martedì 17 novembre 2020

FINCHÉ IL CAFFÈ È CALDO di TOSHIKAZU KAWAGUCHI

UNA RIFLESSIONE SUL VIVERE IL PROPRIO TEMPO

Ph Francesca Lucidi

L’autore nasce nel 1971 ad Osaka, in Giappone; lavora come sceneggiatore e regista. Con il suo romanzo Finché il caffè è caldo vince il Suginami Drama Festival, ed è da ricordare che stiamo parlando di un’opera prima.

In Giappone, il romanzo diventa in breve tempo un caso editoriale vendendo oltre un milione di copie. Uscendo dai suoi confini d’origine, questa storia fantastica di storie assolutamente umane e vicine quasi a tutti conquista il resto del mondo.

CENNI SULLA TRAMA E STRUTTURA

C’era una volta, anzi molte volte in tempi diversi, un caffè centenario giapponese. Come un anziano, saggio e misterioso personaggio, questo luogo ha una sua identità, un suo carattere, delle sue regole… e si incontra con chi cerca la sua auspicale saggezza o facoltà rivelatrice. Questo perché? Il caffè permette alle persone di viaggiare nel tempo, tramite una sola sedia, seguendo rigidissime regole; il luogo ne ha viste di vite e di persone, proprio come un individuo che abbia avuto l’occasione di ascoltare e incontrare tanta gente, magari non per volontà ma perché è al mondo da molto tempo e ha la maledizione e la benedizione di un dono.

Il caffè non ha un nome, per il lettore, anche perché un nome ce l’ha ma viene celato dietro ai ricordi di alcuni personaggi che citano i versi di una canzoncina.

Tutto si svolge in presenza dentro al caffè, mentre i luoghi esterni prendono vita specialmente da rimembranze, accelerazioni e rallentamenti del tempo della storia attraverso una narrazione che sottostà alle regole come chi compie il rito del caffè. Il narratore pare empatico e freddo allo stesso tempo, questo perché la ritualità è il peso maggiore del romanzo. Alla fine, ci rendiamo conto che l’emozione e la comprensione dell’altro, dei personaggi e delle situazioni, avviene tramite i dialoghi e la nostra capacità di cogliere i vissuti presentati; se riusciamo a toglierci l’ansia del controllo e delle domande, così come devono fare i protagonisti.

L’intera storia, che comprende la possibilità di viaggiare nel tempo, seguendo un rito, sottostando a regole, riuscendo a scambiarsi di posto con un fantasma, facendosi venire la nausea dovendosi ossessionare per ogni segnale proveniente da una tazza di caffè, fa da cornice a tante altre storie che ruotano intorno a quel tavolo “magico”. È contemplata una maledizione che punisce chi non rispetta i tempi di chi occupa il posto, è assicurata la perdita del proprio essere se si indugia quando non si deve. Tutti sanno cosa può succedere in quel caffè, anche i giornali ne scrivono; in realtà, non c’è la fila per entrare… SE VAI NEL PASSATO IL PRESENTE NON CAMBIERÀ.  A questo punto pare inutile tentare, rischiare: tutti vorrebbero una facile risoluzione a rimpianti, errori del passato; altrettanti vorrebbero riuscire a dire ciò che non hanno pronunciato per milioni di motivi che sottostanno, in fine, alle leggi dell’orgoglio, dell’egoismo, e dell’eterno allenamento umano alla procrastinazione e al celamento. Parliamo sempre troppo poco e spesse volte senza dire quello che realmente pensiamo. Abbiamo paura del rifiuto e perdiamo occasioni e gioie restando nell’anticamera della nostra vita. Il vivere saggio dovrebbe essere un equilibrio dinamico tra coraggio e prudenza, tra regole e colpi di testa. In quel caffè è così che ci si ritrova ad agire, per forza di cose.

Ok, ripetiamo che il caffè è lì da più di cento anni, è piccolo e perennemente avvolto in una atmosfera color seppia; non vi sono maghi e streghe ma personaggi normali e fallibili, tra cui una cameriera poco socievole che fa da chaperon a coloro che si siedono su quella sedia. Il posto preposto per il viaggio nel tempo è occupato da un fantasma, devi aspettare che questa parvenza (in realtà fin troppo corporea) si alzi. Verrete a sapere che anche i fantasmi vanno in bagno. Bisogna avere una certa facoltà di dominio delle emozioni e della memoria: puoi incontrare solo persone entrate nel caffè, non puoi cambiare il presente, non ti puoi alzare… e devi controllare la temperatura del caffè, servito da una piccola caraffa d’argento in una tazza bianca. È stabilito che il caffè venga bevuto tutto, ma prima che si raffreddi. Cosa succede se non rispetti una delle prescrizioni? Ti verrà detto ma non vorresti sperimentarlo. La migliore delle conseguenze è l’essere riportato bruscamente nel presente: ne rimarresti con un terribile amaro in bocca anche perché avrai una certa risposta se chiederai di volerlo rifare.

Tutto sembra privo di senso. In realtà la cornice è il pretesto per arrivare al senso, il succo è disponibile per essere gustato solo dopo che siamo stati inermi spettatori di innumerevoli dolori, sfortune, tragedie, impotenti sorti.

All’inizio dovrete stare attenti a un primo magico talismano di verità, messo lì per un personaggio forse superficiale, e che al momento non credo abbia colto il peso di quelle parole… dato che tornerà.

