontani e su storie che attraverso i secoli portano una voce d’instancabile canto. Balena Gobba ci restituisce temi come l’amore, il dolore, la morte e la speranza. Può un’ombra riportare la luce su un regno piegato dalla tristezza? Valentina Lini e Alessia Ferretti ci raccontano la loro versione, comunque molto fedele all’originale, della leggenda originaria delle OMBRE CINESI: toni regali dell’oro e del blu, legati all’antica arte orafa del Tian Tsui; figure sfumate e uno stile materico aprono i sensi a un pensiero da toccare. Sinestesie calibrate, nate da una sensibilità inusuale, producono uno spettacolo a cui sono invitati i dolci amanti della bellezza concettuale. Un libro che deve essere mostrato, sul tavolo da salotto, tra gli scaffali di una libreria. Questo volume può essere uno scorcio veloce verso una narrazione efficace perché breve ed emozionale. Gli occhi si perdono in figure che vanno oltre il semplice illustrare. Ribadisco la mia impressione di trovarmi di fronte a un ciclo di affreschi. Balena Gobba l’ho già definita una vera e propria galleria d’arte. Immagini e parole si stringono in un abbraccio efficace; possono però anche essere fruite separatamente. Vi sfido a leggere solo seguendo le figure: tutto è chiaro, le sensazioni arrivano da occhi che sono fessure dalla massima espressività; i tessuti ci svegliano un tatto che pare poggiarsi su sete e tappeti; il cuore sussulta scorgendo due sposi. Ogni movimento dei personaggi è magia e realtà.

Ph Francesca Lucidi

Siamo in Cina, tantissimi anni fa; potrebbe essere anche ieri e in luogo vicino a noi. Uno sposo afflitto e la mancanza incolmabile; uno stratagemma che parte da un bisogno pratico riesce a mimare il mal tolto e a far risvegliare la speranza. Si rinasce da soli, ma ogni tentativo, seppur goffo, di stare vicino a chi ha un dolore insanabile può dare una spinta a ciò che in modo misterioso fa risollevare chi è stato brutalmente piegato dalla sorte, dalla morte. Non credo c’entri solo lo spirito di sopravvivenza… io credo che le ombre possano parlare, credo che non tutto si possa spiegare; la vita si vive, la vita non si definisce.

Ph Francesca Lucidi

Albo adatto a grandi e piccoli lettori, per fruizioni diverse e intercambiabili. 


LA LEGGENDA DELL’IMPERATORE WU

La storia raccontata nell’albo riprende le vicende dell’imperatore cinese Han Wudi (regnante dal 141 all’87 a.C.). Si narra che Wudi divenne terribilmente triste per morte della concubina Li Furen, morta prematuramente. Gli eunuchi della corte si arrovellavano nella testa alla ricerca di una soluzione, dato che lo stato dell’imperatore poteva compromettere la salute del regno. Fu escogitato, così, uno stratagemma atto a proiettare l’ombra di Li… tramite una figura di legno e gli effetti di luce su una tenda.

Ph Francesca Lucidi

L’albo, invece, mette in campo uno sciamano originale, e profondamente osservatore. È incredibile quanto la vita quotidiana nasconda genialità e soluzioni ingegnose, basta fare solo attenzione. Un inganno ben riuscito e un cuore che si ristora. Lo svelamento della verità avrà tremende conseguenze? Un martin pescatore osserva la scena, qui, vicino a noi sul davanzale di una pagina. Tre piume e un presagio… la speranza e i suoi misteri.

Nella storia “vera”, Wudi ha vissuto per molti anni e ha avuto due mogli, numerose concubine e ben nove figli.

 

L’ARTE CINESE DEL TIAN TSUI

Il TIan Tsui è un’antichissima arte orafa cinese che è sopravvissuta per ben duemila anni. Consisteva nell’incastonatura, tramite una colla ricavata dalle capre, di piume di martin pescatore fatte a pezzi. L’acceso colore blu non veniva dal cromatismo delle piume ma da un gioco di luci, da effetti prismatici. Ciò non può non richiamare l’illusione e la magia ingannatrice delle ombre cinesi: in questo albo i significati si stratificano come gemme su una regale tiara.

Purtroppo la pratica portò alla decimazione dei poveri uccellini. Il tutto fu cessato solo negli anni Quaranta, con la Rivoluzione Cinese.

