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domenica 16 luglio 2023

L'AMORE È UN CANE CHE VIENE DALL'INFERNO

 DI
CHARLES BUKOWSKI

  • Anno di Pubblicazione 22 gennaio 2015
  • Data prima pubblicazione 1977
  • Editrice Guanda
  • LINK ALL’ACQUISTO QUI
  • Pagine 223
  • PREZZO EBOOK 6,99€
  • PREZZO CARTACEO 11,40€

DALLA DESCRIZIONE EDITORIALE

“Raccolta di testi poetici dalla forte valenza narrativa, L’amore è un cane che viene dall’inferno è l’America miserabile, clandestina e sconfitta che Charles Bukowski ha rappresentato in tutta la sua opera. È tutti i suoi abitanti: falliti, ubriaconi, giocatori d’azzardo, perdenti di ogni genere... Un’umanità cui lo scrittore guarda con ironia intrisa di disperata partecipazione.” 

L’AUTORE

Biografia pressoché superflua: “ubriacone”, “sporcaccione”, “feccia”. I più gentili lo definirebbero “un po' forte”. Chiunque sa usare bene aggettivi e indicazioni, etichette… su un uomo che nella sua tarda fama si è portato dietro le etichette societarie e quelle del resto, per scriverci su la verità. Un padre, un puttaniere e uno che tra il buco del collo della bottiglia e quello di un retrocorpo è sceso: down, down. Parlare a chi di lui? Forse solo alle ragazze di quel bordello che leggono le sue poesie, che sanno cosa e come è stato dolce il come, anche nella sporcizia di tutti i giorni portata lontano con vergogna. Quando la cosa più pulita e sincera della società è la nostra immondizia.

UN CANE STA DRAIATO: MORTO O RIPOSA, ASPETTA O NON PUÒ ASPETTARE PIÙ

“NON SPOGLIARE IL MIO AMORE
POTRESTI TROVARE UN MANICHINO;
NON SPOGLIARE IL MANICHINO
POTRESTI TROVARE IL MIO AMORE”.

Un cane sta sull’asfalto, ma bisogna andare, alle corse, a sperperare. E quanti cani stanno sul ciglio della strada, quante vite stanno come il cane; su quanto amore passano sopra ruote e pesi che spappolano.

Un’edizione bella e comoda: ci sono le poesie in italiano e quelle in inglese. Comodo leggerle in un’altra lingua… i più seri diranno per lecito rispetto e adeguata adesione, io dico perché se la lingua è di qualcun altro le cose sembrano riguardarci meno. E poi in inglese le porcate suonano bene.

Nel disastro e tra i tappeti macchiati suona sempre una musica dolce: uno schiaffo sulla carne soda e tonda e Mozart che risuona tra cuori malandati e ubriachi, ma forse più amanti di molti abiti bianchi. La musica non ferisce, mentre il fegato si spappola e la schiena strilla. L’intimità, come direbbero sempre gli educati: ma chiavate la tomba per riportare in vita i morti, lo dice Il poeta. Quando le anime che si scandalizzano dovranno mettere sassi nelle tasche della propria anima per dare qualche consistenza a vite svuotate dagli altri, dalla vita, dall’inferno d’amore che non è dannazione, è solo fuoco e dolore e ottima compagnia.

Buttare via, accanto al cane morto. Ma:

“Come si fa a essere così
fortunati? Avere qualcosa
che gli altri hanno abbandonato.”

I sensibili sono gli spazzini tra la gente, anche i poeti, anche gli amanti. No, gli amanti sono quelli che cercano sempre di rimettere insieme i pezzi di qualcosa che non è più senza ragioni del cuore ma per ragioni di qualche calcolo venuto male. 

“Non dovevamo farlo
eppure dovevamo.”

Bukowski espelle lerciume, e poi lo dice “È vero sono capace di amare”.

Gemendo e piangendo si gode e si fa schifo. Ma almeno si gode quando in realtà se non lo facessimo saremmo spesso, comunque, destinati a fare schifo ma con abiti di “percalle”.  Si chiudono le finestre per gemere, e per piangere. 

Sono le donnacce che ti trovano, non sei tu. Forse è quel bambino che ha subito, e quell’acne che ha deformato un volto che da quando è divenuto brutto ha sfoderato la propria ignobile bellezza. Charles.

Lo scrittore e il suo numero di telefono tra le poesie: soli, anche il famoso, il porco. 

“Gli immondezzai della città pieni
i robivecchi pieni
i manicomi pieni
gli ospedali pieni
i cimiteri pieni.

nient’altro
si riempie.”

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mercoledì 28 giugno 2023

VERSI EROTICI NEL DESERTO

 DI 
ANDREA TOMASELLI

  • Anno di Pubblicazione 2023
  • Edizione 1°
  • Editrice Eretica Edizioni
  • LINK ALL’ACQUISTO QUI
  • Pagine 77

DALLA DESCRIZIONE EDITORIALE

“I nostri corpi vagano, in esilio, in un disperato deserto apollineo. Sono stati banditi dall’ascetismo della nuova Chiesa, quella digitale, che in questo modo può lucrare sul desiderio abbandonato.” 

L’AUTORE

Andrea Tomaselli, regista, sceneggiatore, scrittore e poeta, insegna sceneggiatura e regia cinematografica presso la Scuola Holden di Torino. Oltre che del racconto LA PESTE DELL’ANNO UNO, è autore del romanzo BODIES, STORIA DI UN POLIAMORE (2021) e della raccolta poetica VERSI EROTICI NEL DESERTO. Ha curato la sceneggiatura e la regia dei film ZOOSCHOOL, del 2015, e KYO, del 2019. È da ricordare anche lo spettacolo teatrale LA CREPANZA DEI MANIACI D’AMORE, di cui cura sceneggiatura e regia. 

LIBERO INFETTARSI DI VITA, E LANGUORE E NOSTALGIA DEL PARADISO PRIMIGENIO


Più di cinquanta poesie, divise in tre sezioni: un triangolo, una piramide eretta per seppellire e piangere i nostri atavici limiti… da tumulare, piangere per un minuto per poi correre sulla sabbia che sa volare ed essere invisibile. E come la fine sabbia si può raggiungere ogni angolo del creato, ogni piega del corpo, ogni profilo di un’opera d’arte, ogni essere o essenza. Il vento passa attraverso e tutto canta. 

Quale scioccante aggettivo: “erotico”, quando il deserto permette visioni solo momentanee, e la sete indebolisce corpi orfani, menti raddrizzate e ammaestrate a non pensare quei corpi e a chiudere ogni accesso al cuore che deve battere con un ritmo calmo, appena necessario a portare avanti passi incerti dove in realtà l’incertezza non è permessa in un reale pauroso, e impaurito di ciò per cui è nato: essere il divino che si può toccare. 

Tomaselli versifica senza pudore, usa i nomi delle parti del corpo, tutte. La morale borghese è abbracciata per essere scossa, svegliata dal prolifico sperperare che mai dorme, o forse mai si sveglia. I letti sono fatti per far riposare le macchine, forme a cui ormai siamo spesso ridotti; le mani servono per autoconfortarsi di un ononanismo secco e sterile. Tomaselli recupera la fecondità di cui siamo donati al momento della nascita: non perpetuare la specie ma amare, d’amore e di passione, di stupore e parole sporche urlate con libertà. 

Siamo davvero nati liberi? Quando già abbiamo il nome delle aspettative. Ma è solo l’incompleto a permettere la santificazione nell’infinito, grazie al desiderio. Non v’è peccato nel desiderare, perché il desiderio è virtù civica, sociale, teologica. Il sesso, tra questi versi, non ha il genere, non ha “quel” nome. Nelle parti intime la violenza permette di aprire il varco della divinità, dell’energia che uccide il “solo” in nome dell’UNIONE. 

Le sensazioni sono ormai passate dalle dita, dal ventre e dai genitali… ai nostri occhi, che però non vedono ciò che possono desiderare, amare, ma si proiettano vuoti su schermi che fanno invidiare e succhiare vite altrui essendone intasati. Chi siamo? Pazienta e lo saprai… devi essere quieto. No! Tomaselli chiami a raccolta gli impazienti: reietti, sputati dal deserto per un altro deserto. Ma chi cammina nudo e a piedi scalzi non teme la spaventosa potenza di un orizzonte che sfuma per i raggi di luce e il calore estremo di un sole che brucia, e corrode le pietre. Volete accontentarvi della prosa? Sì, ma cosa raccontate? Vite di altri, principi stabiliti da morti, storie che non avete vissuto e non vivrete mai. “Parlo per chi sta dentro”: ascoltate il poeta, l’ultimo germoglio che non conosce distruzione chimica, anche se siamo ormai castrati da sostanze e istanze sintetiche. 

