mercoledì 30 dicembre 2020

LA MONGOLFIERA ARCOBALENO

 

Un originale e coraggioso albo illustrato in formato orizzontale; una “Fiaba Tao” per i piccoli… che per il Tao sono anche i piu grandi. Tutti possono godere della profondità e della conoscenza che permeano queste pagine allegre e coscienti, nate dalla penna di Kiki Blu e dai disegni di Veronica Sgrulloni.

Ph Francesca Lucidi

QUALCHE PAROLA SULL’AUTRICE

Kiki, Chiara: una donna che molto sa e tutto rispetta; una mamma; una persona che studia incessantemente e illumina i significati che condivide con gli altri grazie alle sfumature dei suoi capelli blu, e tra quelle ciocche nasconde le lauree che non la pongono mai su podio, su uno scranno. Kiki si siede a terra e parla a tutti. Condivide la sua passione per la lettura e la sua devozione per la conoscenza tramite i profili social (su Instagram mamma_bookita), e il suo blog. Il sito di Kiki non contiene solo recensioni, lei ama snocciolare riflessioni, mescolare colori e attirare avventori che da lei possono sedersi e conversare. Interviste agli autori, interventi su argomenti di ogni tipo. Chiara ha prodotto questo albo perché sa la potenza del mezzo e dell’argomento scelti. Il volume qui presentato è stato autopubblicato, ed è una scelta che apprezzo perché è indice di sicurezza, e un pizzico di libertà e urgenza di voler dire qualcosa secondo i propri tempi… e posso dire che avevamo bisogno di questa fiaba, adesso.

IN CIELO E IN TERRA, OVUNQUE E DA NESSUNA PARTE: UN VIAGGIO VERSO L’UNIONE DEL TUTTO

C’è una mongolfiera che è sempre in cammino tra cielo e terra. Cielo e terra sono due, come anche la nostra mongolfiera, che non è “una”.

Il nostro strabiliante mezzo per volare è fatto di una cesta e un pallone, uniti da corde. Ed è qui che facciamo la conoscenza di Cestina e Palloncino. Ma badate bene, il dualismo nel Tao non è mai separazione ma è unione degli opposti, è completezza che si equilibra nella diversità e nella complementarietà.

Il Taoismo è antico, è una filosofia che tra origine dalla misteriosa figura di Lao Tzu, il quale ci ha lasciato il TAO TE CHING, il testo principe di questo pensiero rivoluzionario. E pensate che Lao Tzu visse nel VI secolo a.C.: c’è chi è riuscito a cambiare il dopo partendo da prima, chi travalica il tempo perché pare esser riuscito a spiegare con parole semplici i misteri del cosmo. Molto si discusse sulla reale esistenza di Lao, e ormai si è concordi nel sostenere che il Tao sia stato scritto da più mani. La leggenda, le testimonianze e la potenza di questo pensiero lo rendono comunque stabile, perché non dice verità ma mostra semplicemente l’ovvio, ciò che è… e ci può far vedere la reale armonia che noi combattiamo sempre in nome delle nominalizzazioni, delle definizioni, delle separazioni, degli scontri e del voler questo o quello. Cestina e Palloncino sono i protagonisti di un’allegoria potente e semplice: sono due parti che si separano perché cercano cose differenti, o per lo meno credono di volere altro rispetto a ciò che hanno costituito. La mongolfiera subirà una sorte che porterà in campo il Coniglietto Tao, un roditore lettore, uno scavatore eccellente.

A questo punto devo chiedervi se scavando pensereste di trovarvi in cielo, su in cima. Questo potrete scoprirlo seguendo TAO.

Queste le parole di Lao Tze:

“Il Tao è aldilà delle parole

e al di là della comprensione.

Le parole possono essere usate per parlarne,

ma non possono contenerlo.

 

Il Tao esisteva prima delle parole e dei nomi, prima del cielo e della terra,

prima delle diecimila cose.

È il padre e la madre illimitati di tutte le cose limitate.


Quindi, per vedere, al di là dei limiti,

il sottile cuore delle cose,

liberati dei nomi,

dei concetti,

delle aspettative, delle ambizioni e delle differenze.”

La MONGOLFIERA ARCOBALENO è tutto questo, parte da una Filosofia di tolleranza, libertà, unione e flessibilità e la rende comprensibile con poche parole; con simboli di lampante significato. Le stesse illustrazioni mostrano il TAO, ci fanno vedere il cerchio che non è una forma geometrica ma il cammino di ogni cosa che esiste, o è esistita. Anche perché, ciò che cessa di essere torna alla matrice e al Tao… quindi il non essere non è mai il nulla: leggendo questo piccolo libro capiamo le funzioni delle cose, il fatto che l’essere semplicemente è e non è; la morale è un concetto che non concerne la naturalità del cosmo; il giusto non è un punto di vista ma una postura dell’animo di chi sa moderare il suo correre (in basso o in alto), perché sa che tornerà comunque al punto di partenza.

Queste le parole di Chiara:

“ALLORA TUTTO PUÒ CAPOLGERSI, L’ALTO DIVENTA BASSO E IL BASSO DIVENTA ALTO, IL BIANCO ABBAGLIANTE DEL CIELO SI FONDE CON I COLORI DELLA TERRA E DEL MARE”.

L’unione degli elementi, lo sposalizio tra lo YIN e lo YANG; questi ultimi due rispettivamente rappresentanti del Femminile e del Maschile, del freddo e del caldo, dell’immobilità e del vorticoso movimento.

Questa fiaba richiamando il Tao diventa una storia di inclusività, di amicizia nel senso più nobile del termine: rispetto delle differenze e unione consapevole di diversità. LA MONGOLFIERA ARCOBALENO è un lavoro sapiente che può introdurre i bambini a concetti semplici e importanti da cui la società allontana. Saper vedere oltre la terra volgendo gli occhi al cielo, saper anche essere radicati nel terreno, stare tra la gente e riuscire a leggere il cuore dell’altro: essere saggi non ha età, quindi sono certa che i vostri bambini avranno la pazienza di farvi crescere con questa storia (permettetemi una risatina).

A fine volume troviamo delle tavole bianche da colorare. Vi sembra una scelta dettata solo dalla volontà di intrattenere i bimbi? Beh, io ho visto il Tao anche in questo. Leggiamo ancora Lao:

“Trenta raggi si riuniscono in un centro vuoto

ma la ruota non girerebbe senza quel vuoto.

Un vaso è fatto di solida argilla,

ma è il vuoto che lo rende utile.

Per costruire una stanza, devi aprire porte e finestre;

senza quei vuoti, non sarebbe abitabile.

Dunque, per utilizzare ciò che è

devi utilizzare ciò che non è.”

Buona lettura!

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Grazie!

