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domenica 23 agosto 2020

IL GATTO NERO DI EDGAR ALLAN POE

ANALISI DEL RACCONTO ORIGINALE 
E
 PRESENTAZIONE DELLA VERSIONE GRAFICA 
DI 
NINO CAMMARATA 
PER 
NPE EDIZIONI 

Ph. Francesca Lucidi

INTRODUZIONE

Edgar Allan Poe pubblica il racconto Il gatto nero nel 1843.

Poche pagine, infinite sfaccettature della mente e dell'animo umano, follia o lucida malvagità, orrori interiori che esplodono in comportamenti violenti. Una coscienza deformata, un rimorso mutilato… demoni che non sono mitologia ma realtà. La prospettiva di Poe è quella di un analista dei lati oscuri: non vi è in questo perversione o sensazionalismo ma metodico scandagliare. I racconti dello scrittore appaiono così asfissianti perché mettono a nudo le inconfessate pericolosità insite in ognuno, le perversioni, il lato predatorio che la società cerca di reprimere senza comprendere; l’altra faccia di una mela che mostra una lucida superficie da davanti e dietro nasconde un piccolo buco nero, che può espandersi e far marcire ogni cosa…  quel buco è la putrescenza potenziale di ogni essere umano. Abbiamo più paura della morte, e dei racconti di morte, che delle infinite declinazioni che offrono il libero arbitrio e le scelte alle quali la vita invita in ogni singolo istante. La domanda importante è “come potremmo morire?” o “come potremmo vivere?”.

I racconti di Poe sembrano reclamare un diritto di cronaca sulle mostruosità messe “sotto chiave”, quelle che nelle profondità covano e si riproducono. Abbiamo paura del nostro simile e invece di cercare l’autocoscienza e la coscienza sociale ci si chiude in illusorie immagini immobili fatte di convenzioni, saluti cortesi o di forconi e forche: sì, quelle erette con molta facilità e scarsa comprensione e responsabilità.

 Il “vicino” ci fa paura… ma chi non ricorda la famosa frase “salutava sempre” che accompagna sempre le rocambolesche interviste post tragedia inaspettata?

Nel 1995, grazie allo psicologo e giornalista David Goleman prorompe l’espressione “intelligenza emotiva”. Questo concetto era già stato espresso in precedenza con diverse terminologie o riflessioni… ma il fatto che nel decennio della grande rivoluzione tecnologica e mediatica queste due parole diventino famose è assai importante. Spesso si parla di QI, quoziente intellettivo… ma è stato dimostrato che questo aspetto influenza la performance e lo status di un individuo o di una collettività in una percentuale intorno al trenta percento… il resto da cosa è influenzato? Dal QE, il quoziente di intelligenza emotiva. La funzionalità cerebrale fatta di processi di calcolo e immagazzinamento non basta. L’intelligenza emotiva è la capacità di connettersi e dirigersi verso sé stessi e gli altri, di comprendere le emozioni e gestirle; è anche il saper guardare alla paura potendola usare come mezzo di consapevolezza, addirittura di evoluzione.

 La frase “salutava sempre”, di cui abbiamo parlato, cosa mostra? Sicuramente la volontà di dare una definizione agli altri, il più possibile rassicurante; il rimarcare a sé stessi e all’interlocutore che un tale orrore è inspiegabile; il porre una realtà pensata come verità… anche se gli eventi suggerirebbero una presa di coscienza a ritroso. Se ragioniamo sul fatto che in comunicazione le parole occupano una percentuale di importanza intorno al sette percento, quante cose ci sfuggono? O meglio… di quante cose scegliamo di non farci carico? L’intelligenza emotiva spinge alla coscienza, in primis verso sé stessi e poi verso l’altro. Non possiamo essere obiettori di coscienza davanti alla coscienza stessa. La mission dovrebbe essere comprendersi e comprendere, entrare in empatia con il nostro Io (non con l’Ego iperstrutturato), per poi compiere il nostro ruolo condiviso di cucitura e rifinitura del tessuto sociale, COLLETTIVO. L’empatia non è una cosa da Hippie ma una seria responsabilità. Non è la compassione… o almeno non solo. Avere empatia significa entrare in connessione con l’altro (ma prima sempre con sé stessi).

