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mercoledì 28 ottobre 2020

FANTASMI DA ASPORTO di Eva Ibbotson

 IL VALORE DELLA VITA CELEBRATO TRA FANTASMI, ATMOSFERE URBANE E LUOGHI SPICCATAMENTE GOTICI

NOTIZIE SULL’AUTRICE

Il suo vero nome era Maria Michelle Wiesner. Nacque a Vienna nel 1925, ma la famiglia fuggì a Londra a causa dell’avvento del nazismo. I genitori erano divorziati, e Maria viaggiò attraverso l’Europa per spostarsi da un genitore all’altro.

Maria scriveva, scriveva tanto e di famiglie felici e stabili; lei non ne aveva una.

Venne istruita in Inghilterra in una scuola “alternativa”. Ella visse con insofferenza l’istruzione: passava le ore di inglese a scrivere e quelle di matematica a piangere. Tutti incitavano alla libertà ma lei voleva qualcuno che le donasse una qualche normalità, un ordine.

Tanto era grande il mio desiderio di normalità che saltavo in piedi e pregavo: «Non ditemi che posso fare quello che voglio, ma quello che devo fare!»

Maria creò una sua famiglia… e non smise di inventare storie. I suoi familiari, così originali, si tramutarono in mostri e streghe e personaggi straordinari, che popolavano i racconti che l’autrice raccontava ai propri figli. Da lì nacquero mondi fantastici e strabilianti vicende crudeli e al contempo poetiche.

Eva Ibbotson morì il 20 ottobre 2010, nella sua casa di Newcastle.

FANTASMI DA ASPORTO

Ph Francesca Lucidi

INFORMAZIONI E CENNI SULLA TRAMA

Il romanzo della Ibbotson risale al 1997, io mi sono armata dell’edizione Salani del 2011.

La storia si svolge lungo 165 pagine, il formato in mio possesso è piccolo e bellissimo… un vero tesoro da tenere stretto sotto le coperte in una serata piovosa. La lettura è resa ancora più piacevole grazie alle illustrazioni di Kerstin Meyer, nere e bianche, spaventose e dai tratti esagerati che fanno anche scappar fuori un sorriso, seppur corredato da brividi.

Già dal frontespizio ci accoglie un piede brutto con intenti poco democratici: “Schiaccerò Sotto I Piedi I Miei Nemici”. Sì, così recita lo stemma della famiglia Snodde-Brittle, di cui possiamo ammirare l’albero genealogico dai nomi e dai tratti niente affatto rassicuranti. Pochi di loro hanno fatto una bella fine, anzi, possiamo dire nessuno. Se osserviamo bene, a un certo punto vediamo l’altisonante cognome, che suona in bocca pastoso e ingombrante, interrompersi. Non sappiamo perché, ma da generazioni di disgraziati morti molto male, da quello che possiamo capire dalle illustrazioni che corredano la genealogia Snodde-Brittle, spunta in calce una figuretta esile: Oliver, solo “Oliver”.

Dai secoli di storia di chi doveva schiacciare la qualunque, ma che è rimasto a sua volta assai schiacciato, ecco che ci troviamo a leggere di una brava famiglia: i Wilkinson.

Siamo in Inghilterra, c’è la Seconda Guerra Mondiale. Gli aerei nemici si stanno avvicinando, si avverte il loro minaccioso rombo fin dentro le stanze della bella e accogliente casa della famiglia Wilkinson: Villa Serena.

Maud si prepara, come anche sua madre, un’anziana signora sempre armata di un pericoloso ombrello. Henry, l’uomo di casa, un dentista, entra di corsa e inizia a infilarsi la sua divisa della Guardia Nazionale: il corpo di soldati part-time che dopo il lavoro strisciano e sparano per imparare a difendere il proprio paese. Tra loro c’è anche il brufoloso Eric, un fiero scout tredicenne con il mal d’amore.

Tutti si stanno attrezzando per andare nel rifugio situato in fondo al giardino; però le cose necessarie da prendere sono tante: il lavoro a maglia, la gabbia del pappagallino… il VELENO.

“La nonna prese il suo ombrello e la scatola della maschera antigas che però non conteneva la maschera antigas ma un flaconcino con su scritto VELENO, che la nonna aveva intenzione di bere in caso di invasione per non cadere in mano al nemico.”

Parte della famiglia è anche Trixie, la timida sorella di Maud. Una creatura assai ansiosa Trixie: a lei capitava sempre qualcosa di brutto, e pare non esser mai a suo agio, neanche in quel concitato momento. Trixie è avvolta nella bandiera inglese perché sta preparando il costume da indossare nella recita indetta dal Circolo delle Donne per gli eroici soldati. È una bella responsabilità dover interpretare lo Spirito della Britannia.

Maud pensa a Trixie e inzia a salire le scale, ma una bomba cade su Villa Serena…

“e chi s’è visto s’è visto.”

Potremmo pensare che la storia di questa famiglia inserita lì, senza apparente motivo dopo che ci siamo sorbiti graficamente le sorti della casata degli Snodde-Brittle, finisca lì; in realtà, la storia della famiglia Wilkinson inizia proprio dalla loro morte: dopo il grande botto, il grande colpo di essere diventati fantasmi. Sconcerto, timore, disperazione. Henry, il dentista membro della Guardia Nazionale, prende in mano la questione:

“Faremo come prima, Maud […]

Vivremo una vita onesta e serviremo il nostro paese.”

Stare insieme è già una grande gioia… ma ciò non è del tutto vero: Trixie non c’è.

Dobbiamo subito abituarci a una cosa, beh… al fatto che non tutte le persone diventano fantasmi, come non tutti gli animali. Non si sa perché.

Dal bovindo di Villa Serena a un negozio di mutande dai nomi equivoci. Come è potuto accadere? Quando si è fantasmi il tempo scorre lentamente, mentre il mondo va avanti, corre, ricostruisce. A un corpo fatto di ectoplasma bastano anche amabili mura diroccate, ma non è piacevole quando le persone ti passano attraverso o dicono brutte parole come “esorcismo”.

Nessuno avrebbe immaginato che Londra fosse così piena di fantasmi. I Wilkinson non lo pensano e si ritrovano in una città pullulante di cavalieri morti in battaglia, corridori stroncati dal troppo correre, ragazze straniere portate all’altro mondo da uno “sciocco” incidente avvenuto dopo una festa. Passato e presente si incontrano in un affollato mondo di fantasmi vagabondi. La Seconda Guerra Mondiale aveva fatto impennare la popolazione ectoplasmatica; adesso, dopo quindici anni… ecco le mutande. Sempre meglio del negozio di calli che ti fa sentire addosso mille malanni, come è accaduto al tedesco che pare tanto interessare alla nonna.

