ANALISI DEL RACCONTO ORIGINALE
E
PRESENTAZIONE DELLA VERSIONE GRAFICA
DI
NINO CAMMARATA
PER
NPE EDIZIONI
INTRODUZIONE
Edgar Allan Poe pubblica il racconto Il gatto nero nel
1843.
Poche pagine, infinite sfaccettature della mente e dell'animo umano, follia o lucida malvagità, orrori interiori che esplodono in
comportamenti violenti. Una coscienza deformata, un rimorso mutilato… demoni che
non sono mitologia ma realtà. La prospettiva di Poe è quella di un analista dei
lati oscuri: non vi è in questo perversione o sensazionalismo ma metodico
scandagliare. I racconti dello scrittore appaiono così asfissianti perché mettono
a nudo le inconfessate pericolosità insite in ognuno, le perversioni, il lato
predatorio che la società cerca di reprimere senza comprendere; l’altra faccia
di una mela che mostra una lucida superficie da davanti e dietro nasconde un
piccolo buco nero, che può espandersi e far marcire ogni cosa… quel buco è la putrescenza potenziale di ogni essere
umano. Abbiamo più paura della morte, e dei racconti di morte, che delle
infinite declinazioni che offrono il libero arbitrio e le scelte alle quali la
vita invita in ogni singolo istante. La domanda importante è “come potremmo morire?”
o “come potremmo vivere?”.
I racconti di Poe sembrano reclamare un diritto di
cronaca sulle mostruosità messe “sotto chiave”, quelle che nelle profondità
covano e si riproducono. Abbiamo paura del nostro simile e invece di cercare l’autocoscienza
e la coscienza sociale ci si chiude in illusorie immagini immobili fatte di
convenzioni, saluti cortesi o di forconi e forche: sì, quelle erette con molta
facilità e scarsa comprensione e responsabilità.
Il “vicino” ci fa
paura… ma chi non ricorda la famosa frase “salutava sempre” che accompagna sempre
le rocambolesche interviste post tragedia inaspettata?
Nel 1995, grazie allo psicologo e giornalista David
Goleman prorompe l’espressione “intelligenza emotiva”. Questo concetto era già
stato espresso in precedenza con diverse terminologie o riflessioni… ma il
fatto che nel decennio della grande rivoluzione tecnologica e mediatica queste due
parole diventino famose è assai importante. Spesso si parla di QI,
quoziente intellettivo… ma è stato dimostrato che questo aspetto influenza la
performance e lo status di un individuo o di una collettività in una
percentuale intorno al trenta percento… il resto da cosa è influenzato? Dal QE,
il quoziente di intelligenza emotiva. La funzionalità cerebrale
fatta di processi di calcolo e immagazzinamento non basta. L’intelligenza
emotiva è la capacità di connettersi e dirigersi verso sé stessi e gli altri,
di comprendere le emozioni e gestirle; è anche il saper guardare alla paura potendola
usare come mezzo di consapevolezza, addirittura di evoluzione.
La frase “salutava
sempre”, di cui abbiamo parlato, cosa mostra? Sicuramente la volontà di dare una
definizione agli altri, il più possibile rassicurante; il rimarcare a sé stessi
e all’interlocutore che un tale orrore è inspiegabile; il porre una realtà
pensata come verità… anche se gli eventi suggerirebbero una presa di coscienza
a ritroso. Se ragioniamo sul fatto che in comunicazione le parole occupano una
percentuale di importanza intorno al sette percento, quante cose ci sfuggono? O
meglio… di quante cose scegliamo di non farci carico? L’intelligenza emotiva
spinge alla coscienza, in primis verso sé stessi e poi verso l’altro. Non
possiamo essere obiettori di coscienza davanti alla coscienza stessa. La mission
dovrebbe essere comprendersi e comprendere, entrare in empatia con il nostro Io
(non con l’Ego iperstrutturato), per poi compiere il nostro ruolo condiviso di cucitura
e rifinitura del tessuto sociale, COLLETTIVO. L’empatia non è una cosa da Hippie
ma una seria responsabilità. Non è la compassione… o almeno non solo. Avere
empatia significa entrare in connessione con l’altro (ma prima sempre con sé
stessi).