 

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lunedì 18 gennaio 2021

IL CANTO DEI DANNATI

 

di Jason Ray Forbus

Illustrato da Theoretical Part

Copertina e Tavola 10 di Gianrico Reale

Ph Francesca Lucidi

UNA NUBE OSCURA CI AVVOLGE, PREPARATE LE PUPILLE A FISSARE L’INCREDIBILE

Un albo di cupo vagare, di sonno, risveglio. Un fermarsi del tempo, dove il tempo muove gli ingranaggi che enormi ci sovrastano. Il raccolto di un’esistenza, forse privata della coscienza di sé? e da chi? per cosa? Poche le certezze perché la poeticità ermetica, caustica e danzante, ci invita ad un ballo mascherato: scorgere le forme non è facile nel turbine d’estasi e inquietudine. Le volte di un’oscura cattedrale, i corridoi infiniti di un edificio d’anime e contorsioni; poi lineamenti sensuali che voluttuosi ci invitano al sublime. Cupa cattedrale che ti mostri sopra il logorio di vite che si consumano, e poi si “risolvono” in qualcosa che non ha nome!

 Numerosi simboli e figure, la determinazione spetta al viaggiatore. Tutto è maestoso e resta nella domanda del dove: dentro o fuori di noi?

Una grandezza che atterrisce; eppur si scatena il piacere di una carne che sente lo scuotere dei simboli provocatori. A sinistra le parole: brevi lampi di un temporale insistente… quasi fattosi muro di foschie ed elettricità. Il muro pare anche soffice dell’essenza spirituale che riesce ad emanare. A destra illustrazioni a pagina singola: evocazioni a Gustav Doré; gotiche fascinazioni che riescono a tener ferme vertigini alla Escher. La veste grafica contemporanea, in una carta liscia, lucida e piacevole lega antichità, riferimenti e novità in una struttura che ha le ossa della stessa sostanza del discorso sul tempo che le parole gridano. Urla, ma sommesse e provenienti da un posto profondo.

“Rendere le messi”: ciò che una vita raccoglie va portato presso le porte eterne; il grano è fatto di chicchi di anni, di conteggi autodistruttivi tenuti sulla carta dell’inconsapevolezza di un vivere privato della parola.

“ABBASSAI REVERENTE IL CAPO,

COSÌ COME MI ERA STATO DETTO DI

FARE

IL GIORNO IN CUI MI RUBARONO IL GIOCO E LA PAROLA”

˜

“MA A CHI MI INCHINAVO?”

Il corvo, già presente in copertina, non può non portare la pelle, indurita dal ribrezzo ma tenuta sotto scacco dallo scioglimento che la bellezza provoca ai nervi, a sentire il tocco di Edgar Allan Poe.

Poe scelse il corvo per motivazioni pragmatiche lucidamente espresse nel suo LA FILOSOFIA DELLA COMPOSIZIONE. Anche qui ci ritroviamo in un lavoro orchestrato ad arte… ma nulla sarà freddo: bruceremo. Come l’antecedente dello scrittore dell’incubo, il corvo decide il “quando”.

“È TARDI, DISSE IL CORVO

È TARDI”

Ph Francesca Lucidi

Memento mori, teschi ed esseri maestosi che possono evocare il dio cornuto Cernunnos. La “Natura” nel suo senso di vita, morte e potenza si manifesta nella sua essenza divina che sta ma non determina: noi determiniamo… anche il padrone da servire.

Ph Francesca Lucidi

Morte? Incubo? Visione o creazione fittizia? L’incontro tra mente, tumulti e colpe cosa può aprire?

L’uomo può costruire cattedrali magnifiche in terra, forse per cercar di guadagnarsi un ricovero nell’altrove. L’uomo può anche costruire dimore per l’oblio… o è l’oblio che non è vuoto ed è architetto laborioso?

A fine volume il testo è ricomposto e presentato semplicemente su sfondo nero. Giusto il tempo di pulirsi le scarpe, o le coscienze, e forse ci avviamo solo quando siamo alla fine; dipende dal passo e dalle “messi”.

Un albo per collezionisti, per animi artistici che non smettono di cospargere il corpo di nero languore in cerca di un effetto paradosso che faccia emergere dalla carne le essenze più pure. Pagine per chi sa prendere il tempo: sì, aprite le pagine e state lì. Non è facile leggere ciò che non è facilmente disponibile all’uomo che sempre cerca chi dica esplicitamente “cosa”. Non è facile leggere ciò che non è scritto ma c’è.

IL CANTO DEI DANNATI è la speranza realizzata di lavori che sappiano essere diversi, coraggiosi. Una lussuria da perdonare e consumare su un letto di ciglia rapite.

Ph Francesca Lucidi

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venerdì 15 gennaio 2021

L'UOMO CHE PIANTAVA GLI ALBERI

 di 

JEAN GIONO

A PIEDI NUDI, CON UN BASTONE PER NON FERIRE... VENITE A TOCCARE LA VOSTRA UMANITÀ

Ph Francesca Lucidi

CENNI BIOGRAFICI SULL’AUTORE

Jean Giono nasce il 30 marzo del 1895 a Manosque. Suo padre è un calzolaio e sua madre una stiratrice. Autore dalle origini piemontesi e dall’indole così libera da rendere la sua figura inclassifficabile. Si sa che la libertà può generare paura e incomprensioni, specialmente in periodo storico in cui le divisioni sono le spaccature profonde che fanno sopravvivere a stento l’umanità; Giono ne pagherà le spese.