Prima della partenza per Londra la famiglia si è anche allargata: i Wilkinson trovano un timido fiore vittoriano senza la scarpina, la piccola Adotta; almeno così la chiamano i suoi nuovi mamma e papà, Maud ed Henry.

Nel nostro mondo quasi non si può parlare di cimiteri, figuriamoci di adozione di anime, di fantasmi.

Qualcuno, però, fiuta l’occasione, anche se è spinto dal più sincero sentimento amorevole.

Una famiglia senza casa incontrerà le sorti di un bambino senza famiglia. Beh, più o meno. Oliver credeva di non avere una famiglia, fino a che un brutto uomo con i denti gialli non va a strapparlo via dall’orfanotrofio più mal ridotto ma più pieno di amore di tutte le storie che abbiano mai nominato luoghi del genere. Penserete che sia una fortuna scoprire di avere un cognome importante, una grande eredità, una casa… una cugina. Niente di più sbagliato. Un cane a tre zampe può valere molto più di decide di stanze vuote e fredde. Credetemi, per Oliver, quelle stanze diventeranno ancora più buie, gelide e spaventose.

Uno sbaglio può essere il tocco del destino che cerca di mettersi in mezzo?

Una borsa da bagno, due malefici spiriti ingiuriosi grondanti di sangue, un lago maledetto; un maniero oscuro e zeppo di teste impagliate e cose inquietanti. E alcune lettere che non arrivano mai.

Eppure, la fortuna fa ampi giri prima di far vibrare le corde nella giusta armonia.

A volte i doni più grandi vengono a noi quando tiriamo fuori la testa dalle coperte e impariamo a non avere paura. La diversità non deve separare i cuori… e di certo delle suore non dovrebbero dover passare le giornate a sventolare rami di sorbo tra urla e lamenti, invece di pregare in silenzio.

La cosa che più indebolisce è la paura prolungata e indotta, non naturale; se ci si mette anche la solitudine… ecco che un armadio può contenere solo mostri e morte annunciata, o forse no.

Ph Francesca Lucidi

ANALISI E VIBRAZIONI

Un romanzo dalla scrittura avvincente: tratti di indicibile orrore esplicito, dolcezza, sensibilità spiccata; umorismo mai fuori posto, capacità di spostare l’occhio narrativo permettendoci di sentire sulla pelle le esperienze dei personaggi e gli stati d’animo, o d’ectoplasma.

Apprezzabilissima la varietà di ambientazioni che passano dalla provincia, al tessuto urbano, fino allo "stato gotico" con tutti i crismi.

Un arco temporale ampio che si dipana dalla Seconda Guerra Mondiale fino agli anni della viva ricostruzione manifestata in gallerie commerciali e consumi attivissimi. Un romanzo per ragazzi che utilizza un linguaggio raffinato e al contempo assai scherzoso, narrando di  temi importanti come la famiglia, la morte, la solitudine e il senso di colpa. Tra le epoche, vengono analizzate le migliori e le peggiori sfaccettature della mente, del cuore e dell’azione. Personaggi cattivi o afflitti, positivi o sbadatamente buoni.

La lettura è estremamente piacevole e invita alla riflessione tramite il racconto semplice della vita della gente, anche se questa gente, in realtà, non è più in vita. Nessuna scemaggine ma tratti di divertimento misti a commozione. Già dal titolo si intuisce la direzione dissacrante, ma mai sguaiata, badate bene.

Il valore della famiglia si esalta e diventa la spinta per la rinascita, per la rivincita. Gli eroi di questa storia sono imperfetti e per questo assolutamente credibili. Si parte dal reale, per passare attraverso eventi improbabili ma utilizzati come spunto per ragionare sull’altruismo, sul valore della “casa” intesa come luogo di protezione e proprietà non solo materiale ma sentimentale.

Riusciamo ad affezionarci a tutti, e impareremo anche il valore della pietà. La vita nell’altro mondo è presa come pretesto per riflettere sul valore dell’inconscio e della coscienza… che paiono indirizzare la nostra anima verso un destino eterno di cui ci troviamo artefici, se riusciamo a ricordare, fare ammenda, cambiare.

Tutti qui cambieranno abitazione, contesto, amici e condizione. L’importanza di questa storia sta nella ricamatura di un disegno assurdo che riesce a rendere chiari e forti i messaggi di speranza, forza e responsabilità personale. Da qualche parte ho letto, e parafraso, che un egoista batte un altruista… ma che un gruppo di egoisti non può nulla contro una comunità di altruisti.

Allora, che ognuno si metta nel suo cantuccio a riposare nella lettura di una storia di affetti, piatti cucinati male; accoglienza, dono, e coraggio di difendersi battendo la paura. Oliver riuscirà a controllare il suo respiro? Noi possiamo sperare di riuscire a guardare nel buio, senza farci consumare dai racconti di qualcuno… che vuole sfruttare i nostri timori e la nostra solitudine. CONTROLLO e UNIONE. Insieme si può!

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lunedì 19 ottobre 2020

UNA LUNGHISSIMA NOTTE

 UN APPASSIONANTE THRILLER PER RAGAZZI
di 
Annalisa Strada 

Ph Francesca Lucidi

BIOGRAFIA DELL’AUTRICE

Annalisa Strada è nata ad Adro il 13 maggio del 1969. Dopo la laurea in lettere, ha lavorato nel mondo dell’editoria, occupandosi nei settori più svariati. Dagli inizi degli anni duemila comincia a adoperarsi nell’arricchimento del catalogo della letteratura per bambini e ragazzi del nostro paese, come scrittrice.

Annalisa è anche una professoressa di scuola secondaria di primo grado, molto amata dai ragazzi; la cosa è piuttosto ironica dal mio punto vista… ma questo lo potranno intendere solo i lettori della storia di Nilla, che qui vi andrò a presentare.

Alcuni dei suoi numerosi libri hanno guadagnato premi assai importanti. Nel 2014, Annalisa Strada vince il Premio Andersen, il più prestigioso riconoscimento italiano attribuito nell’ambito della letteratura per ragazzi.

Attualmente, l’autrice vive in provincia di Brescia con il marito e la figlia.

INTRODUZIONE

Il romanzo è stato pubblicato nel 2019 da Pelledoca Editore.

La mia scelta di “adozione” ha preso spunto da una situazione molto particolare, carina… oserei dire: la Pelledoca ha pubblicato su Instagram, tempo fa, dei post interattivi che avevano come argomento la paura. Si chiedeva ai lettori quale fosse la loro paura, in base alla risposta veniva proposto un consiglio di lettura. Io ho risposto nominando il buio. La mia non è una vera e propria paura ma un disagio fisico, un cenestesico tilt.

