lunedì 19 ottobre 2020

UNA LUNGHISSIMA NOTTE

 UN APPASSIONANTE THRILLER PER RAGAZZI
di 
Annalisa Strada 

Ph Francesca Lucidi

BIOGRAFIA DELL’AUTRICE

Annalisa Strada è nata ad Adro il 13 maggio del 1969. Dopo la laurea in lettere, ha lavorato nel mondo dell’editoria, occupandosi nei settori più svariati. Dagli inizi degli anni duemila comincia a adoperarsi nell’arricchimento del catalogo della letteratura per bambini e ragazzi del nostro paese, come scrittrice.

Annalisa è anche una professoressa di scuola secondaria di primo grado, molto amata dai ragazzi; la cosa è piuttosto ironica dal mio punto vista… ma questo lo potranno intendere solo i lettori della storia di Nilla, che qui vi andrò a presentare.

Alcuni dei suoi numerosi libri hanno guadagnato premi assai importanti. Nel 2014, Annalisa Strada vince il Premio Andersen, il più prestigioso riconoscimento italiano attribuito nell’ambito della letteratura per ragazzi.

Attualmente, l’autrice vive in provincia di Brescia con il marito e la figlia.

INTRODUZIONE

Il romanzo è stato pubblicato nel 2019 da Pelledoca Editore.

La mia scelta di “adozione” ha preso spunto da una situazione molto particolare, carina… oserei dire: la Pelledoca ha pubblicato su Instagram, tempo fa, dei post interattivi che avevano come argomento la paura. Si chiedeva ai lettori quale fosse la loro paura, in base alla risposta veniva proposto un consiglio di lettura. Io ho risposto nominando il buio. La mia non è una vera e propria paura ma un disagio fisico, un cenestesico tilt.

Non a caso, un capito di questo libro s’intitola proprio Buio. Sì, a un certo punto la nostra protagonista deve destreggiarsi nelle tenebre: forse è scattato il salvavita, o forse no. Cosa è accaduto?

L’idea del buio è corroborata dalla materialità del libro: la sovraccoperta presenta le tinte del blu e del nero, e viene rappresentata in modo stilizzato la condizione della povera Nilla nel momento più alto di terrore. L’illustrazione è di Andrea Settimo. La scoperta curiosa si fa se si estrare il volume dalla sovraccoperta: accidenti! la copertina vera e propria è completamente bianca, con il titolo in nero. Una bella contrapposizione che richiama alla mia mente anche il contrasto tra la pura innocenza della protagonista e l’oscurità inattesa dei segreti e delle atroci e turpi azioni che si celano tra le pagine di questa storia.

Ph Francesca Lucidi

Un quartiere come tanti, lontano dal caos del centro, può essere qualcosa che non sembra? La realtà supera di gran lunga la fantasia… perché implica in sé l’imprevisto. Quest’ultimo è sempre un motore che mette in evidenza movimenti che prima non erano percepibili, e spesso fa venire allo scoperto molti fatti ed eventualità di cui non ci saremmo mai accorti, diversamente.

UNA LUNGHISSIMA NOTTE è un thriller, diciamolo con sicurezza. Sarà anche indirizzato ai ragazzi ma credo sia adatto a tutti, da una certa età in su. Il romanzo narra una storia che potrebbe verificarsi; per questo motivo appare come un monito ma, badate bene, ci si diverte grazie a una scrittura perfetta e a una protagonista meravigliosa nella sua “normalità”. Si potrebbe dire che in una notte, anzi devo dire in una notte e in giorno di due anni dopo, Nilla vede la sua formazione e la sua crescita esplodere per cause di forza maggiore. Ma lei… prima un po' infantile, come ha diritto di essere, diventa poi una cittadina, un esempio di intelligenza emotiva e creativa, di caparbietà e rettitudine. Ma all’inizio… QUANTA PAURA!

UNA SBIRCIATA ALLA TRAMA, TRAMITE L’AUSILIO DI UNA TORCIA

Nilla ha tredici anni, dopo una gloriosa mattinata in cui è riuscita a sfidare l’antipatica professoressa di storia, la prof. Martinelli, torna a casa piena del senso di vittoria amplificato delle numerose pacche sulla spalla ricevute all’uscita da scuola.

Tornata a casa si accorge che la mamma non c’è: nessun problema, tra le mille distrazioni e corse di una quotidianità che si divide tra l’organizzazione minuziosa e il disordine una dimenticanza, riguardo a un cambio di programma, ci può stare. Ora, l’importante è andare a dar da mangiare a Gullo, il Retriever un po' appesantito dalla vita familiare. In genere Gullo corre al primo scossone dato alla confezione del cibo; una strana scoperta: anche Gullo non c’è.

Nilla si ritrova da sola. Iniziano timidi tentativi di contatto con la madre: il cellulare, però, non restituisce a Nilla nessun feedback confortante, solo le numerose notifiche dei gruppi silenziati e delle catene mandate compulsivamente dalla sua amica Valeria.

A questo punto tanto vale prepararsi da mangiare. I gesti meccanici della routine sembrano il modo migliore per affrontare l’annidarsi del timore, della paranoia. Piatto, acqua che bolle… ma con un po' troppa calma.

“È inutile, aveva ragione Jerome K. Jerome (al momento il suo scrittore preferito): se aspetti che vada in ebollizione, l’acqua resterà tiepida apposta per farti un dispetto. Jerome diceva che non bisogna mai far capire all’acqua che la si sta aspettando perché è sottilmente perfida.”

Effettivamente, quando si è inquieti tutto sembra remarti contro, tendando di infastidirti. Sì, anche l’acqua messa su per un piatto di spaghetti da consumare in bianco con un po' di olio e origano. Tra i sughi pronti, sistemati in dispesa per dare una parvenza di organizzazione a una casa che deve far fronte a diverse difficoltà, Nilla sceglie di non prendere quello alla boscaiola: è il preferito della mamma, sarebbe meglio consumarlo insieme, dato che sono sempre loro due da sole.

Il papà di Nilla è dovuto andare a lavorare molto lontano, sulle navi da “crociera. Un bravo chef non poteva non cogliere questa occasione, così almeno consigliò la mamma di Nilla: la famiglia era in forte crisi economica… e la sorella maggiore di Nilla aveva ormai programmato un viaggio studio in Nuova Zelanda. La mamma pare essere riuscita a pensare a tutto, mentre dalla sua scrivania zeppa di oggetti e fogli continua a portare avanti il suo lavoro da scenografa, un’occupazione probabilmente destinata ad estinguersi.