L’Horror che ruolo ha in tutto questo? La paura è un fisiologico sentimento che ha immense potenzialità per la nostra conservazione e sopravvivenza; è anche vero che è, allo stesso tempo, uno dei blocchi più potenti nel percorso esistenziale. È sempre la consapevolezza e il movimento a fare la differenza. Posso comprendere e superare solo ciò con cui mi confronto. Se Carl Jung ci dice che ciò a cui opponi resistenza persiste… forse prima di opporre resistenza all’orrore dovremmo capire come funziona, CHI è, porre dei rimedi il più possibile realmente efficaci. Bisogna essere proattivi verso il problema, non sordi e ciechi. Da piccoli ci parlavano del diavoletto e dell’angioletto che dividendosi le nostre due orecchie ci sussurrano cose: mai metafora più azzeccata. La scelta… Poe ci pone davanti uomini che hanno scelto la voce del male. Non sono dei pazzi, sono dei lucidi scienziati della malvagità, della vendetta e dell’autodistruzione. Il prefisso auto è potente, sempre. La follia viene chiamata in causa dalle prevedibili considerazioni esterne. Nel caso de Il gatto nero il protagonista specifica di non essere pazzo; magari leggendo potremmo pensarlo perché così si archivia il problema e si dorme tranquilli (più o meno).

L’Horror simula il male in potenza che può proliferare dentro e fuori dalle mura. Certo, alcuni prodotti sono esagerati e quasi comici… ognuno ha il suo stile. Edgar Allan Poe è realismo psichico; a volte è troppo per essere sopportato. Basta però leggere i saggi dell’autore o le sue poesie per rendersi conto di quanto lui fosse dotato di intelligenza emotiva.

Poe è lo scrittore del QE, ci fa vedere la paura, ci fa accarezzare il ragno che ci terrorizza… ci fa buttare nell’acqua che temiamo e con cui non vogliamo bagnarci. Poe compie anche delle sottili opere di autocoscienza: inserisce qua e là demoni a lui familiari, cita malanni e dolori che conosce in prima persona e ha dovuto ben guardare per poterli narrare così bene e, soprattutto, in modo credibile. I fantasmi sono dubbi che insinuano i pensieri del doppio sé, la vendetta è spesso l’urlo della solitudine inascoltata per anni, l’amore è morboso e disfunzionale. Oggi si parla di femminicidio, e molti sono anche infastiditi da questa “nuova parola”: Il gatto nero è una storia vera, mettiamola così. Io voglio pensarla così perché i filosofi (come dice anche l’autore) chissà se possono spiegare il tutto; chissà se un prete può esorcizzare quel demone, aggiungo io. Siamo noi i portatori della nostra coscienza, e siamo anche i cittadini della coscienza sociale. La letteratura non è solo svago: leggere è un processo di immagini, le immagini influenzano il pensiero e poi l’azione.

Ovviamente se non vi piace il genere non significa che state facendo un peccato mortale… di certo posso invitare alla curiosità e alla riflessione, sempre. Soprattutto a considerare che le cose sono sempre molto di più di ciò che sembrano.

 

TRAMA e RIFLESSIONI

Il racconto è la narrazione di un uomo che sa di dover morire il giorno successivo. Non è esattamente una confessione perché non c’è volontà alcuna di assoluzione o discolpa; si parla sì di “liberazione dell’anima” ma andando avanti nella storia si capisce il significato di questa espressione. Il rimorso non è un motore di redenzione ma quasi uno dei demoni che tirano i fili del male, della violenza. Guardare un “occhio” attraverso il quale ci vediamo colpevoli quali reazioni può provocare? Non dobbiamo rispondere in modo soggettivo ma con quella intelligenza emotiva consapevole di cui vi ho parlato.

Il protagonista/narratore ci mette davanti al “racconto più straordinario, e al medesimo tempo più comune”: le primissime parole usate per avviare la storia sono una chiave di comprensione, a mio avviso.  

Un essere docile può trasformarsi in un crudele torturatore e in un assassino? Saremmo portati a dare una rassicurante risposta negativa… ma purtroppo qui si parla di una “serie di casi domestici” (altra chiave sbloccante il senso). Poe non è uno scrittore del fantastico tout court: è un analista.

