mercoledì 16 settembre 2020

IL TRAGHETTATORE di William Peter Blatty

DAL CREATORE DE L'ESORCISTA 

UNA STORIA DI FANTASMI, UNA RIFLESSIONE SULL'ESSENZA DELLA MORTE

Ph. Francesca Lucidi
Ed. FAZI EDITORE 

CENNI BIOGRAFICI: VITA E CARRIERA DI WILLIAM PETER BLATTY

William Peter Blatty nasce il 7 gennaio del 1928 a New York City. È il quinto figlio di un’umile famiglia di immigrati libanesi. Sua madre Mary, fervente cattolica, si guadagna da vivere vendendo gelatine di frutta tra le strade di Manhattan.

A causa delle gravi condizioni economiche, la famiglia cambia spesso dimora, tra uno sfratto e l’altro.

William, grazie a una borsa di studio, frequenta la Scuola Preparatoria gesuita di Brooklyn. In seguito, inizia gli studi presso la Georgetown University; ottiene questa possibilità sempre tramite una borsa di studio. William si laurea in inglese nel 1950.

Gli studi continuano alla Georgetown, dove si iscrive a un Master in letteratura. Durante questo periodo si mantiene con i lavori più disparati; si ritrova anche a vendere aspirapolveri porta a porta.

Ottenuto il Master, William si arruola nell’Aeronautica Militare; in seguito si unisce all’USIA (United States Information Agency), un’agenzia di diplomazia pubblica.

Inizia a collaborare con diverse riveste, e a scrivere articoli umoristici.

Lavora come direttore delle pubbliche relazioni per la Loyola University di Los Angeles, e con mansione simile, in ambito comunicazione e pubblicità, per l’Università della California Meridionale.

Pubblica il primo libro nel 1960, Where way to Mecca, in cui parla del suo lavoro presso l’USIA anche in toni umoristici.

Nel 1961 vince diecimila dollari nello show di Groucho Marx You Bet Your Life. La vincita gli permette di dedicarsi completamente alla scrittura, non mantenendo altri lavori in modo stabile.

Inizia a scrivere fumetti che vengono apprezzati pur non raggiungendo un numero alto di vendite.

Cruciale è la collaborazione con il regista Blake Edwards: la prima sceneggiatura di successo è Uno sparo nel buio, il cui protagonista è Peter Sellers.

Negli anni Quaranta Blatty rimase particolarmente colpito da un oscuro fatto di cronaca inusuale: l’esorcismo di un quattordicenne del Maryland. La Chiesa impose il silenzio per paura di ripercussioni mediatiche e per evitare accuse di superstizione o arretratezza culturale. La storia permane nell’immaginario di Blatty e fornisce l’ispirazione per il suo grande successo letterario: L’esorcista. Siamo nel 1971, e il libro suscita un enorme scalpore. Il successo del romanzo porta alla versione cinematografica del 1973, con Blatty in veste di produttore e sceneggiatore, la regia è affidata a William Friedkin. La pellicola vince due Premi Oscar, su dieci candidature.

Il romanzo Legion, del 1983, è l’unico seguito ufficiale del romanzo del 1971; ne viene tratto un film dal titolo L’Esorcista III, nome scelto per riallacciarsi al precedente L’Esorcista II. La decisione viene presa dai produttori per creare una continuità. Blatty, dal canto suo, non ha però apprezzato il secondo capitolo della saga, che non ha ottenuto neanche un particolare successo.

Nel corso della sua vita, lo scrittore produce circa tredici romanzi; tra i quali troviamo Il Traghettatore, edito nel 2009.

William Peter Blatty muore il 12 gennaio del 2017 a 89 anni, nel Maryland.

 

IL TRAGHETTATORE

L’edizione presa in esame è edita dalla Fazi Editore e risale al 2012. La traduzione è di Cristiano Peddis.