“Nilla abitava in una casetta a schiera, identica a tutte le altre della fila. Ognuna con il proprio giardinetto delimitato da siepi basse le cui foglie ingiallite ricordavano che all’inverno mancava una manciata di giorni.

Quella serie di tetti e giardini era l’ultima propaggine di un quartiere relativamente nuovo e mai ultimato, che si spingeva verso il vuoto della periferia.”

Nel mondo odierno, i contatti con i vicini sono rari, guardinghi. Anche nel mondo di Nilla le cose vanno così. Una coppia è assai inquietante… fortuna che c’è Marta, la quale rassicura Nilla di aver visto la madre al mattino, con Gullo al guinzaglio. Marta manifesta la sua sincera disponibilità imponendo alla ragazzina di chiamarla per qualunque necessità. Quella sera la vicina sarebbe andata dai suoceri, ma il suo cellulare resterà accesso.

Quanto può apparire rassicurante il vecchio gesto di due mani che si asciugano strette in un grembiule, lì, all’ingresso di una casa qualunque; poi se sopra le mani svetta un sorriso… forse Nilla avrà un’alleata.

Purtroppo, le cose andranno di male in peggio:

“Sentì che le attecchiva dentro la piantina malevola della preoccupazione, che allungava solerte le sue radici insidiose.”

Nella confusione, e nella solitudine, Nilla prende coraggio e cerca di contattare anche la sua babysitter, Marta.

Marta è una ragazza di diciotto anni che di certo non sogna di badare per sempre a dei ragazzini. Con Nilla i rapporti sono tesi, soprattutto da quando la nostra protagonista giocò un brutto scherzetto a Marta, ovviamente nulla di grave, ma per una diciottenne l’opinione dei propri amici è assai importante.

Marta ha un fidanzato, Jacopo. Entrambi sembrano dei ribelli, così vestiti di abiti e accessori da piantagrane; proprio quella mattina, i due hanno avuto un brutto litigio davanti alla scuola di Nilla. Nel trambusto si fa strada di corsa anche la professoressa Martinelli, la madre di Jacopo.

I due giovanissimi fidanzatini sempre in groppa a uno scooter, che sogna di essere un’Harley, parteciperanno alla lunghissima notte di Nilla. Qualcuno si farà molto male.

“Aprì il frigo, prese la busta dell’insalata si voltò vero il tavolo e…

Buio.”

Quando cala la sera, la nostra protagonista dovrà affrontare un altro nemico invisibile oltre alla paura: il buio.

Il contatore della corrente pare essere un traguardo impossibile, proprio perché bisogna raggiungerlo proprio quando la corrente non c’è. Di notte… ogni oggetto può proiettare ombre che si fanno figure, paurose parvenze.

Nilla, però, è una ragazzina anche molto pragmatica. In quella situazione, però, tutti si sentirebbero smarriti e divisi tra la volontà di non creare allarmismi e la voglia di dare l’allarme con forza.

“È normale che scendere sotto il livello della terra faccia paura. È il luogo dei morti, dei vermi, della decomposizione e dei demoni.”

La citata normalità si trasformerà in anomalie, in anormalità, in domande che troveranno risposte inaspettate e terribili.

Il lettore deve essere paziente come Nilla, ogni nodo verrà al pettine, anche se una tredicenne che indugia nello spazzolarsi fieramente i lunghi capelli… non poteva immaginarlo.

Umanità, coraggio, spirito di critica e analisi. La crescita di Nilla verrà stimolata da una serie di brutti eventi che cambieranno molte vite, anche se qualcosa di buono scaturirà anche dagli eventi negativi: dopotutto la vita è fatta di luci e ombre.

Qui, attraverserete entrambe.

ANALISI E OSSERVAZIONI

Il racconto della vicenda di Nilla si divide in due: abbiamo la narrazione da parte di una voce esterna che riporta gli eventi scoperchiando i pensieri dei personaggi e anche quelli del lettore, lanciando riflessioni e considerazioni quasi confidenziali, giuste e stimolanti; tra le pagine vediamo interpolate anche delle interviste, scritte in caratteri diversi, fatte ai diversi attori, principali e secondari, della brutta questione che ha coinvolto Nilla. Le interviste si rivelano spaccati curiosi e assai arricchenti: oltre a far parlare i personaggi, che si mostrano aldilà degli stereotipi esterni, contribuiscono all’evoluzione della storia diventando sequenze narrative autonome e al contempo integrate. Le interviste sono state fatte settimane dopo la conclusione delle indagini.

Sì, si parla di indagini, avvocati, giudici e polizia.

Quando un poliziotto interroga Nilla ci viene davvero da chiederci cosa avremmo risposto al suo posto.

Un reato? Un delitto? Il nero snodo della storia è qualcosa che tocca temi terribilmente attuali, e questo fa meritare il nostro plauso a un testo che parla di vite normali toccate da dolori, e da ignominie non troppo lontane, se solo riusciamo ad aprire gli occhi e a fare un po' la nostra parte nella verità, come farà Nilla.

UNA LUNGHISSIMA NOTTE è un libro per ragazzi che sa anche parlare forte e chiaro agli adulti. Si parla delle scelte giuste e delle scelte sbagliate, e di quanto additare i giovani come a una sciagura sia forse un modo per non farsi il giusto esame di coscienza. Questo non è solo un racconto per ragazzi… è una rivincita dei ragazzi! Contro ogni stereotipo; contro ogni scenografia divisa tra case tutte uguali, parchetti abbandonati, sogni edilizi mai terminati, posti definiti “di nessuno”.

“Se non fosse stata una ragazza ragionale, avrebbe potuto credere anche in qualcosa di sovrannaturale.”

Il romanzo ha un sottotesto raffinato, ben inserito, fino a diventare un insegnamento e un terapeutico discorso di cui ci si accorge passo per passo. Qui abbiamo un piccolo trattato sulla paura e i suoi effetti. È noto come non guardare in faccia i propri timori sia un modo per alimentarli, il nostro stesso corpo passa da fisiologici segnali di allarme a malessere vero e proprio.