Ph Francesca Lucidi

 

 

domenica 27 dicembre 2020

LOIS LA STREGA, una novella che rinasce dalle ceneri brucianti dei terribili eventi di SALEM

UNA STORIA CHE RIPARTE DALLE AZIONI DELL'UMANITÀ PER GUARDARLE CON GLI OCCHI DI UNA DONNA CORAGGIOSA

ELIZABETH GASKELL RACCONTA LA VICENDA DI UNA "STREGA": LOIS BARCLAY

L’AUTRICE

Elizabeth Gaskell nasce a Londra il 29 settembre del 1810. Figlia del pastore William Stevenson, unitariano. Gli unitariani, nati in seno al Cristianesimo Protestante, rifiutano l’idea di Trinità e pongono in dubbio la divinità di Cristo e dello Spirito Santo.

Elizabeth rimane orfana a un anno di vita. A quattro anni viene adottata dalla zia materna e vive la maggior parte dell’infanzia a Knutsford Cheshire, cittadina di campagna vicino a Manchester.

L’unico fratello della Gaskell muore in mare intorno agli anni venti dell’Ottocento; anche per questa triste ragione si allentano i legami con il padre, in quale era già in cattivi rapporti con la cognata.

La famiglia adottiva è borghese e unitariana, nonché legata per parentele e matrimoni con personaggi eminenti, tra cui William Turner. Elizabeth assorbì dall’ambiente un atteggiamento liberale e tollerante; si dedica a vaste letture e inizia a nutrire sue autonome opinioni.

Nel 1832 si sposa con William Gaskell, pastore unitariano della cappella di Cross Street impegnato alacremente nelle questioni sociali. Intorno al pastore ruotano intellettuali progressisti e pastori dissidenti.

Il cambiamento di vita è considerevole per Elizabeth: Manchester si presenta come un centro in piena espansione e mostra la realtà della nuova civiltà industriale.

Nei primi anni di matrimonio, i coniugi si occupano anche dell’istruzione dei figli degli operai, bambini che spesso a loro volta lavorano nelle fabbriche. Elizabeth sente la mancanza dei paesaggi della sua infanzia ma resta affascinata dal sentore di indipendenza che pervade Manchester.

Nel 1844, muore l’unico figlio maschio William.

Il lutto affligge profondamente Elizabeth; il marito cerca di sostenerla e la convince a iniziare a scrivere per trovare sollievo e distrazione. Nel 1848 esce MARY BARTON, anonimo: un crudo affresco dell’ambiente operaio, motivo per il quale viene messo al bando da diverse librerie e biblioteche. L’attenzione da parte del pubblico, però, è grande.

Inizia anche la collaborazione con Charles Dickens, con l’uscita di OUR SOCIETY AT CRANFORD, pubblicato sulla rivista edita dallo scrittore, Household Words. Dickens convince la Gaskell a scrivere un seguito e se ne assicura la pubblicazione, insieme ad altri lavori successivi.

Un altro grande nome che si interseca alla vita di Elizabeth è quello di Charlotte Brontë, con la quale instaura una forte amicizia e scambia un nutrito epistolario. Il padre di Charlotte chiede alla Gaskell di scrivere la biografia di Charlotte. Datato 1857, il lavoro in questione guadagna un grande successo.  

Scrittrice feconda di romanzi e racconti, ha prodotto anche meravigliose storie gotiche sempre in linea con un’attenta analisi e critica sociale.

Con i proventi dei suoi lavori, la scrittrice acquista un cottage ad Alton, nell’Hampshire. Lì muore circondata dalle figlie, all’età di cinquantacinque anni, il 12 novembre 1865.


LOIS LA STREGA

Ph Francesca Lucidi

L’AMBIENTAZIONE STORICA


BREVI ACCENI AI PROCESSI DI 

SALEM

I Puritani erano i seguaci del Puritanesimo, una corrente cristiana che sosteneva, appunto, la purificazione della Chiesa d’Inghilterra da quanto non strettamente indicato nelle Sacre Scritture. E cosa ben più “pericolosa”, credevano che la Chiesa dovesse essere svincolata dal potere politico. Il tentativo di riforma fu immediatamente limitato in Inghilterra, motivo per il quale si diffuse oltre i confini spingendosi verso le colonie. Le congregazioni emigranti portarono nel Nuovo Mondo le convinzioni in una chiesa purificata, rigida e pronta a riconoscere come unico capo della comunità solo il Cristo.

Il puritano doveva seguire una vita umile ed obbediente: la lotta al peccato, insito nell’uomo, era la priorità. Le comunità riconoscevano come guida una stretta cerchia di anziani, eletti direttamente dai fedeli. La rigidità nei costumi, la paura verso il diverso identificato nell’indiano, nel pellerossa spesso associato alle attività del Maligno, creano un terreno fertile fatto di superstizione e paura.

Gli indiani si nascondevano nella boscaglia, assaltavano i coloni e, dopotutto, stavano reagendo alla perdita dei loro sacri terreni di vita e caccia. La vita era dura e l’oscurantismo risentiva degli echi di quelle strane popolazioni native, spesso mescolate ai coloni perché alcuni indiani erano tenuti in casa come servitù.

Gli inverni erano rigidi, ma l’inferno parve far divampare improvvisamente le sue fiamme tra il 1691 e il 1692. In realtà, già tra il 1647 e il 1688 furono giustiziate 17 persone.

Ma fu dal 1691 che prese il via la più estesa ondata di accuse ed esecuzioni per stregoneria del territorio del Nuovo Mondo.

Tutto iniziò da due giovani, Elizabeth Parris, la figlia del pastore Samuel Parris, e sua cugina Abigail Williams. Le due cominciarono a comportarsi in modo strano, a strisciare sotto ai mobili, a emettere strani versi… a parlare in tali maniere da far venire i brividi. La diagnosi fu chiara: possessione diabolica. Inizialmente il pastore Parris non volle diffondere la notizia e si rimise nelle mani di Dio. La paura e la superstizione, però, non conobbero quiete e si diffusero a macchia d’olio. Coincidenze, animali ammalati, bambini caduti a terra… ben presto intorno alle due giovani “sventurate” si formò un nutrito coro di possedute: tra i nomi si ricordano Ann Putnam, Betty Hubbard, Mercy Lewis, Susannah Sheldon, Mercy Short e Mary Warren. Ben presto venne fatto il primo nome: la strega era Tituba, la schiava caraibica che da anni viveva e serviva in casa dei Parris. In realtà la donna non fu mai condannata a morte; fece lunghe confessioni, parve diventare una strana “consulente” degli accusatori. Tituba in seguito fuggì e si persero le sue tracce. La stessa sorte non toccò ad altre donne accusate, torturate e giustiziate; di tutte le età ed estrazioni sociali. Ricordiamo Sara Osrborne, una povera anziana inferma; tra le accusate anche la figlia di quattro anni di un’altra “strega”, stiamo parlando di Dorothy Good, figlia di Sarah Good.