L’Horror che ruolo ha in tutto questo? La paura
è un fisiologico sentimento che ha immense potenzialità per la nostra conservazione
e sopravvivenza; è anche vero che è, allo stesso tempo, uno dei blocchi più
potenti nel percorso esistenziale. È sempre la consapevolezza e il movimento a fare
la differenza. Posso comprendere e superare solo ciò con cui mi confronto. Se
Carl Jung ci dice che ciò a cui opponi resistenza persiste… forse prima di
opporre resistenza all’orrore dovremmo capire come funziona, CHI è, porre dei rimedi
il più possibile realmente efficaci. Bisogna essere proattivi verso il
problema, non sordi e ciechi. Da piccoli ci parlavano del diavoletto e dell’angioletto
che dividendosi le nostre due orecchie ci sussurrano cose: mai metafora più azzeccata.
La scelta… Poe ci pone davanti uomini che hanno scelto la voce del male. Non
sono dei pazzi, sono dei lucidi scienziati della malvagità, della vendetta e
dell’autodistruzione. Il prefisso auto è potente, sempre. La follia
viene chiamata in causa dalle prevedibili considerazioni esterne. Nel caso de Il
gatto nero il protagonista specifica di non essere pazzo; magari leggendo
potremmo pensarlo perché così si archivia il problema e si dorme tranquilli
(più o meno).
L’Horror simula il male in potenza che può proliferare
dentro e fuori dalle mura. Certo, alcuni prodotti sono esagerati e quasi comici…
ognuno ha il suo stile. Edgar Allan Poe è realismo psichico; a volte è troppo
per essere sopportato. Basta però leggere i saggi dell’autore o le sue poesie
per rendersi conto di quanto lui fosse dotato di intelligenza emotiva.
Poe è lo scrittore del QE, ci fa vedere la paura, ci
fa accarezzare il ragno che ci terrorizza… ci fa buttare nell’acqua che temiamo
e con cui non vogliamo bagnarci. Poe compie anche delle sottili opere di autocoscienza:
inserisce qua e là demoni a lui familiari, cita malanni e dolori che conosce in
prima persona e ha dovuto ben guardare per poterli narrare così bene e, soprattutto, in modo credibile. I fantasmi sono dubbi che insinuano i pensieri
del doppio sé, la vendetta è spesso l’urlo della solitudine inascoltata per
anni, l’amore è morboso e disfunzionale. Oggi si parla di femminicidio, e
molti sono anche infastiditi da questa “nuova parola”: Il gatto nero è
una storia vera, mettiamola così. Io voglio pensarla così perché i filosofi
(come dice anche l’autore) chissà se possono spiegare il tutto; chissà se un prete
può esorcizzare quel demone, aggiungo io. Siamo noi i portatori della nostra
coscienza, e siamo anche i cittadini della coscienza sociale. La letteratura non
è solo svago: leggere è un processo di immagini, le immagini influenzano il
pensiero e poi l’azione.
Ovviamente se non vi piace il genere non significa che
state facendo un peccato mortale… di certo posso invitare alla curiosità e alla
riflessione, sempre. Soprattutto a considerare che le cose sono sempre molto di
più di ciò che sembrano.
TRAMA e RIFLESSIONI
Il racconto è la narrazione di un uomo che sa di dover
morire il giorno successivo. Non è esattamente una confessione perché non c’è
volontà alcuna di assoluzione o discolpa; si parla sì di “liberazione dell’anima”
ma andando avanti nella storia si capisce il significato di questa espressione.
Il rimorso non è un motore di redenzione ma quasi uno dei demoni che tirano i
fili del male, della violenza. Guardare un “occhio” attraverso il quale ci
vediamo colpevoli quali reazioni può provocare? Non dobbiamo rispondere in modo
soggettivo ma con quella intelligenza emotiva consapevole di cui vi ho parlato.
Il protagonista/narratore ci mette davanti al “racconto
più straordinario, e al medesimo tempo più comune”: le primissime parole usate
per avviare la storia sono una chiave di comprensione, a mio avviso.
Un essere docile può trasformarsi in un crudele
torturatore e in un assassino? Saremmo portati a dare una rassicurante risposta
negativa… ma purtroppo qui si parla di una “serie di casi domestici” (altra
chiave sbloccante il senso). Poe non è uno scrittore del fantastico tout
court: è un analista.