Non a caso, un capito di questo libro s’intitola proprio Buio. Sì, a un certo punto la nostra protagonista deve destreggiarsi nelle tenebre: forse è scattato il salvavita, o forse no. Cosa è accaduto?

L’idea del buio è corroborata dalla materialità del libro: la sovraccoperta presenta le tinte del blu e del nero, e viene rappresentata in modo stilizzato la condizione della povera Nilla nel momento più alto di terrore. L’illustrazione è di Andrea Settimo. La scoperta curiosa si fa se si estrare il volume dalla sovraccoperta: accidenti! la copertina vera e propria è completamente bianca, con il titolo in nero. Una bella contrapposizione che richiama alla mia mente anche il contrasto tra la pura innocenza della protagonista e l’oscurità inattesa dei segreti e delle atroci e turpi azioni che si celano tra le pagine di questa storia.

Ph Francesca Lucidi

Un quartiere come tanti, lontano dal caos del centro, può essere qualcosa che non sembra? La realtà supera di gran lunga la fantasia… perché implica in sé l’imprevisto. Quest’ultimo è sempre un motore che mette in evidenza movimenti che prima non erano percepibili, e spesso fa venire allo scoperto molti fatti ed eventualità di cui non ci saremmo mai accorti, diversamente.

UNA LUNGHISSIMA NOTTE è un thriller, diciamolo con sicurezza. Sarà anche indirizzato ai ragazzi ma credo sia adatto a tutti, da una certa età in su. Il romanzo narra una storia che potrebbe verificarsi; per questo motivo appare come un monito ma, badate bene, ci si diverte grazie a una scrittura perfetta e a una protagonista meravigliosa nella sua “normalità”. Si potrebbe dire che in una notte, anzi devo dire in una notte e in giorno di due anni dopo, Nilla vede la sua formazione e la sua crescita esplodere per cause di forza maggiore. Ma lei… prima un po' infantile, come ha diritto di essere, diventa poi una cittadina, un esempio di intelligenza emotiva e creativa, di caparbietà e rettitudine. Ma all’inizio… QUANTA PAURA!

UNA SBIRCIATA ALLA TRAMA, TRAMITE L’AUSILIO DI UNA TORCIA

Nilla ha tredici anni, dopo una gloriosa mattinata in cui è riuscita a sfidare l’antipatica professoressa di storia, la prof. Martinelli, torna a casa piena del senso di vittoria amplificato delle numerose pacche sulla spalla ricevute all’uscita da scuola.

Tornata a casa si accorge che la mamma non c’è: nessun problema, tra le mille distrazioni e corse di una quotidianità che si divide tra l’organizzazione minuziosa e il disordine una dimenticanza, riguardo a un cambio di programma, ci può stare. Ora, l’importante è andare a dar da mangiare a Gullo, il Retriever un po' appesantito dalla vita familiare. In genere Gullo corre al primo scossone dato alla confezione del cibo; una strana scoperta: anche Gullo non c’è.

Nilla si ritrova da sola. Iniziano timidi tentativi di contatto con la madre: il cellulare, però, non restituisce a Nilla nessun feedback confortante, solo le numerose notifiche dei gruppi silenziati e delle catene mandate compulsivamente dalla sua amica Valeria.

A questo punto tanto vale prepararsi da mangiare. I gesti meccanici della routine sembrano il modo migliore per affrontare l’annidarsi del timore, della paranoia. Piatto, acqua che bolle… ma con un po' troppa calma.

“È inutile, aveva ragione Jerome K. Jerome (al momento il suo scrittore preferito): se aspetti che vada in ebollizione, l’acqua resterà tiepida apposta per farti un dispetto. Jerome diceva che non bisogna mai far capire all’acqua che la si sta aspettando perché è sottilmente perfida.”

Effettivamente, quando si è inquieti tutto sembra remarti contro, tendando di infastidirti. Sì, anche l’acqua messa su per un piatto di spaghetti da consumare in bianco con un po' di olio e origano. Tra i sughi pronti, sistemati in dispesa per dare una parvenza di organizzazione a una casa che deve far fronte a diverse difficoltà, Nilla sceglie di non prendere quello alla boscaiola: è il preferito della mamma, sarebbe meglio consumarlo insieme, dato che sono sempre loro due da sole.

Il papà di Nilla è dovuto andare a lavorare molto lontano, sulle navi da “crociera. Un bravo chef non poteva non cogliere questa occasione, così almeno consigliò la mamma di Nilla: la famiglia era in forte crisi economica… e la sorella maggiore di Nilla aveva ormai programmato un viaggio studio in Nuova Zelanda. La mamma pare essere riuscita a pensare a tutto, mentre dalla sua scrivania zeppa di oggetti e fogli continua a portare avanti il suo lavoro da scenografa, un’occupazione probabilmente destinata ad estinguersi.

“Nilla abitava in una casetta a schiera, identica a tutte le altre della fila. Ognuna con il proprio giardinetto delimitato da siepi basse le cui foglie ingiallite ricordavano che all’inverno mancava una manciata di giorni.

Quella serie di tetti e giardini era l’ultima propaggine di un quartiere relativamente nuovo e mai ultimato, che si spingeva verso il vuoto della periferia.”

Nel mondo odierno, i contatti con i vicini sono rari, guardinghi. Anche nel mondo di Nilla le cose vanno così. Una coppia è assai inquietante… fortuna che c’è Marta, la quale rassicura Nilla di aver visto la madre al mattino, con Gullo al guinzaglio. Marta manifesta la sua sincera disponibilità imponendo alla ragazzina di chiamarla per qualunque necessità. Quella sera la vicina sarebbe andata dai suoceri, ma il suo cellulare resterà accesso.

Quanto può apparire rassicurante il vecchio gesto di due mani che si asciugano strette in un grembiule, lì, all’ingresso di una casa qualunque; poi se sopra le mani svetta un sorriso… forse Nilla avrà un’alleata.

Purtroppo, le cose andranno di male in peggio:

“Sentì che le attecchiva dentro la piantina malevola della preoccupazione, che allungava solerte le sue radici insidiose.”

Nella confusione, e nella solitudine, Nilla prende coraggio e cerca di contattare anche la sua babysitter, Marta.

Marta è una ragazza di diciotto anni che di certo non sogna di badare per sempre a dei ragazzini. Con Nilla i rapporti sono tesi, soprattutto da quando la nostra protagonista giocò un brutto scherzetto a Marta, ovviamente nulla di grave, ma per una diciottenne l’opinione dei propri amici è assai importante.

Marta ha un fidanzato, Jacopo. Entrambi sembrano dei ribelli, così vestiti di abiti e accessori da piantagrane; proprio quella mattina, i due hanno avuto un brutto litigio davanti alla scuola di Nilla. Nel trambusto si fa strada di corsa anche la professoressa Martinelli, la madre di Jacopo.

