DAL CREATORE DE L'ESORCISTA
CENNI BIOGRAFICI: VITA E CARRIERA DI WILLIAM PETER BLATTY
William Peter Blatty nasce il 7 gennaio del 1928 a New
York City. È il quinto figlio di un’umile famiglia di immigrati libanesi. Sua
madre Mary, fervente cattolica, si guadagna da vivere vendendo gelatine di frutta
tra le strade di Manhattan.
A causa delle gravi condizioni economiche, la famiglia
cambia spesso dimora, tra uno sfratto e l’altro.
William, grazie a una borsa di studio, frequenta la Scuola
Preparatoria gesuita di Brooklyn. In seguito, inizia gli studi presso la Georgetown
University; ottiene questa possibilità sempre tramite una borsa di studio. William
si laurea in inglese nel 1950.
Gli studi continuano alla Georgetown, dove si iscrive
a un Master in letteratura. Durante questo periodo si mantiene con i lavori più
disparati; si ritrova anche a vendere aspirapolveri porta a porta.
Ottenuto il Master, William si arruola nell’Aeronautica
Militare; in seguito si unisce all’USIA (United States Information Agency), un’agenzia
di diplomazia pubblica.
Inizia a collaborare con diverse riveste, e a scrivere
articoli umoristici.
Lavora come direttore delle pubbliche relazioni per la
Loyola University di Los Angeles, e con mansione simile, in ambito
comunicazione e pubblicità, per l’Università della California Meridionale.
Pubblica il primo libro nel 1960, Where way to
Mecca, in cui parla del suo lavoro presso l’USIA anche in toni umoristici.
Nel 1961 vince diecimila dollari nello show di Groucho
Marx You Bet Your Life. La vincita gli permette di dedicarsi completamente alla
scrittura, non mantenendo altri lavori in modo stabile.
Inizia a scrivere fumetti che vengono apprezzati pur
non raggiungendo un numero alto di vendite.
Cruciale è la collaborazione con il regista Blake
Edwards: la prima sceneggiatura di successo è Uno sparo nel buio, il cui
protagonista è Peter Sellers.
Negli anni Quaranta Blatty rimase particolarmente colpito
da un oscuro fatto di cronaca inusuale: l’esorcismo di un quattordicenne del
Maryland. La Chiesa impose il silenzio per paura di ripercussioni mediatiche e
per evitare accuse di superstizione o arretratezza culturale. La storia permane
nell’immaginario di Blatty e fornisce l’ispirazione per il suo grande successo
letterario: L’esorcista. Siamo nel 1971, e il libro suscita un enorme
scalpore. Il successo del romanzo porta alla versione cinematografica del 1973,
con Blatty in veste di produttore e sceneggiatore, la regia è affidata a William
Friedkin. La pellicola vince due Premi Oscar, su dieci candidature.
Il romanzo Legion, del 1983, è l’unico seguito
ufficiale del romanzo del 1971; ne viene tratto un film dal titolo L’Esorcista
III, nome scelto per riallacciarsi al precedente L’Esorcista II. La decisione
viene presa dai produttori per creare una continuità. Blatty, dal canto suo, non
ha però apprezzato il secondo capitolo della saga, che non ha ottenuto neanche
un particolare successo.
Nel corso della sua vita, lo scrittore produce circa tredici
romanzi; tra i quali troviamo Il Traghettatore, edito nel 2009.
William Peter Blatty muore il 12 gennaio del 2017 a 89
anni, nel Maryland.
IL
TRAGHETTATORE
L’edizione presa in esame è edita dalla Fazi Editore e
risale al 2012. La traduzione è di Cristiano Peddis.
Il romanzo è abbastanza breve, è forte, maschile e “americano”.
La vita quotidiana raccontata è circondata di imprecazioni, arrivismo e
appartamenti affacciati sul vuoto esistenziale e sul paesaggio brulicante o immobile,
portatore di speranza o perdizione di Manhattan. La storia è horror, di un
horror sovrannaturale ma anche tremendamente radicato nella vita reale. Una
storia di fantasmi apparentemente nei canoni. La maggioranza dei personaggi ha
tratti rudi e capricciosi; la restante umanità, meno insopportabile, è fatta da
una manciata di presenze più pacate ma inquietanti.