Le accuse e l’odio parvero seguire alberi genealogici, legami di parentela, confini territoriali. È chiaro come vi fossero sottese antipatie e interessi personali nella diffusione delle dita puntate verso il prossimo.

In realtà, prima di iniziare dei veri processi v’era da risolvere un problema: non c’era un Governatore dal 1689; per questo motivo i reali inglesi inviarono Sir William Phips. La corte era composta da sei membri, nominati da Phips, e dal vicegovernatore William Stoughton.

In tutto furono impiccate 19 persone, un uomo morì schiacciato da una montagna di pietre perché si rifiutava di testimoniare; 150 furono imprigionate per sospetta stregoneria e 200 persone furono accusate. I numeri non devono parer esigui dato che la popolazione del New England contava appena centomila unità.

In realtà, tutto si fermò grazie ai dubbi sul peso delle testimonianze; no, non ci fu un immediato slancio di coscienza. Alcuni dissero di aver sentito le ragazze sussurrare di nascosto di aver inventato tutto; altri addussero dubbi più religiosi, evidenziando che alcune ragazze avrebbero attirato su di loro quei sintomi perché avevano praticato divinazione prima delle visioni. La pratica della divinazione era ovviamente aspramente proibita dal puritanesimo. Alcuni membri della chiesa puritana iniziarono a criticare i processi; alla fine, in settembre, il Governatore Phips ordinò la sospensione dei processi. Furono assolti i 49 imputati dei restanti processi pendenti.


COTTON MATHER

Figlio del pastore Increase Mather, fu il più giovane studente di Harvard, entrandovi a soli dodici anni per gli studi in medicina. Si laureò ma pensò di non seguire le orme paterne per colpa di un difetto di pronuncia; un amico, però, lo riuscì a persuadere e Cotton diventò pastore del 1685. Fu collaboratore del padre nella seconda chiesa di Boston. Profondamente convinto dell’esistenza delle streghe, scrisse anche un trattato intitolato WONDERS OF THE INVISIBLE WORD; pubblicato nel 1693. Noto per aver preso parte alle vicende di Salem, in realtà non fece mai parte della giuria. Egli era interessato molto alla questione e criticava i metodi adottati dai giudici. Di vedute particolari, Cotton pareva quasi essere più “liberale” dei suoi simili: sosteneva anche che gli Indiani potessero essere sbiancati nell’animo grazie al battesimo. Fu un medico sperimentatore e sostenne e si adoperò per l’inoculazione del vaiolo. Era, però, un forte sostenitore della schiavitù. Durante i processi raccomandava la liberazione dei rei confessi, cosa che, ovviamente, non venne considerata dalla Corte. Chadwick Hansen, con il suo WITCHCRAFT OF SALEM del 1966, ha tentato una più profonda analisi ridimensionando l’aura esclusivamente negativa creatasi intorno a Mather.

Dopo i processi, però, Cotton Mather fu uno dei pochissimi che non dichiarò pentimento. Morì solo cinque anni dopo il padre. Fu vedono tre volte, ebbe quindici figli dei quali solo due gli sopravvissero.


UNA CURIOSITÀ SCELTA DA ME

Nella contemporaneità, molti sono i prodotti di fantasia che i media propinano al pubblico romanzando, rimaneggiando, o rimescolando gli eventi di Salem: dalla serie tv omonima a Le terrificanti avventure di Sabrina. Una della “Sorelle Sinistre”, personaggi di quest’ultima serie citata e a sua volta ripresa da un noto fumetto, porta il nome di “Dorcas”: per capire le origini del nome dobbiamo tornare ai processi di Salem.  Dorothy Good era la figlia di William Good e Sara Good, una delle vittime del terribile periodo di Salem. A soli quattro anni, Dorothy fu imprigionata e interrogata. La piccola sosteneva che la mamma era la sposa del diavolo, e non mancava di mordere chiunque le capitasse a tiro. Diceva anche di aver avuto in dono da sua madre un serpente… un “famiglio”, un chiaro servo delle streghe, per i giudici. Erroneamente il suo nome fu scritto come “DORCAS” dal magistrato Hathorne.

La piccola fu rilasciata sotto cauzione.


IL ROMANZO DI ELIZABETH GASKELL

 

INTRODUZIONE e UNO SGUARDO ALLA TRAMA (SENZA ANTICIPAZIONI ECCESSIVE, PROMESSO!)

L’edizione da me letta è stata pubblicata nel 2017 dalla Lit Edizioni.

“E dovete ricordarvi, voi che leggete questo racconto nel XIX secolo, che la stregoneria era, per Lois Barclay duecento anni fa, un peccato terribile.”

Pubblicato nel 1859, LOIS LA STREGA, è una novella scura e severa; accusatrice e seria; compassionevole verso i malcapitati adocchiati dal bieco e terrificato sguardo del puritano. È la storia di una giovane di diciotto anni, una fanciulla pallida e delicata, dagli occhi grigi, a quanto pare, ammaliatori… Questo piccolo libro brucia di denuncia, di una donna per le donne, e di una liberale per la libertà e i diritti dell’individuo.

Prendendo spunto dai terribili eventi occorsi a Salem alla fine del XVII secolo, Elizabeth Gaskell segue le sorti di un’orfana; non nata senza genitori ma spezzata dal dolore di aver perso ogni cosa, persino la speranza nell’amore.

 L’Inghilterra aveva le sue contraddizioni, ma pareva più lenta nel condannare le “streghe”. Una capanna nella boscaglia, un’emarginata e il suo gatto… poi le acque del fiume che diventano rosse e una profezia che urla le sue verità. Il lettore dovrà ricordare bene determinate parole, sopportare una visione macabra, triste, priva di misericordia e umanità. Queste responsabilità e moniti sono in primis, però, per la giovane Lois.

Il Nuovo Mondo attende, da un fiume all’Oceano. Un capitano burbero e giusto, silenzioso e schietto allo stesso tempo. E una lettera che si presenta come il lasciapassare di Lois verso una nuova vita, magari una nuova opportunità. Un primo accogliente approdo, delle donne che sembrano saper vivere in un modo dominato da uomini e regole scritte ovunque e propinate ad ogni occasione. Un breve stralcio di serenità, prima che due promesse lascino Lois in una casa oscura: non è il colore, non è la sola luce che mancano, è un sentore di fitto malessere, di infelicità e affetti malsani. La madre di Lois ha scritto una lettera, prima di morire: suo fratello deve accogliere la nipote. Alla fine, le uniche compagnie che avrà Lois saranno una zia, Grace Hickson… talmente pia che “il devoto signor Cotton Mather ha detto che persino lui ha da imparare da me”; la cugina Faith, verso la quale inizierà a provare una cieca devozione; la cuginetta Prudence, pestifera, innamorata del pettegolezzo e della zizzania; il cugino Manasseh, cacciatore impavido sempre chino su un grande libro, sgradevole di aspetto non per voler essere superficiali… ma a voler ben interpretare due occhi neri nel guardare e insistenti nel seguire Lois. Resta un’indiana, Nattee: serva fedele e particolarmente legata a Faith, tra confidenze all’ombra del focolare e alla luce di pentole in ebollizione di segreti e parole che echeggiano in lingue che non possiamo comprendere.