I due giovanissimi fidanzatini sempre in groppa a uno scooter, che sogna di essere un’Harley, parteciperanno alla lunghissima notte di Nilla. Qualcuno si farà molto male.

“Aprì il frigo, prese la busta dell’insalata si voltò vero il tavolo e…

Buio.”

Quando cala la sera, la nostra protagonista dovrà affrontare un altro nemico invisibile oltre alla paura: il buio.

Il contatore della corrente pare essere un traguardo impossibile, proprio perché bisogna raggiungerlo proprio quando la corrente non c’è. Di notte… ogni oggetto può proiettare ombre che si fanno figure, paurose parvenze.

Nilla, però, è una ragazzina anche molto pragmatica. In quella situazione, però, tutti si sentirebbero smarriti e divisi tra la volontà di non creare allarmismi e la voglia di dare l’allarme con forza.

“È normale che scendere sotto il livello della terra faccia paura. È il luogo dei morti, dei vermi, della decomposizione e dei demoni.”

La citata normalità si trasformerà in anomalie, in anormalità, in domande che troveranno risposte inaspettate e terribili.

Il lettore deve essere paziente come Nilla, ogni nodo verrà al pettine, anche se una tredicenne che indugia nello spazzolarsi fieramente i lunghi capelli… non poteva immaginarlo.

Umanità, coraggio, spirito di critica e analisi. La crescita di Nilla verrà stimolata da una serie di brutti eventi che cambieranno molte vite, anche se qualcosa di buono scaturirà anche dagli eventi negativi: dopotutto la vita è fatta di luci e ombre.

Qui, attraverserete entrambe.

ANALISI E OSSERVAZIONI

Il racconto della vicenda di Nilla si divide in due: abbiamo la narrazione da parte di una voce esterna che riporta gli eventi scoperchiando i pensieri dei personaggi e anche quelli del lettore, lanciando riflessioni e considerazioni quasi confidenziali, giuste e stimolanti; tra le pagine vediamo interpolate anche delle interviste, scritte in caratteri diversi, fatte ai diversi attori, principali e secondari, della brutta questione che ha coinvolto Nilla. Le interviste si rivelano spaccati curiosi e assai arricchenti: oltre a far parlare i personaggi, che si mostrano aldilà degli stereotipi esterni, contribuiscono all’evoluzione della storia diventando sequenze narrative autonome e al contempo integrate. Le interviste sono state fatte settimane dopo la conclusione delle indagini.

Sì, si parla di indagini, avvocati, giudici e polizia.

Quando un poliziotto interroga Nilla ci viene davvero da chiederci cosa avremmo risposto al suo posto.

Un reato? Un delitto? Il nero snodo della storia è qualcosa che tocca temi terribilmente attuali, e questo fa meritare il nostro plauso a un testo che parla di vite normali toccate da dolori, e da ignominie non troppo lontane, se solo riusciamo ad aprire gli occhi e a fare un po' la nostra parte nella verità, come farà Nilla.

UNA LUNGHISSIMA NOTTE è un libro per ragazzi che sa anche parlare forte e chiaro agli adulti. Si parla delle scelte giuste e delle scelte sbagliate, e di quanto additare i giovani come a una sciagura sia forse un modo per non farsi il giusto esame di coscienza. Questo non è solo un racconto per ragazzi… è una rivincita dei ragazzi! Contro ogni stereotipo; contro ogni scenografia divisa tra case tutte uguali, parchetti abbandonati, sogni edilizi mai terminati, posti definiti “di nessuno”.

“Se non fosse stata una ragazza ragionale, avrebbe potuto credere anche in qualcosa di sovrannaturale.”

Il romanzo ha un sottotesto raffinato, ben inserito, fino a diventare un insegnamento e un terapeutico discorso di cui ci si accorge passo per passo. Qui abbiamo un piccolo trattato sulla paura e i suoi effetti. È noto come non guardare in faccia i propri timori sia un modo per alimentarli, il nostro stesso corpo passa da fisiologici segnali di allarme a malessere vero e proprio.

La forza della narrazione viene da concreti suggerimenti di reazioni, proposti attraverso i pensieri e le azioni di Nilla: il celato trattato sulla paura cede spazio alla spinta motivazionale di un manuale di crescita personale.

“La paura ha due effetti contrapposti: ti frena e ti accelera.”

Ma badate bene, la nostra protagonista non si darà certo per vinta:

“Era l’ora di diventare parte attiva dell’attesa.”

Consiglio questo thriller per la scrittura coinvolgente, chiara, matura ed estremamente stimolante. Non veniamo solo avvinti da una storia perfettamente ideata e tessuta, possiamo anche imparare molto, e questo vale per giovanissimi e adulti, perché spesso la banalità non fa parte esclusivamente di ciò che è rassicurante. Anche qui:

“Il resto era stato banale, come spesso è il male.”

Vi lascio con uno spezzone dell’intervista fatta ad Andrea Soriani, il padre di Nilla:

QUALI CONSIGLI DAREBBE AI RAGAZZI CHE DOVESSERO TROVARSI NELLE STESSE CONDIZIONI DI NILLA?

Non state soli. Andate da parenti, amici, compagni di classe e cercate aiuto presso un adulto. Mentre cercate una soluzione, fate come Nilla: appellatevi alle vostre risorse interiori e non smettete di essere parte attiva. Mai abbandonarsi alla disperazione.”

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venerdì 9 ottobre 2020

IL FIGLIO DEL CIMITERO di NEIL GAIMAN

 

LA STRAORDINARIA STORIA DI FORMAZIONE DI UN BAMBINO CHIAMATO “NESSUNO”, CHE VIVE GRAZIE ALL’ESISTENZA DELLA MORTE

Ph. Francesca Lucidi. Edizione Mondadori 2009

INTRODUZIONE

Il figlio del cimitero è un capolavoro per ragazzi, un fantasy horror uscito nel 2008… ma che deve la sua ispirazione a tempi assai precedenti. Pubblicato con il titolo originale The graveyard book, questo libro che narra “la storia del bambino che viveva tra le tombe” iniziò a prendere forma nel 1985, quando la famiglia Gaiman abitava nel West Sussex. Beh, Neil e i suoi cari vivevano proprio davanti a un cimitero; un giorno lo scrittore vide suo figlio Mike, che all’epoca aveva solo due anni, vagare tra le tombe spensierato, in “groppa” al suo triciclo.

Il volume è riuscito a guadagnare numeri prestigiosi premi: la Medaglia Newbery, Il Premio Locus per il miglior libro per ragazzi, nonché il Premio Hugo per il miglior romanzo.