L’autore ha vissuto
la sofferenza, gli eccessi, il rifiuto e la dipendenza dall’alcol. Tutti questi
elementi reali sono presenti in questo spaccato di finzione che è, però, la
testimonianza di come il male possa nascere inaspettatamente in ognuno di noi.
Si implora la pretenziosa sapienza della filosofia, si cerca di appellarsi al
senso comune: in realtà il senso comune qui non dona risposte ma dovrebbe farsi
un esame di coscienza, dovrebbe fermarsi a guardare ciò che può nascondersi in
ogni luminosa fotografia di apparente normalità.
Il protagonista è solo un uomo che ha vissuto una
solitudine giovanile riempita dall’affetto degli animali: un affetto che riconosce
valoroso, incondizionato, differente dall’amicizia umana definita “insignificante”.
Qualcosa però accade. Forse quella solitudine ha covato in una mente labile,
fino a creare un transfert che andrà a scagliarsi in primis con gli inermi
soggetti della compagnia che fu balsamo per l’indole docile e asociale del
protagonista. O forse forze oscure hanno dall’esterno corrotto un uomo
fondamentalmente buono?
Questo condannato a una morte di cui all’inizio non
conosciamo ragione, o precedenti, racconta di essersi sposato con una brava
donna, con cui è riuscito a condividere la passione per la cura degli animali
più disparati. Il prediletto? Un gatto nero.
Si dice che i gatti neri siano streghe travestite, lo
dice la moglie del protagonista perché lo dice il senso comune.
Tutto si svolge in una tranquilla convivenza
domestica, mentre il gatto nero segue dappertutto il protagonista con devozione
ammirevole.
Negli ingredienti comuni di una realtà nella media
tranquillità ecco che l’alcol arriva a spezzare qualcosa, o a far accade
qualcosa. C’erano avvisaglie o punti di cedimento che precedentemente non si
sono visti o non si sono voluti avvertire? Il protagonista diventa ciò che non è
mai stato: duro, crudele, indifferente e perverso.
Si dice che i mostri peggiori dormano sotto al nostro
letto: in questo caso animali domestici e consorte devota ne avranno la prova.
L’uomo inizia ad essere violento, salvando in
apparenza solo il gatto nero. Ma proprio il felino prediletto sarà il bersaglio
delle più atroci azioni: mutilazioni e soluzioni definitive per far tacere un
rimoso martellante. Un occhio mancante diviene il baratro in cui un’anima
perduta sente il peso del proprio vuoto.
Leggere questo racconto è pura sofferenza. Dobbiamo
però consolarci pensando alla funzione edificante della paura ben gestita. Ogni
cosa troverà il suo modo di vendicarsi o di posizionare gli eventi verso l’autodistruzione
di chi ha deciso vita e morte di creature innocenti.
Ciò che non si riesce a comprendere viene scansato o
definito barocco, e anche Poe usa questo termine quando il narratore si
rivolge ai lettori nelle prime battute. Dopo un incendio e un’apparizione
mostruosa qualcuno esclama “strano!”, “singolare”: ecco il senso comune…
Qui si parla di mostri, mostri veri, in bi-direzionalità.
Chi ha una mente corrotta vede nel mondo esterno una mostruosità di riflesso,
un rinforzo continuo per gli impulsi incontrollati del lato malvagio della
natura umana. Chi è colpevole cerca negli altri la giustificazione alle proprie
azioni, e prova potere ma al contempo disgusto per gli oggetti quieti e sofferenti
che sopportano il dolore inflitto dal mostro originario.
Poe parla della perversione come di un allettante
gioco in cui si cade per il puro piacere di far qualcosa che non si deve fare. Lo
scrittore non usa mai mezzi termini e come potete vedere non regala sconti alla
verità, alla cronaca e alla perquisizione del corpo nudo dell’umanità.
Il protagonista racconta e non riesce a generare alcun
tipo di compassione, neanche nel momento dell’auto-sabotaggio del mostro.