“Parlo per chi sta dentro
e non mi può sentire,
invito le porte a marcire”

“culi belli come il tuo,
padroni di tutto”

L’orgasmo universale, il vuoto che reclama la sua funzione. Come un vaso non può accogliere acqua se non ha il suo vuoto allora noi non possiamo assolvere la nostra nascita senza svuotarci per essere riempiti di saliva, follia, amore. Non è il romanticismo a vincere, è la vitalità… è l’autentica vivida bestialità del nostro potere di unire, di legare, di godere del mondo fino a farlo sorridere così forte da far cadere i tetti da tutte le prigioni. 



giovedì 15 giugno 2023

LA PESTE DELL'ANNO UNO

DI 
ANDREA TOMASELLI
Ph Francesca Lucidi

  • Anno di Pubblicazione 2014
  • Edizione 1°
  • Editrice Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano
  • Edito nella collana ZOOM Filtri
  • Edizione digitale
  • LINK ALL’ACQUISTO QUI
  • FORMATO KINDLE €0,99
  • Pagine 21

DALLA DESCRIZIONE EDITORIALE

“Un apologo allucinato e allucinatorio, nero come l’inferno sotterraneo che strangola i due protagonisti. La ricerca disperata di una via di uscita, qualsiasi possa essere. Un gioiello della narrativa underground, in tutti i sensi.” (Alan D. Altieri)

L’AUTORE

Andrea Tomaselli, regista, sceneggiatore, scrittore e poeta, insegna sceneggiatura e regia cinematografica presso la Scuola Holden di Torino. Oltre al racconto LA PESTE DELL’ANNO UNO, è autore del romanzo BODIES, STORIA DI UN POLIAMORE (2021) e della raccolta poetica VERSI EROTICI NEL DESERTO. Ha curato la sceneggiatura e la regia dei film ZOOSCHOOL, del 2015, e KYO, del 2019. È da ricordare anche lo spettacolo teatrale LA CREPANZA DEI MANIACI D’AMORE, di cui cura sceneggiatura e regia. 

IL TERRORE DI RICONOSCERSI IN UN RACCONTO CHE CHIAMERETE “IMPOSSIBILE”

UN’ALLUCINATORIA ESPERIENZA DI VIOLENTA PRIGIONIA. LA PACE ORRORIFICA DI UN ETERNO PRESENTE, UN’APOCALISSE DEL SÉ…

SOPRAVVIVERANNO ELETTI O CATTIVI? UN RACCONTO ASFISSIATE, DI GENIALE E CRUDELE LUCIDITÀ. COSA RESTA? FORSE UN NOME? 

Ventuno pagine in cui scivolare svelti, come in un pozzo apertosi sotto ai piedi di un’innocente creatura che gioca alla vita, ignara fanciulla.

Una prosa dal peso evangelico e dalla tagliente determinazione profetica. Sfido il lettore a credere a ciò che è accaduto, anche se non basta restare nella vicenda per sentirsi al sicuro, dietro infissi solidi, muri di confine.  

Come può ciò che non c’è essere allegorico? Il dubbio crea il doppio, lo specchio la fa incarnare quell’allegoria impossibile. Il fatto è tremendo, ancor più straziante è capire che un’apocalisse non deve avere per forza la dimensione dell’universalità. 

Un padre, dei figli… una figlia. Straniati dai tempi verbali che non portano avanti o indietro, ma ti immobilizzano: saremo invitati sull’arca della nuova alleanza. Una mano sulla spalla, un sussurro amorevole: il mondo è un posto orribile, tu sei orribile. Tu sei il frutto di quel mondo. 

Non occorre chiamare per nome un insulto; come non è forse determinante uccidere il lupo se le pecore non ne hanno mai veduto uno. E così deve essere. Il buon pastore, il padrone, conosce la regola. E sa selezionare la razza migliore, la più forte, la più docile. 

La peste dagli echi metaletterari è globale e domestica. Un’infezione epidermica che entra dagli occhi, per la bocca, per il sangue puro. I cattivi sono malati, i malati sono le bestie che si sono cibate di un arbitrio da temere. “Lui” li tiene sotto il controllo del suo occhio. I lupi “infetti” corrono, liberi, oltre le pecore che stanno a pascolare sane, in attesa del macello. 

Una lettura multidimensionale, che riesce a moltiplicare le visioni sinistre, le critiche sociali che si arrovellano su sé stesse come un serpente morente, ma che sta solo lasciando la dura pelle di un vecchio stato. Un racconto che è così vicino all’inaccettabile da straniare dolorosamente in bellezza. 

La storia moltiplica, in uno spazio piccolo, personaggi e lettore. Es e Super Io si specchiano, si confrontano e si scambiamo. Il bambino interiore e il genitore interiorizzato sono qui invenzione, concetto, poi realtà. Agnello e lupo condividono il pericolo di un medesimo predatore.

Una trama di per sé già simbolica, riesce a farsi eco cocciuto che non smette di dire i nomi di tutte le persone, poi di alcune persone, poi di nessuno… per poi ricominciare. 

“Mi spiega che esistono pensieri che si travestono, di speranze, si fanno belli per distrarti, farti togliere il fermo dalla porta, e poi invece sono cose mostruose, che ti possono anche uccidere. 

[…] Perché è in quel modo che la peste ci imbroglierà.”


“ESPRIMERSI È STATA BRUCIATA”




 



giovedì 8 giugno 2023

LETTERA DI UNA SCONOSCIUTA

 di 
STEFAN ZWEIG

LETTERA DI UNA SCONOSCIUTA di Stefan Zweig
Ph Francesca Lucidi

  • Anno di Pubblicazione 2014 (1°1922)
  • Editrice Garzanti
  • Formato Ebook
  • Link all’acquisto per tutte le edizioni in commercio QUI

L’AUTORE

Per la biografia di Stefan Zweig si rimanda a un precedente post. CLICCA QUI per leggerla. 

PERFETTO PER chi ha amato in silenzio e da lontano, e per chi si è accorto tardi di essere stato amato. 

ADATTO PER riflettere sui rimpianti, sulle avventure romantiche; sul significato degli incontri con il prossimo e sulla memoria.


CENNI SULLA TRAMA E RIFLESSIONI

Ricordi che non ricordano per persone che non si “incontrano” 

“Come uno sfarfallio di una pietra che luccica inconsistente nel fondo di un torrente.

Ombre si affacciavano nella sua memoria per poi di nuovo dileguarsi, senza prendere forma in un’immagine. Sentiva di avere dei ricordi, ma non ricordava nulla.”

Vivendo, troppo spesso, ci si distrae dalla vita. La memoria degli eventi, delle persone incontrate è l’appiglio a cui cerca di aggrapparsi il senso di un vissuto; il luogo dove possono imprimersi durevolmente i numerosi profili degli anni sfiorati passandovi attraverso. È impossibile percorrere le giornate, le strade, senza incontrare gli altri; si potrebbe impazzire pensando a come si è toccato chi su di noi ha poggiato uno sguardo, una fantasia, un’aspettativa. 

“Non c’è nulla di più terribile dell’essere soli in mezzo alla gente.”

Ma cosa è davvero la solitudine? Essere dimenticati, o essere sempre stati invisibili al vedere autentico altrui è la tomba definitiva, quella che si ricopre di rovi e viene risucchiata nella terra dell’oblio. Incontrare il prossimo, essere visti, arrivare alla memoria e trovarvi ricovero: la sopravvivenza oltre la morte può essere solo nell’incorporeità di un ricordo garantito dall’unione di vissuti che si sono riconosciuti, e poi conosciuti fino creare tracce che sanno rimanere sospese oltre la caducità del tempo, del corpo, della carne che soffre o che ama.

I fiori su una tomba cosa sono se non il segno che vuole far mantenere una reminiscenza, e altresì un souvenir macabro che si deteriora troppo presto. 

Una tomba già riempita, troppo presto; un’altra vuota, in attesa, notata troppo tardi solo nel momento in cui è ora di deporvi il contenuto. 

Un famoso scrittore torna a casa dopo tre giorni in montagna. Una quotidianità comoda e distratta, calzata con superficiale sicurezza, piacere, leggerezza; senza pensare troppo così che ogni cosa non abbia il tempo di imprimersi nella mente. Una lettera anonima, aperta con gesti generici, una scrittura femminile, un contenuto troppo lungo che potrebbe dover sforzare la mente verso stimoli pericolosi, che rischiano di rendere quelle parole degne di un tempo necessario che può aprire le scomode stanze della memoria. Lo scrittore conosce l’abilità del leggere a lungo, lo testimoniano i volumi in più lingue che riempiono lo studio; una lettera, però, ha un destinatario preciso, chiede una responsabilità diversa a chi ne viene coinvolto direttamente. 

Una innocente curiosità che male può fare… perché non sbirciare in quelle righe per giocare a sorprendere l’anonimato del mittente sul fatto. 

Lo scrittore, però, si accorge subito che quella lettura avrebbe sconvolto la sua vita, ormai era troppo tardi. 