 L’autore ha vissuto la sofferenza, gli eccessi, il rifiuto e la dipendenza dall’alcol. Tutti questi elementi reali sono presenti in questo spaccato di finzione che è, però, la testimonianza di come il male possa nascere inaspettatamente in ognuno di noi. Si implora la pretenziosa sapienza della filosofia, si cerca di appellarsi al senso comune: in realtà il senso comune qui non dona risposte ma dovrebbe farsi un esame di coscienza, dovrebbe fermarsi a guardare ciò che può nascondersi in ogni luminosa fotografia di apparente normalità.

Il protagonista è solo un uomo che ha vissuto una solitudine giovanile riempita dall’affetto degli animali: un affetto che riconosce valoroso, incondizionato, differente dall’amicizia umana definita “insignificante”. Qualcosa però accade. Forse quella solitudine ha covato in una mente labile, fino a creare un transfert che andrà a scagliarsi in primis con gli inermi soggetti della compagnia che fu balsamo per l’indole docile e asociale del protagonista. O forse forze oscure hanno dall’esterno corrotto un uomo fondamentalmente buono?

Questo condannato a una morte di cui all’inizio non conosciamo ragione, o precedenti, racconta di essersi sposato con una brava donna, con cui è riuscito a condividere la passione per la cura degli animali più disparati. Il prediletto? Un gatto nero.

Si dice che i gatti neri siano streghe travestite, lo dice la moglie del protagonista perché lo dice il senso comune.

Tutto si svolge in una tranquilla convivenza domestica, mentre il gatto nero segue dappertutto il protagonista con devozione ammirevole.

Negli ingredienti comuni di una realtà nella media tranquillità ecco che l’alcol arriva a spezzare qualcosa, o a far accade qualcosa. C’erano avvisaglie o punti di cedimento che precedentemente non si sono visti o non si sono voluti avvertire? Il protagonista diventa ciò che non è mai stato: duro, crudele, indifferente e perverso.

Si dice che i mostri peggiori dormano sotto al nostro letto: in questo caso animali domestici e consorte devota ne avranno la prova.

L’uomo inizia ad essere violento, salvando in apparenza solo il gatto nero. Ma proprio il felino prediletto sarà il bersaglio delle più atroci azioni: mutilazioni e soluzioni definitive per far tacere un rimoso martellante. Un occhio mancante diviene il baratro in cui un’anima perduta sente il peso del proprio vuoto.

Leggere questo racconto è pura sofferenza. Dobbiamo però consolarci pensando alla funzione edificante della paura ben gestita. Ogni cosa troverà il suo modo di vendicarsi o di posizionare gli eventi verso l’autodistruzione di chi ha deciso vita e morte di creature innocenti.

Ciò che non si riesce a comprendere viene scansato o definito barocco, e anche Poe usa questo termine quando il narratore si rivolge ai lettori nelle prime battute. Dopo un incendio e un’apparizione mostruosa qualcuno esclama “strano!”, “singolare”: ecco il senso comune…

Qui si parla di mostri, mostri veri, in bi-direzionalità. Chi ha una mente corrotta vede nel mondo esterno una mostruosità di riflesso, un rinforzo continuo per gli impulsi incontrollati del lato malvagio della natura umana. Chi è colpevole cerca negli altri la giustificazione alle proprie azioni, e prova potere ma al contempo disgusto per gli oggetti quieti e sofferenti che sopportano il dolore inflitto dal mostro originario.

Poe parla della perversione come di un allettante gioco in cui si cade per il puro piacere di far qualcosa che non si deve fare. Lo scrittore non usa mai mezzi termini e come potete vedere non regala sconti alla verità, alla cronaca e alla perquisizione del corpo nudo dell’umanità.

Il protagonista racconta e non riesce a generare alcun tipo di compassione, neanche nel momento dell’auto-sabotaggio del mostro.