La forza della narrazione viene da concreti suggerimenti di reazioni, proposti attraverso i pensieri e le azioni di Nilla: il celato trattato sulla paura cede spazio alla spinta motivazionale di un manuale di crescita personale.

“La paura ha due effetti contrapposti: ti frena e ti accelera.”

Ma badate bene, la nostra protagonista non si darà certo per vinta:

“Era l’ora di diventare parte attiva dell’attesa.”

Consiglio questo thriller per la scrittura coinvolgente, chiara, matura ed estremamente stimolante. Non veniamo solo avvinti da una storia perfettamente ideata e tessuta, possiamo anche imparare molto, e questo vale per giovanissimi e adulti, perché spesso la banalità non fa parte esclusivamente di ciò che è rassicurante. Anche qui:

“Il resto era stato banale, come spesso è il male.”

Vi lascio con uno spezzone dell’intervista fatta ad Andrea Soriani, il padre di Nilla:

QUALI CONSIGLI DAREBBE AI RAGAZZI CHE DOVESSERO TROVARSI NELLE STESSE CONDIZIONI DI NILLA?

Non state soli. Andate da parenti, amici, compagni di classe e cercate aiuto presso un adulto. Mentre cercate una soluzione, fate come Nilla: appellatevi alle vostre risorse interiori e non smettete di essere parte attiva. Mai abbandonarsi alla disperazione.”

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giovedì 15 ottobre 2020

MARY E IL MOSTRO


AMORE E RIBELLIONE. COME MARY SHELLEY CREÒ FRANKENSTEIN
di 
Lita Ludge

Ph Francesca Lucidi

BIOGRAFIA DELL’AUTRICE

Lita Ludge è nata in Alaska, ha dato vita a più di venti libri, creando per essi storie e illustrazioni.

Lita era una geologa, una curiosa cercatrice delle origini delle cose. Una donna che faceva un lavoro sporco, uno spirito forte che si è dovuto scontrare con la crudeltà di una malattia autoimmune. La sua condizione è riuscita a bloccarle le mani, i piedi… ad oscurarle la vista; la mente è rimasta vigile e ha trovato una nuova nascita ricreando un’altra Lita, da capo. Durante un viaggio nei luoghi d’Italia dove Mary e Percy Shelley vagarono affascinanti e addolorati, ecco che la salvezza scaturisce dalla potenza dell’esperienza vicaria, dall’ascolto della storia di una donna che è riuscita a vincere la morte facendola diventare un grembo, un organo generatore.

 La sofferenza che viene sopportata, poi capita, poi distrutta per creare qualcosa di totalmente nuovo. Dalle lettere e dal diario di Mary Shelley, Lita Ludge si immerge in un lavoro durato cinque anni. Oggi ci restituisce un volume che ti avvolge, ti raggela… e ti stringe nella potenza devastante di un racconto di dolore e ardore; amore sensuale, anarchico, che ancora dopo secoli non smette d'urlare, cantare e desiderare un mondo libero.

INTRODUZIONE

Pubblicato nel 2018 dalla casa editrice Il Castoro, a duecento anni dalla venuta al mondo di Frankenstein, MARY E IL MOSTRO è una biografia bizzarra, intensa, poetica; rispettosa e, sì, mostruosa. È la storia di una vita straordinaria e coraggiosa, immersa nelle ombre e nelle fitte voci della morte e della mancanza. Sono assolutamente fuori dal consueto queste trecento pagine che incarnano la sublime decisione di raccontare la storia di Mary Shelley in versi liberi; il tutto è avvolto dalle illustrazioni dell’autrice.

Questo volume “importante” si presenta come un poderoso albo. Le parole si stagliano su pagine interamente illustrate. Tutto è grigio, tutto pare avvolto da foschia, da spettri provenienti dal passato o nati nell’aria per restare liberi per l’eternità. Il libro è un lavoro portentoso che non solo ci racconta l’intera biografia della creatrice di Frankenstein ma circonda il risultato di una nutrita bibliografia, di un discorso sulle fonti; a fine volume sono inserite altresì le biografie di tutti gli attori dannati di questa nera storia, che riesce ad essere un canto d’amore e libertà anche quando i topi e una stufa spenta fanno danzare morte e miseria in stanze vuote, tra cuori infranti.

 C’è spazio per la redenzione? Un enorme mostro si avvicina a noi per annunciare una venuta, stiamo ad ascoltare…

MARY E IL MOSTRO

STORIA E ANALISI

LA CREATURA

Erano in tanti a non credere che fosse stata Mary Shelley,

poco più che adolescente, a scatenarmi […]

Le ragazze dovevano essere gentili

e obbedire alle regole.

Le ragazze dovevano essere silenziose

e ingoiare punizioni e dolore.

La bandirono dalla società

perché amava un uomo sposato.

Gli amici la oltraggiarono.

Il padre la cacciò di casa.

Ma lei non si nascose.

Non si lasciò zittire.

Lottò contro la crudeltà umana.

Scrivendo.”

Ph Francesca Lucidi

“Ora Mary è lo spettro

Le cui ossa sono diventate polvere,

ma io continuo a vivere.

Ascolta la sua voce!

Ha scritto la mia storia

E ora uscirà dalla tomba

per raccontarvi la sua.”

La Creatura senza nome, frutto della sfida dell’uomo alla morte, inizia questa storia nelle vesti di uno spaventoso imbonitore severo ma riconoscente e amorevole verso sua “madre”. Il mostro cammina alto, severo e smunto tra le grigie nubi avvolgenti le pagine del libro. Negli anni, la Creatura ha subito rimaneggiamenti fino a perdere una delle sue caratteristiche principali: l’essere senza nome. Ora si richiama la nostra attenzione per tornare alle origini, alla verità.

Mary si presenta davanti ai nostri occhi mostrando uno sguardo penetrante che, dalla copertina all’intera rappresentazione grafica fatta nel libro, ci guarda e narra… non solo con le parole ma grazie a multipli punti di accesso ai significati più profondi, e proibiti a una mente stretta. La cura dei tratti è straordinaria: ogni evento è descritto tramite i disegni o viene esaltato dalla forza simbolica di figure e gestualità. Ogni personaggio è scarmigliato, ha un viso marcato, ma può anche ridursi a una macchia scura che tra i tormenti di una vita diversa strilla dignità.