Il romanzo è abbastanza breve, è forte, maschile e “americano”. La vita quotidiana raccontata è circondata di imprecazioni, arrivismo e appartamenti affacciati sul vuoto esistenziale e sul paesaggio brulicante o immobile, portatore di speranza o perdizione di Manhattan. La storia è horror, di un horror sovrannaturale ma anche tremendamente radicato nella vita reale. Una storia di fantasmi apparentemente nei canoni. La maggioranza dei personaggi ha tratti rudi e capricciosi; la restante umanità, meno insopportabile, è fatta da una manciata di presenze più pacate ma inquietanti.

Il tutto presenta diversi rimandi alla biografia dell’autore.

In questa storia si parla di morte e vita. Il terrore è mitigato da fiumi di alcol e da punti di vista cinici… a un certo punto si passa da una storia a tratti fastidiosa a una dimensione di tensione che non riesce ad affievolirsi neanche grazie all’umorismo martellante, sboccato e spregiudicato dell’autore.

TRAMA

New York, 1993 (circa). Joan Freeboard è un’agente immobiliare di successo.

Joan vive da sola, se non si contano due domestici che la donna tratta con rispetto e gentilezza, quasi con dolcezza; la cosa non è di poco conto contando che Joan è un’affarista senza scrupoli che vive secondo il motto “farcela o morire”.

Elsewhere è una vecchia e grande casa, situata su un’isola poco lontana da Manhattan. La magione è risalente agli anni Trenta, è bagnata dalle acque del fiume Hudson e, soprattutto, promette grossi guadagni… qualora Joan riuscisse a piazzarla. Il problema è che la casa ha una pessima fama, non per problemi strutturali.

La sfida di Elsewhere è la più grande prova della carriera di Joan. L’agente immobiliare è abituata a non lasciare nulla al caso, e di certo non è avvezza alla rinuncia, specie se si tratta di una grossa somma di denaro. Joan, ripetiamo, non lascia nulla al caso: una festa organizzata per venerdì, invitati importanti, specialmente uno. Lei è disposta a tutto pur di smascherare delle sciocche credenze che possano mettersi tra lei e una vendita.

Sono anni che non succede nulla in quella casa.

La casa fu costruita da un medico, uno psichiatra, il dottor Edward Quandt. L’erede Paul Quandt e la sua famiglia vagano in Europa in attesa di vendere la proprietà dalla fama sinistra. La storia di Elsewhere è macchiata da un omicidio e un suicidio, così dicono le voci. Il vecchio padrone era un uomo geloso: la moglie Riga, una zingara originaria della Romania pare alimentasse sospetti di adulterio.

La storia della casa viene raccontata a pezzi: prima un dossier tra le mani di Joan, poi due racconti sparsi nel corso della narrazione.

Joan. Sì Joan vuole andare a segno… nonostante uno strano sogno che ha la forma di una angelo di luce senza volto: vongole, piatto del giorno… parole sconnesse che la donna non vuole ricondurre a un avvertimento che sembra collegato all’affare di Elsewhere. L’agente immobiliare, però, ha un piano.

Ma “NON TUTTE LE EPIFANIE HANNO ORIGINE NELLA GRAZIA”.

Img Pixabay. Edited

Il piano sembra perfetto: un rapporto sessuale concesso di fretta, una bugia qua e una bugia là.

Alla fine, la donna riesce anche a vedere, da sola, con i suoi occhi Elsewhere. Quando si reca sull’isola il posto sembra bello e nessuno, fortunatamente, sembra fissarla dalla finestra. Il salone si mostra accogliente, una volta tolti i teli dai mobili.

Ecco che la squadra è decisa: Joan, la famosa sensitiva inglese Anna Trawley; lo psicologo esperto del paranormale Gabriel Case, dell’Università di New York; il migliore amico di Joan, il famoso scrittore Terry Dare. Tutti devono svolgere un ruolo, non totalmente consapevole, per permettere all’agente immobiliare di far “certificare” la totale normalità di Elsewhere.

Anna Trawley riflette nella sua adorabile casetta, mentre Joan fatica a convincere il capriccioso amico scrittore. Dare è un personaggio infantile, capriccioso, benestante. Un gay dai modi eccessivi che ama follemente i suoi due cagnolini. Dipinge e si fascia di abiti sportivi alla moda mentre si fregia del suo convinto motto “IO SONO TUTTO UN DUBBIO”. La reticenza di Dare è semplice pigrizia o un oscuro timore già affligge i protagonisti della storia? Dare è in un periodo in cui ha smesso di scrivere, anche se i suoi romanzi gotici sono assai famosi. Romanzi inquietanti scritti da un tipo tutto eccessi e capricci, e dubbio: bizzarro!