Il Premio Hugo viene assegnato ogni anno durante la Worldcon (World Science Fiction Convention). Il congresso mondiale della fantascienza riconosce la potenza immaginativa della storia di Nobody Owens, il “figlio del cimitero”.

Gaiman ottiene anche la prestigiosa Carnegy Medal.

L’incanto di questo libro è rafforzato dal lavoro di un prezioso partner di Gaiman, un uomo che ha dato forma e linee, a incubi, “sogni” e straordinarie apparizioni: Dave McKean.

McKean conobbe Gaiman quasi per caso, crearono insieme il loro primo graphic novel nel 1987; e così, con Casi Violenti, iniziò un sodalizio che è passato tra fumetti, illustrazioni, e copertine.

L’illustratore e fumettista creò con Gaiman la serie a fumetti Black Orchid; ha curato il progetto grafico della straordinaria serie della Vertigo Sandman, di cui ha disegnato ogni copertina. Non dimentichiamo che il famosissimo romanzo Coraline (2002) prese facce e bottoni proprio dalle mani di McKean.

Ne Il figlio del cimitero, l’artista ci accoglie all’inizio di ogni capitolo del romanzo tramite illustrazioni evanescenti che tratteggiano modi e personaggi fatti di sospiri, di ricordi, di passato. L’estrema espressività di queste entrate, che si susseguono nel corso della lettura, riesce a farci sentire ancora più parte di quella vita tra i morti, intrisa di così tanta vita che lo stupore e la fascinazione non posso che avvolgerci nella meravigliosa magia creativa dello scrittore contemporaneo che è riuscito a creare un codice comunicativo intriso di ogni potenzialità della vita, delle emozioni, della fantasia. Ogni cosa, in Gaiman, viene percepita come reale, perché finalmente ciò che viene accantonato perché poco usuale riesce a contattarci, e a far capire forte e chiaro un messaggio che sa di una completezza unica.

I libri di Neil Gaiman non sono storielle per ragazzi, sono missioni eroiche per la salvaguardia della “stranezza”, della percezione che vince sulla mera sensazione. Grazie a Gaiman tutti riescono a comprendere come i grandi valori del coraggio, dell’amore e dell’apertura siano raggiungibili ovunque e per chiunque. Lo stereotipo dello “spaventoso” spesso allontana dalla semplicità delle cose; non è pericoloso ciò che non si vede o ciò che è diverso, anzi, come ci insegna questo libro… le insidie si nascondono meglio alla luce del sole, magari dietro a un sorriso socialmente perfetto.

Siete pronti a non aver paura? Posso dirvi che anche i morti hanno i loro pregiudizi e timori: grazie a Nobody Owens impareremo tutti ad apprendere dagli errori e a trasformare esperienze spaventose in forze che possono trovare in noi… UN PADRONE.

CENNI SULLA TRAMA

“C’era una mano nell’oscurità

e impugnava un coltello.”

Una notte di morte e sangue… un uomo vestito di nero di nome Jack cerca e non trova il motivo per cui è entrato in quella casa al numero 33 di Dunstan Road.

Ripide scale, che si possono scendere agilmente se si poggia il sederino a terra… insomma, se ci facciamo ruzzolare un po'. A volte un esserino molto piccolo, grazie all’istinto e alla curiosità, può raggiungere mete straordinarie.

Poca distanza, che in proporzione è tantissima, ed ecco il cancello di un vecchio cimitero. Lì vicino alla Città Vecchia. L’uomo chiamato Jack percorre lo stesso cammino di un piccolo essere umano che si ritrova tra le braccia evanescenti ma calde di una donna, una donna morta. Il Fante del mazzo, il Jack, cerca di seguire la sua preda ma un custode lo ferma. L’uomo che accoglie il cattivo profanatore di quel luogo sembra aver fermato facilmente la corsa.

“L’uomo chiamato Jack era alto. Quest’uomo era più alto ancora.”

Così inizia l’avventura di Nobody Owens. Il perché di questo nome risiede nella saggezza di un tutore che non è vivo e non è morto, e nell’amore genitoriale di chi da morto realizza un desiderio. La “Cittadinanza del Cimitero” non è qualcosa da dare con leggerezza, ma qualcuno interviene a cavallo di un bianco destriero enorme… mentre vestiti di ragnatele e grigio bagliore sanciscono la nuova vita di un bambino che diventa “Nessuno”.

Da quel momento un umano viene cresciuto dai morti, e ce ne sono davvero tanti nell’antico cimitero che vanta tra gli abitanti anche un certo Caius Pompeius. Nobody cresce grazie alle cure e agli insegnamenti di persone che hanno un nome, un cognome; a volte anche un brutto carattere e delle fissazioni come quando erano vivi. Se non fosse per il contesto e la natura dei personaggi… sembra la normale storia di un ragazzo che cresce discutendo con i genitori, ribellandosi all’autorità e agli “insegnanti”; Nobody ha anche amici più o meno simpatici, come accade per gli altri suoi coetanei, solo che i compagni di giochi del nostro protagonista non crescono insieme a lui… e indossano sempre gli stessi vestiti che li avvolsero quando una malattia che non aveva nome, ma un aggettivo, li fece giungere lì dove Nobody ora vive e cresce.

La situazione è chiara… il ragazzo non può uscire dal cimitero, è troppo pericoloso. La sua cittadinanza particolare gli permette di non farsi vedere dai vivi, se non vuole; e altre cosucce le imparerà via via… anche grazie a una presenza femminile un po' arrabbiata, ma con un cuore spezzato che ritrova la conciliazione dopo secoli, proprio grazie a Nobody.

Come in ogni cimitero normale i vivi ci camminano in mezzo, distrattamente… e mentre il ragazzo cresce guarda gli altri suoi simili, in cui non si riconosce ma verso i quali si sente naturalmente spinto.

 Scarlett intanto gioca tra le tombe, e lei invece crescerà… ma a volte crescere ci fa dimenticare tutte le cose che non possono essere accettabili. Anche se si parla di un amico, dello Sleer, di vero terrore che si tramuta in un legame che non si dovrebbe spezzare.

Nobody cresce e sbaglia spesso, sbaglia e silenziosamente impara; oh, sì, questo gli servirà. L’uomo chiamato Jack non smette di cercare il compimento che non avvenne.

Vampiri, Mastini di Dio… ed ex presidenti degli Stati Uniti, veri o presunti, che sanno succhiare un osso come nessun altro. Il giovane Owens vive la sua formazione con risultati normali ma in modi inusuali, anche terribili. Una scuola umana può essere più sicura e accogliente di un cimitero? Basterebbe non farsi notare.