Una donna scrive una lunga missiva, in occasione della morte del suo bambino. Sente anch’ella i brividi della malattia, ed il momento è giusto: confessare un amore disperato, perpetuo, segreto, all’uomo oggetto del suo desiderio da quando era bambina. Tra le pagine il racconto di una vita: dall’infanzia all’età adulta, il peregrinare attraverso luoghi ed eventi con l’unico scopo di amare, desiderare; poi essere vista, riconosciuta. L’innocenza giace con delle candele intorno e le mani giunte, mentre gli altri paiono tutti colpevoli. Un’abnegazione cieca, un fanatismo romantico, un’idealizzazione folle: la sconosciuta ha conosciuto solo l’attesa, la nevrosi di un desiderio che ha avuto anche la sfortuna dell’illusione del compimento. L’attenzione per l’altro che diventa intrusività, imposizione, violenza. Alla disattenzione non è concessa alcuna ingenuità, perché a nessuno è permesso di non accorgersi di un simile. Un “macello di vergogna” che restituisce solo i resti di chi ha vissuto fino a consumarsi, sperperandosi, negli opposti di atteggiamenti diversi nella forma ma tragicamente simili nella sostanza. Amare troppo, pazzamente, o non amare affatto: energie che si estinguono in fiammate gemelle che bruciano tutto ciò che è nei dintorni. 

Chi ama ha diritto di tacere un amore? Chi non ama ha colpe di fronte al non aver avuto la cosciente facoltà di ricambiare? Il segreto può diventare menzogna, la leggerezza offesa, la distrazione un’azione criminosa e fatale.

Zweig pone di nuovo la luce negli angoli oscuri dove si celano individui eccezionali perché figli della disperazione dell’eccesso. L’umanità mostrata in modo autentico, perché non edulcorata o filtrata dalla rappresentazione “giusta” della realtà. Diversità, anomalie: personaggi estremamente eccessivi, veri e vividi, che si scontrano con simili sentiti come specie estranee perché superficialmente tiepidi e istituzionalmente sani. La comunicazione impossibile tra il linguaggio del salubre ordinario e il codice indecifrabile degli outsider. 

Una storia tragica, un racconto che è stato portato avanti con cieca volontà e che riacquista la focalizzazione nel momento in cui non è più possibile un finale differente: così da anelare al controllo, a tutti i costi.

Zweig riporta ancora al valore della profondità dell’approccio al prossimo, alle responsabilità di essere persone. Nessuno può slegarsi da tutti gli altri. L’eco lontano di una musica canta una marcia funebre per tutto ciò che nella dimenticanza perde per sempre davanti alla mortalità. 

Molti segreti saranno svelati in quella lettera, e forse si narra un intreccio potenzialmente probabile per chiunque. 

CITAZIONE SCELTA PER VOI

“Il volto di una ragazza, di una donna, deve essere una cosa estremamente mutevole per un uomo, perché è quasi sempre solo un riflesso, ora di passione, ora di candore fanciullesco, ora di stanchezza, e svanisce in fretta come un’immagine allo specchio.”

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martedì 16 maggio 2023

VIVERE SECONDO NATURA

di
HENRY DAVID THOREAU

(dal WALDEN)

VIVERE SECONDO NATURA (dal Walden), di Henry David Thoreau
Ph Francesca Lucidi

  • Anno di Pubblicazione 2021 (or. 1854)
  • Casa Editrice Garzanti
  • Prezzo edizione cartacea €4,66
  • Prezzo ebook €0,99
  • Num. Pagine 112
  • LINK ALL’ACQUISTO QUI

DALLA DESCRIZIONE EDITORIALE

«”Rinunciando a ciò che è superfluo, e abbracciando così un'esistenza all'insegna della semplicità e dell'autonomia, saremo in grado di guardarci intorno con occhi nuovi: ci accorgeremo di conoscere in verità «solo pochi uomini, ma una gran quantità di soprabiti e calzoni”.»

L’AUTORE

Biografia di Henry David Thoreau

Nasce il 12 luglio del 1817, a Concord, Massachussets. Terzo figlio di un uomo d’affari che non brilla per successi ed iniziativa, John Thoreau, e di Cynthia Dunbar Thoreau. 

Nel 1823 viene mandato alla Concord Academy, e in seguito entra All’Università di Harvard, dove si laurea nel 1837, ma non senza aver manifestato e vissuto una cerca incompatibilità con il sistema d’insegnamento, organizzazione e concezione dell’istituto. 

Inizia ad insegnare alla scuola di grammatica di Concord ma, anche lì, sperimenta una certa insofferenza che lo costringe a lasciare l’impiego. Tenta di lavorare nell’impresa familiare ma poi crea una piccola scuola con il fratello John, iniziativa che dura circa tre anni, nonostante i tratti progressisti. L’esperimento viene meno a causa della malattia di John, che muore nel 1842 lasciando Thoreau nel dolore. Dalla relazione fra i due fratelli, nascerà il primo scritto importante di Henry Concord and Merrimack Rivers, del 1849, ispirato ad una gita fatta proprio in compagnia di John.

Durante questo periodo di confusione e sofferenza, il sostegno più grande gli viene donato dall’amicizia con Ralph Waldo Emerson, conosciuto dopo il trasferimento di quest’ultimo a Concord nel 1837. 

Emerson, ex ministro della Chiesa Unitariana, culto caratterizzato da un rigido monoteismo che rinnega il dogma trinitario e la natura divina del Cristo, vede subito in Thoreau un discepolo da accogliere in seno al Trascendentalismo. 

Il Trascendentalismo si presenta subito come un movimento letterario, ma anche e soprattutto filosofico, che combina il romanticismo con un umanesimo tipicamente americano. Si celebra l’individuo e non le masse, l’emozione a scapito della ragione; si valorizza il valore essenziale e principale dell’esperienza diretta in relazione ad un rapporto stretto con la natura. L’uomo ha un potere straordinario perché ha in sé l’Io Universale, ma ciò implica un costante potenziamento nell’assunzione della realtà esterna attraverso la conoscenza della realtà e dei suoi limiti solo immergendosi in essa. Una visione romantica e panteistica, che sì richiama echi Kantiani, ma tratteggia una costruzione filosofica che richiama emancipazione dalla tradizione europea. L’Umanesimo americano si decolonizza creando le basi di una visione del vivere che ancora oggi è spinto a livelli a volte anche eccessivi dall’amore statunitense per il Self Empowerment.

Proprio Emerson spinge Thoreau ad iniziare un diario, pubblicato poi postumo in 14 volumi nel 1906. E a scrivere su The Dial, la rivista dei trascendentalisti. 

Nel 1840, Thoreau tenta di prendere moglie proponendosi ad Ellen Sewall, che alla fine rifiuta di sposarlo. Nel frattempo, lo scrittore si trasferisce da Emerson e vi resta mentre affronta la morte del caro fratello John e una profonda instabilità lavorativa. La famiglia Emerson aiuta Thoreau anche impiegandolo come insegnante in casa di William, il fratello di Ralph, a New York. L’esperienza dura però poco. Thoreau torna a Concord e all’impresa di famiglia, ma ormai la sua voglia di sperimentare e il suo modo di pensare rivoluzionario lo spingono a cercare l’illuminazione in un’esperienza radicale e formante: nel 1845 il ventisettenne Henry parte con un’ascia presa in prestito e si costruisce la sua capanna sulle rive del fiume Walden, dove vi resta due anni. Meditando e, soprattutto, sperimentando, appunta ogni cosa su un diario che sarà la base per la pubblicazione di Walden, Ossia vita nei boschi, del 1854: uno dei suoi lavori più famosi ed influenti. Durante l’esperienza non mancano intrusioni dal mondo esterno: Thoreau viene persino rintracciato da un esattore delle imposte, e chiamato a rendere conto del fatto che da anni non paga la poll tax, ovviamente non per dimenticanza per forte volontà di protesta contro la guerra degli Stati Uniti contro il Messico. Thoreau viene così tratto in prigione, dove vi resta per una notte: una zia paga la cauzione, e nonostante le sue lamentele Henry viene rimesso nel mondo. La sua convinta posizione pacifista e abolizionista cresce sempre di più, portando alla nascita del saggio La disobbedienza civile, pubblicato nel 1849 con il titolo originale Resistenza civile; nel 1854, stesso anno del Walden, pubblica anche Slavery in Massachussetts. È da ricordare che i suddetti saggi sono le trascrizioni di conferenze pubbliche che Thoreau tiene volentieri e con assai molta veemenza, come anche Emerson. È da annoverare l’intervento di Thoreau tenutosi il 30 ottobre del 1859, presso il municipio di Concord, In difesa del Capitano John Brown .  

Negli ultimi anni Thoreau si distacca un po' dal trascendentalismo per diventare soprattutto un naturalista, attività che svolge anche come lavoro insieme ad altre mansioni tecniche. Muore di tubercolosi nel 1862. 