Tutti i componenti della spedizione vengono reclutati, salgono su un’imbarcazione denominata “Lungo Viaggio” e, nonostante una tempesta terrificante, raggiungono Elsewhere. In realtà il professor Case non si imbarca con loro perché li ha preceduti per montare le apparecchiature.

Tutto sembra presagire giorni di pizza, alcolici e conversazioni. In realtà, da subito le cose sembrano mostrare falle, déjà vu. Case li accoglie come ci si sarebbe aspettati, ed è seduto al pianoforte. Sul caminetto un dipinto che attira l’attenzione. Due visi a confronto e domande che soffocano dietro l’incredulità e il materialismo dell’americano di successo che pensa solo alle cose concrete, che si contano e possono comprare cose.

L’inizio della convivenza si consuma tra l’insofferenza di Joan, i dialoghi pacati tra la Trawley e Case. In tutto questo dovrebbe sentirsi lo sgambettare dei cagnolini che Dare non avrebbe mai lasciato. Dovremmo fare attenzione ai loro segnali canini.

Case diventa il fulcro della storia, un personaggio che si sposta da una parte all’altra quasi fluttuando: getta ammiccamenti, ascolta, dona spiegazioni e filosofia… tutto quello che ci si potrebbe aspettare da uno psicologo interessato ad altre “dimensioni”.

Joan e Dare litigano in continuazione, le parolacce fanno capolino tra una riga e l’altra e si prova una certa insofferenza tra i modi di fare inquieti e vuoti della coppia di amici. Strano modo di dimostrarsi affetto quello di promettersi morte e mutilazioni.

In ogni storia di infestazioni c’è sempre una persona che riesce per prima a captare qualcosa. Qui c’è una sensitiva, e una cripta misteriosa abitata da una scultura poco confortante. In realtà, le prove inizieranno a manifestarsi attraverso “il DUBBIO”, la personificazione del dubbio: Dare.

A metà del romanzo, il fastidio per una storia dell’orrore che sembra solo il documento della normalità vuota dell’essere umano medio lascia spazio a qualcosa che inizia davvero a far paura. Le storie intorno ad Elsewhere sono tante e le “vittime” della casa altrettante. Tra un bicchiere di scotch e un Martini si parla di suore, di pazzia.

Img Pixabay. Edited

Due preti gesuiti, una reminiscenza.

E… Dare ha portato i cagnolini? Che domanda sciocca!

Un guaito si sentirà forte e chiaro, ma crescente… poi rabbioso.

Qualcuno avrà la pelle che brucia in modo innaturale ma così “vero”; altri mostrano strane petecchie sul collo; altri ancora cicatrici.

Quando si iniziano a ricollegare tanti fili rossi, persi nel racconto di vite fastidiose e vuote, ci si accorge che il tempo e lo spazio nascondono molti più inquilini della spedizione organizzata da Joan.

Buon “Lungo viaggio”.

Il finale farà tirare un sospiro, di pace? Di sollievo? O forse di rassegnazione verso qualcosa di implacabile che non può che ripetersi. Forse tutte queste eventualità si sommeranno, sta al lettore scoprirlo.

ANALISI E CONSIDERAZIONI

La narrazione viene svolta da un narratore esterno, onnisciente, verrebbe da dire onnipotente se si volesse ricalcare l’umorismo ammiccante e tosto dell’autore.

Parlare di tempo della storia e tempo del racconto è, per questo romanzo, assolutamente fuori luogo.

Lo stile è freddo, i personaggi sono pressoché antipatici. Tutto potrebbe osteggiare un legame empatico e foraggiare un senso di fastidio nella lettura. In realtà, tutto ha un senso se si presta attenzione, molta attenzione. L'autore regala anche inaspettati momenti di dolcezza, umanità e profonda sensibilità: solo sprazzi, solo altre deviazioni; forse visioni sfuggenti della verità sottesa, del senso finale della storia. Sono ipotesi, le mie sono solo ipotesi. 