A causa della malattia del padre, Giono abbandona gli studi e va a lavorare in banca. Riesce però a formarsi una solida conoscenza e passione letteraria grazie alle autonome letture della Bibbia, di Omero, di Kipling. La sua modesta famiglia non è affatto gretta e lo incoraggia nei suoi incontri con i libri e la scrittura.

Partecipa direttamente alla Prima Guerra Mondiale, come “soldato di seconda classe senza croce di guerra”. Resta ferito a Verdun, dopo il concedo vede rafforzarsi i suoi ideali pacifisti.

Nel 1924 pubblica la raccolta di versi ACCOMPAGNATI DAL FLAUTO; nel 1927 lavora alla stesura del primo romanzo: LA MENZOGNA DI ULISSE (uscito solo nel 1930), una trasposizione dell’Odissea nel tempo presente.

Atmosfere mediterranee e pagane perdurano nella “Trilogia di Pan”: COLLINA (1929), UNO DI BAUMUGNES (1929), REGAIN (1930). La Natura si pone sempre più al centro degli scritti di Giono, con forza misteriosa e ambivalente. I contadini provenzali diventano i portavoce di questo legame misterico, idilliaco, anche tinto degli aspetti ostili di questa Natura potente e manifestata in tutte le sue espressioni.

Grazie al successo di COLLINA, lo scrittore può dedicarsi completamente alla letteratura. Nel 1931 esce IL GRANDE GREGGE, dove viene rievocato il dramma della guerra in trincea. Poi, la Natura fa il suo ritorno con una voce che ha i toni della predicazione: sono da ricordare IL CANTO DEL MONDO (1934) e CHE LA MIA GIOIA RESTI (1935). Personaggi inviolati come i paesaggi che abitano, strettamente a contatto con le realtà della vita: tristezza e gioia si mostrano senza veli.

Giono è un solitario e al contempo è profondamente interessato all’umanità nei suoi aspetti più autentici, appunto “inviolati”, forti e, a volte, contradditori. La sua osservazione si nutre delle conversazioni che intreccia con i contadini provenzali incontrati durante lunghe passeggiate: così nascerà anche L’UOMO CHE PIANTAVA GLI ALBERI. Una fattoria di Contadour diventa luogo di incontro tra Giono e un nugolo di ascoltatori. “Vere ricchezze” e pace tra gli argomenti delle aperte disquisizioni.

Lo scrittore propone i suoi ideali in numerosi saggi, tra cui PRESENTAZIONE DI PAN (1930) e LETTERA AI CONTADINI SULLA POVERTÀ E SULLA PACE (1938). Nel 1939 viene incarcerato con l’accusa di propaganda antimilitarista. In molti iniziano a posare l’occhio del sospetto sul libero e indipendente Giono. Lui, che aveva dato rifugio a due cugini comunisti, si guadagna anche le accuse degli stessi comunisti francesi. Lui, che aveva dato rifugio a due ebrei e un ricercato della Gestapo, viene accusato di collaborazionismo con i nazisti nel 1944: una nuova prigionia, e un divieto a pubblicare.

Dall’isolamento continua a nutrire il suo spirito: nasce così il ciclo di cronache con al centro la leggendaria figura del nonno dello scrittore, Pietro Antonio Giono, colonnello degli ussari… generoso e appassionato “eroe” del risorgimento. Nascono così MORTE DI UN PERSONAGGIO (1949), l’USSARO SUL TETTO (1951), LA PAZZA GIOIA (1957), ANGELO (1958): commistioni di generi dalla storia d’amore fino all’avventuroso, passando per il racconto picaresco.

Giono si spegne il 9 ottobre del 1970, nella casa di Manosque in cui ha sempre vissuto con la moglie e le due figlie.


L’UOMO CHE PIANTAVA GLI ALBERI

“NON BISOGNA DISDEGNARE NULLA. LA FELICITÀ È UNA RICERCA. OCCORRE IMPEGNARVI L’ESPERIENZA E LA PROPRIA IMMAGINAZIONE.” 

(da Viaggio in Italia di Jean Giono, 1953)

“La loro condizione era senza speranza. Non avevano altro da fare che attendere la morte: situazione che non predispone alla virtù.”

Edito da Salani editore nel 2016, con nota sull’autore di Leopoldo Carra e le straordinarie illustrazioni di Peppo Bianchesi, un libro che nella sua brevità incarna il succo dell’impegno nella semplicità e nella fecondità, il senso dell’essere un “atleta di Dio”.