Il tutto presenta diversi rimandi alla biografia dell’autore.
In questa storia si parla di morte e vita. Il terrore è mitigato da fiumi di alcol e da punti di vista cinici… a un certo punto si passa da una storia a tratti fastidiosa a una dimensione di tensione che non riesce ad affievolirsi neanche grazie all’umorismo martellante, sboccato e spregiudicato dell’autore.
TRAMA
New York, 1993 (circa). Joan Freeboard è un’agente
immobiliare di successo.
Joan vive da sola, se non si contano due domestici che
la donna tratta con rispetto e gentilezza, quasi con dolcezza; la cosa non è di
poco conto contando che Joan è un’affarista senza scrupoli che vive secondo il
motto “farcela o morire”.
Elsewhere è una vecchia e grande casa, situata su un’isola
poco lontana da Manhattan. La magione è risalente agli anni Trenta, è bagnata dalle
acque del fiume Hudson e, soprattutto, promette grossi guadagni… qualora Joan
riuscisse a piazzarla. Il problema è che la casa ha una pessima fama, non per problemi
strutturali.
La sfida di Elsewhere è la più grande prova della
carriera di Joan. L’agente immobiliare è abituata a non lasciare nulla al caso,
e di certo non è avvezza alla rinuncia, specie se si tratta di una grossa somma
di denaro. Joan, ripetiamo, non lascia nulla al caso: una festa organizzata per venerdì,
invitati importanti, specialmente uno. Lei è disposta a tutto pur di
smascherare delle sciocche credenze che possano mettersi tra lei e una vendita.
Sono anni che non succede nulla in quella casa.
La casa fu costruita da un medico, uno psichiatra, il
dottor Edward Quandt. L’erede Paul Quandt e la sua famiglia vagano in Europa in
attesa di vendere la proprietà dalla fama sinistra. La storia di Elsewhere è
macchiata da un omicidio e un suicidio, così dicono le voci. Il vecchio padrone
era un uomo geloso: la moglie Riga, una zingara originaria della Romania pare alimentasse
sospetti di adulterio.
La storia della casa viene raccontata a pezzi: prima
un dossier tra le mani di Joan, poi due racconti sparsi nel corso della narrazione.
Joan. Sì Joan vuole andare a segno… nonostante uno
strano sogno che ha la forma di una angelo di luce senza volto: vongole, piatto
del giorno… parole sconnesse che la donna non vuole ricondurre a un
avvertimento che sembra collegato all’affare di Elsewhere. L’agente
immobiliare, però, ha un piano.
Ma
“NON TUTTE LE EPIFANIE HANNO ORIGINE NELLA GRAZIA”.
Il piano sembra perfetto: un rapporto sessuale
concesso di fretta, una bugia qua e una bugia là.
Alla fine, la donna riesce anche a vedere, da sola, con
i suoi occhi Elsewhere. Quando si reca sull’isola il posto sembra bello e
nessuno, fortunatamente, sembra fissarla dalla finestra. Il salone si mostra accogliente, una volta tolti i teli dai mobili.
Ecco che la squadra è decisa: Joan, la famosa sensitiva
inglese Anna Trawley; lo psicologo esperto del paranormale Gabriel Case, dell’Università
di New York; il migliore amico di Joan, il famoso scrittore Terry Dare. Tutti
devono svolgere un ruolo, non totalmente consapevole, per permettere all’agente
immobiliare di far “certificare” la totale normalità di Elsewhere.
Anna Trawley riflette nella sua adorabile casetta,
mentre Joan fatica a convincere il capriccioso amico scrittore. Dare è un
personaggio infantile, capriccioso, benestante. Un gay dai modi eccessivi che ama
follemente i suoi due cagnolini. Dipinge e si fascia di abiti sportivi alla
moda mentre si fregia del suo convinto motto “IO SONO TUTTO UN DUBBIO”. La reticenza
di Dare è semplice pigrizia o un oscuro timore già affligge i protagonisti della
storia? Dare è in un periodo in cui ha smesso di scrivere, anche se i suoi
romanzi gotici sono assai famosi. Romanzi inquietanti scritti da un tipo tutto
eccessi e capricci, e dubbio: bizzarro!