Postumi sono The Maine Woods, Cape Cod, A Yankee in Canada; e raccolte di poesie e lettere curate da Emerson. 

LA PREZIOSA EREDITÀ DEL PENSIERO DI THOREAU

Thoreau è il padre dell’ecologismo e della lotta non violenta: a proposito di questo ultimo aspetto… attendete il futuro post su La disobbedienza civile.

VIVERE SECONDO NATURA

VIVERE SECONDO NATURA è un saggio estratto da WALDEN, OSSIA VITA NEI BOSCHI, di cui ne costituisce la prima e prodromica parte.

Due anni presso il lago Walden, senza null’altro che un’ascia presa in prestito. Una capanna costruita con mani che non avevano mai sentito il peso della responsabilità dell’autosufficienza. L’indipendenza gustata tra panini non lievitati cotti sulla pietra, e qualche mobile necessario anche perché sedere su una zucca sarebbe un eccesso che non giova alla causa. Fagioli coltivati da sé e pochi libri: una mente sgombra per creare un business senza denari ma con utili assai preziosi per la costruzione di una strada praticabile verso una vita migliore, perché di scontenti ce ne sono davvero molti, nel farisaico benessere che si lamenta; ed è per loro che Thoreau mette su il suo esperimento, anche se è noto che chi giova di una scoperta ha prima additato con paura a chi avesse avuto il coraggio di impiegarsi nella vera conoscenza dell’immanente, che è l’unico testo sacro e scientifico dove risiedono le idee. 

Grazie a Thoreau, e alle invocazioni del Trascendentalismo, si è invitati ad un “riformismo” dell’individuo: la chiamata può e deve riguardare chiunque; ma ognuno ha un solo particolare percorso, totalmente personale e specifico. 

L’Io individuale ha le sue radici nell’Io Universale: The Over soul, la Superanima che in sé include tutti gli esseri viventi, i quali sono qui spinti a superare ogni limite esteriore e, soprattutto, interiore. In nome dell’Anima Universale, tutti gli esseri viventi sono connessi: la Natura è il locus perfetto per trovare le soluzioni esistenziali e per tornare in armonia con un’indipendenza che non è mai egoistica ma esclusivamente responsabile, per sé ma soprattutto per tutto il resto. L’Energia Superiore agisce, o meglio dobbiamo ad essa permettere di agire, attraverso gli individui: rientrare nel flusso naturale delle cose, con essenzialità, rispetto, coraggio, curiosità e incuranza delle leggi precostituite da una vuota maggioranza è il mezzo per conoscersi e valorizzarsi, andando così a rimpinguare le risorse di un mondo già depredato e ridotto a un commercio di felicità a buon mercato, generiche; insalubri, ottenebranti, false.

L’uomo timorato di Dio sta in realtà in una perpetua penitenza inconscia: tra preoccupazioni futili ed eccessive, fatiche inutilmente brutali… assolutamente autoinflitte. 

La stessa religione invischia nel pronunciamento di canti fatti della paura di Dio e mai della gioia della vita. La carità si riduce a raccolte fondi ed elargizioni una tantum, fatte con una mano mentre l’altra continua a scavare una grande fossa comune per tutte le persone presenti e future.

“Se donate denaro, investitevi anche voi stessi, e non limitatevi a consegnarlo loro.”

Fare del bene, presunto, è cosa inutile se chi si prodiga così alacremente non è in realtà buono, e non sa neanche in cosa consista un minimo di bontà.

Al bando ogni ipocrisia, anche se l’autore non nega il suo piacere nelle cene fuori e ogni peregrinazione esistenziale fatta di fallimenti e di desideri. Ma egli ha tentato, ha sperimentato, ha sofferto carcere, fame e freddo; ha vissuto nel bosco tra gli animali riuscendo a sentire una voce che gli raccontava di come gli uomini sono strumenti delle loro bestie al giogo, e di come le fattorie siano la vera povertà del contadino. 

Mangiando vegetali le ossa non si formano, dicono cittadini e membri della “comunità” mentre stanno curvi sotto il peso di chincaglierie, mobili e cianfrusaglie esotiche estirpate da popoli “selvaggi” e depositari di una dignità sconosciuta al commerciante affannato, al fattore stremato, all’intellettuale soggiogato e al filosofo che insegna la filosofia senza averla praticata neanche un giorno della sua vita. 

La malattia del benessere e i deliri di una febbre dell’inutile; un morbo che ha alzato al massimo la superficialità che toglie l’essenziale alla fetta più numerosa della popolazione terrestre.

 Thoreau parla di un progresso mendace, che costruisce ferrovie mentre gli operai vi si ammazzano costruendole; di industrie che creano abiti belli per la gente per bene, mentre gli altri simili soccombono a ritmi di lavoro inumani. Il consumismo prima di essere chiamato così… è già chiaro: agli occhi di Thoreau c’è l’urgenza di essere svegliati:

“Non intendo scrivere un’ode allo sconforto, ma vantarmi gagliardamente come fa il gallo al mattino appollaiato al suo trespolo, se non altro per dare la sveglia ai miei vicini.”

/-/

Ironia pungente; coscienza ipersviluppata mostrata in una testimonianza che a volte cede alla tautologia, perdonata però per l’efficacia di un messaggio scaturito dalla prova, dal coraggio di fare qualcosa di diverso. E benedetta sia la diversità per Thoreau, che non vuole propinare una sola verità ma solo spingere verso l’emancipazione da una schiavitù non solo reale ma ideologica, sociale. L’uomo si affama perché il pane spirituale è sostituito da cibi che non saziano, da abiti che non scaldano e da case che non proteggono ma imprigionano: per le quali i costruttori ci invogliano verso travestite celle dorate, confinanti con vicini molesti. La separazione del lavoro si tramuta nella convinzione che siamo incapaci davanti all’autosostentamento, all’indipendenza. Il mutuo soccorso diviene solo l’organizzazione di uno spettacolare ed elegante funerale globale, di una morte dell’umanesimo per una società che celandosi dietro pubblicizzata sicurezza rifila solo indifferenza verso l’individuo e la natura. Quest’ultima si consuma perché l’uomo non è più solo una entità passeggera pervasa di meraviglia ma un parassita insaziabile che impara troppo presto a consumare, specialmente sé stesso dato che non si sa cibare di ciò che gli serve ma solo di ciò che gli viene preconfezionato senza alcun riguardo per i nutrienti davvero necessari. 

“Il prezzo di una cosa è la quantità di ciò che definisco vita da dare in cambio.”

Le istituzioni divorano la vita del singolo, ridotto a un vecchio signore che arranca trascinandosi dietro il peso di cose inutili. 

“Potrebbe essere la casa a possedere lui e non viceversa”. 

L’uomo insoddisfatto non sta facendo altro che lamentarsi dei tempi duri “perché non può permettersi ci comprare una corona”. 

Thoreau pone il suo Io a narrare, ma il discorso è aperto alle conclusioni e soprattutto alle azioni mancate del destinatario ben identificato: egli si rivolge “alla massa di uomini che sono scontenti o si lagnano inutilmente della durezza della sorte o dei tempi, quando potrebbero essere loro a migliorare la situazione”

DESIDERI E BISOGNI 

Il capovolgimento del modello motivazione dello sviluppo umano di Maslow, in tempi non sospetti

Credo di avervi già parlato della PIRAMIDE DEI BISOGNO DI MASLOW ma, per i nuovi arrivati e per quelli che come me hanno una labile memoria, meglio ripassare.

Nel 1954, lo psicologo Abraham Maslow immagina un modello motivazione dello sviluppo umano basato su una gerarchia di bisogni. L’uomo tende a sviluppare primamente dei bisogni primari, e solo dopo può far emergere quelli di ordine superiore che portano alla consapevolezza e all’attuazione dell’autorealizzazione individuale. In sostanza, si realizza la propria identità solo se prima si sono soddisfatti i bisogni primari, considerati di “sopravvivenza”. 

In ordine, partendo dal basso, Maslow parte dai bisogni fisiologici (fame, sete, sesso, combustibile); poi vi sono quelli di sicurezza (come un riparo); salendo arrivano i bisogni sociali come l’appartenenza e in seguito la stima, e solo in ultimo si giunge all’autorealizzazione. Questo modello è dimostrato essere parziale, e rigido, anche perché non contempla l’influenza dell’ambiente esterno che potrebbe spingere a concentrarsi anche su più bisogni contemporaneamente a seconda delle occorrenze. 

Thoreau, e appunto il suo “pane spirituale”, pone innanzitutto una riflessione sulla confusione tra bisogni e desideri. Il bisogno, chimicamente, mette in moto nel sistema nervoso una serie di percorsi che inducono all’urgenza, e lo fa smuovendo anche i fattori emotivi. Il desiderio dovrebbe essere un qualcosa in più, assolutamente non necessario. Thoreau fa l’esempio della moda, dei calzoni sempre nuovi indossati da manichini; non manca anche di portare a conoscenza studi antropologici che hanno osservato come un uomo selvaggio grondi di sudore in case troppo riscaldate che inducono un indebolimento delle naturali difese corporee. La contemporaneità di Thoreau, e ancor più la nostra, sostituisce il bisogno con il desiderio che è anche, nella maggior parte dei casi, indotto e non libero e specifico. 