Giono amava la calligrafia: proprio un tratto, un segno nero scaturisce da una penna per farsi figure e significati. Le illustrazioni mescolano le forme della vita con le parole francesi di Giono, che si fanno vento ed erba. Il testo non può prescindere dalla parte visuale del libro, e viceversa. La comunione di queste due forme espressive si fa bandiera di comunità, di collaborazione silenziosa con i sensi profondi della vita. Questo è Giono: lavoro costante senza fatica, schiena piegata senza dolore, serenità e socialità nella solitudine che opera senza conoscere cosa sia l’egoismo.

Ph Francesca Lucidi

lo scrittore bambino camminava con il padre portando ghiande in tasca per piantarle. Dall’esperienza, dai ricordi e dal fervore di chi vuole promuovere un messaggio rivoluzionario parte la storia di pace che riesce anche a spezzare la scia distruttiva dell’umanità, della guerra, della lotta gli uni contro gli altri sponsorizzata dal progresso e dal capitalismo.

L’ordine naturale riesce a parlare attraverso le poche parole scelte di Giono. Sottomettendoci alla Natura, uscendo senza scarpe dal folle antropocentrismo possiamo scoprire una forza generatrice non rinchiusa su sé stessa. Possiamo essere seme, possiamo essere ventre, possiamo essere padri e madri del mondo non solo per capacità biologica ma per volontà dell’animo e libertà del cuore e della mente.

Non ci troviamo dinanzi a un semplicistico idillio bucolico, l’uomo si distacca da un’esistenza vissuta in funzione di sé stessi: la felicità non viene più cercata perché ne diventiamo noi stessi il germoglio. Come? Attraverso la soluzione più semplice ed ardua al contempo: le azioni.

L’eroe di questa storia sembra incrollabile, sopravvive a due guerre, sopravvive alla morte della speranza. Chi è? Una sagoma nera che appare durante una passeggiata dello scrittore in territori aridi, su in una altitudine che riflette un cielo spietato e un vento violento, che paiono essere a loro volta il prodotto di mondo umano sottostante perso nel suo sanguinoso dividersi e guerreggiare. La sagoma nera è un pastore, un uomo dalla casa ordinata, che mangia minestre profumate e si presenta ben sbarbato al cospetto della sua solitudine. Il pastore passa la serata a dividere ghiande, le scruta, sempre il silenzio. Lo scrittore è suo ospite e osserva. Il giorno dopo la morbosa curiosità di Giono gli fa seguire l’uomo: un passo dopo l’altro, un bastone appuntito, buche nel terreno e da un sacchetto umido le ghiande vanno a finire nella terra. Ma di chi è quella terra? Forse tale imponente e instancabile lavoro è per far fruttare una proprietà, per ricavarne un guadagno in denaro… no! Proprio il discorso sulla proprietà si scioglie nell’azione perpetua di un uomo che sfida il vuoto con il lavoro silenzioso. Il pastore si fa creatore. Le evocazioni bibliche si liberano degli esclusivi connotati religiosi per diventare una dimostrazione universale di quanto l’uomo possa avvicinarsi davvero a DIO, ma questa volta non solo per la potenza distruttiva.

Una storia che tiene in parallelo un uomo solo, due guerre e piccoli villaggi dove si muore presto perché si pensa solo all’ambizione di stare da un’altra parte. Vite spezzate. L’uomo buca altrettanti appezzamenti di terra ma non semina vita… sparge morte e sangue. I tratti neri delle illustrazioni si animano di colore solo per enfatizzare la sostanza e il contrasto tra le simbologie della vita e della morte.


Ph Francesca Lucidi

Pensate che un povero pastore solo possa sopravvivere? E per giunta senza l’ufficializzazione e la certificazione di un ente, di un potere. Forse qualcuno oltre lo scrittore aprirà gli occhi. Ma voi, cercate di camminare a passo lento, riscoprite il gesto, perdete l’uso della vana parola. Giono riesce a far scorrere l’acqua nelle crepe, a tingere di verde il rosso liquido della crudele ambizione umana. Ridimensionarsi per diventare assoluti, spogliarsi dell’essere degli uomini per riscoprire davvero la missione che il divino, o se preferite… la vita, ha dato alle nostre mani e ai nostri spiriti. Una lettura schietta, una lettura non adatta a chi ricerca tante parole o intrecci e orpelli. Giono è la ghianda da cui può iniziare a fiorire la varietà più grande della pace espressa nella comune presa di responsabilità del mondo intero… ma partendo sempre da un piccolo sguardo attento, da una mano che leggera si posa su ogni cosa.

“CHI AVREBBE POTUTO IMMAGINARE, NEI VILLAGGI E NELLE AMMINISTRAZIONI, UNA TALE OSTINAZIONE NELLA PIÙ MAGNIFICA GENEROSITÀ?”