Ai più è noto il tenebroso convivio tenutosi in quella notte del 1816, “l’anno senza estate”, a Villa Diodati. Furono mesi di cielo intriso dal pulviscolo generato dell’eruzione del Monte Tambora in Indonesia. Lord Byron aveva affittato una villa in Svizzera e aveva invitato Mary Shelley e il suo “compagno” Percy. Dopo aver fatto sistemare in una zona secondaria la coppia, il lussurioso e controverso Byron, che attirava critiche ma anche numerosa attenzione per le sue opere, giunse di notte accompagnato da enormi cani abili a cacciare i lupi, e dal suo medico personale, il dottor Polidori. Da questo incontro, dallo slancio della noia e del turbamento di spiriti inquieti che dovevano trovar sfogo, nacquero mostri… vampiri…  tutta la ricchezza originaria della letteratura gotica.

Potrete scoprire come andò sfogliando le pagine di questa epica biografia che genera lacrime e puro fuoco.

Ma Frankenstein non nacque all’improvviso, come imprevisto risultato di un gioco di società.

La Creatura fu il frutto di una gestazione di nove mesi, e farfugliò i primi vagiti poco dopo la nascita di un esserino in carne e ossa, Clara, la seconda figlia femmina di Mary e Percy. Questa coincidenza tanto coincidenza non è.

Andando a ritroso e in avanti, poi guardandosi intorno: nella Villa c’era anche la sorella di Mary, Claire. Byron diventerà un indesiderato e spietato cognato. Shelley aveva avuto sollievo da un’eredità che aveva strappato alla misera la famiglia non convenzionale di una cognata e una coppia “clandestina”, che sì, si sposerà… ma non per coronare un sentimento che non aveva bisogno e voglia di riconoscimenti, ma per essere il capriccio o l’escamotage escogitato da Shelley dopo un tragico suicidio.

Sucidi, colpe e morti premature: il dolore fu il cavallo fedele che trasportò i personaggi nelle loro vite, a fianco il destriero bianco e selvaggio della passione, del coraggio e della voglia di cambiare il mondo.

Troppi bambini smisero di agitare le manine, cullati dall’oblio. Una bimba sepolta di fretta sul lido di Venezia, un erede maschio avvinto dalla malaria; una creatura nata prematura che distrusse il generoso e impavido cuore di Mary a soli diciassette anni.

HO DICIASSETTE ANNI

E sono già

figlia di uno spettro

e madre di un pugno d’ossa.”

La polvere di anni duri, freddi, divisi tra la furia di un uomo forte ma fragile, debole nella sua ricerca di attenzioni dove non dovrebbe cercarne. Un poeta straordinario, ignorato. Un padre assente che fuggì con una quasi bambina, che dovette sopportare l’assenza del suo di padre.

Una matrigna, una donna greve e dispotica che riuscì ad avvelenare il cuore del padre dell’anarchia, e della madre della Creatura. Mary venne alla luce dalla morte di quella che viene considerata la madre del femminismo… Mary rigirò nella bocca la colpa per anni, fino a sentire quanto fosse fiera di essere il prolungamento e il frutto della “Madre della libertà”.

Ph Francesca Lucidi

“D’improvviso capisco che non ho rubato la vita a mia madre,

quando sono nata.

Me l’ha data lei, proprio come adesso ho dato vita a mia figlia.”

 L’infanzia passata a nascondersi per ascoltare i versi recitati da Coleridge nel salotto di casa strappata via dalle mani di una donna sformata che tira i capelli di una bambina innocente, diversa, cresciuta come unico ultimo baluardo di una fortezza della libertà che si traformò nell’oscura bottega di un uomo fallito e succube.

Un viaggio in Scozia come balsamo, anche se Mary va incontro al suo destino da sola, cullata dalle onde, scacciata… mandata via come un pacco da non rispedire al mittente.

Due poli a disequilibrare una storia che sopravvive e riluce in bilico sull’orlo di un baratro: la morte, e l’amore più forte di ogni convenzione… l’amore per Percy Shelly, il ricco ripudiato promettente poeta che arrivò nella vita di Mary “come un tuono”.

Una coppia fece l’amore nei pressi della tomba di una madre: questa unione fu in realtà la dimostrazione data a chi da sottoterra vedeva solo fallimento, tradimento.

Ph Francesca Lucidi

PROMESSE INFRANTE

Nostro padre ha promesso

libertà, amore, uguaglianza

per le donne.

Ma per me sembra

aver chiuso la porta

su qualsiasi futuro

che non sia quello di vendere libri.”

Ph Francesca Lucidi

 Nel corso della lettura, i morti e l’ammirazione per loro avvicineranno molti personaggi, il lutto sarà un motore straordinario per la redenzione finale.

Purtroppo, tra i resti, dovremo anche raccogliere un cuore carbonizzato avvolto in una pagina ricamata di versi. È tutto vero, è la storia di Mary Shelley…

“Non abbiamo bisogno di denaro.

Siamo poeti,

anarchici,

profeti;

nelle nostre tasche portiamo soltanto

amore per l’universo.

Berremo latte acido e mangeremo pane stantio.

Attraverseremo le montagne a piedi!”

Buona lettura… la mia intenzione non era raccontarvi per filo e per segno come andò ma invitarvi ad avviarvi da soli tra le pagine di questo libro, che merita la riunione di tutti vostri sentimenti e di ogni forza e compassione presente nella vostra anima.

Ph Francesca Lucidi

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Grazie!

domenica 11 ottobre 2020

DELL'ORIGINE DEL VAMPIRO E ALTRE CREATURE DELLA NOTTE di Massimo Mayde

CONTIENE IL TRATTATO INTEGRALE DI DOM CALMET
DISSERTAZIONI SOPRA LE APPARIZIONI DEGLI SPIRITI E DEI VAMPIRI

Ph Francesca Lucidi

L’AUTORE

Massimo Mayde è nato a Milano nel 1979. Scrittore, bibliofilo… e pianista, Massimo è un artista, che come molti suoi predecessori, ha affondato le mani tra gli affari dell’occulto; questo tocco ha fatto sì che la sua intera vita fosse avvolta da una ricerca incessante e da un modo di veder le cose profondo, anche curioso e coraggioso… fino a circondare di passione e un tocco di umorismo fatti assai “gravi”.

