Strane apparizioni e storie che vogliono essere raccontate...
Ecco che allora a voi,
le facciamo arrivare!
SPECIALE DI HALLOWEEN
di
Francesca Lucidi
Una breve narrazione che rievoca fiabe antiche, leggende e superstizioni... con un disegnino vezzoso: infantile? Ogni paura sembra infantile... ma è il saggio retaggio della nostra storia. E poi ogni bambino nosconde in sé un grande saggio.
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CATERINA
E LO SPAVENTAPASSERI
di
Francesca
Lucidi
Si
racconta che la Terra dei Gobbi, un
tempo, fosse la valle più fertile di tutta la zona nord di quel paese di
collina, ora città… che ha dimenticato molte delle sue storie.
La
natura a quei tempi era impietosa, oscura e imponente. In quell’angolo di
mondo, maestosi pioppi, querce e faggi… proiettavano le loro ombre sulle genti
piegate dalla fatica e dai freddi inverni. Da qualche anno imperversava una
guerra sanguinosa, lontano da quel paese… ma nelle case di Fiume dei sassi quella guerra era assai vicina: tutti gli uomini
erano stati mandati dal Conte verso il mare. Tutti erano saliti sui carri, i
cavalli e i muli, e si erano recati verso le spade affilate dei biondi
guerrieri della costa. Solo i bambini piccoli erano stati risparmiati… e
qualche vecchio malandato, solo perché potessero svolgere altre funzioni… Una parte dell’esercito del Conte era rimasto
a Fiume dei sassi, per far sì che
ogni desiderio del padrone potesse trovare sufficiente soddisfazione.
I campi erano noti per le patate
grosse dalla buccia rosso fuoco… i finocchi muovevano gli orti con le loro
chiome spostate dal vento. In autunno questo spettacolo esplodeva di profili e
colori, grazie alla presenza inquietante di tante grasse zucche, che venivano
piantate in fondo rispetto alle altre coltivazioni… e quando erano mature
sembrava che il campo fosse protetto da strane presenze.
Al centro del grande appezzamento
sotto la dimora del Conte… un grosso spaventapasseri osservava attento e
immobile: qualche cornacchia gracchiava sulle sue lunghe braccia, e i topolini
erano soliti solleticargli la testa di zucca. Sì sulla sommità dello
spaventapasseri veniva sempre posta la zucca più spaventosa di tutto il
raccolto, dopo averci inciso una faccia poco accogliente; anche per i
topolini che passavano, con timore e lentezza, da un occhio al naso della
faccia intagliata.
Le donne erano
costrette dal Conte a lavorare giorno e notte per sopperire alla mancanza di
braccia maschili, ora impegnate in una sciocca battaglia di potere che il Conte
si ostinava a protrarre, per cercare nuovi territori verso il mare… ricchi di uliveti verdi e nodosi.
Anche le bambine
erano impegnate nella cura di patate, finocchi e zucche… anche la piccola
Caterina… ormai senza il padre, ma anche senza la mamma… la quale era stata
rinchiusa dal Conte nella sua dimora… per spolverare gli scudi arrugginiti, e
deliziare i suoi occhietti lascivi e le sue mani lunghe e demoniache.
Caterina veniva
allevata dalla donne del paese; tutte le
donne cercavano di fare del loro meglio per i bimbi sfortunati e soli. Nelle
serate autunnali, quelle donne poggiavano i piedi stanchi verso il fuoco,
sbucciando le castagne arrostite, passate poi alle manine gelide dei bimbi
tristi di Fiume dei sassi.
Caterina ogni
giorno faceva il suo lavoro con dovizia. A ora di pranzo si sedeva sotto lo
spaventapasseri e, mangiucchiando il suo tozzo di pane, parlava a quella figura
inquietante con un’angelica vocina… rivolgendosi a quella testa-zucca
immaginando che fosse la sua mamma. Il ghigno prepotente di quella testa
sembrava ogni giorno addolcirsi alle calde parole di Caterina. Un giorno la
bimba portò da casa un vecchio grembiule della madre, la bella Luisa, e lo
avvolse intorno allo spaventapasseri; dopo averlo privato dei brutti stracci
che lo ricoprivano. Iniziò ad adornare la zucca di fiori di edera… e gli
sussurrava pensieri e dolori.
Caterina,
nel giorno della Vigilia di Ognissanti, sembrò vedere la sagoma della mamma
attraverso la finestra dell’alta torre del Conte. Caterina urlava e piangeva,
calpestando le patate, la terra e i poveri lombrichi che dovevano scansarsi al
suo passaggio. In un attimo una figura alta e curva tirò via Luisa dalla
Finestra. Due guardie si precipitarono nel campo e si posero innanzi alla
piccola Caterina. La bimba tremava, mentre il più basso dei due uomini gli
tolse dalle mani il tozzo di pane del pranzo, e lo infilzò nella punta della
spada dicendo: «Ma guarda guarda… qui abbiamo una piccola piantagrane. Il Conte
non apprezza chi rovina le sue giornate e i suoi incontri amorosi. Guarda
questo pezzo di pane, se non vuoi vedere la testa di tua madre fare la stessa
fine… il Conte ti consiglia di dimenticarti di lei… e di riprendere il tuo
lavoro. Il raccolto deve essere terminato per il giorno dei morti. Torna a
lavoro!»