 

Ph Francesca Lucidi

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martedì 12 gennaio 2021

LA RIVOLTA DEGLI SCHELETRI NELL'ARMADIO

 di

 J. R. FORBUS

Illustrazioni di Giorgio e Matteo Franzoni, Martina Gianello, Ramadan Ramadani

Progetto grafico interno e impaginazione

 di Sara Calmosi

Edito da Aliribelli Edizioni

Disponibile in formato cartaceo, ebook e audiobook

Ph Francesca Lucidi

L’AUTORE

Jason Ray Forbus non ci dice chi è ma cosa fa… e questo ci dice irrimediabilmente chi è. Forbus sogna a occhi aperti; è continuamente spinto verso l’orizzonte, anzi, verso ogni orizzonte possibile. Ama leggere, scrivere; fantasticare è una necessità, è insito nella natura dell’autore e per capirlo basta addentrarsi in uno dei suoi libri. Sì, le pubblicazioni targate “Forbus” sono tante come anche i riconoscimenti in ambito letterario.

Ph Francesca Lucidi

LA CASA EDITRICE

Parto dall’ultima pagina del libro, e iniziare dalla fine non è strano in un volume che racchiude l’assurdo, ma è un improbabile reso possibile dalla proiezione continuamente attuabile verso il nostro mondo, la nostra storia. La Mission di Aliribelli è fatta di visioni, forme editoriali multiformi, di volontà, appunto, proiettive verso luoghi meravigliosi dove poter far giungere i lettori. Una piccola casa editrice indipendente in crescita, una realtà che vuole abbracciare tutti: piccoli e grandi verso le dicotomie del reale e dell’immaginario. Aliribelli è un sogno reso tangibile da storie di libertà, diversità, voglia di esplorare ogni pertugio per poi, magari, scivolare sull’erba umida e trovarsi in una radura sconosciuta, sotto milioni di stelle.

Questa paginetta dedicata a intenti e “politica” trova perfettamente posto in un libro che parla di diritti, statuti, documenti di diritti richiesti a gran voce. Partire dall’”obiettivo sogno” vi può aiutare a sintonizzarvi su una frequenza distorta. Abituare le orecchie alle onde anomale può far ascoltare delle verità di cui abbiamo bisogno, verità che abbiamo la necessità di ricordare.


LA RIVOLTA DEGLI SCHELETRI NELL’ARMADIO

Ph Francesca Lucidi

INTRODUZIONE

Mano sul cuore:

“Giuro eterna alleanza alla Sacra Libertà, fedeltà alla Ragione e amore alla Democrazia!

La tirannia non incatenerà mai il mio spirito; lotterò con ardore, ma senza odiare; resisterò, ma senza fare ad altrui male.

Io giuro nella fratellanza universale!”

Pubblicato nel 2016, il libro in causa (beh, qui di cause ce ne saranno: legali, di quelle degne di apparire in qualche programma superseguito più per morbosa curiosità che per spirito di giustizia)… sì, il libro qui presente non è recente ma è una vera e propria bandiera per la casa editrice e l’autore. Un volume ben strutturato e lavorato nella grafica in ogni minima sfumatura di diversità e cura.

Una storia di oppressione smuove le acque, finanche quelle che ospitano il povero Nessie. No, non siamo in Scozia ma in Inghilterra, più precisamente a Wolverhampton. Una cittadina nota per i primi semafori che ora è fissa sul rosso allarme!


APRIAMO L’ARMADIO: CENNI SULLA TRAMA, ANALISI E CONSIDERAZIONI

L’economia va fatta girare, la politica è un affare anche più grosso. La crisi ha visto saltare teste e test di valutazione del mercato. Ma si sa che nel disastro c’è sempre qualcuno che prospera, strisciando di soppiatto e raccattando le ultime provviste; facendosi ossessionare non dal problema ma dalla soluzione che viene dal problema stesso. “Sir” Desrius ha una onorevole carriera di venditore di sabbia nel deserto; i suoi genitori pare siano valsi molto, come esseri umani? Beh, Desrius ha a cuore gli umani, ma solo perché sono la merce più preziosa sia per vendere sia per investire. Che idea! Un Parco degli Orrori: veri mostri soggiogati da promesse non mantenute, malpagati, sfruttati e invischiati nelle catene della speranza di una pensione dignitosa. I mostri hanno sogni, lo credevate? Dopotutto non sono tanto diversi da noi, ve ne accorgerete.