Tutti i componenti della spedizione vengono reclutati,
salgono su un’imbarcazione denominata “Lungo Viaggio” e, nonostante una
tempesta terrificante, raggiungono Elsewhere. In realtà il professor Case non
si imbarca con loro perché li ha preceduti per montare le apparecchiature.
Tutto sembra presagire giorni di pizza, alcolici e conversazioni.
In realtà, da subito le cose sembrano mostrare falle, déjà vu. Case li accoglie
come ci si sarebbe aspettati, ed è seduto al pianoforte. Sul caminetto un dipinto
che attira l’attenzione. Due visi a confronto e domande che soffocano dietro l’incredulità
e il materialismo dell’americano di successo che pensa solo alle cose concrete,
che si contano e possono comprare cose.
L’inizio della convivenza si consuma tra l’insofferenza
di Joan, i dialoghi pacati tra la Trawley e Case. In tutto questo dovrebbe
sentirsi lo sgambettare dei cagnolini che Dare non avrebbe mai lasciato.
Dovremmo fare attenzione ai loro segnali canini.
Case diventa il fulcro della storia, un personaggio
che si sposta da una parte all’altra quasi fluttuando: getta ammiccamenti,
ascolta, dona spiegazioni e filosofia… tutto quello che ci si potrebbe
aspettare da uno psicologo interessato ad altre “dimensioni”.
Joan e Dare litigano in continuazione, le parolacce
fanno capolino tra una riga e l’altra e si prova una certa insofferenza tra i
modi di fare inquieti e vuoti della coppia di amici. Strano modo di dimostrarsi
affetto quello di promettersi morte e mutilazioni.
In ogni storia di infestazioni c’è sempre una persona
che riesce per prima a captare qualcosa. Qui c’è una sensitiva, e una cripta misteriosa
abitata da una scultura poco confortante. In realtà, le prove inizieranno a
manifestarsi attraverso “il DUBBIO”, la personificazione del dubbio: Dare.
A metà del romanzo, il fastidio per una storia dell’orrore
che sembra solo il documento della normalità vuota dell’essere umano medio
lascia spazio a qualcosa che inizia davvero a far paura. Le storie intorno ad
Elsewhere sono tante e le “vittime” della casa altrettante. Tra un bicchiere di
scotch e un Martini si parla di suore, di pazzia.
Due preti gesuiti, una reminiscenza.
E… Dare ha portato i cagnolini? Che domanda sciocca!
Un guaito si sentirà forte e chiaro, ma crescente… poi
rabbioso.
Qualcuno avrà la pelle che brucia in modo innaturale
ma così “vero”; altri mostrano strane petecchie sul collo; altri ancora
cicatrici.
Quando si iniziano a ricollegare tanti fili rossi,
persi nel racconto di vite fastidiose e vuote, ci si accorge che il tempo e lo
spazio nascondono molti più inquilini della spedizione organizzata da Joan.
Buon “Lungo viaggio”.
Il finale farà tirare un sospiro, di pace? Di sollievo? O forse di rassegnazione verso qualcosa di implacabile che non può che ripetersi. Forse tutte queste eventualità si sommeranno, sta al lettore scoprirlo.
ANALISI E CONSIDERAZIONI
La narrazione viene svolta da un narratore esterno,
onnisciente, verrebbe da dire onnipotente se si volesse ricalcare l’umorismo
ammiccante e tosto dell’autore.
Parlare di tempo della storia e tempo del racconto è,
per questo romanzo, assolutamente fuori luogo.
Lo stile è freddo, i personaggi sono pressoché antipatici. Tutto potrebbe osteggiare un legame empatico e foraggiare un senso di fastidio nella lettura. In realtà, tutto ha un senso se si presta attenzione, molta attenzione. L'autore regala anche inaspettati momenti di dolcezza, umanità e profonda sensibilità: solo sprazzi, solo altre deviazioni; forse visioni sfuggenti della verità sottesa, del senso finale della storia. Sono ipotesi, le mie sono solo ipotesi.