La storia di Nobody Owens si dipana davanti ai nostri occhi increduli e alla nostra pelle dolcemente attraversata da una fredda carezza: da zero a quindici anni il protagonista vive la sua sopravvivenza… fino al giorno in cui una vecchia ninna nanna ritroverà le parole che erano state dimenticate:

“Affronta la vita.

Son affanni e piaceri. Che non sian inesplorate

Le strade di ieri”.

 STRETTI IN MACABRADANZA… ORA ASCOLTATE DA VICINO

Ph Francesca Lucidi

ANALISI E CONSIDERAZIONI

Potremmo iniziare con il dire che è un romanzo di formazione, di avventura… un fantasy horror per tutti, una storia per ragazzi; che il narratore è onnisciente, che il corollario del gotico e della letteratura “di paura” è completo. Si potrebbe dire che il tempo del racconto va veloce e il tempo della storia in sé vede riuniti quindici anni di vita di una persona in quasi quattrocento pagine, di pura magnificenza immaginativa.

Tutto questo è vero ma limitato.

Gaiman non è un semplice scrittore, è un costruttore, un sapiente architetto di monumenti alla stranezza; è un custode di cimiteri, di sogni, di incubi… delle emozioni tutte e della realtà al completo. Le creazioni di Gaiman non sono filtri, sono invece inchini che ti introducono a una visione che ti fa guardare in faccia TUTTO. La vita e la morte, le cose piacevoli e quelle meno piacevoli hanno pari dignità attraverso i loro significati… che non scaturiscono solo dalla luce, da ciò che possiamo toccare con mano: dopotutto la realtà, è comprovato, non è altro che una “mappa della realtà”, la costruzione scaturita da ciò che il nostro cervello giudica come accettabile, attraverso condizionamenti interni ed esterni. Gaiman sblocca l’inconscio, i traumi, le incomprensioni; fa camminare ciò che di solito è fermo e si nasconde. Racconta quello che realmente succede tutti i giorni, ma lo fa creando un codice di comunicazione nuovo, che rende intelligibili e accettabili le cose che ci spaventano.

Il mondo del cimitero è un parallelo coerente con ciò che c’è qui, fuori dai cancelli delle altre dimensioni.

Leggendo la storia di Nobody diventiamo persone migliori: chi si sente emarginato impara che può sviluppare capacità straordinarie, e che non deve sempre “svanire” per sopravvivere.

I morti erano persone, e come noi hanno sentimenti e pregiudizi che Nobody esplora. Il ragazzo passa molto tempo da solo ma dona alla solitudine la dimensione della conoscenza. Il giovane Owens restituisce dignità ad abomini di tanto tempo fa, dona speranza a chi è reietto anche nell’universo degli invisibili, di quelli che fanno paura. Anche la paura prova timore… e questo è un concetto gigantesco.

Ogni personaggio, attraverso la scrittura incantatrice e disvelatrice di Gaiman, snocciola frasi di una bellezza sconvolgente. Nessuna descrizione troppo accurata, niente che distolga dalla percezione reale del Cimitero. Se la sensazione è la semplice attivazione dei nostri organi di senso; la percezione è la nostra elaborazione di questi stimoli… Gaiman è uno scrittore della percezione che ad ogni parola non ti fa capire ciò che una frase denota ma ti fa percepire esattamente ciò che leggi. Leggere IL FIGLIO DEL CIMITERO ti fa cambiare, sempre che uno voglia scegliere di lasciare aperte le proprie potenzialità; in quanto vivi dobbiamo renderci conto che abbiamo questa responsabilità… prima che possiamo fare un giro su un grande cavallo bianco, al momento giusto. A volte la pensiamo come Nobody:

“Quanto sarebbe stato bello muoversi in quelle terre oltre i confini del cimitero, e quant’era bello essere il padrone di quel suo piccolo mondo”.

Però, noi dobbiamo cambiare, svilupparci: è la nostra naturale missione.

          “Sei sempre te stesso, quello non cambia, e intanto non fai che cambiare e non puoi farci nulla.”

E se i vivi e i morti non devono mai danzare insieme… forse c’è un’occasione. Un solo ballo, un abbraccio magari da dimenticare, ma che ci renderà più consapevoli anche se non sapremo il perché. Un fiore bianco e il bacio dell’inverno: su, unitevi alla MACABRADANZA!

“Signora di grigia sembianza

Guidaci in MACABRADANZA…”


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Grazie e buona lettura!


 

 

 

 

 

giovedì 24 settembre 2020

POESIE di Giorgio Caproni



BIOGRAFIA E PRIMI SGUARDI AI SUOI VERSI


Giorgio Caproni
nasce a Livorno il 7 gennaio del 1912, da Attilio Caproni e Anna Picchi. La città di nascita resterà sempre nelle memorie personali e letterarie dell’autore: evocandosi dal ricordo degli affetti primigeni e trasfigurandosi nei suoi versi allegorici, ben radicati in immagini quotidiane, nitide e al contempo evocative.

Anna Picchi è una sarta e sa suonare la chitarra e il mandolino. La musica sarà un’eredità importante per il giovane Caproni; infatti anche il padre è dedito alla musica: Attilio Caproni suona il violino… ed è anche un appassionato di Dante, in particolare della Divina Commedia, che acquista in edicola in dispense. Questi piccoli particolari diventeranno le radici culturali ispiratrici di Giorgio Caproni.

Le difficili condizioni economiche della famiglia, causate dall’arruolamento di Attilio nella Prima Guerra Mondiale e dai tumulti sociali che prepareranno il terreno per l’ideologia fascista, costringono la famiglia a trasferirsi presso i quartieri più popolari. Per un periodo coabitano con una coppia di lontani parenti, fatto assai normale in un’Italia sofferente.

Nasce la terzogenita Marcella, successiva a Giorgio. La famiglia si trasferisce prima a La Spezia e poi a Genova, una città che si imprime nell’animo dell’autore che dichiarerà: “Sono io che sono fatto di Genova”.

Giorgio aveva iniziato gli studi elementari a Livorno e li completa a Genova. Si iscrive, poi, alla Scuola Tecnica Antoniotto Usodimare. Il padre incoraggia il figlio a studiare violino. A tredici anni, Giorgio si diploma in composizione all’Istituto Musicale Giuseppe Verdi. Di notte… suona nell’orchestrina di un dopolavoro. A causa della propria indigenza, Giorgio deve interrompere la formazione musicale e inizia a lavorare: farà anche il fattorino per uno studio legale.

La musica resta una base importante dove nasceranno le armonie e le suggestioni sonore e strutturali caratterizzanti le poesie di Caproni.

Giorgio viene contagiato dall’amore paterno per la musica ma anche per la Divina Commedia; inizia ad avvicinarsi alla poesia moderna, letture che definirà “infatuate”.