Con
una mano la guardia afferrò la veste di Caterina e scaraventò la piccola ai
piedi dello spaventapasseri. I due andarono via di corsa al rumore del
tintinnare delle armature. La piccola iniziò a piangere, a disperarsi per ore.
La notte sopraggiunse e Caterina singhiozzava senza più lacrime, addosso al
grembiule fiorito che lo spaventapasseri indossava. A un tratto ecco che uno
scricchiolio interruppe la disperazione di quella piccola bambina triste.
Crack… Crack…
Crack…
Un’aria
gelida accarezzò i rossi capelli di Caterina, e il grembiule iniziò a muoversi
sfiorando il viso della bimba ormai intontita dal pianto. La piccola si toccò
la faccia pensando di essere attraversata da qualche ragno di passaggio… ma i
rumori aumentavano e Caterina alzò gli occhi e vide la testa-zucca chinarsi
verso di lei. La bimba saltò all’indietro cadendo, lo spaventapasseri si
sradicò dal terreno e tentò di afferrarla. Caterina restò impietrita e gelata,
tremante e sbigottita. Le testa-zucca si muoveva sopra ai legni sudici e secchi
che gli facevano da corpo; avanzò lenta e si trovò “faccia a faccia” con la
piccola.
I topi sentivano
il cuore battere all’impazzata, gli scarafaggi si stringevano tra di loro, le
cornacchie si erano poggiate sui rami sovrastanti il campo… e non si muovevano.
«Piccola mia… come
sei cresciuta… sei bellissima!»
Lo spaventapasseri
parlò… passando le dita fatte di rami secchi di erica, sulle guance magre e pallide
di Caterina, che disse: «Mamma?»
«Mio cuore
dolcissimo sono qui. Oggi volevo fuggire, venire da te… il Conte mi ha scoperta… mi ha afferrata e mi
ha spinta giù dalle scale…»
«Sei morta??? È
colpa mia… non dovevo urlare, mamma è colpa mia… quell’uomo malvagio… è solo
colpa mia!»
«Tesoro io ti amo
più di ogni altra cosa, e non è colpa questo… è merito. Ti ho amata dal primo
momento che ti ho vista. I tuoi capelli rossi, i tuoi occhioni sinceri. Volevo
tornare dalla mia bambina a tutti i costi. E sono tornata.»
«Ma, ora non ti riabbraccerò
mai più… mamma oh mamma! Quell’uomo malvagio ci ha portato via papà… adesso ha
preso anche te! Sono sola come farò!»
«Mia cara… IO,
PRENDERÒ LUI!»
La testa-zucca
riprese il suo ghigno originario e scavalcò il corpicino di Caterina
dirigendosi ad ampie falcate verso la dimora del Conte. Il grembiule sgusciava
tra i legni scricchiolanti di quella figura arrabbiata e altissima.
Il Conte dormiva
sereno nel suo baldacchino di velluto dorato. Un freddo pungente lo fece svegliare.
Tirò la coperta a sé e si guardò intorno: degli strani scricchiolii avevano
attirato la sua attenzione. Spostò la tenda arabescata del baldacchino e fu
atterrito da un ghigno enorme e adirato che lo fissava. Il corpo del Conte fu
sollevato da una forza inumana e inconsistente: la sua veste da notte pendeva e
s’impigliava nei rami e nelle ragnatele spesse dello spaventapasseri. La
finestra si aprì in un attimo, da sola… anzi dal vento che sembrava aver
risposto a un comando.
Il corpo sudato, e
al contempo gelato, del Conte… volò giù dalla torre e si fermò, con un tonfo
sordo, su un masso millenario del “Fiume dei sassi”: il corso d’acqua pieno di
pietre, e povero di acqua, che aveva dato nome al paese di cui la storia
racconto.
Il
sangue sgorgava dalla camicia da notte lacerata dalle ossa rotte e fuoriuscite
del Conte. Quel rosso fiume sembrava più copioso del corso che lo accoglieva.
Due volpi saltellarono sui sassi e iniziarono a banchettare e straziare, a
mangiare e guaire.
Caterina aveva
visto il Conte volare dalla finestra, e due strani tondi lucenti fissarla dalla
torre.
Le cornacchie si
allontanarono… e il ragni iniziarono a camminare sulle mani di Caterina, che
abbracciavano la terra con le dita. Una voce risuonò in aria: «Mio Cuore, ogni
notte della Vigilia di Ognissanti, vieni in questo campo… e lo Spaventapasseri
camminerà… io camminerò e ti stringerò a me. Per tutta la tua vita io ci sarò.
Tu assicurati che lo Spaventapasseri abbia sempre la sua testa-zucca, saluta i
ragni che vi abitano. Cura la terra e parla con ogni essere vivente. Non sei
sola. Noi ti proteggeremo. La terra che tu tanto ami, che curi… si prenderà
cura di te. Addio Amore mio… NON DIMENTICARE…
Ad
ogni Vigilia di Ognissanti i morti passeggiano sulla terra… chi per Amore, chi
per vendetta!»
Il
giovane cugino del conte venne da lontano. Gli uomini tornarono a casa… anche
il papà di Caterina.
La
piccola divenne donna… e ogni anno, per la notte stabilita, cucinò una pagnotta di pane e cucì un
grembiule nuovo… per uno Spaventapasseri assai speciale.
Illustrazione di Francesca Lucidi (Rose)