L’autore si diverte a distrarre il lettore rendendolo simile a quegli esseri umani presi dalle cose da fare, che non credono in nulla e sono frettolosi, pieni di pretese… il più delle volte insoddisfatte perché vacue.

È poco funzionale cercare di affezionarsi a qualcosa di corporeo in una storia di fantasmi. Le nostre emozioni vengono “traghettate” continuamente, quasi senza una meta. Le bussole? Innanzitutto, una piccola conoscenza della biografia dell’autore, per apprezzare i riferimenti alla dura infanzia di Joan e la scelta di far entrare nella storia dei preti gesuiti.

Anche l’ambientazione metropolitana rievoca ciò che l’autore deve aver visto per tutta una vita. La stessa professione di scrittore viene posta sotto la lente e criticata, quasi sminuita e ridicolizzata attraverso il personaggio di Dare. I personaggi sono persone che hanno perso la facoltà di essere felici, davvero in pace. I cuori sono spezzati e nascosti sotto strati di silenzi o battute sboccate.

La seconda via d’uscita dal vagare è posta in mezzo al romanzo, parrebbe solo per dare un tono al parlare del professor Case. Lo psicologo si trova a conversare con la sensitiva mentre prendono il tea e si confidano le rispettive disgrazie, anche se il modo di fare accondiscendente di Case pare sempre sospendere e sottintendere qualcosa. L’uomo parla di alcuni studi sui fantasmi: niente inferno e paradiso ma entità quasi perse, inquiete; capaci di mentire, a detta della Trawley. Dopo la morte ci si potrebbe trovare tutti in uno stesso posto, forse senza percepirsi a vicenda, passando questa esistenza eterna secondo parametri soggettivi, percettivi. Inferno e paradiso non sarebbero luoghi o mete ma quasi proiezioni dell’inconscio di un vivo che si trova morto e, dopo la morte, cerca ancora, disperatamente, di essere felice. Il libro OLTRE IL MURO: COMUNICAZIONI ELETTRONICHE CON I MORTI, riporta la risposta di un’entità alla domanda “Quale è lo scopo della vostra esistenza attuale?”. Il presunto fantasma risponde: “Imparare a essere felici”.


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Che senso ha, allora, scrivere un libro pieno di personaggi antipatici? La risposta non viene dalla scelta del genere horror ma dallo studio profondo della felicità personale, nella sua mancanza, nel suo attaccarsi a “giocattoli” disorientanti, annebbianti. L’autore parla di vuoti, di anime che vanno esorcizzate estirpando il demone dell’assenza di desiderio puro, di spessore, di reale percezione di sé stessi e della vita. Se non si riesce a cogliere l’essenza della vita… come si può…

Le parolacce abbonano, l’umorismo e il “colore” anche. La formazione fumettistica di Blatty fa capolino, ogni tanto. C’è anche un discorso complesso intorno alla fede, alla redenzione e alla presunzione delle etichette di bene e male, cattivo e buono. La morte viene presentata come una condizione assolutamente democratica, comunista. La vita, però, reclama il suo senso nel momento in cui la si abbandona. Non tutto ciò che non si vede è cattivo, spaventoso; non tutto ciò che è materiale e visibile è reale nel senso più nobile del termine.

Alcune minacce di morte si trasformeranno in un abbraccio disperato. Vivere è un lungo viaggio, la morte è una destinazione che dipende da un atto di volontà che, se fatto tardi, fa perdere.

Se si ricongiungono tutte le trame tessute da un esperto di pubbliche relazioni divenuto scrittore di demoni ed esorcismi… si può apprezzare un romanzo forte che si presenta, a una prima lettura, solo per qualcosa che sfugge, come il senso della vita e della morte; di inferno e paradiso.

 Il complesso è intrattenimento ma anche riflessione verso i più grandi significati e le più ingombranti incognite della nostra esistenza. 

 

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Grazie e buona lettura!