“E quanta era grande la misericordia umana a quel tempo? Ben poco, e Lois lo sapeva. L’ istinto, più che la ragione, le aveva insegnato che il panico era vigliaccheria, e la vigliaccheria genera crudeltà.”

Posso aggiungere che il Maligno ha la faccia di chi invidia, la lingua della bugia; il peccato originale non è il solo neo sulla carne della gente ma vi svettano scuri l’individualissima propensione al possesso, il desiderio di essere importanti, visti… di avere occhi solo per sé. Tradimenti, crudeltà gratuita, visioni e insistenze che ti spingono all’angolo nelle notti invernali dove il sole pare aver voltato le spalle a Salem per una personale volontà. Una disamina puntuale di Elizabeth Gaskell, che parte dalla storia, presa in prestito con uno scopo lampante e dichiarato, e s’incammina sotto il mantello di una innocente creatura. Occhi grigi nell’ombra, convulsioni, l’ingenuità di un racconto dettato dalla voglia di sentir ancora quello scialle invisibile che è la famiglia; “STREGA!”, “STREGA!”. La colpa della fiducia, il peccato della bellezza e della solitudine.

Vorrete sapere se quelle due promesse torneranno alla porta di Lois… Vedo rovi, sento il sapore di pane sporco e duro.

Una novella eccellente d’onore, coraggio e devozione. Non pensate alla religiosità quanto alla devozione per giustizia, fratellanza, e bontà d’azione.


ANALISI E OSSERVAZIONI

Elizabeth Gaskell prende in mano un evento storico, luttuoso, vergognoso; lo prende in una presa forte, legittima le sue parole con note che rimandano ad eventi storici e versetti biblici. Assume i punti di vista esterni di chi vuole parlare ai contemporanei facendo conoscere una realtà che pare, già allora, sconcertante; lo fa assumendo la postura puritana per metterne in luce i succhi putrescenti; lo fa indossando i panni di un’orfana che rievoca suoi dolori antichi. Gli eventi di Salem vengono ripresi cambiando qualche nome ma mantenendo le mura umide delle prigioni, l’ombra della forca che imperversa sul capo di accusati e accusatori, e avvicinando un lume a personaggi realmente esistiti che non devono essere dimenticati, come Cotton Mather.

Negli anni si sono susseguite scuse, remore… o affermazioni ancor più forti di legittima difesa del gregge del Signore. Qui sì, si ragiona anche sul perdono, sulle scelte e su ciò che una mente e un cuore possono provocare: morte, cura, oppressione o follia. Elizabeth Gaskell parla coraggiosamente, quando le donne cercavano di mostrare figure femminili che nell’umiltà della loro condizione riuscivano a proferir gentili sentenze, fedeli ai propri ideali e sprezzanti dell’ignoranza e la pochezza altrui. Il legame dell’autrice con Charlotte Brontë mi fa tornare alla mente alcune frasi proferite da Jane, protagonista del capolavoro di Charlotte JANE EYRE: parole dure, che paiono uscire da un corpo gelido e da uno spirito inflessibile; quando invece il dolore e la solitudine si stanno solo mantenendo vive sulle gambe solide della rettitudine vera, quella nata da un cuore puro e fedele, non legato ai precetti altrui ma agli universali valori del bene e del giusto.

LOIS LA STREGA è una breve lettura indimenticabile, almeno per me. Una mano sulla coscienza, un libro aperto sul passato e uno sforzo di pensiero e azione proiettati al futuro.

Buona lettura!

 

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martedì 22 dicembre 2020

LA NOTTE PRIMA DI NATALE

 UN RACCONTO GROTTESCO, GENIALE; 

TRA I FUMI DELLA FIABA POPOLARE  E LE STRETTE DI UNA SAPIENTE CRITICA SOCIALE

... alla maniera di 

NIKOLAJ GOGOL

Ph Francesca Lucidi

INTRODUZIONE

Pubblicato per la prima volta dalla Garzanti nel 2019, ci troviamo di fronte a un volume piccolissimo, potrebbe essere un diario, un quadernetto di appunti, un libro di preghiere: tre immagini che possono avere a che fare con la storia che andreste a leggere. Curato da Paolo Nori e introdotto dallo stesso con “Sette piccole cose sulla «Notte di prima di Natale»”, che ne contestualizzano la fortuna critica, aprono un breve sguardo alla tormentata natura di Gogol, e citano una condanna a morte assai illustre che passa per la lettera di un critico e finisce con una grazia… ma quest’ultima informazione dovremo andarcela a cercare da soli; devo dirvi che si cita Dostoevskij, siamo chiari.

LA NOTTE PRIMA DI NATALE

PREPARETE IL BICCHIERE… TUTTA D’UN FIATO: CENNI SULLA TRANA, ANALISI E RIFLESSIONI

Nel reparto manoscritti della Biblioteca Lenin di Mosca, al numero 3231 dell’inventario, c’è un quaderno che contiene questo racconto, ed altri: il quaderno era di Nikolaj Gogol. La carriera del Nostro inizia male, con l’autopubblicazione di IDILLIO IN QUADRI; un po' ignorato e fortemente criticato ecco che il lavoro finisce, in tutte le sue copie, tra le fiamme. Gogol e il suo servo fanno un falò, così come accadrà con il secondo volume di AMINE MORTE, poco prima della dipartita dello scrittore. Fuoco e tormenti religiosi in un animo che è riuscito a portare il realismo ad un livello in cui il riso è funzionale, in cui il grottesco sa essere poetico; per dirlo con le parole Nabokov: “Dà la sensazione di qualcosa di ridicolo e stellare allo stesso tempo”. Gogol, indicato come precursore del realismo magico, scrive NOTTE PRIMA DI NATALE tra la fine del 1831 e l’inizio del 1832, e sarebbe stato il primo racconto del secondo volume del libro LE VEGLIE ALLA FATTORIA VICINO A DIKAN’KA; questo libro incanta la critica e Puskin di cui tratteggia “l’allegria ingenua e furba al tempo stesso”. Se pare che i tipografi si torcessero dalle risate mentre lavoravano a quelle pagine così “stellari”, posso affermare che lo stesso potrà capitare a voi lettori; il tutto verrà però circondato da magia bianca, canti, odori di cibo che vi faranno venire l’acquolina. Attenti al cielo, che pare molto più abitato di quel che potremmo pensare: streghe, scope che rincorrono le padrone, diavoli seduti sotto la luna, maghi e un diavolo che, però, scende sulla terra. Prima di Natale il male pare in subbuglio, per una grande tragedia? Beh, non direi, anche se la luna se la vedrà brutta e “stretta”, e qualche amante scoprirà che un sacco sarà il giaciglio a cui l’adulterio alla fine lo spingerà. Ah, Solocha e la sua bellezza, che in realtà è solo maestria: ma dove mai avrà preso questi incanti da propinare agli uomini?