Ciò cosa produce? Ansia, moltissima ansia. L’uomo si dimentica della natura, capace di adattarsi alla forza come alla debolezza degli esseri viventi, e la sostituisce con un’ansia che sopravvaluta l’importanza del lavoro, del fare schizofrenico. “Ma quante cose non sono state compiute da noi?” dice Thoreau, e guardandosi intorno senza paraocchi ciò è più limpido di quanto si potesse pensare… anche se, forse è troppo tardi, oggi, per rientrare in un certo circolo naturale. Ma questo saggio serve anche a ritrovare la fiducia. 

I bisogni primari e l’autorealizzazione possono e devono agire all’unisono, e solo così la piramide pare più flessibile e quindi solida. 

Uomini nuovi: ecco cosa serve, e i cosiddetti vecchi saggi non costituiscono un alibi. Più che cambiarsi d’abito l’umanità deve fare la muta, che negli animali indica uno stato superiore e non un cambiamento esteriore e inutile. Appena si può non morire di fame, di certo c’è altro in sostituzione del superfluo: esplorare la vita. 

Nessuna frase vuota, nessuna teoria che si adagia su sé stessa: VIVERE SECONDO NATURA significa imparare un’economia del vivere, che è sinonimo di filosofia. 

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lunedì 30 gennaio 2023

IL LUPO E L'EQUILIBRISTA

 di 
MAX SOLINAS

IL LUPO E L'EQUILIBRISTA di Max Solinas.
Ph Francesca Lucidi

  • Anno di Pubblicazione 2019
  • Edizione 1° 
  • Editrice Garzanti
  • Lunghezza stampa 175 pagine
  • Prezzo edizione cartacea 16,05€
  • Prezzo Ebook 9,99€
  • LINK ALL’ACQUISTO QUI
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DALLA DESCRIZIONE EDITORIALE

“Così, un passo dopo l’altro, Chris insegna al lupo a fidarsi di nuovo della mano che gli offre il cibo e gli accarezza, non senza timore, il dorso peloso. A sua volta, il lupo, con movenze precise che derivano dalla legge del branco, guida il suo nuovo compagno alla riscoperta del mondo naturale, dei profumi, dei suoni e dei colori che cambiano al mutare delle stagioni."

PERFETTO PER chi ama la natura selvaggia e il rapporto con essa; per chi sente un legame particolare con gli animali. 

ADATTO PER tutti quelli che vogliono riscoprire sé stessi, e sarebbero felici di avventurarsi in un viaggio attraverso i boschi per sentire l'energia autentica della vita.

CONSIGLIATO A chi è un pò scontento di sé.

L’AUTORE

Scultura, natura, arte di vivere: questo è Max Solinas. 

Nasce nell’ottobre del 1963. Frequenta un corso di disegno di nudo e poi segue le suggestioni nate dall’incontro con il maestro di scultura trentino Silvano Ferretti. Successivamente, si iscrive all’Accademia delle Belle Arti, in un crescente interesse per la figura femminile e le sue forme evocative. Linee e volumi stilizzati traducono quella intima fascinazione. 

Solinas è ormai uno scultore affermato ma la sua attività rientra in una ricerca artistica più ampia, che comprende lo sguardo curioso, rispettoso e innamorato verso la Natura e le sue meraviglie. L’essenzialità, il rispetto, l’umile ascolto della musa ispiratrice di matrice montana guidano Max Solinas nel suo vivere e raccontare l’incontro con il creato. 

Attualmente vive e lavora a Cison di Valmarino, in Veneto, alla base delle Dolomiti. A fianco dell’artista, del montanaro, dello scalatore, dell’uomo… c’è lei: Arja la lupa.

IL LUPO E L'EQUILIBRISTA

NELLA PUREZZA, A RITMO CIRCOLARE

POTETE SBIRCIARE LA TRAMA, SEDETEVI E CHIUDETE GLI OCCHI (NON PROTESTATE… FIDUCIA!)

Chris è uno scalatore, ma non uno di quelli che si fondono con le montagne in una serena estasi di forze, velocità, pause, silenzi. Chris è molto conosciuto nel suo ambiente, e lo pagano bene per pubblicizzare attrezzatura all’ultimo grido mentre si attacca su pericolosi pendii, aggredendo le vette come se vi volesse trasferire le stesse ferite che lo lacerano, invisibili. Stona seduto in quegli aerei di lusso, Chris. Dopotutto egli è fatto di un materiale diverso da quelli sintetici che esalta con il suo lavoro: lui è un essere selvaggio, svuotato del suo istinto e della sua natura, ma pur sempre costituito di membra vive, con un odore, un calore specifico; necessità ammaestrate sotto lo scudiscio del ricordo, del dolore e del rancore. 

Ogni ritorno a casa, in quella casetta nel bosco, è speciale perché apre il cancello verso la libertà succulenta che gli dona da mangiare Francesca, la veterinaria con un corpo a cui manca qualcosa ma la cui anima si riempie di ogni bene, per poi donarlo nella materna cura instancabile di chi sa abbracciare la natura e i cuori senza mai stringere troppo, o far male. Ma un giorno, c’è qualcosa di diverso che aspetta Chris, e che Francesca ha permesso che Chris aspetti a sua volta: un lupo grigio sta nel recinto più appartato, e non mangia, e si muove poco. Gli ultimi ricordi della bestia sono flash accecanti, umilianti, violenti. Poi l’istinto, i denti, la caduta vertiginosa nel sogno senza risveglio di qualcosa che gli è stato ormai strappato… poi la confusione, la resa, il buio. 

Chris e il lupo hanno un vissuto comune: l’ammaestramento forzato. L’uomo faceva il suo lavoro e basta, per paura di non farlo; l’animale aveva provato ad essere ciò che il circo gli chiedeva, solo per un timore simile a quello di Chris. Entrambi agivano per un compenso; ma che fosse cibo o denaro, la motivazione strettamente legata a una necessità di sostentamento non basta. La paura di non avere quel sostentamento rende aggressivi, perché la paura genera solo altra paura, quella della perdita. Le necessità materiali fanno sopravvivere, ma per vivere serve essere ciò che si è, che non è per forza ciò che gli altri sarebbero in grado di accettare. 

Il lupo è un antico simbolo che dall’essere “forza” è divenuto “terrore”: ora il lupo fisico si riprende il suo ancestrale significato e senso per correre libero dove non vi sono colpe… perché la natura non conosce cattiverie ma solo peculiarità, ruoli, equilibri. 

Chris, dal canto suo, ha perso anch’egli il suo habitat: il paese è un luogo che ormai fa timore, come anche i rapporti con la gente, che evocano un passato che ammala e debilita. 

Le due creature così simili, anche se di diversa specie, conosceranno un cammino fisico e allegorico verso un vivere il momento che sarà furioso e pieno di meraviglie. 

Tra le montagne, il laboratorio di scultura di Nonno Egidio Maria, la baita del guardaboschi Angelo: un peregrinare lento che insegna il lettore a cogliere ogni segno che la Natura traccia per far seguire il percorso della vita autentica a chi ne sarà degno. In un modo dove il benessere spara alla volpe che “naturalmente” si avvicina a un pollaio, chi sarà così puro da saper dividere il pane? Specialmente quello “spirituale”, direbbe Henry David Thoreau.

/-/

Stasi, partenza, cammino; ma non cercate un arrivo.

“Ti voglio bene, lupo, e con te la natura tutta, quella con la N maiuscola, quella che in pochi conoscono, quella che non si nasconde a chi sa guardare e vedere, con l’animo libero, umile, sereno, desideroso, vero.”

Un uomo e un lupo che si incontrano sull’orlo del nulla: due “uno” che facendosi “due” tornano Essere Unico, multiforme, completo, capace di moltiplicarsi, emanarsi o donarsi al corso della pura esistenza delle cose che imperfette tornano nell’Unica Perfezione, partecipandovi con ruoli semplicemente veri, eterni perché parte di un insieme di ruoli a pari dignità, mai decisi da alcuno; tra incontri e scontri regolati solo dalle necessità superiori e mai corrotte dell’Anima Mundi. 

Nella perfezione dell’incontro di due nature mutilate: studio, riconoscimento, fusione e liquido sconfinare nella vita autentica, nella costituzione “naturale” del creato.… che non ha mai finto, non si è mai sottratto ai sensi di chi sa percepire il suo vivere, stare, muoversi. 

Gli odori, i suoni, i versi e le tracce non dicono bugie, però si deve essere disposti a camminare:

“Camminare era come una preghiera agnostica, libera, pulita.”

