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giovedì 20 agosto 2020

PIÙ FUOCO, PIÙ VENTO

 di 

SUSANNA TAMARO

UN ROMANZO EPISTOLARE ESPLOSIVO E QUIETO, INTIMO E GLOBALE

Ph. Francesca Lucidi

Più fuoco, più vento è un romanzo epistolare, pubblicato nel 2002. Per la biografia dell'autrice, importante per cogliere molti aspetti a pieno, vi invito a cliccare QUI: verrete indirizzati a un precedente contenuto del Penny Blood Blog. La cornice che ha i lati fatti della vita dell’autrice, dei progetti di carriera della stessa… e della figura della destinataria misteriosa si delinea capitolo dopo capitolo, anzi, data dopo data.

La durata si distende e processa durante un anno, lasso rispettato in modo quasi matematico, vogliamo dire scientifico? Diciamo “sperimentale” e “ragionato”, insieme. Questo tempo è il tempo delle vite delle due “protagoniste”, ma è anche il tempo della natura. Ogni giorno inizia con la descrizione di ciò che accade agli alberi, agli animali e a tutto ciò che di vivo circonda l’autrice. Autrice e narratrice sono la stessa persona. Le lettere che leggiamo sono esclusivamente le risposte di Susanna alla sua amica di penna, ma alcuni passi delle missive della destinataria vengono riportati fedelmente per essere meglio commentati, analizzati e soprattutto ascoltati. L’ascolto è la potenza trainante dell’impatto emotivo, la virtù richiamata e praticata, il valore; la vocazione di questo lavoro di comunicazione, accoglienza e direi… "maternità".

 Sì, pare che le due si siano già viste dato che tutto parte dal ricordo di una passeggiata, dagli scorci di un dialogo che introduce all’alternanza di pensieri, subbugli e “medicine” che si susseguiranno nelle lettere di questo “ciclo” che si avvia alla fine di settembre per giungere al concedo dodici mesi dopo.

Tutto è molto intimo, familiare. Si entra nell’abitazione ritirata, reale, dell’autrice e si cammina per il suo orto circondati dai suoi cani: ognuno diverso, ognuno con una natura che manifesta perché, a differenza dell’uomo, l’animale non si impone interferenze.

Ph. Francesca Lucidi

 Conosciamo le abitudini della scrittrice, ci sediamo al caldo del sole estivo o al tepore del focolare invernale. Riusciamo a vedere le nipotine venute da molto lontano che si godono una pausa nella vita vibrante prima di tornare tra il cemento che può addestrare o obnubilare, se non affrontato con curiosità e spinta verso l’alto e l’altro. Susanna Tamaro è una zia, è una professionista che si sta preparando per la nuova avventura del cinema; è un’amica fedele e sincera… ed è un’anima incredibilmente vera, incapace di mentire, incapace di “piacere”. Questa incapacità è la santità e la maledizione di questa scrittrice che riesce a parlare di ogni cosa dando fastidio a molti.

Susanna Tamaro è affetta da una sindrome neurologica che non mina minimamente il suo acume e la sua capacità di mettersi e mettere in discussione. E questo… nella Sindrome di Asperger non è affatto scontato.

Se avete letto il mio precedente contenuto sull’autrice sapete di quante etichette gli siano state lanciate senza beccare mai il centro. Leggendo questo libro ho capito il perché di tanto accanimento.

Qui, una donna di quarantaquattro anni si confronta con una ragazza di ventidue anni… di Trieste (la città natale della Tamaro); le parla come noi vorremmo saper parlare, la stimola come noi non sappiamo fare neanche con noi stessi… si discute di temi di cui abbiamo terrore perché esprimendo un pensiero potremmo minare l’ottuso scopo di piacere, di non litigare, di essere ben visti e mai criticati. Beh, qui la paura di essere criticati non ha molto spazio.

La giovane interlocutrice è una neolaureata infelice del suo status di adempiente a tutte le aspettative. La morte del padre è stata la rottura che ha fatto cadere un castello di vetro cristallino, e freddo. Quando ci stacchiamo dalla zona di comfort si prova un grande disagio… e raramente riusciamo a pensare che quel disagio sia il segno di qualcosa che si sta muovendo. Sì, la morte del padre è stata un dolore, ma la ragazza sembra preoccuparsi molto di più di tante piccolezze quotidiane che lei vive come flagelli. Questo perché quel disagio non è visto con osservazione attiva ma solo subìto come una bolla di zanzara che ti fa ballare da una parte all’altra senza trovare sollievo.

La natura… beh la natura è il grande libro da cui l’autrice trae esempi semplicissimi per rispondere agli enormi tormenti di una giovane che ancora deve uscire dallo stato larvale: quella giovane siamo un po' tutti noi. Sembra strano che una ventiduenne laureata possa apparire così infantile: la sua rabbia e le sue giuste recriminazioni verso le lettere della Tamaro sono circondate da un senso di costante capriccio. Ah beh… la fatica è uno dei temi che si fanno sentire tra le parole di questo libro: la fatica vera, e la fatica piena che porta a una evoluzione totale. Non pensiamo a tormenti ma a normali processi che abbiamo denormalizzato perché siamo diventati ciechi al ciclo, alla vita, alle fasi. Non scorgiamo la luna tra alti palazzi e schermi sempre accesi… io e la Tamaro inneggiamo a un ritorno alle origini? No, solo a un ritorno all’umanità con i mezzi che abbiamo, i quali non è detto che debbano sempre restare tali o essere usati sempre allo stesso modo.

Ogni trasformazione è un movimento che va dall’interno verso l’esterno.