C’è da dire che Solocha ha un figlio, il fabbro Vakula, che è anche un bravissimo pittore e un devotissimo fedele; l’amore lo terrà alle strette. In una notte dove si cantano le koljadki, e i ragazzi girano per le case agghindati e festosi, e raccolgono pasticci di carne o pane e salame; le slitte sono adornate e pronte a partire, in particolare qualcuno deve raggiungere la casa del diacono: lì si promettono bevute che hanno il sapore di mele secche, miele, prugne… ma altri hanno intenti diversi. La vendetta porterà un diavolo a cercar rivincita per un impietoso ritratto che lo presenta alla gente ridicolmente riempito di botte.

Un fabbro, una bellissima dama civettuola, un padre che qualcuno vuole allontanare, altri far fare dietro front; un diavolo brutto, piccolo e nero. Ah, le pene d’amore e le pene dell’orgoglio: diavolo e uomini sono accumunati da un bel po' di guai, in una notte che promette una commedia grottesca che mette in scena le miserie umane universalizzandole da nomi propri che potrebbero essere qualsiasi nome.

E se forse la luce nella tormenta potrebbe tornare… due scarpette luccicanti saranno il brillare più grande, il prodigio di vita e amore, forse. Un viaggio dall’Ucraina a Pietroburgo, a cavallo di una domata bestia assai improbabile. Magistrale critica della società e delle debolezze, con all’interno elementi autobiografici come la divisione d’animo tra fervore religioso e personali aspirazioni.

Una cosa è certa: fate attenzione ai vostri sacchi, alle vostre mogli e ai vostri mariti… per motivi molto diversi!

ULTIME CONSIDERAZIONI

Leggendo questo racconto abbiamo la possibilità di camminare tra la neve con una resistenza mai avuta prima, se gli abitanti di questa città ucraina sono assai abituati, la narrazione di Gogol ha la capacità di farci entrare nella vicenda con tutte le scarpe, nella neve ovviamente. I canti e le luci sono inebrianti, l’allegria permea le descrizioni; i vizi umani ci paiono anche più sopportabili perché c’è il sapore della fiaba popolare che coccola il lettore. Ricordiamoci che i russi fanno sempre le cose con una certa serietà: guardate bene a personaggi e dialoghi. Nel racconto troviamo i cosacchi, la comunità nomade militare che aveva in sé un sangue ricco e fiero, e i capelli neri della bella Oksana sembrano rievocare origine lontane.

Un discorso fatto, nientemeno, che alla Zarina snocciolerà questioni che nel tempo saranno cruciali per le sorti dei cosacchi.

Storia e folklore ci portano a spasso assieme alla narrazione di una religiosità popolare fatta di superstizione, rigore e peccato. Vi devo ripetere di guardare il cielo, ma sappiate che tra la gente si sa chi può vederle o no (le streghe); guai a discutere! E se l’amore puro di Vakula è il motore di tanti percorsi, ripensamenti e di una notte insonne… l’istituzione matrimoniale è resa anche nel suo svilupparsi tra infelicità, cattiverie e infedeltà: sacramento obbligato, e a volte mantenuto per  ridurlo a una scodella, una volta piena di gnocchi fumanti, oramai vuota.

Le pietanze descritte ci appanneranno lo sguardo con un fumo caldo e delizioso; i personaggi improbabili sono un bel po', ognuno con qualcosa di magico, ridicolo ma atto a stimolare riflessioni illuminanti. Vi pare possibile andare a chiedere un “miracolo” a chi, si dice, parli con il diavolo?

QUALCHE CITAZIONE, veloce, presto!

“Ma quando mai l’avrebbero smessa, con la vanità? Si può scommettere che a molti sembrerà stupefacente vedere il diavolo che si comporta nello stesso modo. Ma la cosa più spiacevole è il fatto che lui, davvero, credeva di essere bello, mentre a guardarlo veniva vergogna.”

˜

“Che meraviglia, il brillar della luna! È difficile raccontare come sia bello, in una notte del genere, stare con una compagnia di fanciulle che cantano e di ragazzi pronti a tutti gli scherzi e a qualsiasi trovata che solo una notte allegra può suggerire. Si sta caldi, nel cappotto imbottito, per il gelo le guance brillano ancora di più, e è il maligno in persona, da dietro, che ti spinge a fare il monello.”

˜

“Com’è possibile che un pensiero, contro la tua volontà, ti si ficchi in testa?”

˜

“Signorello, nel secchiello,

Che ci metta un bel tortello,

Un pugnetto di pappina,

Di salame una fettina!”

˜

“Non deve andare molto lontano, chi il diavolo ce l’ha in spalla”.


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sabato 19 dicembre 2020

LA VERA STORIA DI BABBO NATALE

 PERCHÉ NON DICIAMO LA VERITÀ AI BAMBINI? 

UN SAGGIO SU BABBO NATALE E NON SOLO...

di Alfio Maggiolini e Michele Maggiolini

GLI AUTORI

Alfio Maggiolini si occupa di Psicologia del ciclo di vita presso la facoltà di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca. Michele Maggiolini ha conseguito un master in Antropologia culturale presso la School of Oriental ad African Studies di Londra.

INTRODUZIONE

Ph Francesca Lucidi

Un saggio pubblicato per la prima volta nel 2011 dalla Raffaello Cortina Editore. Un’analisi storica, psicologica, sociale e antropologica della festa più celebrata, amata e odiata dei nostri tempi: Il Natale. Non solo, quale è il simbolo che più rappresenta questa ricorrenza? Sicuramente, tra addobbi, marketing, film, canzoni e semplici disegni creati dai bambini, è raro non incappare costantemente nella figura di Babbo Natale. Il panciuto uomo magico che vive al Nord, con vari indirizzi secondo quanto scopriremo, che elargisce doni ai bimbi buoni, anche se non c’è monello che non riceva il suo pacchetto la mattina di Natale. Le renne, la slitta, la divisa rossa ornata di pelliccia; i bambini credono in questa figura mitica molto più che ad altre, gli adulti sono i detentori del segreto, il mondo economico protegge questo simbolo, i detrattori hanno tentato crociate rocambolesche contro di esso. Ma come è nato Babbo Natale? Perché pare incrollabile il suo significato? E perché sembra necessario portare avanti questa piccola bugia nei confronti dei bambini? A proposito… come si scopre che Babbo Natale non esiste? E quest’ultima eventualità può ritenersi vera?