Quasi alla fine arriva il vero carattere del narratore: saggistico, burlesco perché mascherato da semplice romanziere, filosofo; duro insegnante della verità di una vita non facile; sapiente analista della psicologia, e dei trabocchetti cognitivi dell’uomo contemporaneo così certo di sé stesso dietro un’insicurezza che non comprende la fallibilità.

L’articolo del giornale recitava così:

“In fin dei conti, che uno torni nel passato o viaggi nel futuro, il presente non cambia comunque. E allora sorge spontanea la domanda: che senso ha quella sedia?”

Che senso ha questo libro? Beh, sedia e libro una cosa la fanno… per scoprirlo dovrete aspettare che nelle ultime battute un personaggio tutto d’un pezzo si sbottoni e vi faccia comprendere una regola non scritta, che parla del vero veicolo magico del rito.

AVVERTENZE, POSOLOGIA E CONTROINDICAZIONI (fare solo una “recensione” non basta!)

Il volume si presenta in formato flessibile e confortante: colori pastello, allegri, vivaci; un’aletta che presenta una trama accattivante con elementi fiabeschi, moraleggianti, educativi e motivanti.

Ciò che si propone questa lettura è di far generare un certo tipo di pensiero costruttivo e critico sul nostro autogoverno del presente, a scapito del rimuginare sterile sul passato, gli errori, i rimpianti. Il senso di responsabilità dovrebbe generarsi già dopo il primo racconto nel racconto.

Per arrivare a sopportare l’annebbiamento dovuto alla foschia del caffè bollente dovremo sorbirci il ripetersi ossessivo delle regole, dei gesti e persino di alcune abitudini che rallentano la narrazione facendo avvertire quel sentore di smarrimento che caratterizza l’intera assunzione del libro.

Arrivare alla fine della somministrazione può provare disgusto verso il sapore del caffè per chi è abituato a berne, e nausea in chi non preferisce questo tipo di bevanda. Verranno versati inquantificabili quantità di caffè e lacrime.

Gli eccipienti scelti partono dai personaggi: Fumiko, una donna in carriera abituata al controllo talmente concentrata su sé stessa da non aver inteso la visione delle realtà e del rapporto sentimentale del suo partner; Katzu, la cameriera asociale che vive versando caffè per il rito e disegnando in solitudine a casa; Hirai, una sprezzante giovane che ha sfidato da famiglia per un egoismo che guadagnerà una punizione che cambierà tutto; Nagare, il proprietario del caffè dalla stazza imponente e la cura per ogni ingrediente acquistato per i piatti che cucina, e una vera ossessione per la miscela del caffè che non ammette repliche; la Donna in bianco, un fantasma condannato nel ripetersi dei suoi gesti perché in un determinato momento non ha saputo coordinare proprio questi; Kei, una creatura piena di saggezza del vivere a cui ci affezioneremo… e per la quale dovremo raccogliere i pezzi del nostro cuore. Al gruppo si uniscono una coppia di coniugi, Fusagi e Kotake: anche loro, come gli altri, si troveranno immersi nel dolore di una vita difficilissima e di sentimenti frantumati da un evento che cambierà tutto, o forse rischia di “cancellare” TUTTO.

Il conservante che promette di salvaguardare i protagonisti è un senso di comunità che rende il caffè una famiglia che saprà affrontare le verità, la tragedia e le responsabilità… soprattutto quelle derivanti dalle scelte.

La capsula che riesce a mantenere stabili questi instabili elementi è il Giappone, con il modus tipico di alcuni romanzi nipponici e il confronto stretto tra tradizioni ancestrali e una modernità che pare rendere tutti freddi e distaccati, fino a che non tocca tirare le fila di una vita che deve uscire dall’illusione della perfezione per confrontarsi con le luci e le ombre che la storia del mondo non smette mai di generare.

Questo percorso non è facile, se volete una lettura leggera non fa per voi; se siete sensibili e aperti avrete la straordinaria opportunità di riflettere sulla gestione del tempo, delle decisioni e, in fine, della scelta. Però soffrirete. Cercate di tenere duro e di riuscire ad andar dietro al narratore che qualche risultato lo dissemina anche prima della conclusione. Potreste non finire la lettura o magari vi ritroverete a prendere molti appunti. Di certo per un po' avrete nella testa le regole del “rito” anche mentre svuotate la lavatrice o portate a spasso il cane. Il caffè non avrà più lo stesso sapore, come anche la vita.

Se non bisogna far freddare il contenuto della tazza bianca… proviamo a generalizzare questa immagine e a capire quanto ogni istante della vita vada gustato finché è caldo, ma a piccoli sorsi.

Vi starete chiedendo se i personaggi riusciranno a farsi uscire di bocca le parole non dette, molto meno di quello che ci potremmo augurare. Il personaggio che riesce ad avere davvero uno svelamento sconvolgente è Kei: il narratore con lei ha forse perso nella coerenza di meccanismi stretti che non cambiano il presente, alla fine. In realtà ogni status dei personaggi cambierà, quasi tutti per effetto di nuove consapevolezze, solo Kei per un bonus dato arbitrariamente.

Vi voglio lasciare la vera chiave di questa lettura; della ripetizione delle regole del rito non avete tanto bisogno perché alla fine non ve le leverete più dalla testa, anche solo dopo aver letto quarta di copertina e aletta.

L’effetto auspicato passa da qui:

“Le persone non vedono le cose e non sentono le cose nella maniera oggettiva che credono. A distorcere le informazioni visive e uditive che entrano nel cervello intervengono i pensieri, le circostanze, le conoscenze, la consapevolezza e un’infinità di altri meccanismi cerebrali.”

Buona lettura! Con cautela.

 

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