Alla fine, il doppio dell’uomo incontra il doppio
della vittima, purtroppo molti morti vengono lasciati sul cammino di questa
testimonianza. Si può far sì che questo sacrificio non sia nullo… riflettendo,
imparando a perpetrare l’allerta verso il male ogni giorno. Dobbiamo
denunciare, ascoltare, creare protezione in un mondo dove le vuote cortesie
devono lasciar spazio alla caccia al mostro con metodo, non con superstizione; un racconto del 1843 ci è riuscito, con i mezzi a disposizione.
La violenza domestica è una realtà tremendamente
attuale: empatia, consapevolezza, ALLERTA! OCCHIO APERTO… e proprio gli occhi
sono uno dei tratti distintivi del romanzo grafico che vi vado a presentare.
THE BLACK CAT di NINO CAMMARATA, Edizioni NPE
Questo romanzo grafico è il primo che non ha generato in
me nessuna perversione: nessuna tentazione di mettere a confronto il racconto primitivo
con l’interpretazione data da sceneggiatura e immagini. L’introduzione assai
apprezzabile del volume parla della ricerca di simmetria e riscontri tra le
forme di comunicazione di una storia: “È come cercare corrispondenze esatte di
forma e sostanza tra il bruco e la farfalla, tra il ghiaccio e l’acqua”. Innanzitutto,
posso affermare che Poe è presente: all’inizio il volo di un corvo ci dà il
benvenuto in questo orrore. In quel corvo ho visto Poe nell’epiteto a lui
associato, ho visto il simbolo della morte, il fantoccio dell’ossessione e della
proiezione… come quelle raccontate nella poesia omonima. Quel corvo parte nero,
materico; alla fine perde spessore e si trasforma in una maschera rossa che si
posa direttamente sugli occhi del protagonista. Il personaggio che racconta la
storia assume in sé le sembianze della morte, e dell’autore che in lui scaraventa
i demoni della sua stessa esistenza.
Le parole sono ben dosate e la sintesi del testo non mi
ha fatto sentire la mancanza del racconto originario non perché superiore ad
esso… ma perché è altro da esso: è espressione in forme e immagini che possono
mostrare un altro modo di raccontare l’orrore, e una storia che ha il potenziale
per l’applicazione di una condivisa presa di coscienza.
Non dobbiamo pensare ad ambientazioni “storiche” in linea
con la cronologia dell’opera originale: tutto sembra sopra il tempo e lo spazio
perché i parametri sono totali, applicabili all’analisi di molte realtà e anche
e soprattutto di quella contemporanea. I colori sono dosati e non evocano
realismo ma simbolismo, essendo, però, in certi casi denotativi; ma in maggior
frequenza connotativi. Il nero non può non essere il colore principale, con
tutte le sue sfumature. Troviamo però anche il rosso dell’allarme, del
pericolo.
I disegni sono arte
e sono antropologia. Teschi ed espressioni facciali raccontano la storia di
uomo e di tutti gli uomini. L’evoluzione viene vista dal punto di vista di un deep
side, unito alla messa in evidenza del dark side dell’universo psichico.
I gesti enfatici si alternano al vuoto riempito dalle variazioni
dello sguardo del protagonista. Negli occhi del mostro si possono vedere tutte
le sfumature della caduta, preceduta dall’alternanza di tenerezza, confusione e
rara tristezza. Anche la dipendenza da alcol è assolutamente ben rappresentata nei
momenti in cui quegli occhi si mostrano spenti, morti.
I primissimi piani mettono a confronto i vari personaggi
e soprattutto i due combattenti, anzi tre, di una battaglia che può finire solo
con l’annientamento di una delle due parti contendenti.
Nei fogli di guardia si parte da una lontananza, da
due figure messe una di fronte all’altra, alla fine del volume solo un buio che
fa scorgere qualcosa… per poi tornare al punto di partenza. All’inizio si può
capire chi si confronterà… e una casa appare infestata: fantasmi? Morte? In
fine si può intendere che il preludio avvertito come un puro vezzo grafico ben
riuscito si trasforma nell’eterno ritorno del male nel ciclo dell’umanità.
Questo romanzo grafico è straordinario, dark ma non “di
genere”; forte ma dosato sui reali pesi della storia. La cura materiale è eccezionale
e Nino Cammarata ha, secondo me, centrato un lavoro unico e potente.
Sono presenti scene violente, in linea con il racconto originale. A voi la scelta se tentare il salto.
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discorrere insieme!
Grazie e buona lettura!