Freud, Levi Strauss, Il cinema come “casa” reale di Babbo Natale; Charles Dickens che ha davvero inventato il Natale. Scrooge e la generosità, la tradizione del POTLACH degli indiani Kwakiutl. L’età vittoriana che ancora torna a far parlare di sé perché è lì che il Natale come noi lo conosciamo è nato e si è sviluppato grazie alla letteratura d’intrattenimento, e dalle mani di qualche illustratore; il tutto di pari passo con l’ascesa di Babbo Natale. Casse di Risparmio nate in Inghilterra per permettere ai poveri di guadagnarsi un’oca per Natale; la Trinità fatta di FAMIGLIA, INFANZIA e CARITÀ: ogni cosa è nata dall’immaginazione per divenire storia, società, consuetudini economiche e politiche. Partendo dal culto di Saturno, dal carro solare di Mitra… un viaggio attraverso i misteri della Festa più celebrata al mondo, aldilà delle differenze religiose. E potevate, un tempo, essere RE PER UN GIORNO, e se il Sole aveva bisogno dei nostri eccessi per risorgere e nutrire i campi… un MIRACOLO SULLA 34° STRADA, pochi decenni fa, ci ha passato una banconota con una scritta legittimante ciò in cui molti bambini credono, fermamente. Sappiate che a sette anni i vostri figli e nipoti iniziano a cambiare, cognitivamente percepiscono diversamente il comportamento dei genitori; i fatti per loro non sono più oggetti ma iniziano a descrivere dinamiche tra soggetti; veniamo guardati diversamente da loro, e quasi sicuramente non dobbiamo neanche preoccuparci di dire se Babbo Natale esiste o meno. La società si basa su credenze condivise, questo è l’insegnamento principe di questo simbolo come di altri; ciò che lo rende utile, legittimo. E se i nativi digitali sembrano andar meno alla ricerca della verità, proteggere un sogno o la magia è donare al bambino la padronanza del rapporto causa- effetto: loro sanno distinguere tra verità e finzione, basti guardare all’approccio realistico che hanno nella costruzione fantastica.

Essere portatori di una credenza aiuta a comprende come essa funzioni. Qui non ci interroghiamo sulla credenza nella magia ma sulla MAGIA DELLA CREDENZA.

Questo saggio inganna da una copertina assai confortante, ma dopotutto, qui, chi parla e scandaglia crede e difende. A proposito, la leggenda metropolitana sulla Coca Cola è una verità dimostrabile. Se nel 1931 Babbo Natale vestì l’abito rosso, ma i bambini non potevano essere mostrati mentre bevevano la bevanda; sappiate che le date da appuntare sono molte. Babbo Natale è nato nel 1822 da qualcuno che si non è neanche voluto firmare e stava, dopotutto, solo giocando (THE NIGHT BEFORE CHRISTMAS, so che tutti voi ricordate un titolo simile ma assai diverso); il mito della nascita della Città di New York rivendica un San Nicola portatore di doni. Sì, Babbo Natale è americano. Le riflessioni e le profonde conoscenze che si apprendono dalla lettura di questo saggio riguardano tutti noi.

IL NATALE

SIGNIFICATI, ORIGINI E MITO

Il Natale ha manifestato una straordinaria capacità di sopravvivenza e trasformazione; nei secoli ha mutato la sua pelle ed è riuscito ad inserirsi quasi in tutto il mondo andando oltre le barriere religiose. Stessa fortunata sorte è toccata a Babbo Natale.

Se guardiamo ad oggi, questa festività mantiene il forte, presunto, senso della famiglia che parrebbe essere il valore principale. La nuova società si basa sulla costante rivendicazione della libertà e dell’uguaglianza. Diversi studi hanno identificato “scontri di civiltà” i conflitti contemporanei, che non sarebbero strettamente legati a dinamiche religiose ma al centro ci sarebbe l’individuo, lo scontro tra culture. L’autodeterminazione dell’individuo ha fatto cadere dogmi e limiti, l’alfabetizzazione ha contribuito a consapevolezze rinnovate.

La famiglia di oggi è molto diversa dalla famiglia di duecento anni fa: lo svincolamento intergenerazionale, l’uguaglianza nei diritti di successione hanno svestito la famiglia della rigida immagine “istituzionale”. La famiglia è divenuto un nucleo affettivo. Alcuni legami sono certamente diventati più complicati, ma non si smette di correre per cercare di riunire i membri oltrepassando le difficoltà legate a divorzi, lontananze, quotidianità che ha ristretto l’abitazione a pochi elementi coabitanti, a differenza di un tempo in cui la famiglia, le mura e le regole di vita erano prodotti e sostanze interdipendenti e co-reagenti.

Il Natale celebra la nascita, non sto parlando del Bambino Gesù: è il tempo di tornare indietro nel tempo, agli albori, anzi, al momento dell’inverno con il suo sonno e le sue giornate scure.

Le Feste d’Inverno celebravano la luce, il Solstizio d’Inverno del 21 dicembre era circondato da festeggiamenti e riti atti a facilitare il ciclo delle stagioni, il ritorno della fecondità, della vita dei campi come di quella generale dell’uomo. In senso generale, il Natale è sempre stato un passaggio dal vecchio al nuovo, una trasmissione di vita e valori simboleggiata dal “dono”.

Per il Calendario Giuliano, elaborato da un astronomo greco e promulgato da Giulio Cesare nel 46 a.C., il 25 dicembre era il giorno più corto dell’anno. Nel IV sec. d.C., la revisione del calendario da parte della Chiesa spostò l’equinozio al 21 dicembre, dissociandolo dal Natale.

Nell’Antica Roma si celebravano i Saturnali, la nascita del “Sole Invitto”, dal 17 dicembre al 25. La Festa continuava con i Sigillaria, dove i genitori elargivano doni ai propri figli, come statuette simili a quelle votive. Il tutto terminava il 9 gennaio con le Agonalia.

Dobbiamo tener presenti due culti diffusi a Roma, e importanti per le simbologie che stiamo chiamando in causa, quelli di Saturno e di Mitra.  

Il culto di Mitra, diffuso soprattutto tra i soldati dell’Impero, fu reso ufficiale sotto Aureliano (270-275 d.C.).

Mitra era un eroe nato dalla roccia il 25 dicembre, e l’uccisione propiziatoria di un toro per il Sole rendeva possibile la rinascita dei campi. Dopo la vittoria, Mitra si allontanava su un carro solare. Vi ricorda qualcuno?

Il NATALE ROMANO era una festa degli eccessi. Le celebrazioni in onore di Saturno comprendevano lo scambio di doni, la decorazione dell’abitazione con sempreverdi; il gioco della Tombola, prediletto di Saturno. Spendere era un’attività promossa e perpetrata, l’abbondanza era la parola d’ordine, insieme al godimento. Non mancava l’elemento comune a molte festività antiche: il sovvertimento dell’ordine sociale; infatti, durante i Saturnali veniva eletto persino un Rex Saturnaliorum.