Il ritmo scorre lento, senza la pretesa di accelerare, ma sempre in senso circolare. La fedeltà sa aspettare, la lealtà si manifesta nel saper lasciare ogni presa, per poi rincontrare con un abbraccio che non è mai una stretta. L’amore qui non ha sesso, ma ha corporeità, sudore, afrore: si contorce in unioni che regalano la fecondazione di un’energia perpetua, che non conosce la morte perché si riconcilia con i ricordi, il passato, le tracce di eredità ricchissime e senza costo. 

Le parole sono semplici, come il pane e il miele, come il tea nero preso amaro mentre dalla finestra si riesce a spingere la vista oltre ogni limite, perché non si guarda con gli occhi ma con le mani. L’umidità del formaggio che si concede dal latte, il legno che nasconde una scultura, una schiena che racconta un’anima: nel dentro c’è già il fuori. Ciò che si toglie creando è anch’esso materiale costituente. 

“La vita è un gioco a somma zero”

Ci si trova in una favola? Ci sono animali, insegnamenti, pericoli e miracolose salvezze… però, è tutto vero. 

Solinas sublima la sua vita, e la rende l’atmosfera in cui respira la sua storia con tutti i personaggi. 

“L’arte non è una tecnica ma uno stato d’animo”

Tutto partecipa a un senso che non è complesso ma che, nonostante ciò, è colto raramente. 

“E allora Chris pensò che quella natura che gli uomini si affannano a sfidare, a conquistare e domare, doveva invece essere lasciata libera come un torrente cristallino che scorre lento e inesauribile dalla sorgente verso la foce.”

La speranza lascia spazio all’azione nelle stagioni delle emozioni. La libertà non è mai disordinata, è solo nata prima delle istituzioni umane che sono fatte da decisioni cieche.

 L’amore è incondizionato, ma mai cieco.


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martedì 24 gennaio 2023

GLI OCCHI DELL'ETERNO FRATELLO

 di 
STEFAN ZWEIG

  • Anno di Pubblicazione 2013 (1°1922)
  •  Prima edizione digitale 2014
  • Editrice Adelphi
  • Lunghezza stampa 73 pagine
  • Prezzo formato cartaceo in copertina flessibile 6,65€
  • LINK ALL'ACQUISTO QUI

Stefan Zweig, Gli occhi dell'eterno fratello

Ph Francesca Lucidi

DALLA DESCRIZIONE EDITORIALE

«Una riflessione sulla Giustizia e sulla sua impossibilità in una narrazione dal respiro ampio, in cui palpitano il divino e una natura incantata. Un libro amato da Hermann Hesse, che vedeva nella "leggenda indiana" dell'amico Zweig un'opera in sintonia con il suo "Siddhartha".»

L’AUTORE

Per la biografia di Stefan Zweig si rimanda a un precedente post: CLICCA QUI per leggerla.

 

UNA RICERCA: ILLUMINAZIONI CHE COSTANO 70 FRUSTATE

Temi, valori, riflessioni (che spesso confondono i saggi)

Non se eviti qualsiasi azione

Sarai davvero libero dall’agire,

mai potrai essere libero dall’agire

neppure per un solo istante.

(Bhagavadgita, Canto terzo)

La Bhagavadgītā (Canto del Beato) è un poema filosofico e religioso, contenuto all’interno dell’immenso poema epico Mahābhārata. È il testo sacro più noto e permeante per milioni di Indiani: nei suoi settecento versi, è raccontato il dialogo tra Viṣṇu e l’eroe panduide Arjuna, il quale è sgomento davanti alla responsabilità della guerra, del combattere fratello contro fratello.

Zweig racconta la sua leggenda indiana in contemporanea con l’uscita di Siddharta: la fascinazione della ricerca mistica, in contesto buddhista, è il pretesto per portare il lettore in un tempo lontano dove si sospende la vita conosciuta per considerare l’inconsiderabile, per approcciarsi all’eventualità che le risposte alla vita giacciano più vicine di quanto si sia mai percepito (o forse no?). Lo stesso Hesse, con il quale Zweig aveva intrapreso un profondo legame epistolare nel suo periodo svizzero, aveva definito questa opera dell’autore come in linea con Siddharta. È da dire, però, che nel caso di Gli occhi dell’eterno fratello non si sfiori una conciliazione; e che quelle risposte si mostrino con dolore, tra settanta frustate, tra morti innocenti, per poi sedere tra i cani ed essere dimenticate. È quindi chiaro che Zweig porti il lettore, ancora una volta, ad annullarsi e commuoversi nella catarsi, attraverso le azioni di uomini che dal clamore a un’umile capanna gridano giustizia verso il cielo e verso il proprio simile: una giustizia che è serpente che sfugge tra gli ambienti sfarzosi e poi angusti e putrescenti della storia di Virata.

Numerologia, reiterati passaggi, scandite evocazioni mistiche alla corte dei Birwagha. Lì dove un Re deve la sua salvezza a Virata, colui che nella sua vita assumerà i Quattro nomi della Virtù, per poi scomparire dai racconti e dagli scritti. Egli vive prima del Buddha, e sulla sua vita ci si interroga ossessivamente, insieme a lui, cercando di afferrarla quell’esistenza. Quale il senso delle azioni, quali le responsabilità? Virata salva il Re, ma uccide nella furia il suo fratello maggiore: è così chiamato “Lampo della spada”, ma quella spada la getta nel fiume e rifiuta di uccidere perché chiunque uccide un uomo uccide suo fratello. E proprio gli occhi della sua colpa lo seguono in ogni cosa che vede, restituendogli il riflesso di un pensiero così pesante da ancorare Virata alla terra; mentre cerca disperatamente di sfuggire ai ritorni in altre vite, di non vedere più quegli occhi morti che sono sulla faccia di chiunque, si fa così giudice e “Fonte della giustizia”. Ma non basta pensare di essere dalla parte dei giusti, o che le vasche che accolgono il sangue dei condannati siano divenute bianche: Virata incontra ancora quegli occhi. Quando vede un condannato alle prigioni implorare la morte… sputare sulla grazia, Virata comprende che ha rivisto quegli occhi perché ha agito secondo le parole altrui.

 La punibilità, la giustizia, la negazione della libertà… con quale diritto? Virata segue una sua evoluzione o solo una fuga dalla “sua” coscienza? Noi con esso ci troviamo destrutturati, e siamo fortunati a subire ciò. Virata sceglierà di andare nelle profondità della terra, scambierà la sua identità: si annullerà.

Nell’annullamento scompare la volontà, che è caos: dove c’è la volontà di vivere vi è paura, ed è su questo che si basa la consistenza del tempo. La brama della vita, il pungolo che spinge avanti la carovana degli esistenti con i loro carri carichi di ori, ricchezze, convinzioni, miserie.

Virata trasmuta in “Campo del Consiglio”, e le lodi alla libertà rilucono sulle sue labbra. Mentre è seduto però su una stuoia che è frutto del lavoro di uno schiavo: è questo che i suoi figli adirati gli ricordano. La giustizia è la pretesa del potere, e dove c’è potere c’è possesso: dove c’è possesso vi è legame con la vita degli altri uomini, se ne dispone. Fuggire, uscire dalla vita degli uomini e trovare nella foresta l’assenza del possesso, della violenza, della colpa. Ma anche gli animali sono violenti, e a Virata basta guardare fuori dalla sua misera capanna per vedere ovunque i semi della malvagità farsi germorgli. Egli è Stella della solitudine, Virata si fa contemplazione, libera dall’agire e dalle sue conseguenze.

Ad ogni passaggio, da sette anni in sette anni, pensiamo con Virata di essere mondi… ormai.

Poi altri uomini fanno lo stesso, e fluiscono fuori dal mondo per andare nella foresta. Una donna fuori da una capanna guarda con odio, con gli occhi morti dell’Eterno fratello: reiterati segnali, di come tutti si viva comunque negli altri, essendo tutti in quegli occhi morti.

Ma Dio? Se i testi sacri non parlano di diseguaglianze, ma non mancano di segnare le caste, Il Dio dalle mille forme sì, è lui ad avere il controllo dell’inizio e della fine delle cose. E se nel mezzo ci si è macchiati di una colpa, è poi alla divinità che deve tornare quel fardello: Virata sa come fare, ne è sereno…

Zweig mostra una storia di formazione che passa per il disfacimento, e si annuncia subito nel vessillo sepolto della memoria, così come è caro all’autore.

Un libro che non poteva avere una pagina in più, altrimenti altri anni si sarebbero susseguiti. Il senso pare lì, sempre su una mano tesa. Poi su quel dono improvviso due occhi gettano un’ombra: l’estinzione, il Nirvana, trascendono il “non atto” perché è attraverso i crediti degli atti compiuti che si torna alla matrice delle mille forme, probabilmente.