Questo “indagatore del mistero” è co-fondatore del Dharma Project, un vero e proprio gruppo di ricerca nel campo dell’inspiegabile, o almeno così appaiono certe questioni a chi da fuori cerca di trovare risposte a ciò che è sempre più spesso confinato in angoli ospitanti etichette rassicuranti le quali provano a riunire sotto stereotipi, e spiegazioni razionali, fatti che sentiamo troppo “grandi” e spaventosi per essere accettati.

Massimo è un divulgatore: oltre a diverse pubblicazioni tra il fantasioso e il documentaristico, è produttore e curatore del Podcast IL SALOTTO DEL TERRORE.

ALCUNE PUBBLICAZIONI

Re Nero, Abeditore, luglio 2017;

L’Errante, edizione indipendente FromHell.

Dei racconti inediti possono essere ascoltati sul canale Youtube La Musifavolista.

IL VOLUME

Ph Francesca Lucidi

Questo Anno Domini 2020, assai fuori dai nostri confini rassicuranti, vede la pubblicazione di un libro pieno, lungo e affollato di informazioni che possono stuzzicare, informare, spaventare o illuminare. Possiamo forse trovare risposte? Questo dipende da noi.

Il lavoro di Massimo si divide in due distinte occupazioni: da un lato vi è il curatore di un trattato del XVIII, un compito affascinante ma di responsabilità; dall’altro versante, quello maggiormente adatto a un pubblico più ampio, abbiamo lo scrittore, il ricercatore che riunisce una serie di fatti realmente accaduti e leggende in un calderone che promette la distillazione di un succo di conoscenza e curiosità che possa stuzzicare l’appassionato dei fatti e il fantasioso lettore amante dell’horror… entrambi possono abbeverarsi sperando nella comprensione, nella conoscenza. Racchiudere le ombre di secoli di storia umana in un libro è una missione ambiziosa, che vedremo cosa ha prodotto nel complesso.

L’uomo del Medioevo, o del Cinquecento, persino del Secolo dei Lumi… non era poi tanto diverso dall’uomo contemporaneo: l’uno e l’altro si occupano delle loro faccende del quotidiano, del cibo, della casa, delle relazioni. La facoltà di farsi domande su ciò che si vede e, soprattutto, su ciò che non si vede è innata nell’attitudine personale, adesso come nel passato. L’uomo semplice pensa al “pane”, ma a volte fuori dalla finestra, che separa il focolare dal mondo, si scorgono ombre che distolgono dal “qui” per attivare la ricerca di un senso sull’altrove. La paura ha sempre generato molto molto materiale, e tante azioni spesso crudeli.

Solo una ristretta cerchia di letterati, filosofi o “ricercatori”, nel corso del tempo, ha frugato nei racconti popolari per riunire nomi, fatti e oggettivi riscontri con i libri, con il dogma, con una razionale presentazione di accadimenti e sentimenti che non si potevano ignorare. Se il Cristianesimo ha cercato di portare ordine tra la naturale attitudine umana a creare storie e a dare un volto alla paura, è anche vero che la religione è servita non tanto come sonnifero quanto a scintilla abile a far nascere vere e proprie psicosi collettive… che posso assicurarvi essere arrivate in un tempo a noi molto ma molto vicino.

Gesù Cristo è risorto, negare la resurrezione come fatto significava minare le fondamenta del credo che cercava di tenere stretta nel controllo l’Europa di ogni epoca. La necessità non era negare l’esistenza dei “non morti”, ma riunire religione, folklore e immaginario collettivo sotto un pensiero completo, accettabile, almeno per chi voleva detenere il potere della mente delle genti.

Dom Augustin Calmet credeva fermamente nei vampiri. Il fatto che lui fosse un frate dell’ordine benedettino non lo riparava dagli occhi dell’Inquisizione o della paura insita nel suo stesso cuore. Lui si limita ad esporre un “problema”, non spiega ma descrive, riassume e tenta di mettere ordine.

Il frate francese visse a lungo, ben ottantacinque anni. Scrisse molte opere di carattere storico e una versione commentata della Bibbia; nel 1746 pubblica Dissertazioni sulle apparizioni degli Spiriti e sui Vampiri, o redivivi, di Ungheria, Moravia e Silesia. Il volume di Massimo Mayde fa riferimento all’edizione italiana del 1756, stampata da Simone Occhi a Venezia.

Già dal titolo delle Dissertazioni potete intuire la portata del fenomeno. Nelle Americhe si sarebbero cacciate streghe vere o presunte, in Italia si cercava di sanare un male sempre più capillare nel suo insediarsi, nel resto dell’Europa si cacciavano “vampiri” accanendosi su sepolture e sepolti. Già dalla meta del Settecento si vendettero persino Kit atti a facilitare l’operato dei cacciatori di “non morti”, arricchendo ogni valigetta con ciò che la situazione e la cultura locale richiedevano. Sicuramente non vi era solo volontà di protezione ma anche un sano sfruttamento materiale di un qualcosa che aveva evidente diffusione, se ci si poteva guadagnare. E se io e Massimo vi dicessimo che l’ultima eclatante caccia è avvenuta negli anni Settanta del secolo scorso? A Londra, nel cimitero di Highgate, Sean Manchester e David Ferrant scatenarono una lotta indirizzata al Principe delle tenebre. Il 13 marzo del 1970, una folla inferocita si abbatté contro i cancelli di Highgate; le forze dell’ordine nulla poterono contro i due cacciatori i quali riuscirono ad entrare e operare scoperchiando tombe e piantando paletti. Questo racconto, anzi… questo documento ci deve far convincere della necessità perpetua di non ignorare le ombre per continuare a operare nella luce; o dovremmo, comunque, bilanciare in noi il naturale sentimento della paura e renderci abili a sopportare eventi luttuosi o poco intelligibili con la forza dell’anima e della ragione. Forse oggi sapremmo meglio bilanciare questi due elementi? Dipende dal libero arbitrio, dalla facoltà di scegliere che tanti avvicinano a un dono che potrebbe venire solo dal MALE. Ascoltiamo… impariamo ad ascoltare. Magari Massimo vi farà uscire qualche sorriso, a me non è scaturito; io credo che la questione sia ed è sempre stata piuttosto seria.