Nel MEDIOEVO, il 6 dicembre gli studenti erano soliti eleggere l’Episcopus Puerorum: finto vescovo che sedeva in cattedra fino al 28 di dicembre. I bambini non ricevevano doni ma facevano questue casa per casa, eventualità che ricorda più la festività di Ognissanti, o meglio la modernissima Halloween. Gli Episcopus furono vietati dal Concilio di Basilea (1431-1445).

Gli eccessi legati al Natale infastidirono le istituzioni attraverso i secoli. Nel 1647 il Parlamento Inglese eliminò il Natale dal Calendario delle “feste comandate”; nel 1659, i Puritani del Massachussets imposero addirittura una sanzione pecuniaria per chi festeggiasse il Natale.

Ph Francesca Lucidi

LA NASCITA UFFICCIALE DEL NATALE E L’EVOLUZIONE DELLA FESTIVITÀ COME NOI LA CONOSCIAMO

La Chiesa ha iniziato a celebrare la nascita di Gesù tra il 325 e il 354 d.C., dopo il Concilio di Nicea.

Il Concilio, presieduto da Costantino, annoverava tra i vescovi un certo San Nicola. Il tema portante fu la chiarificazione circa la natura consustanziale di Padre e Figlio, quest’ultimo di natura, da quel momento, indiscutibilmente divina.

La Chiesa d’Oriente festeggiava nascita e battesimo di Gesù il 6 gennaio. San Crisostomo, nel 386, invitò i fedeli a festeggiare la Natività il 25 di dicembre, celebrazione che divenne così regolata, e seguita via via lungo il IV secolo. La scelta della data si lega immediatamente alla volontà di sostituirsi al culto delle divinità solari. Il vescovo di Milano, Sant’Ambrogio, durante una predica di Natale disse: “Cristo è il nuovo sole!”; ciò sta a manifestare il lento insinuarsi della Chiesa tra i cuori e le menti dei fedeli per scardinare i residui del paganesimo.

Ma la vera FESTA DI NATALE, come la pensiamo, viviamo e celebriamo oggi, sboccia nella seconda metà del XIX secolo; vediamo perché.

IL NATALE COME TRINITÀ FORMATA DA FAMIGLIA, INFANZIA E CARITÀ

Secondo una ricerca del Times, tra il 1790 e il 1836, in vent’anni non si parla del Natale. Dalla metà dell’Ottocento diventa, invece, la festa più importante. Ma cosa ha contribuito a questa esplosione? Una nota recente pellicola parla di Charles Dickens come dell’uomo che ha inventato il Natale; tramite questo saggio possiamo assolutamente affermare che ciò abbia una verità incontrovertibile.

Nel 1843 esce il racconto di Dickens UN CANTO DI NATALE, ed ecco che l’arcigno e taccagno protagonista della storia, Scrooge, rinnova il significato del Natale moderno: divinità della famiglia, contrapposizione all’accumulo per la generosità; carità e senso del festeggiamento come una possibilità che deve essere per tutti. Dalla nota novella ne nacquero altre da penne diverse, di grande successo e di valore non sempre eccelso; ciò che conta è che questa ventata di nuovi valori si permeò profondamente nella società inglese fino a determinare delle vere proprie modifiche a livello politico ed economico. Vennero istituiti i GOOSE CLUBS, delle casse di risparmio che aprivano a settembre, e che consentivano anche ai più umili, in cambio di un contributo di due o tre pence al mese, di procurarsi un’oca per Natale.

Il fatto che Dickens lasciò la moglie per un’attrice di diciotto anni non scalfì il nuovo dogma natalizio fatto di famiglia, affetti e unione.

Nella figura di Scrooge si ritrovano gli antichi echi dell’inversione sociale, della condivisione della mensa tra le varie classi sociali: un’occorrenza che oggi possiamo ritrovare nelle varie cene aziendali organizzate a puntino durante le festività natalizie.

E l’ALBERO DI NATALE, anch’esso si fece spazio nelle illustrazioni di età vittoriana, dove fanciulle, famiglie, e bambini vestiti di pigiamini allegri campeggiavano davanti ad abeti, candele e ghirlande. Le origini di questo simbolo spingono lo sguardo molto all’indietro, nel 1600 in Germania. L’albero era, in realtà, una rappresentazione di quello dell’Eden; nel XIX secolo qualche strascico rimase e non era raro scorgere immagini di Adamo ed Eva intorno o sotto l’abete. Il presepe è assolutamente meno famoso, più italiano e più legato alla religiosità della festa: “inventato” nel 1223 da San Francesco, oggi è un segno che spesso indica un nucleo familiare più devoto, ed è spesso legato all’affettività di una fetta di popolazione meno giovane.

I REGALI DI NATALE

La capacità distributiva di Babbo Natale pare la perfetta metafora della civiltà industriale, ma non dobbiamo pensare al mero consumismo perché molto si è fatto per mutare l’essenza del “miracolo” in qualcosa che a Natale cambia consuetudini e meccanismi economici in funzione di un sentimento di cui la società ha bisogno.

Se i primi doni erano fatti a mano, e se il personaggio Dickensiano di Scrooge chiama a non accumulare ma a donare… finanche sperperare il superfluo; ecco che i centri commerciali hanno assunto un ruolo fondamentale nella magia e nel valore godereccio ma anche altruista del Natale.

Abbiamo già citato la pellicola MIRACOLO SULLA 34° STRADA, ora parliamo di MACY’S, il centro commerciale dove è ambientata la storia, venuta alla luce con la prima pellicola cinematografica del 1947. Se un uomo è diventato il Babbo Natale del centro, e dichiara di essere davvero quel magico uomo barbuto, il fatto saliente sta nel fatto che il protagonista va incontro ai desideri dei bambini anche consigliando luoghi più economici dove trovare un determinato dono. La cosa fa infuriare i piani alti, ma inaspettatamente l’atteggiamento anti-aziendale di Babbo Natale fa impennare la popolarità e gli introiti di Macy’s: nasce così il “consumismo sentimentale”, ossia il mercato che pur di difendere il diritto al dono si fa magnanimo verso la concorrenza e si propone come onesto, generoso e vicino ai meno abbienti.

Nel 1874, proprio da Macy’s fu allestita la prima vetrina a tema natalizio, quindi la scelta dei creatori del film non è stata per nulla casuale. Dovremo aspettare il 1888 perché un negozio di Brockton, nel Massachussetts, paghi un uomo per impersonare Babbo Natale.

Il rito dello scambio dei regali è fondante per la società e la dinamica dell’evoluzione, il mantenimento e la salute dei rapporti. C’è una specie di codice non scritto che ad esempio ci impone di non fare ai nipoti un regalo “più bello” rispetto a quello pensato e donato ai propri figli. Si pensa da mesi prima come poter regalare sorpresa e sorrisi a una persona cara, vicina.