La storia di Virata non smette di interrogare il lettore, la società: il nostro piede è legato alla terra, e finché si è lì non si può dare nutrimento solo alla propria vita, pena la condanna a morte per fame degli altri viventi.

 CITAZIONE SCELTA PER VOI

“C’è sempre più conoscenza della verità nel dolore che nell’imperturbabilità di tutti i saggi.”

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venerdì 20 gennaio 2023

TUTTI MI DANNO DEL BASTARDO

 di
NICK HORNBY


  • Anno di Pubblicazione 2012
  • Edizione 1° edizione digitale (2013)
  • Editrice Guanda
  • Lunghezza stampa 80 pagine
  • Prezzo edizione cartacea 8,55€
  • Prezzo Ebook 1,99€
  • LINK ALL’ACQUISTO QUI

TUTTI MI DANNO DEL BASTARDO di Nick Hornby
Ph Francesca Lucidi

DALLA DESCRIZIONE EDITORIALE

“Charlie può solo sperare che l'ex moglie si stanchi presto di pubblicare il "Bastardo!" Soltanto un autore come Nick Hornby poteva regalarci un ritratto così riuscito della fine di un amore, il racconto tragicomico, brillante e molto umano, di quanto assurdamente complicata possa diventare la relazione tra due persone.” 

L’AUTORE

Nicholas Hornby è nato il 17 aprile del 1957 a Redhill, Surray, in Inghilterra. 

Quando era ancora molto giovane, purtroppo, vive il divorzio dei suoi genitori: evento che probabilmente gli permetterà di riflettere ancor di più sulle dinamiche familiari e di coppia in “tempi di crisi”. 

Si laurea in letteratura inglese all’Università di Cambridge, nel 1974, e in seguito inizia gli studi formativi per l’insegnamento. Mentre inizia il suo lavoro nelle scuole, lavora come giornalista freelance e critico musicale d’ambito pop. 

Tifoso accanito dell’Arsenal, racconta la sua passione/mania nell’autobiografico Fever Pitch, che riscuote un grande successo.

La sua prima opera narrativa è High Fidelity: la storia di un trentenne proprietario di un negozio dischi, ossessionato dalla collezione di LP rari. La pubblicazione diventa su terra inglese un best seller.

Nel 1998 esce About a boy, di nuovo un trentenne, di nuovo una vita isolata e problematica… ma anche qui la musica risuona a contornare incontri inaspettati che si armonizzano in una redenzione assolutamente umana. Dal romanzo è tratto il film omonimo del 2002. 

Seguono altre pubblicazioni: Come essere buoni (2001), Una lunga strada verso il basso (2005), Giulietta Nuda (2009); Funny Girl (2014), Just like you (2020). Scrive anche diversi saggi, permeati degli stessi elementi che caratterizzano la vita dei suoi personaggi: come Songbook (2002), dove presenta, analizza e racconta una sua personale playlist. 

Hornby è un consumatore di creatività, infatti scrive anche recensioni di libri per la rivista statunitense “The Believer”, pubblicate in Italia da “Internazionale”; l’editrice Guanda ne ha riunito una raccolta con il titolo Una vita da lettore (2006).

Il Nostro è anche uno straordinario sceneggiatore, infatti, firma An Education (2009), per il quale riceve una nomination agli Oscar; Wild (2014), tratto dal memoir di Cheryl Strayed; Brooklyn (2015), tratto dal romanzo di Colm Toibin. 

Per la tv scrive Love, Nina (2016) e State of the Union (2019): quest’ultimo mostra le sessioni della terapia di coppia di un duo, ovviamente sposato e in crisi. 

/-/

La novella Everyone’s reading Bastard è stata pubblicata nel 2012, precedendo la serie tv con il crudo e ironico racconto di cosa significa stare insieme, amarsi (forse), lasciarsi, odiarsi, o peggio… non riuscire più a “vedersi”.

 LO ZERO ASSOLUTO DI UN "BASTARDO" COME NOI

Temi, pentimenti, re-start

“Era facile trattare bene una bella donna al tavolo di un ristorante. Le angosce cominciano dopo, con i figli e la stanchezza e il monotono tran tran del matrimonio e della monogamia.”

Charlie ed Elaine decidono di divorziare tra le 9:30 e le 10:00 del mattino, in un caffè vicino alla scuola dei figli. La piccola Emily risponderà alla notizia con un “Ma va?”. Una vita di quieta disperazione… direbbe Henry David Thoreau. 

Subito si avverte noia, non c’è colpo di scena, dopotutto: “difficile, freddo, separato, triste”, il piatto, sarcastico e distaccato resoconto di una rottura che tirava da troppo tempo in crepe tese fino all’inverosimile. 

L’ironia è il tono del cinismo che recita sul palcoscenico del fin troppo noto a un qualsiasi lettore, o essere umano, che abbia vissuto abbastanza per aver testato l’ignoranza infantile nell’imparare, senza purtroppo averlo chiesto, che le cose spesso finiscono in una nuvola di niente, quando si è stati i primi a depersonalizzarsi, a livellare… senza una ragione che ricordi il perché. Nessuna sfuriata, dramma, lacrime: “NON PERDETEVI LA NUOVA FANTASTICA RUBRICA SETTIMANALE DI ELAINE HARRIS: BASTARDO”; sì, una moglie, ormai “ex”, una giornalista di costume che si adopera, appena una settimana dopo il divorzio, a far sapere proprio a tutti le atroci imperfezioni e le inappropiate dis-umane debolezze del partner, ormai cassato dalla lista degli ammessi alla tragicommedia del nascere, crescere, lavorare, procreare, morire. Beh, Charlie ha subito più il colpo del divorzio che della rubrica: in fine, perché fingere, ormai, quando tutti ti hanno visto nudo, un neonato essere umano rimesso al mondo da capo. Via le finzioni, via gli sguardi di traverso e le chat a tarda notte: l’attore si toglie il cerone dal viso, l’abito bello, gli stivaletti di marca, la voce da padre o membro della società con tutti i requisiti richiesti. 

“Charlie credeva che l’intollerabile potesse sempre essere tollerato ancora per un po'.”

La comoda poltroncina dell’inettitudine, mentre su Facebook si ricerca una compagna delle elementari, per farci sesso, e con buona fortuna riuscirci anche. Ma Elaine, che già da tempo infilava nei suoi articoli piccoli, ma inequivocabili, riferimenti a Charlie è anch’essa costretta a togliersi il bel vestito della scena per mostrare i segni delle lacrime sul cerone da spettacolo: “Mi ero arresa”, così ripercorre le motivazioni dell’inizio della relazione con l’ex marito. Mettersi con qualcuno per paura di stare soli, per far vedere a un altro ex ancora che si è voltato pagina; sposarsi perché è ora e mettersi in una marcia più o meno segnata che porta alla convivenza e alla genitorialità. 

Tutti leggono “Bastardo”: il padre insipido, il porco, poi l’amante inetto. Ma Charlie ha già subito il colpo mortale dal cecchino invisibile; adesso pare tutto così chiaro, e dal sudore freddo la riscoperta del sapore delle cose, belle quando sono nuove, impacciate, reali. Tutti incitano Charlie alla rivalsa, persino una certa “Stronza”, bella, fragile, assolutamente considerabile per fare sesso, per la prima volta riverginati dalla rottura della cortina del fasullo. 

Guardare indietro fino a quando un matrimonio era solo nell’aria. Amore? Passione? Semplice interesse, per lo meno? No: 

“L’avevano rovinata: era stata a letto con troppi uomini, che le avevano mentito, l’avevano delusa, avevano finto di amarla e ammirarla, invece volevano solo trasformarla in qualcos’altro.”

Questa è Elaine, ora Charlie ci vede chiaro. Chi è la vittima? 

Non succede poi molto in questa novella, perché già è successo tutto. 

Hornby è l’onesto garzone della ditta di traslochi: ti impacchetta quello che può stare in una vita e te lo cataloga e accatasta, bello ordinato, poi prende lo specchio quello grande e te lo piazza davanti, dicendoti: “Questo dove lo mettiamo?”

Compassionevole parabola di ordinaria mediocrità, dove però riluce una morale, una possibilità di ascendere all’essere sé stessi.

“Charlie non aveva mai passato molto tempo a chiedersi cosa volesse per sé stesso. Gli era sempre sembrato ovvio.”  


Ma attenzione, Elaine forse ha un ultimo asso nella manica.

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giovedì 12 gennaio 2023

SIGNORINA ELSE

 di 
ARTHUR SCHNITZLER

  • Anno di Pubblicazione 2018 (1°1924)
  • Editrice Feltrinelli
  • Lunghezza stampa 96 pagine
  • Prezzo stampa 7,60€
  • Prezzo Ebook 1,99€
  • Link all’acquisto QUI

SIGNORINA ELSE di Arthur Schnitzler
Ph Francesca Lucidi

DALLA DESCRIZIONE EDITORIALE

"Nei singoli uomini non si è verificata la benché minima trasformazione, non è accaduto altro se non che diverse inibizioni sono state spazzate via e che ogni specie di mascalzonate e furfanterie possono essere commesse oggi con un rischio relativamente minore, in ogni senso sia morale che materiale, di quanto non accadeva in passato. Inoltre, si parla un po' più di cibo e di denaro." (Arthur Schnitzler, 1924).