Nel 1932 invia i primi versi al direttore della rivista genovese I Circoli, i componimenti vengono, però, rifiutati.

Lo stesso anno vede Giorgio arruolarsi nel 42° Reggimento Fanteria di Sanremo. Porta con sé le memorie letteraria abitate da Ungaretti, Montale, Saba. Durante le guardie notturne scrive componimenti, che confluiranno in Come un’allegoria (1936).

Due anni dopo, dopo la fine dell’impegno militare, si prepara da privatista agli esami per la scuola magistrale; un professore antifascista di nome Alfredo Poggi lo affianca e gli permette di approfondire Dante, ma anche Catullo, Virgilio e Lucrezio.

Giorgio riesce a diplomarsi e successivamente prende servizio come maestro elementare a Rovegno, nell’alta Val Trebbia. La carriera di insegnante è molto importante per lo scrittore, e la porterà avanti il più possibile, fino al 1973.

Il giovane maestro, nel suo trasferimento, porta con sé la fidanzata genovese Olga Franzoni, ragazza molto cagionevole di salute. La giovane, purtroppo, muore di setticemia poco dopo. La dipartita della sua amata, occorsa poco prima delle nozze, piega profondamente Giorgio… che la ricorderà per tutta la vita, come fosse un fantasma, il ricordo di una mancanza incolmabile.

“[…] E intanto lenta scaturiva,

dal silenzio infinito, un’altra corte

infinita di brividi sul viso

scolorato toccandoti: ma fu

storia anch’essa conclusa – né ora più

m’è soccorso a quel tempo ormai diviso.”

(Biciclette da Il passaggio d’Enea)

 Però, la vita continua e il giovane si trasferisce a Pavia, sempre per motivi di lavoro. Nella nuova residenza incontra Rosa Rettagliata, che sposa nel 1938. La donna, apostrofata nelle poesie come “Rina”, è l’altro polo amoroso dei versi del poeta: colei che porta con sé una speranza di continuità, di vita che si rinnova e non torna indietro. Rina è l’esistenza quotidiana che va avanti, anche se tra le angustie del vissuto, anche matrimoniale.

Rina è ciò che salva il poeta dal baratro:

“Senza di te un albero

non sarebbe più un albero.

Nulla senza di te

sarebbe quello che è.”

(A Rina, in Galanterie)

Nel 1938, il maestro Giorgio Caproni approda a Roma, alla Scuola Giovanni Pascoli di Trastevere. L’Italia entra in guerra e Caproni viene richiamato alle armi. Partecipa alla Campagna di Francia e successivamente compie diversi spostamenti e peregrinazioni.

Particolarmente importante è l’incontro con il giornalista e scrittore Libero Bigiaretti, il quale lo presenta all’editore Luigi De Luca: Finzioni viene, così, pubblicato.

Lo scrittore Pietro Bargellini, invece, lo presenta all’editore Vallecchi che pubblica a Caproni Cronistoria.

Arriva l’armistizio dell’8 settembre 1943, lo scrittore si trova in congedo dai familiari della moglie. Rifiutandosi di unirsi alla Repubblica di Salò, entra nella resistenza partigiana della Val Trebbia; viene impiegato principalmente in mansioni di approvvigionamento. Lo scrittore dedicherà versi cupi a questo periodo della sua esistenza, come nella raccolta I Lamenti.

Nel 1945 torna a Roma. Cambia più volte casa e alla fine si stabilisce nel quartiere di Monteverde in un’abitazione senza riscaldamenti. Molto vicino a Caproni… vive, in una residenza ben più dignitosa, Attilio Bertolucci.

Lo stipendio da insegnante è troppo basso, e lo scrittore cerca di arrotondare come correttore di bozze di una tipografia. Però, iniziano ad aprirsi le porte dell’ambiente letterario. Inizia a frequentare Attilio Bertolucci e Pier Paolo Pasolini. Il poeta Carlo Betocchi, a cui era stata affidata la trasmissione radiofonica L’Approdo, invita Caproni in radio diverse volte.

Bertolucci diventa il lasciapassare per la casa editrice Garzanti. Cerca anche di far ottenere a Caproni un congedo dal lavoro, ma Giorgio si rifiuta… come farà anche per la possibilità di un posto fisso in RAI.

Tra il 1966 e il 1972, la Rizzoli impiega il Nostro come consulente editoriale. Nel frattempo, si moltiplicano le letture radiofoniche delle sue opere. Caproni lavora alacremente anche come traduttore. Si impegna altresì nell’attività giornalista: collaborerà con importanti testate schierate come l’Unità, L’Italia Socialista… ma lo scrittore non manifestò mai un forte interessamento politico in senso stretto.

Negli anni Sessanta, attraversa un momento di difficoltà a causa di un intervento chirurgico allo stomaco. In seguito, la morta della sorella e del fratello creano un senso di solitudine intorno al poeta. A consolarlo i numerosi inviti all’estero, e i viaggi nei quali viene spesso accompagnato dalla figlia Silvana. A Parigi parteciperà a una lettura di versi con il poeta Mario Luzi. Diverse prestigiose università vogliono guadagnarsi un intervento di Giorgio Caproni: lo scrittore si reca, infatti, all’Istituto Italiano della Columbia University, a Berkeley e a Stanford.

Durante un viaggio in Germania, sempre in compagnia della figlia Silvana, inizia a concepire la raccolta che uscirà poi postuma, Res Amissa.

Il primo gennaio del 1984, il rettore dell’Università di Urbino, Carlo Bo, consegna a Caproni la Laurea Honoris Causa in lettere e filosofia.

Del 1985, è la Cittadinanza Onoraria conferita dalla città di Genova.

Giorgio Caproni muore a Roma il 21 gennaio del 1990, nella casa in via Pio Foà dove abitava dal 1968. È sepolto nel cimitero di Loco di Rovegno, accanto alla moglie Rina.

 

LA POETICA DI CAPRONI… e intensifichiamo i precedenti sguardi già indirizzati

Ph Francesca Lucidi



Versi che si vestono da aforismi, continui enjambement che fanno procedere la lettura scalino dopo scalino. Un orecchio musicale che tramuta la scrittura poetica in partitura. Se guardiamo alla storia creativa della raccolta postuma Res Amissa, possiamo scorgere un poeta che scrive appunti sui righi di uno spartito musicale; se torniamo indietro al Conte di Kevenhüller, dobbiamo avere a che fare con una divisione in “Libretto”, “La Musica” e “Altre Cadenze”. La formazione musicale ereditata dai genitori intesse strutture apparentemente semplici che, però, costruiscono allegorie altissime: stazioni che diventano purgatori, strade che ospitano osterie (come in Borgoratti) circondate da sospensioni in cui i significati restano negli interrogativi che spesso assillano i versi di Caproni. Tutto, però, è reso con parole semplici, motivo per il quale si è parlato impropriamente di “realismo”.