L’autore si diverte a distrarre il lettore rendendolo
simile a quegli esseri umani presi dalle cose da fare, che non credono in nulla
e sono frettolosi, pieni di pretese… il più delle volte insoddisfatte perché vacue.
È poco funzionale cercare di affezionarsi a qualcosa
di corporeo in una storia di fantasmi. Le nostre emozioni vengono “traghettate”
continuamente, quasi senza una meta. Le bussole? Innanzitutto, una piccola
conoscenza della biografia dell’autore, per apprezzare i riferimenti alla dura
infanzia di Joan e la scelta di far entrare nella storia dei preti gesuiti.
Anche l’ambientazione metropolitana rievoca ciò che l’autore
deve aver visto per tutta una vita. La stessa professione di scrittore viene posta
sotto la lente e criticata, quasi sminuita e ridicolizzata attraverso il personaggio
di Dare. I personaggi sono persone che hanno perso la facoltà di essere felici,
davvero in pace. I cuori sono spezzati e nascosti sotto strati di silenzi o
battute sboccate.
La seconda via d’uscita dal vagare è posta in mezzo al
romanzo, parrebbe solo per dare un tono al parlare del professor Case. Lo psicologo
si trova a conversare con la sensitiva mentre prendono il tea e si confidano le
rispettive disgrazie, anche se il modo di fare accondiscendente di Case pare
sempre sospendere e sottintendere qualcosa. L’uomo parla di alcuni studi sui
fantasmi: niente inferno e paradiso ma entità quasi perse, inquiete; capaci di
mentire, a detta della Trawley. Dopo la morte ci si potrebbe trovare tutti in uno
stesso posto, forse senza percepirsi a vicenda, passando questa esistenza
eterna secondo parametri soggettivi, percettivi. Inferno e paradiso non
sarebbero luoghi o mete ma quasi proiezioni dell’inconscio di un vivo che si
trova morto e, dopo la morte, cerca ancora, disperatamente, di essere felice.
Il libro OLTRE IL MURO: COMUNICAZIONI ELETTRONICHE CON I MORTI, riporta
la risposta di un’entità alla domanda “Quale è lo scopo della vostra esistenza
attuale?”. Il presunto fantasma risponde: “Imparare a essere felici”.
Che senso ha, allora, scrivere un libro pieno di
personaggi antipatici? La risposta non viene dalla scelta del genere horror ma
dallo studio profondo della felicità personale, nella sua mancanza, nel suo
attaccarsi a “giocattoli” disorientanti, annebbianti. L’autore parla di vuoti,
di anime che vanno esorcizzate estirpando il demone dell’assenza di desiderio puro, di spessore,
di reale percezione di sé stessi e della vita. Se non si riesce a cogliere l’essenza
della vita… come si può…
Le parolacce abbonano, l’umorismo e il “colore” anche.
La formazione fumettistica di Blatty fa capolino, ogni tanto. C’è anche un
discorso complesso intorno alla fede, alla redenzione e alla presunzione delle
etichette di bene e male, cattivo e buono. La morte viene presentata come una
condizione assolutamente democratica, comunista. La vita, però, reclama il suo
senso nel momento in cui la si abbandona. Non tutto ciò che non si vede è cattivo,
spaventoso; non tutto ciò che è materiale e visibile è reale nel senso più
nobile del termine.
Alcune minacce di morte si trasformeranno in un abbraccio
disperato. Vivere è un lungo viaggio, la morte è una destinazione che dipende
da un atto di volontà che, se fatto tardi, fa perdere.
Se si ricongiungono tutte le trame tessute da un esperto di pubbliche relazioni divenuto scrittore di demoni ed esorcismi… si può apprezzare un romanzo forte che si presenta, a una prima lettura, solo per qualcosa che sfugge, come il senso della vita e della morte; di inferno e paradiso.
Il complesso è intrattenimento ma anche riflessione verso i più grandi significati e le più ingombranti incognite della nostra esistenza.
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Grazie e buona lettura!