Ossogrigio sogna di fare il ballerino, il licantropo Walt cerca l’anima gemella, Frankestein è in eterna lotta con la mania di colmare il bisogno di una figura paterna… ed è un filosofo. Desrius assume chi ha sogni; pare che chi ha sogni alti non pretenda di essere pagato il giusto, e pare che chi è convito di essere diverso si accontenti di quello che gli arriva. È un meccanismo sottile e malato: irretire, ghettizzare, privare; incutere paura in modo sorridente e mellifluo. Dai al cane gli scarti, distrailo mentre ti pappi tutta la polpa. La sciocca tronfia sicurezza di chi vive senza “amore” non tiene conto di quanto i sogni non muoiano mai, anche se si è già morti: scheletri, fantasmi, zombie o vampiri. C’è il fuoco di un cucciolo di drago rosso che riuscirà a mantenere il calore dove l’amicizia e il coraggio troveranno la loro voce e la loro forza, tra continui capitomboli, sgambetti e ridicole situazioni zeppe delle stranezze di ogni “attore”. E qualcuno morirà, una seconda volta. Le streghe volano in aria, divise tra vessate e ricompensate: chi si vende guadagna un premio, chi resta fedele patisce ma ancora ha speranza…

Lo Spazio è un posto dove l’uomo ha portato la guerra e l’illusione, gli extraterrestri sono ridotti ad emigrare sulla terra. I centri di accoglienza sono un business che concilia quei due mostri veri che ho già citato: economia e politica. “La paura è un sortilegio davvero formidabile”, il diverso qui ha varie forme, sgradevoli ma autentiche: oltre ai mostri abbiamo creature di altri pianeti che vendono calzini, anche perché i soldi destinati dallo stato per il loro aiuto fa giri pindarici e chissà come mai torna in picchiata assai ridotto; ci sono animali su cui la scienza ha lasciato un marchio, il marchio della deformazione. Ogni diversità è ingigantita dalle dicerie, dal foraggiare fortemente la paura di ciò che non si conosce. Questo libro parla di ogni parte costituente una società, dal lato malsano e dal lato giusto e fiorente. I mezzi di comunicazione; i politici che puntano dita un po' qua e un po' là, perché ricordiamo il sortilegio che tutti ci tiene sopiti e rabboniti. L’unione dovrà lottare contro la divisione ben architettata dai poteri forti. Amicizia, padri e figli, ricatti e redenzioni. Per arrivare alla conclusione forse avrete il mal di testa, a me è venuto! Ma ascoltate:

“Leggete e non perdetevi d’animo se non capite. Nella vita non importa capire tutto, quel che conta è rispettare anche ciò che non si conosce (e se lo dice Frankenstein potete fidarvi).”

Un romanzo allegorico, un fantasy dai tratti gotici che cambia abito ad ogni possibile apertura di armadio. Dietro un sacco di baccano ci sono i sani valori di una comunità giusta.

“TUTTI NOI ABBIAMO IL DIRITTO DI SENTIRCI PARTE DI QUALCOSA, MESCOLARE IL NOSTRO AMORE, E DIVENIRE UN TUTT’UNO CON LE STELLE.”

Ph Francesca Lucidi

AVVERTENZE

Diciamo che il mal testa è dietro l’angolo. La grande foga nel voler dar voce alle diversità porta a una caratterizzazione esplosiva: ogni personaggio o gesto è correlato di particolari espressi senza freni. A volte questa ricchezza tende ad affaticare la lettura, che deve star dietro davvero a molteplici cose che per brevi tratti si possono avvertire come troppe. Magari al prossimo sfogo di libertà doserei leggermente di più i suddetti particolari.

BENEFICI

L’effetto ormesi è dietro l’angolo: un piccolo danno all’organismo che scatena un meccanismo stimolo-risposta positivo. Il mal di testa ci aprirà la mente verso le connotazioni che spesso ci sfuggono, verso le “droghe” innocenti che ci vengono somministrate ogni giorno dall’informazione, dalla comunicazione pubblica; dalle abitudini che ci tengono immobili tra il bisogno di sicurezza e la necessaria libertà.

Il testo si presta a una lettura didattica per i giovanissimi che vivono ogni giorno la xenofobia e il pregiudizio; il loro livello cognitivo può essere sbloccato attraverso emozioni, risate e lacrimucce. I grandi riescono a cogliere perfettamente le allegorie e i rimandi alla nostra storia reale, alla nostra storia sociale, politica ed economica: un senso di riconoscimento e rivalsa potrebbe farci finalmente camminare a due zampe!

“Invito tutti voi a riflettere su questa semplice considerazione: se il mio vicino ha di che vivere (o non-vivere) ed è soddisfatto, allora vi sono buone probabilità che non invaderà la mia casa; d’altro canto, se il mio vicino è povero e infelice, è probabile che sarà costretto al furto. La tirannide arricchisce uno per impoverirne molti; ci tiene divisi e in costante lotta gli uni contro gli altri”.

PICCOLA CHICCA: in allegato al libro una mappa molto speciale! Un bel poster per i piccoli e un elemento visuale stimolante per gli adulti “viaggiatori”.


Se desiderate acquistare il volume ( e far rivoluzione), potrete adottare LA RIVOLTA DEGLI SCHELETRI NELL'ARMADIO direttamente dal sito dell'editore cliccando QUI. Nella fase di acquisto potete inserire il mio codice sconto #15%COLLAB. 