Questa frase si trova alla fine, ma io ve la propongo all’inizio per farvi intendere cos’è questo libro, a cosa portano queste lettere e cosa magari dovremmo considerare nella nostra vita. Il romanzo parte dai moti interiori della giovane, rapportati alle esperienze dirette della Tamaro, ampliati in immagini del passato e del presente con le loro motivazioni, domande… e insegnamenti che si potrebbero trarre. Si lavora “sul cuore e sulle viscere”: qui non si viaggia solo da testa a cuore ma si attraversa il corpo con la speranza di un ritorno alla sapienza che i corpi racchiudono. Le viscere sono anche il ventre, il luogo dove la forza della maternità sprigiona la vita, e questa maternità è da applicare a ogni stato di esistenza e a ogni rapporto, azione. La Tamaro fa riferimenti alla medicina cinese… e chi non è digiuno di Taoismo può ritrovare spesso molti principi del Tao, della sua indefinibilità, della sua duplicità, delle sue interdipendenze e cicli. Il plauso che si fa alla medicina non tradizionale è rivolto a quell’attenzione speciale alle energie, alla commistione di Spirito e Corpo che la modernità ha abbandonato per una medicina e una psicologia delle patologie, del disagio. L’attenzione sembra nascere solo dalla disfunzione, e non viene mai attivata quando si parla di bene, di felicità o di comunione di felicità, soprattutto.

Stupore e vigilanza sono due mezzi potenti; sembra ci sia rimasta soprattutto la vigilanza, ma non per contrastare i mali del mondo… più per evitare grattacapi o fastidi che spesso sono solo “falsi problemi”: così li chiama l’autrice.

Le parole forti e le domande potenti sono i mezzi che permettono ai sensi di resistere, e sono anche i motori che faranno sì che la giovane destinataria delle lettere possa ritrovarsi a scardinare, sbarra dopo sbarra, la prigione della propria insicurezza. Badate bene, l’insicurezza, l’ansia e l’inquietudine sono fisiologici mezzi per smuovere il nostro terreno; da un terreno mosso le radici acquisiscono più nutrimento. Il tutto diventa oscurante e bloccante se non è proiezione e normale tremolio verso una prova, un ideale altro, una diversità da conoscere… ciò che blocca è la convinzione, l’assenza di Fede, il Sapere immobile che non incontra la Sapienza e ha un’attitudine non critica ma giudicante. L’autrice ci avverte di quanto siano pericolose le verità, soprattutto quando queste assumono un colore: quando ci si mette da una parte e si pensa di stare nel giusto e si uccide il proprio simile perché da un giorno all’altro si dà un colore al bene e alla verità, che invece sono di tutti, sono dentro ognuno di noi e non sono definizioni ma attitudini, tocco gentile, ascolto.

Si parla di Nazismo ma anche di quanto possa essere terribile l’idea di un campeggio con degli sconosciuti. Cosa hanno in comune queste due cose? L’arrendevolezza. Ci si arrende all’immobilità senza permetterci esperienze e si cede al potere perché si tenta di sopravvivere dimenticando la vita, e non si vede come la natura insegna le scelte radicali, la cura e la “reazione”. La storia del padre di un amico dell’autrice racconta del Nazismo e di quando un quartetto musicale diventò un trio da un giorno all’altro: un leggio vuoto e un repertorio de ridefinire… poi c’è anche stato un altro padre, che si è fatto uccidere per la libertà e per immolarsi a quell’ideale superiore di bene che dovrebbe insegnarci l’unica via sulla quale, magari, certi orrori non potrebbero più ramificare come la gramigna.

La gramigna è simile anche all’invidia… ma quanto è pericoloso pensare che questo sentimento non ci riguardi. Qui non c’è il buonismo che potrebbe venire in mente a chi si infastidisce davanti alle domande e alle parole forti, ai concetti di Dio, Santi e Padri Spirituali… no, qui si parla dei Santi come di persone “contro”, si parla di fede in un senso globale, anche se l’autrice è cristiana. Questo Cristianesimo non è quello che si lustra e trincera dentro templi costruiti da uomini per altri uomini: la Tamaro inserisce considerazioni di amici provenienti da culture e credo diversi. A questo proposito vi voglio riportare una preghiera inserita nel libro (molti si stanno già infastidendo vero?); queste sono le parole del Rabbi Nachman di Braslav:

Insegnami a intraprendere un nuovo inizio, a rompere gli schemi di ieri, a smettere di dire a me stesso “non posso” quando posso, “non sono” quando sono, “sono bloccato” quando sono totalmente libero.

Cari lettori… il fuoco è quello dell’Amore, e qui si parla anche di sesso; il vento è lo spirito, Santo? Forse… anche. Ma come si accedeva un fuoco? Si battevano le pietre una contro l’altra. Il cammino interiore deve essere costellato di sussulti, di movimento. Tutti siamo unici e non dobbiamo appiattirci tra le sicurezze di un’immobile aria epurata, ferma, non adatta a poter nutrire delle alte fiamme. Siamo gelosi del nostro “spazio”, ma cos’è lo spazio? Facciamo che non diventi mummificazione, sarcofago e uscio ben chiuso. Per il “virus della mummificazione” l’autrice propone una profilassi, che non è altro che la preghiera riportata qui sopra. E se pensassimo invece agli “spazi”? Suona meglio, magari fa paura… fa pensare alla fatica di spostarsi. In un terreno duro come la pietra nessuna pianta potrà mai prosperare.

Vi invito a leggere questo romanzo solo se siete disposti a svolgere le bende e a respirare, magari piangendo, arrabbiandovi e scaraventando il libro sul divano quando leggerete parole con cui non volete avere a che fare. Intanto, però, avete mosso le membra anche grazie a questo eventuale lancio egoprodotto.


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