“Io scrivo solo per gli Spiriti ragionevoli, e non prevenuti, i quali seriamente, e a sangue freddo esaminan le cose; parlo solamene per quelli, che non danno il loro assenso alle verità conosciute se non con maturità; che sanno dubitare nelle cose incerte; sospendere il loro giudizio nelle dubbiose; e negare ciò, che manifestamente è falso. Riguardi ai pretesi spiriti forti, i quali per distinguerli, e renderli a tutti gli altri superiori negano tutto, io li lascio nella sfera della loro elevazione […]”

Dom Augustin Calmet

Non abbiate timore, grazie al buon frate potrete, in primis, trovarvi tra gli angeli e gli spiriti buoni… a patto che il Creatore abbia volontà di renderli visibili. Almen così si dice: essi sono incorporei e solo in rari casi si manifestano. Sì, dovrete mettere da parte molto dell’immaginario da catechismo e da iconografia a cui siamo tutti abituati. Qui si parla di molte culture e altrettante religioni; la lettura di Calmet non è facile ma l’avvento di Massimo a metà del volume può ricondurvi su più concisi contenuti che concedono anche una migliore possibilità di comprensione di film contemporanei assai famosi, o aiutarvi nella lettura dei capolavori gotici che poi potrebbero apparirvi in uno spessore ben più considerevole e ricco di nuovo magnetismo.

CONSIDERAZIONI SULL’OPERA

«Inoltre, questo non vuole essere un libro scontato che tra un paletto di frassino e una bomba all’aglio infila il capitolo dedicato a capolavori come Dracula di Bram Stoker e Carmilla di Le Fanu per poi passare a Intervista col Vampiro di Anne Rice per poi infine scendere prepotentemente di livello con “distutibilissime” pellicole dal sapore più patinato con tocchi “soap” che di lercio sudario.»

Nella prefazione, Massimo mostra subito il suo appeal sicuro e duro, come ci aspetterebbe da un cacciatore dell’occulto di razza. In realtà, con queste parole che possono sembrare un po' giudicanti, si vuole dire la cosa più importante. Massimo sentenzia che “IL VAMPIRO È UN MOSTRO. PUNTO”.

Ormai si vedono licantropi innamorarsi e accoppiarsi in modi impietosi… vampiri assumere qualunque tratto possibile, soprattutto se quest’ultimo è sensazionalistico e lontano dai fatti veri, generati da storie altrettanto vere perché hanno creato reazioni. L’occulto è una cosa seria.

In questo libro è giusto che si parta con un trattato specifico di parecchie lune fa… così possiamo capire che ciò che adesso è puro intrattenimento una volta era una questione di VITA o di MORTE.

Restituiamo dignità a chi ha lasciato la terra dei vivi perché considerato troppo diverso da poter essere umano, a chi ha girato il mondo cercando di cacciare il male, a chi si è infestato con le polveri delle biblioteche di tutta Europa per tentare di creare un supporto “scientifico” all’uomo che deve salvarsi dalla fiamme della dannazione, o dalle grinfie assassine di un essere malvagio: sì, non si parla di pure fantasie ma di atti perpetrati da mani umane, poi se la colpa è stata data al Diavolo… beh si sa che la responsabilità scaricata su altri pare tranquillizzare i più.

Nel volume si parla molto di vampiri, ma si passa attraverso la notte scrutando anche lupi mannari, demoni che cercano la loro forma per unirsi carnalmente con gli umani; si può avvertire il freddo brivido che precede il sorvolare soave o l’inquieto dibattersi di un fantasma. Non dimentichiamo le streghe: è anche accennato il problema di come queste potessero raggiungere il luogo del sabba, anche se pare che la maggior parte di esse non si muovesse affatto. Se unguenti ed erbe possono farti vedere o raggiungere qualunque cosa… non si può ignorare la cronaca. Nell’ultima parte del volume vengono riuniti diversi fatti avvenuti realmente.

Ogni argomento è trattato brevemente ed è corredato di stupende illustrazioni che mostrano pagine di antichi trattati, foto di persone vere, disegni che mettono in forma informi timori. Le illustrazioni sono tutte in bianco e nero; alcune si presentano più grandi, altre come piccole apparizioni sugli ampi margini del libro. Quest’ultimo punto l’ho particolarmente apprezzato non solo perché richiama un aspetto di “tempi andati” ma anche perché è, in senso pratico, utile. Gli spazi bianchi lasciano al lettore la possibilità di appuntare, di apporre informazioni magari andate a cercare altrove… beh, il dubbio è sempre sano, secondo me. Possiamo creare il nostro personale manuale dell’occulto, se vogliamo. Restando sempre sulla praticità, posso affermare che il libro in questione è un valido punto di appoggio per chiunque ami la letteratura dell’orrore, nelle diverse declinazioni. A volte non si capisce perché Dickens tratti di fantasmi in un modo e un film del 2019 ce li mostri in un altro. Non comprendiamo perché quel preciso romanzo abbia avuto tanto successo e, alla fine, definiamo una lettura “un capolavoro” anche perché cerchiamo di ricondurci all’opinione comune. Il volume di Massimo può aiutare ad orientarsi, capire, formarsi su argomenti che non sono facili da riassumere in maniera completa ma ci si può comunque infarinare di chiarezze e formazione marginale sull’argomento.

La scrittura di Massimo è diretta, quasi giornalistica. Però… non manca di cedere alla volontà di toccar con mano la spalla del lettore, dato che ad esso si rivolge spesse volte. Ogni tanto ho percepito un tono dissacrante e mi è sembrato quasi cozzare con la dichiarazione iniziale che vi ho riportato a monte.

Sicuramente l’autore ha una forte personalità e come tutti i “cacciatori del mistero” che abbiamo potuto scorgere in film, fumetti o libri… anche lui è un tipo stravagante e forte delle sue convinzioni e della sua missione. A volte, forse, la forza sfiora la polemica. Ma credo che questo vada rispettato perché ognuno presenta il proprio lavoro secondo il modo personale, il ritmo del proprio battito cardiaco e la propria velocità di pensiero. Massimo pensa velocemente e scrive molto. Tanti argomenti non citano creature o leggende che sarebbe stato opportuno magari menzionare; poi, però, penso che questo libro sarebbe diventato enorme e illeggibile. Il lavoro di Massimo Mayde va visto nel suo complesso: se non vi parla del “monaciello” in merito alle paralisi notturne siate certi che potrete trovare qualcosa sui suoi social o nel canale di Youtube. Dobbiamo un po' cercare di stargli dietro. Posso affermare che una pubblicazione indipendente di tal genere sia un lavoro importante e ammirevole. Cercate di non farvi influenzare troppo dal fascino di Massimo… trovate la vostra personale missione.