 Il passato del poeta ritorna sempre: la poesia diventa un regno tra la vita e la morte, tra il presente e il continuo tentare di andare avanti guardando all’indietro. Si è parlato di stazioni, sì, un luogo caro al poeta, dove, tra treni e tram, lo sguardo di Caproni vede ciò che esiste infestato da ciò che non c’è più. La morte cammina tra le strade del quotidiano come si fosse in una Commedia Dantesca al contrario. L’eredità del violino, l’eredità di quelle dispense di Dante acquistate dal padre, umile lavoratore. Il movimento del ritorno è sempre presente, nello spettro del primo amore e soprattutto negli incontri con la parvenza della madre Anna, “Annina”.

Chi viaggia spesso in treno ha occasione di vivere spesso l’alba, e molte albe sono scure.

Prendendo ad esempio due componimenti, entrambi illuminati da una nebbiosa alba, si può ben assistere a due forme vocative e di attesa “dichiarate”, diverse ma molto simili.

Il primo, contenuto in Il passaggio d’Enea, e dal titolo Alba, ha intorno diverse supposizioni e contestualizzazioni. È ambientato nella latteria di una stazione, vi è una delle consuete attese del poeta e semplici oggetti e rumori infestano l’aria. In una intervista rilasciata al settimanale Gente, Caproni racconta che si trovava nella latteria per attendere la moglie in arrivo da Genova, dato che a Roma ancora non era pronta un’abitazione consona. Ma dei versi sembrano raccontare un’altra storia. Partiamo dalla metà:

[…] io quale tram

odo, che apre e richiude in eterno

le deserte sue porte? … Amore io ho fermo il

polso: e se il bicchiere entro il fragore

sottile ha un tremitìo di denti, è forse

di tali ruote un’eco.

Nell’ultimo capitolo dell’unico romanzo del Caproni, rimasto incompiuto, intitolato La dimissione, il poeta racconta dei momenti precedenti alla morte di Olga… il suo primo amore. La giovane, presa da un momento di rabbia sommessa, rimprovera l’amato per il modo in cui gli porge il bicchiere d’acqua da lei richiesto. Olga è un tema ricorrente, una presenza che viene inserita cercando di celarne l’identità.

Se si giunge all’ultimo verso del componimento non si può non vedere una delle più ingombranti compagnie dei versi di Caproni, la quale ha tra le braccia sia Olga che Anna:

[…] non dirmi che da quelle porte

qui, col tuo passo, già attendo la morte.

Sì, vi è il gesto semplice di una attesa in un luogo reale, ma i luoghi di Caproni sono descritti come tangibili ma sono luoghi psichici, onirici… varchi oltre la realtà.

L’oltretomba che si mescola agli odori e ai materiali di un posto senza importanza… è evocato, anzi visto, in Ad portam inferi, componimento parte dei Versi Livornesi, dedicati alla defunta madre, contenuti in Il Seme del piangere.

Una donna, apparentemente confusa, siede e, davanti a un cappuccino, cerca di scrivere al proprio figlio… che non riesce a rimembrare chiaramente. Tenta anche di scrivere al marito,e nel frattempo si accorge di non avere le chiavi di casa. Nelle righe per il marito parole di congedo non auliche, ma allegoriche alla maniera di Caproni. La donna ricorda al marito del caffè sul gas, del burro nella credenza; invita il coniuge a fumare meno (forse per lungimiranza data da una nuova condizione ancora non cosciente ma definitiva). Le righe vanno verso il congedo parlando del contatore del gas. Ad un tratto un fremito: la fede al dito non c’è. Il cappuccino è freddo e i ricordi diventano immagini confuse. Il figlio diventa il marito, e questa è una tipica mutazione che si ritrova in molte poesie di Caproni:

Nemmeno sa distinguere bene,

ormai, tra marito e figliolo.

Vorrebbe piangere, cerca sul marmo il tovagliolo

già tolto […]

Alla fine, la potenza dei viaggi di Caproni che sfaldano le lamiere di un tram e di un treno apparenti… e mostrano eternità inquiete, narrano la morte tramite la semplicità dei gesti di una persona che fu viva e che ora è persa, forse non meno dei vivi che lascia.

«Signore cosa devo fare,»

quasi vorrebbe urlare,

come il giorno che il letto

pieno di lei, stretto

sentì il core svanire

in un così lungo morire.

*

Guarda l’orologio: è fermo.

Vorrebbe domandare

al capotreno. Vorrebbe

sapere se deve aspettare

ancora molto. Ma come,

come può, lei. Sentire,

mentre le resta in gola

(c’è un fumo) la parola,

ch’è proprio negli occhi dei cani

la nebbia del suo domani?

Il critico Pier Vincenzo Mengaldi fa notare come l’inattualità della poesia di Caproni, nel contento letterario del suo tempo, rende quei versi “attualissimi”.

Caproni resta in disparte per lungo tempo, e l’attenzione dei critici inizia ad avvicinarsi dopo un articolo di Pier Paolo Pasolini del 1952; possiamo oggi darci la possibilità di esplorare questo sé radicato nella realtà ma assolutamente assente perché trapassa i misteri attraverso gestualità frammentate da un ritmo poetico che incalza tra nebbie, cose isolate e messe lì a contornare una lettura a scalini che scendono o salgono verso il mistero primo, e ultimo della vita.

Un figlio può mutare in un marito, e viceversa, perché le contraddizioni di Caproni permettono rigenerazioni di forme fisiche attraverso la narrazione del ciclo delle cose, anche se siamo piuttosto distratti dal pensiero del gas aperto…

Dopo questi umili cenni, se volete acquistare un volume su Giorgio Caproni vi propongo una raccolta. Grazie alla mia affiliazione con Amazon, se cliccate QUI verrete indirizzati alla pagina dedicata nello shop. Acquistando tramite il mio link sosterrete il lavoro del Penny Blood Blog, il quale potrà ottenere dei compensi virtuali da reinvestire in libri sui quali discorrere insieme.

 

Ph. Francesca Lucidi

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA DELLE FONTI

https://www.ilsommopoeta.it/giorgio-caproni

https://www.academia.edu/31243574/_Alba_di_Giorgio_Caproni_?auto=download

https://www.treccani.it/enciclopedia/giorgio-caproni_res-4f6a36cc-87ea-11dc-8e9d-0016357eee51_%28Enciclopedia-Italiana%29/

https://giugenna.com/tag/res-amissa/

 Giorgio Caproni, I Miti Poesia, Arnoldo Mondadori Editore, 1997.