L’AUTORE

Arthur Schnitzler nasce a Vienna il 15 maggio del 1862, in una famiglia ebrea. La madre, Louise Markbreiter è un’ottima pianista e infonde il sentimento musicale nel figlio; il padre Johann è un laringoiatra che introduce il figlio alla carriera in ambito medico. I due poli influenzano e permeano la vita di casa Schnitzler, dato che Johann è il medico di diversi celebri cantanti.

Arthur mostra precocemente l’attitudine all’osservazione, alla percezione dell’interiorità in relazione alle esperienze esteriori, e alla società. A soli diciassette anni tieni un diario sulle sue esperienze sessuali; critica poi attraverso le sue opere anche la vita militare, venendo radiato dall’esercito dove ricopriva il ruolo di tenente medico. Con la morte del padre riesce ad abbandonare l’impiego in ospedale: molteplici sono le suggestioni che affascinano e affaccendano Schnitzler, tra cui la psicanalisi e l’ipnosi. Lo stesso Freud è ammaliato dalla figura dell’autore.

Il 26 luglio del 1928 sua figlia si suicida a Venezia, dove abitava con il coniuge italiano. Tre anni dopo, Arthur Schnitzler muore a causa delle conseguenze di un ictus il 21 ottobre del 1931.  

 

DIECI, CENTO, MILLE CARTINE DI “VERONAL”

QUESTA VOLTA… TUTTO D’UN FIATO

Temi, valori, riflessioni

“Una carezza distratta quando si è tanto belline, un po' di apprensione quando si ha la febbre, poi ti mandano a scuola, a casa t’insegnano il francese e a suonare il piano, d’estate ci si trasferisce tutti in campagna, ti fanno regali per il compleanno e a tavola impari ad ascoltare tanti bei discorsi. Ma di ciò che si agita in me, dell’ansia che mi divora, vi siete mai preoccupati?”

Else ha diciannove anni, fa parte di una famiglia austrica borghese, ha un fratello maggiore che andrà in Olanda a vivere la sua vita, il padre è avvocato, e sua madre passa le giornate ad organizzare cene ed eventi che non possono permettersi. Cara madre… lì a dare anticipi per poi non pagare mai; caro papà, a giocare in borsa e a giocare con la vita di tutta la famiglia. Trentamila fiorini il costo per la salvezza, caro papà. L’unico che può fare un prestito, l’ennesimo, è il Signor Dorsday, un amico di famiglia vecchiotto, che scruta Else attraverso un monocolo che riluce dello scopativismo di una società in cui le donne non scelgono… ma la Else nello specchio conosce la scelta. Cara mamma, non manchi di ricordare ad Else come Von Dorsday abbia una predilezione per la “cara bambina”: un telegramma arrivato al Grand Hotel di San Martino di Castrozza, dove tutti sono in vacanza, felici, morti. Lì Else si trova davanti alla responsabilità di salvarti, papà: nuda a mezzanotte, nel bosco o in camera, purché il monocolo abbia la merce per il prezzo pattuito.

Else:

“Caro papà, quante preoccupazioni mi dai. Avrà mai tradito la mamma? Come no! E più di una volta. È così sciocca la mamma. Non sa nulla di me. Come gli altri, d’altronde.”

Una diafana e giovane snob, dalle belle spalle, dalle gambe sensuali: una vergine, una "prostituta" che mai però è stata violata attraverso quel sigillo di purezza che la natura dona alle donne, come dannato potere di scelta, forse poche volte davvero libera. Un lungo monologo interiore; un flusso di coscienza dove si intervallano solo le parole degli altri, che risuonano come lontane o tremendamente vicine e invadenti. Dove la psicanalisi e James Joyce hanno aperto un varco, l’autore accompagna in una danza macabra accarezzata dalle note di Schumann. Il paesaggio della montagna fa da scenario, mutevole: da confortante fatata visione a espressionismo incalzante che deforma i profili dell’orizzonte, le ombre degli alberi, la sensazione dell’erba contro la pelle… nuda.

Else è così giovane, e parla di sé stessa come di un millenario essere vivente, che mille vite ha vissuto, nella sua fantasia. Ha pulsioni Else, e ribrezzo per la vecchiaia, e fascinazione per i “tipi poco raccomandabili”. Una sera un battello la vide nuda su un balcone, mentre si accarezzava i fianchi. Else si sente viva, quando sta sola con la vera sé. Un Es e un Io che si mettono faccia a faccia, davanti a uno specchio: nella scena magistrale in cui Else si prepara per il “compratore”. Trentamila fiorini, poi cinquantamila… e poi il Veronal. E Paul? Caro cugino che accarezzi Else con parole suadenti, tra un incontro e l’altro con la tua amante sposata con figlia al seguito. La zia ricca ha pagato la vacanza, ma non sa che i soldi per la famiglia di Else non bastano mai.

Else si vede moglie, amante, prostituta, bambina. “Un cortese sorriso prima di ritirarsi in buon ordine”: ma questa volta Else ha in serbo uno spettacolo in grande stile… perché no? Se lui deve vederla nuda, vederla prostituta, perché non invitare tutto l’hotel, il mondo intero, il caro papà.

Una Salomè, una Elettra, una donna che attraverso il suo sesso si punisce per punire. Il borghese ben pensante taglia la testa alla santità dell’essere, alla natura pura di ogni personalità. Il controllato e il controllore perdono il controllo, la via di mezzo che non riesce a contare quante dosi di Veronal possano passare da sonno a morte. La colpa è di tutti, e i Doppelgänger si moltiplicano tra pellicce, poltrone, piatti succulenti.

SIGNORINA ELSE di Paul Cnizzer

Else è una, e poi doppia. L’unico amore carnale che vivrà sarà quello con sé stessa: schiacciare il suo seno contro quello del suo riflesso, su un gelido vetro che lascia l’amplesso incompiuto. Nel momento in cui una personalità si affaccia al mondo, quest’ultimo non dona in premio la vita identitaria, unica, ma una crisi isterica, un delirio che porterà Else a sacrificarsi contro un progresso che ha ben apparecchiato un corteo funebre di tutto rispetto, per i valori, quelli che non si dividono tra bene e male ma tra vero e fasullo. “Salvatemi.”

Medico, scrittore, drammaturgo: Schnitzler è un osservatore disinibito, un cantore della società senza alcun filtro, ma con una composta compassione che scaturisce semplicemente dalla messa a nudo schietta e cruda dei pensieri e delle emozioni che si agitano nella psiche, con pari dignità. E in questa assenza di meschinità riesce a narrare gli ambienti interiori con incredibile onestà, senza tralasciare alcun romantico o distruttivo tratto. Nella fotografia di ambienti esteriori rilucenti, provocanti… soffocanti, si può entrare nella pelle dei figuranti del mondo borghese, per riscoprire un’umanità a cui Schnitzler non permette più di dire bugie, di essere morti in vita. Onore e gloria al disfacimento, pur di dare alle fiamme quella immagine statica e dorata di un mondo che si distrugge dal di dentro trasformando desideri e innate pulsioni in frenesie, manie, patologici isterici tentativi di essere ciò che la società, e le convenzioni, decidono prima che mai possa avere assoli la voce interiore di ognuno.  

AL CINEMA

Dalla novella è stata tratta una versione cinematografica, in muto, nel 1929. Il regista è Paul Cnizzer. Il bianco e nero e l’assenza di parlato dirompono attraverso la figura dell’interprete, Elisabeth Bergner: poche ore in cui essere catapultati in una vita, intera, e poi spezzata… moltiplicata ed estinta. I campi lunghi e i gesti, gli sguardi degli attori di sfondo fanno sentire lo spettatore partecipe di un voyeurismo che inebria, sciocca, imprigiona. 

Anche senza l’ausilio del voice off, il monologo interiore della novella riesce a mutarsi e ad esserci, a farsi palesemente esperienza, solo grazie a un cambiamento nello sguardo, a un incedere diverso, a uno stringere delle dita che porta in sé il racconto di ragionamenti e poi crisi che non lasciano scampo.

Dal lavoro di Arthur Schnitzler, precisamente dalla novella Doppio Sogno, è stato tratto anche il noto Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick.

IN MUSICA

Nel pieno rispetto delle evocazioni della novella, dove la musica è contrappunto dei contrasti interiori, il gruppo italiano Marlene Kuntz ha sonorizzato il film Fräulein Else, suonando dal vivo le note che abbracciano tutta la proiezione. Ho assistito ad uno di questi spettacoli… e non posso che tacere tanta la meraviglia e la violazione di tabù che in me ha provocato: stupendo!

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