Riguardo al target di pubblico vi rimando alle parole di Calmet che vi ho riportato nella parte introduttiva.

Buona lettura!

Ringrazio Massimo per avermi inviato il suo libro. 

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Grazie!

 

 

 

 

 

venerdì 9 ottobre 2020

IL FIGLIO DEL CIMITERO di NEIL GAIMAN

 

LA STRAORDINARIA STORIA DI FORMAZIONE DI UN BAMBINO CHIAMATO “NESSUNO”, CHE VIVE GRAZIE ALL’ESISTENZA DELLA MORTE

Ph. Francesca Lucidi. Edizione Mondadori 2009

INTRODUZIONE

Il figlio del cimitero è un capolavoro per ragazzi, un fantasy horror uscito nel 2008… ma che deve la sua ispirazione a tempi assai precedenti. Pubblicato con il titolo originale The graveyard book, questo libro che narra “la storia del bambino che viveva tra le tombe” iniziò a prendere forma nel 1985, quando la famiglia Gaiman abitava nel West Sussex. Beh, Neil e i suoi cari vivevano proprio davanti a un cimitero; un giorno lo scrittore vide suo figlio Mike, che all’epoca aveva solo due anni, vagare tra le tombe spensierato, in “groppa” al suo triciclo.

Il volume è riuscito a guadagnare numeri prestigiosi premi: la Medaglia Newbery, Il Premio Locus per il miglior libro per ragazzi, nonché il Premio Hugo per il miglior romanzo.

Il Premio Hugo viene assegnato ogni anno durante la Worldcon (World Science Fiction Convention). Il congresso mondiale della fantascienza riconosce la potenza immaginativa della storia di Nobody Owens, il “figlio del cimitero”.

Gaiman ottiene anche la prestigiosa Carnegy Medal.

L’incanto di questo libro è rafforzato dal lavoro di un prezioso partner di Gaiman, un uomo che ha dato forma e linee, a incubi, “sogni” e straordinarie apparizioni: Dave McKean.

McKean conobbe Gaiman quasi per caso, crearono insieme il loro primo graphic novel nel 1987; e così, con Casi Violenti, iniziò un sodalizio che è passato tra fumetti, illustrazioni, e copertine.

L’illustratore e fumettista creò con Gaiman la serie a fumetti Black Orchid; ha curato il progetto grafico della straordinaria serie della Vertigo Sandman, di cui ha disegnato ogni copertina. Non dimentichiamo che il famosissimo romanzo Coraline (2002) prese facce e bottoni proprio dalle mani di McKean.

Ne Il figlio del cimitero, l’artista ci accoglie all’inizio di ogni capitolo del romanzo tramite illustrazioni evanescenti che tratteggiano modi e personaggi fatti di sospiri, di ricordi, di passato. L’estrema espressività di queste entrate, che si susseguono nel corso della lettura, riesce a farci sentire ancora più parte di quella vita tra i morti, intrisa di così tanta vita che lo stupore e la fascinazione non posso che avvolgerci nella meravigliosa magia creativa dello scrittore contemporaneo che è riuscito a creare un codice comunicativo intriso di ogni potenzialità della vita, delle emozioni, della fantasia. Ogni cosa, in Gaiman, viene percepita come reale, perché finalmente ciò che viene accantonato perché poco usuale riesce a contattarci, e a far capire forte e chiaro un messaggio che sa di una completezza unica.

I libri di Neil Gaiman non sono storielle per ragazzi, sono missioni eroiche per la salvaguardia della “stranezza”, della percezione che vince sulla mera sensazione. Grazie a Gaiman tutti riescono a comprendere come i grandi valori del coraggio, dell’amore e dell’apertura siano raggiungibili ovunque e per chiunque. Lo stereotipo dello “spaventoso” spesso allontana dalla semplicità delle cose; non è pericoloso ciò che non si vede o ciò che è diverso, anzi, come ci insegna questo libro… le insidie si nascondono meglio alla luce del sole, magari dietro a un sorriso socialmente perfetto.

Siete pronti a non aver paura? Posso dirvi che anche i morti hanno i loro pregiudizi e timori: grazie a Nobody Owens impareremo tutti ad apprendere dagli errori e a trasformare esperienze spaventose in forze che possono trovare in noi… UN PADRONE.

CENNI SULLA TRAMA

“C’era una mano nell’oscurità

e impugnava un coltello.”

Una notte di morte e sangue… un uomo vestito di nero di nome Jack cerca e non trova il motivo per cui è entrato in quella casa al numero 33 di Dunstan Road.

Ripide scale, che si possono scendere agilmente se si poggia il sederino a terra… insomma, se ci facciamo ruzzolare un po'. A volte un esserino molto piccolo, grazie all’istinto e alla curiosità, può raggiungere mete straordinarie.

Poca distanza, che in proporzione è tantissima, ed ecco il cancello di un vecchio cimitero. Lì vicino alla Città Vecchia. L’uomo chiamato Jack percorre lo stesso cammino di un piccolo essere umano che si ritrova tra le braccia evanescenti ma calde di una donna, una donna morta. Il Fante del mazzo, il Jack, cerca di seguire la sua preda ma un custode lo ferma. L’uomo che accoglie il cattivo profanatore di quel luogo sembra aver fermato facilmente la corsa.

“L’uomo chiamato Jack era alto. Quest’uomo era più alto ancora.”

Così inizia l’avventura di Nobody Owens. Il perché di questo nome risiede nella saggezza di un tutore che non è vivo e non è morto, e nell’amore genitoriale di chi da morto realizza un desiderio. La “Cittadinanza del Cimitero” non è qualcosa da dare con leggerezza, ma qualcuno interviene a cavallo di un bianco destriero enorme… mentre vestiti di ragnatele e grigio bagliore sanciscono la nuova vita di un bambino che diventa “Nessuno”.