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sabato 9 gennaio 2021

IMPRONTE

 UNA RACCOLTA POETICA 

di SIMONE CHIANI

Ph Francesca Lucidi

INFORMAZIONI SULL’AUTORE

Simone Chiani nasce a Viterbo nel 1997, si forma in campo umanistico con una laurea in Lettere moderne e applica vocazione, erudizione e passione nel suo lavoro come giornalista e scrittore. Nel 2018 pubblica la raccolta poetica Evasione, Prosimetro.

INTRODUZIONE: ATTRAVERSO LA MISSIONE DEL POETA

Edito da Ensemble, nel 2020.

“IL MONDO CHE HAI INTORNO NON VALE QUELLO CHE HAI DENTRO”

Dal sottotitolo dell’opera partiamo con un interrogativo sulla nostra visione esterna, immediatamente identificata come limitata, oscurante il mondo interiore. Ciò non deve far pensare a un rifiuto del reale; il poeta propone una riappropriazione del tutto, come? Attraverso una nuova concezione dell’elemento che maggiormente regola, ingabbia, il sentire e il vivere: il tempo. Chiani non rifiuta la relazione con il mondo, e specialmente con l’altro; è esattamente il contrario. Ciò che viene posto in discussione è il meccanismo delle nostre fisiologiche rappresentazioni del reale, così intrappolante nella corsa del tempo che fugge; che contiamo, che subiamo nel senso perenne del cammino come proiettato verso una fine, non verso un futuro che si costruisce in attimi.

La poesia è vista come il mezzo per avvicinarsi al cosmo, specialmente quello interiore. Il “sentimento poetico” viene chiamato in aiuto, per riunire un’umanità definita “dispersa” perché lontana dalla consapevolezza del sé: priva di un sano dialogo interno, anche se tumultuoso ma autentico. Convivere con il prossimo, comprenderlo, fare comunità… azioni dipendenti dall’insegnamento del sé con il sé. Partire da cerchi più piccoli, riappropriarsi da ciò che a noi pare minuzia: l’attimo.

Il tempo può non essere subito se ogni attimo dell’esistenza viene visto, riconosciuto e incarnato con potenza. Si può creare un tempo “personale”; perché la vita, come il reale, è mutevole e sfuggente. Il rapporto causa-effetto ci invischia in ricerche che si perdono perché tutto ciò che possiamo vedere al di fuori di noi è sempre diverso. L’unitarietà anelata nel livellamento delle contraddizioni è impossibile da trovare, anche solo scorgere. Anzi, le contraddizioni sono ciò che l’artista restituisce all’umanità; non per lanciar dubbio, ma per fa sì che quel dubbio diventi naturale, finanche bellezza.

L’Impronta è il simbolo di questi concetti: esse mutano, sono dipendenti dall’azione momentanea che la genera. Il calco, il passo e ciò che è calzato determina una sequela di attimi, vissuti, stasi e movimenti che sono irripetibili; ma coerenti in quella sfuggevolezza che vuole che ogni passo quasi annulli il precedente; non per cancellarlo ma per rinnovare, sempre.

Poesie, impronte e momenti di vita sono un tutt’uno per spingersi verso l’incarnazione delle proprie, uniche, verità. Il sottotitolo non sminuisce il reale ma ci fa ripartire dal nostro interno; rendendoci liberi da un punto di vista che risente delle cose che sfuggono, cambiano e muoiono al di fuori di noi.


LA STRUTTURA

IMPRONTE riprende la precedente opera, EVASIONE. Questo per riprendere la mutevolezza, per togliere i punti fermi e riaprire il flusso, lo scorrere. La presente racconta è divisa in tre sezioni: “Passo Sbadato” che in una non omogeneità, nella semplicità di una forma che riprende la scrittura automatica, vuole mimare un certo tipo di impressione sul suolo del vivere, e dell’esperienza di lettura; “Passo Spedito” dove le linee si fanno più definite e la razionalità è uno degli appoggi; “Passo Calcolato” in cui il calcolo domina ogni aspetto. In questo ultimo caso l’autore ci parla di un lavoro “dispendioso”.

I tre modi sono tre approcci, sono tre forme della poesia e altrettante incarnazioni del reale e dell’esperienza di lettura, per chi vorrà affrontare la sfida di una pacificazione con il tempo e la bolla più grande dove viviamo in tante bolle più piccole.

Chiani riprende le forme canoniche della poesia della grande tradizione: il sonetto, l’ottava… poi troviamo strutture più libere abitate da versi, però, sempre canonici.