Alla fine, il doppio dell’uomo incontra il doppio della vittima, purtroppo molti morti vengono lasciati sul cammino di questa testimonianza. Si può far sì che questo sacrificio non sia nullo… riflettendo, imparando a perpetrare l’allerta verso il male ogni giorno. Dobbiamo denunciare, ascoltare, creare protezione in un mondo dove le vuote cortesie devono lasciar spazio alla caccia al mostro con metodo, non con superstizione; un racconto del 1843 ci è riuscito, con i mezzi a disposizione.

La violenza domestica è una realtà tremendamente attuale: empatia, consapevolezza, ALLERTA! OCCHIO APERTO… e proprio gli occhi sono uno dei tratti distintivi del romanzo grafico che vi vado a presentare.

 

THE BLACK CAT di NINO CAMMARATA, Edizioni NPE

Questo romanzo grafico è il primo che non ha generato in me nessuna perversione: nessuna tentazione di mettere a confronto il racconto primitivo con l’interpretazione data da sceneggiatura e immagini. L’introduzione assai apprezzabile del volume parla della ricerca di simmetria e riscontri tra le forme di comunicazione di una storia: “È come cercare corrispondenze esatte di forma e sostanza tra il bruco e la farfalla, tra il ghiaccio e l’acqua”. Innanzitutto, posso affermare che Poe è presente: all’inizio il volo di un corvo ci dà il benvenuto in questo orrore. In quel corvo ho visto Poe nell’epiteto a lui associato, ho visto il simbolo della morte, il fantoccio dell’ossessione e della proiezione… come quelle raccontate nella poesia omonima. Quel corvo parte nero, materico; alla fine perde spessore e si trasforma in una maschera rossa che si posa direttamente sugli occhi del protagonista. Il personaggio che racconta la storia assume in sé le sembianze della morte, e dell’autore che in lui scaraventa i demoni della sua stessa esistenza.

Ph. Francesca Lucidi 

Le parole sono ben dosate e la sintesi del testo non mi ha fatto sentire la mancanza del racconto originario non perché superiore ad esso… ma perché è altro da esso: è espressione in forme e immagini che possono mostrare un altro modo di raccontare l’orrore, e una storia che ha il potenziale per l’applicazione di una condivisa presa di coscienza.

Non dobbiamo pensare ad ambientazioni “storiche” in linea con la cronologia dell’opera originale: tutto sembra sopra il tempo e lo spazio perché i parametri sono totali, applicabili all’analisi di molte realtà e anche e soprattutto di quella contemporanea. I colori sono dosati e non evocano realismo ma simbolismo, essendo, però, in certi casi denotativi; ma in maggior frequenza connotativi. Il nero non può non essere il colore principale, con tutte le sue sfumature. Troviamo però anche il rosso dell’allarme, del pericolo.

 I disegni sono arte e sono antropologia. Teschi ed espressioni facciali raccontano la storia di uomo e di tutti gli uomini. L’evoluzione viene vista dal punto di vista di un deep side, unito alla messa in evidenza del dark side dell’universo psichico.

Ph. Francesca Lucidi

I gesti enfatici si alternano al vuoto riempito dalle variazioni dello sguardo del protagonista. Negli occhi del mostro si possono vedere tutte le sfumature della caduta, preceduta dall’alternanza di tenerezza, confusione e rara tristezza. Anche la dipendenza da alcol è assolutamente ben rappresentata nei momenti in cui quegli occhi si mostrano spenti, morti.

I primissimi piani mettono a confronto i vari personaggi e soprattutto i due combattenti, anzi tre, di una battaglia che può finire solo con l’annientamento di una delle due parti contendenti.

Nei fogli di guardia si parte da una lontananza, da due figure messe una di fronte all’altra, alla fine del volume solo un buio che fa scorgere qualcosa… per poi tornare al punto di partenza. All’inizio si può capire chi si confronterà… e una casa appare infestata: fantasmi? Morte? In fine si può intendere che il preludio avvertito come un puro vezzo grafico ben riuscito si trasforma nell’eterno ritorno del male nel ciclo dell’umanità.

Questo romanzo grafico è straordinario, dark ma non “di genere”; forte ma dosato sui reali pesi della storia. La cura materiale è eccezionale e Nino Cammarata ha, secondo me, centrato un lavoro unico e potente.

Sono presenti scene violente, in linea con il racconto originale. A voi la scelta se tentare il salto.

 

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Grazie e buona lettura!