Claude Levi Strauss paragona il rito dei regali al POTLACH, studiato da Boas presso gli indiani Kwakiutl del Nord-Ovest Americano. Tramite questa ricorrenza, dove ci si scambiano doni, si manifesta il prestigio del proprio nucleo familiare e si rafforzano i legami sociali; non è contemplato il non partecipare se si vuole continuare ad avere un ruolo nella comunità. Per i bambini è differente: dobbiamo sempre ricordare il senso di valorizzazione ed eredità. I bambini sono l’ultimo baluardo di quella celebrazione della nuova stagione a cui pensavano e speravano i nostri antenati.

Non in tutti i luoghi i regali e lo spendere sono collegati al rapporto con l’altro. In GIAPPONE il Natale arrivò con i missionari nel XVI secolo. I Giapponesi, durante le festività natalizie, si regalano trattamenti di bellezza, soggiorni alle terme… e qui pare di rivedere l’edonismo delle civiltà romane. Sono molto diffusi anche i viaggi nei grandi parchi divertimento: probabilmente non si pensa molto all’investire sui bambini quanto al coccolare il bambino interiore. Anche questo può avere una sua sacra legittimità.

BABBO NATALE

Personificazione della Festa, Onnipotente e Onnipresente, uomo dalle molteplici residenze contese tra la Finlandia, Il Canada e luoghi “X” a cui altri stati fanno in teoria giungere le letterine (tutte le specifiche le troverete nel saggio, di cui sono ben lontana dal poter fare un riassunto, e questa non è la mia volontà); Babbo Natale vince sempre. Se al cinema viene sempre umiliato chi tenta di smascherarlo, nella realtà non accade nulla di diverso: recentemente, in Francia uno spot ha dichiarato la non esistenza di Babbo Natale, una vera e propria sollevazione popolare ha fatto rimuovere la pubblicità. Anche nel nostro paese non sono mancati attacchi e ostracismi, non vi dico chi e dove perché verrei meno alla sacra curiosità del lettore che deve andarsi a cercare queste gustose informazioni tra le pagine del saggio.

Babbo Natale ha una data di nascita: il 1822. Clement Clark Moore, pastore luterano e professore di teologia e letteratura greca, scrive THE NIGHT BEFORE CHRISTMAS (vi ricorda qualcosa?), titolo derivato dal primo verso del raccontino. Scritto a scopo privato per intrattenere la propria famiglia, il componimento, nato con il titolo A VISIT FROM SAINT NICHOLAS, l’anno seguente viene pubblicato da un amico del pastore sul Sentinel, un giornale di Troy, nello stato di New York. Il successo fu enorme, ma la paternità fu rivendicata da Moore solo quindici anni più tardi. Proprio da questo racconto nacque il mito del camino, della slitta, persino i nomi delle renne.

Ph Francesca Lucidi

L’ispirazione per THE NIGHT BEFORE CHRISTMAS viene da un racconto di Washington Irving: KNICKERBOCKER’S HYSTORI OF NEW YORK, datato 1812.

Irving richiama una leggenda: si racconta che nel 1626, una nave olandese diretta verso gli odierni Stati Uniti, portasse sulla polena la figura di San Nicola. Una tempesta iniziò i suoi tumulti; San Nicola andò in sogno a un marinaio e gli disse che se avessero fondato una città ogni anno sarebbe tornato portando dei doni ai bambini. Nacque così New Amsterdam, chiamata successivamente New York.

L’intento di Irving era prettamente politico: egli faceva parte dei KNICKERBOCKER’S, un’unione di scrittori e storici di New York che si prodigavano per costruire una cultura americana in contrapposizione all’ingerenza inglese.

Il racconto ha in sé i valori americani del viaggio, e della “conquista”.

Sapete che un tempo Babbo Natale fumava la pipa? Beh, oggi è difficile vederlo fumare. L’ultima apparizione di questo vizio risale al 1863, su una illustrazione di Thomas Nast per la celebre rivista Harper’s Weekly. Babbo Natale compare sul campo di battaglia, avvolto nella bandiera a stelle regala doni ai soldati. Ha la pancia, ma più che grasso pare simboleggiare una gravidanza; si scorge anche una bambola. Probabilmente il messaggio è chiaro e rivolto alla nascita di una nuova “creatura”.

L’abito rosso, la pelliccia e il viso da vecchio-neonato: da dove sono usciti fuori? Il merito è della Coca Cola, e del suo grafico Haddon Sundblom. La ricetta della bevanda all’epoca era stata già cambiata, ma era noto che in precedenza contenesse foglie di coca. Non era consueto e permesso mostrare i bambini che bevevano la Coca Cola, e allora come fare un boom di attenzioni senza contravvenire alla buona creanza? Sundblom pensò di mostrare dei bimbi che passavano la bibita nientemeno che a Babbo Natale. Il grafico prese le fattezze del suo personaggio da un amico, e così nacque il barbuto e allegro figuro che tutti conosciamo.

Il saggio disquisisce su molte altre leggende popolari come i Magi, la Befana, le creature del Folklore nordico; viene anche citato Father Christmas, che appariva più come uno spirito della festa che come l’odierno Babbo Natale. Se leggiamo Un canto di Natale di Charles Dickens possiamo riscontrare molti particolari di vestiari e accessori nelle simbologie dei suoi “spiriti del Natale”.

Nel corso del tempo la voce e la magia sono passati di bocca in bocca, di società in società, ma resta la finzione e la sua indiscussa legittimità.

Il saggio ci aiuta con la psicologia e l’osservazione, e la spiegazione dell’evoluzione dei bambini. Sicuramente lo scopo della finzione è far toccare loro la funzione di quest’ultima nella società umana, che non potrebbe vivere se non si basasse su credenze condivise da adulti e bambini.

Si inneggia alla crisi moderna della funzione paterna; Babbo Natale diviene l’interiorizzazione di un padre che sostiene i desideri. Il padre non deve smorzare il desiderio per promuovere l’autonomia di un figlio. Le funzioni iniziatiche richiamate dagli studi sul folklore vengono oggi assunte dall’individuo.

I bambini imparano le credenze, crescono e modificano il loro modo di indagare e percepire il comportamento dei genitori; spesso arrivano da soli alla verità e sbugiardano i grandi, o fanno finta di nulla comprendendo quanto il rito sia così importante anche per la mamma e il papà. La disillusione non è un trauma ma l’ingresso naturale in una nuova dimensione simbolica.

“In occasione del prossimo Natale, e di tutti quelli che verranno, ogni genitore deciderà il senso che vorrà dare alla festa e quale storia di Babbo Natale raccontare ai propri figli. Il nostro auspicio è che la lettura di questo libro possa contribuire alla bellezza del Natale e alla comprensione dei suoi significati, rendendo ogni scelta, quale sia, più consapevole.”

 

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