ANALISI E CONSIDERAZIONI: CALCANDO LE IMPRONTE

Il primo “Passo” ci accoglie nella fuggevolezza e nell’intangibilità; ciò non è bloccante ma genera il muoversi dell’esistenza. Questa parte inziale  si avvia con brevità che inneggiano alla follia, all’intuizione di un momento fatto della visione di un filo d’erba. L’amore, la donna e lo stare insieme che dilata il tempo, e per un frangente pare vincerlo. Nel sentimento con la femminea insegnante, colei che ferma e dilata, ecco che il poeta si sente esistere; perché in quegli attimi vissuti intensamente… è proprio lì che l’esistenza abita. Così l’uomo si attacca alla sua donna, ma in questo primo passo si “sfoga” e rinasce in poesie a lampi, a fiammate. Il poeta si fa fenice, grazie al suo vestire il vuoto per scrollarselo con il bruciare del vivere completo. Il vuoto completa; cosa non paradossale per le filosofie che riuniscono gli opposti.

Lo sfogo del poeta, però, non deve essere un abbandono alla tempesta: questo concetto ci accoglie nella seconda parte, la quale il Chiani ci aveva spiegato come più razionale. La prima lirica “Idilliaco Momento” pare un respiro più profondo, dopo gli stralci brevi e le sferzate caustiche o sentimentali della parte iniziale della raccolta. Un incontro con la donna amata, la natura, un tutt’uno che segna un’unione dove le brutture sono solo lontane; poi arriva il pensiero cosciente tra l’estasi, giunge il distacco e tutto è ricordo.

“C’È BISOGNO DI ORIZZONTI” è, a mio avviso, uno dei momenti più alti della raccolta. Proprio perché mantiene le promesse introduttive, dove l’erudizione vuota deve lasciar spazio ad altro, nonostante una sapienza nel maneggiare i materiali della tradizione e le conoscenze sulla poesia. In realtà, in alcuni momenti, ho avvertito la pesantezza della conoscenza, della formazione tecnica del poeta; mi sono sentita distaccata dal sentimento che nella terza parte pare abbandonarmi, ma qui ci troviamo ancora nel “Passo Spedito”; godiamoci questi versi, insieme:

“C’è bisogno di orizzonti

per sapere dove andiamo,

remoti e inviolati

devon sempre rinnovarsi:

 

se conosco il traguardo

non ha senso la strada;

acquisiamo un senso

quando ci lasciamo al caso.”

Qui ho avvertito davvero il mantenimento e l’esplosione della missione del poeta; che poi sa anche affilare il suo coltello e mostrare le aberrazioni di una comunità di pecore sopite. Ma chi veglia e vede? “l’uomo d’adattamento”.

Ciò a cui siamo abituati, il far come la rondine che non si gode la primavera perché pensa all’inverno, non è l’adattamento che per noi può essere sopravvivenza:

“Smettiamo di vivere quando

in un istante non ben definito

iniziamo a pensare al dopo

lasciando alla morte tutto ciò che rimane

e precludendo l’istinto al futuro.”

Questi, tra i versi che più mi hanno fatto sentire l’impatto dell’invito a vivere a pieno. Ma il poeta non si calma, a volte vaga. Il coinvolgimento sentimentale può inciampare su termini aulici, desueti; il cammino ci introduce alla terza parte dove le fulminee comparse di un “sentimento nero”, le fiamme che sanno incendiare una città spenta; Il “come” che rivendica il suo trono usurpato dal “quando”, ci abbandonano e sento la formazione umanistica del Chiani prendere il sopravvento.

Il “Passo Calcolato” mi ha trovata persa in sonetti ben calibrati, ma forse, a mio parere, appena un po' troppo lontani dal poter coinvolgere quella società dispersa la cui capacità di attenzione non resiste neanche con la benedizione di Dante o “Giacomo”. Tra queste pagine, però, un titolo: “QUANTISTICAMENTE IMPERFETTO”; tra i versi ritrovo il senso e…

“Tutto ciò che occorre sapere

non è dato saperlo

piuttosto il conosciuto

non occorre di certo.

È così deciso: da sempre

in qualsivoglia caso

avremo l’inutile

e mancherà il necessario;”

[…]

Le stesse parole del Chiani possono dar voce a impressioni che ho avvertito nella terza parte, e hanno trovato ristoro in liriche come quella da cui vi ho estratto questi versi giusti. E non parlo di conteggi ma di coerenza tra intenti, spinte e reazioni sperate e su questo tono raggiungibili.

Al temine di IMPRONTE, il camminare porta sotto la luna; lì dove mi sento a mio agio, e dove anche il poeta pare trovare una muta risposta che riconcilia.

“giova più

folta lode d’immeritati inganni

o a te

modesto elogio di tersa realtà?”

Credo che il poeta si stia interrogando anche su di sé, sulla poesia e non solo su quell’esteriorità per la quale conoscenza e ridimensionamento ci accompagnano. Cosa risponderà la luna? Sta a voi scoprirlo, scegliendo di leggere IMPRONTE; alimentando ancora il popolo di chi vuole la poesia e rivendica l’alto sconvolgimento dell’animo in visioni intime, che però possono essere di tutti.

Ringrazio Simone Chiani per avermi gentilmente donato la sua opera.


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