Da quel momento un umano viene cresciuto dai morti, e ce ne sono davvero tanti nell’antico cimitero che vanta tra gli abitanti anche un certo Caius Pompeius. Nobody cresce grazie alle cure e agli insegnamenti di persone che hanno un nome, un cognome; a volte anche un brutto carattere e delle fissazioni come quando erano vivi. Se non fosse per il contesto e la natura dei personaggi… sembra la normale storia di un ragazzo che cresce discutendo con i genitori, ribellandosi all’autorità e agli “insegnanti”; Nobody ha anche amici più o meno simpatici, come accade per gli altri suoi coetanei, solo che i compagni di giochi del nostro protagonista non crescono insieme a lui… e indossano sempre gli stessi vestiti che li avvolsero quando una malattia che non aveva nome, ma un aggettivo, li fece giungere lì dove Nobody ora vive e cresce.

La situazione è chiara… il ragazzo non può uscire dal cimitero, è troppo pericoloso. La sua cittadinanza particolare gli permette di non farsi vedere dai vivi, se non vuole; e altre cosucce le imparerà via via… anche grazie a una presenza femminile un po' arrabbiata, ma con un cuore spezzato che ritrova la conciliazione dopo secoli, proprio grazie a Nobody.

Come in ogni cimitero normale i vivi ci camminano in mezzo, distrattamente… e mentre il ragazzo cresce guarda gli altri suoi simili, in cui non si riconosce ma verso i quali si sente naturalmente spinto.

 Scarlett intanto gioca tra le tombe, e lei invece crescerà… ma a volte crescere ci fa dimenticare tutte le cose che non possono essere accettabili. Anche se si parla di un amico, dello Sleer, di vero terrore che si tramuta in un legame che non si dovrebbe spezzare.

Nobody cresce e sbaglia spesso, sbaglia e silenziosamente impara; oh, sì, questo gli servirà. L’uomo chiamato Jack non smette di cercare il compimento che non avvenne.

Vampiri, Mastini di Dio… ed ex presidenti degli Stati Uniti, veri o presunti, che sanno succhiare un osso come nessun altro. Il giovane Owens vive la sua formazione con risultati normali ma in modi inusuali, anche terribili. Una scuola umana può essere più sicura e accogliente di un cimitero? Basterebbe non farsi notare.

La storia di Nobody Owens si dipana davanti ai nostri occhi increduli e alla nostra pelle dolcemente attraversata da una fredda carezza: da zero a quindici anni il protagonista vive la sua sopravvivenza… fino al giorno in cui una vecchia ninna nanna ritroverà le parole che erano state dimenticate:

“Affronta la vita.

Son affanni e piaceri. Che non sian inesplorate

Le strade di ieri”.

 STRETTI IN MACABRADANZA… ORA ASCOLTATE DA VICINO

Ph Francesca Lucidi

ANALISI E CONSIDERAZIONI

Potremmo iniziare con il dire che è un romanzo di formazione, di avventura… un fantasy horror per tutti, una storia per ragazzi; che il narratore è onnisciente, che il corollario del gotico e della letteratura “di paura” è completo. Si potrebbe dire che il tempo del racconto va veloce e il tempo della storia in sé vede riuniti quindici anni di vita di una persona in quasi quattrocento pagine, di pura magnificenza immaginativa.

Tutto questo è vero ma limitato.

Gaiman non è un semplice scrittore, è un costruttore, un sapiente architetto di monumenti alla stranezza; è un custode di cimiteri, di sogni, di incubi… delle emozioni tutte e della realtà al completo. Le creazioni di Gaiman non sono filtri, sono invece inchini che ti introducono a una visione che ti fa guardare in faccia TUTTO. La vita e la morte, le cose piacevoli e quelle meno piacevoli hanno pari dignità attraverso i loro significati… che non scaturiscono solo dalla luce, da ciò che possiamo toccare con mano: dopotutto la realtà, è comprovato, non è altro che una “mappa della realtà”, la costruzione scaturita da ciò che il nostro cervello giudica come accettabile, attraverso condizionamenti interni ed esterni. Gaiman sblocca l’inconscio, i traumi, le incomprensioni; fa camminare ciò che di solito è fermo e si nasconde. Racconta quello che realmente succede tutti i giorni, ma lo fa creando un codice di comunicazione nuovo, che rende intelligibili e accettabili le cose che ci spaventano.

Il mondo del cimitero è un parallelo coerente con ciò che c’è qui, fuori dai cancelli delle altre dimensioni.

Leggendo la storia di Nobody diventiamo persone migliori: chi si sente emarginato impara che può sviluppare capacità straordinarie, e che non deve sempre “svanire” per sopravvivere.

I morti erano persone, e come noi hanno sentimenti e pregiudizi che Nobody esplora. Il ragazzo passa molto tempo da solo ma dona alla solitudine la dimensione della conoscenza. Il giovane Owens restituisce dignità ad abomini di tanto tempo fa, dona speranza a chi è reietto anche nell’universo degli invisibili, di quelli che fanno paura. Anche la paura prova timore… e questo è un concetto gigantesco.

Ogni personaggio, attraverso la scrittura incantatrice e disvelatrice di Gaiman, snocciola frasi di una bellezza sconvolgente. Nessuna descrizione troppo accurata, niente che distolga dalla percezione reale del Cimitero. Se la sensazione è la semplice attivazione dei nostri organi di senso; la percezione è la nostra elaborazione di questi stimoli… Gaiman è uno scrittore della percezione che ad ogni parola non ti fa capire ciò che una frase denota ma ti fa percepire esattamente ciò che leggi. Leggere IL FIGLIO DEL CIMITERO ti fa cambiare, sempre che uno voglia scegliere di lasciare aperte le proprie potenzialità; in quanto vivi dobbiamo renderci conto che abbiamo questa responsabilità… prima che possiamo fare un giro su un grande cavallo bianco, al momento giusto. A volte la pensiamo come Nobody:

“Quanto sarebbe stato bello muoversi in quelle terre oltre i confini del cimitero, e quant’era bello essere il padrone di quel suo piccolo mondo”.

Però, noi dobbiamo cambiare, svilupparci: è la nostra naturale missione.

          “Sei sempre te stesso, quello non cambia, e intanto non fai che cambiare e non puoi farci nulla.”

E se i vivi e i morti non devono mai danzare insieme… forse c’è un’occasione. Un solo ballo, un abbraccio magari da dimenticare, ma che ci renderà più consapevoli anche se non sapremo il perché. Un fiore bianco e il bacio dell’inverno: su, unitevi alla MACABRADANZA!

“Signora di grigia sembianza

Guidaci in MACABRADANZA…”


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Grazie e buona lettura!