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domenica 27 dicembre 2020

LOIS LA STREGA, una novella che rinasce dalle ceneri brucianti dei terribili eventi di SALEM

UNA STORIA CHE RIPARTE DALLE AZIONI DELL'UMANITÀ PER GUARDARLE CON GLI OCCHI DI UNA DONNA CORAGGIOSA

ELIZABETH GASKELL RACCONTA LA VICENDA DI UNA "STREGA": LOIS BARCLAY

L’AUTRICE

Elizabeth Gaskell nasce a Londra il 29 settembre del 1810. Figlia del pastore William Stevenson, unitariano. Gli unitariani, nati in seno al Cristianesimo Protestante, rifiutano l’idea di Trinità e pongono in dubbio la divinità di Cristo e dello Spirito Santo.

Elizabeth rimane orfana a un anno di vita. A quattro anni viene adottata dalla zia materna e vive la maggior parte dell’infanzia a Knutsford Cheshire, cittadina di campagna vicino a Manchester.

L’unico fratello della Gaskell muore in mare intorno agli anni venti dell’Ottocento; anche per questa triste ragione si allentano i legami con il padre, in quale era già in cattivi rapporti con la cognata.

La famiglia adottiva è borghese e unitariana, nonché legata per parentele e matrimoni con personaggi eminenti, tra cui William Turner. Elizabeth assorbì dall’ambiente un atteggiamento liberale e tollerante; si dedica a vaste letture e inizia a nutrire sue autonome opinioni.

Nel 1832 si sposa con William Gaskell, pastore unitariano della cappella di Cross Street impegnato alacremente nelle questioni sociali. Intorno al pastore ruotano intellettuali progressisti e pastori dissidenti.

Il cambiamento di vita è considerevole per Elizabeth: Manchester si presenta come un centro in piena espansione e mostra la realtà della nuova civiltà industriale.

Nei primi anni di matrimonio, i coniugi si occupano anche dell’istruzione dei figli degli operai, bambini che spesso a loro volta lavorano nelle fabbriche. Elizabeth sente la mancanza dei paesaggi della sua infanzia ma resta affascinata dal sentore di indipendenza che pervade Manchester.

Nel 1844, muore l’unico figlio maschio William.

Il lutto affligge profondamente Elizabeth; il marito cerca di sostenerla e la convince a iniziare a scrivere per trovare sollievo e distrazione. Nel 1848 esce MARY BARTON, anonimo: un crudo affresco dell’ambiente operaio, motivo per il quale viene messo al bando da diverse librerie e biblioteche. L’attenzione da parte del pubblico, però, è grande.

Inizia anche la collaborazione con Charles Dickens, con l’uscita di OUR SOCIETY AT CRANFORD, pubblicato sulla rivista edita dallo scrittore, Household Words. Dickens convince la Gaskell a scrivere un seguito e se ne assicura la pubblicazione, insieme ad altri lavori successivi.

Un altro grande nome che si interseca alla vita di Elizabeth è quello di Charlotte Brontë, con la quale instaura una forte amicizia e scambia un nutrito epistolario. Il padre di Charlotte chiede alla Gaskell di scrivere la biografia di Charlotte. Datato 1857, il lavoro in questione guadagna un grande successo.  

Scrittrice feconda di romanzi e racconti, ha prodotto anche meravigliose storie gotiche sempre in linea con un’attenta analisi e critica sociale.

Con i proventi dei suoi lavori, la scrittrice acquista un cottage ad Alton, nell’Hampshire. Lì muore circondata dalle figlie, all’età di cinquantacinque anni, il 12 novembre 1865.


LOIS LA STREGA

Ph Francesca Lucidi

L’AMBIENTAZIONE STORICA


BREVI ACCENI AI PROCESSI DI 

SALEM

I Puritani erano i seguaci del Puritanesimo, una corrente cristiana che sosteneva, appunto, la purificazione della Chiesa d’Inghilterra da quanto non strettamente indicato nelle Sacre Scritture. E cosa ben più “pericolosa”, credevano che la Chiesa dovesse essere svincolata dal potere politico. Il tentativo di riforma fu immediatamente limitato in Inghilterra, motivo per il quale si diffuse oltre i confini spingendosi verso le colonie. Le congregazioni emigranti portarono nel Nuovo Mondo le convinzioni in una chiesa purificata, rigida e pronta a riconoscere come unico capo della comunità solo il Cristo.

Il puritano doveva seguire una vita umile ed obbediente: la lotta al peccato, insito nell’uomo, era la priorità. Le comunità riconoscevano come guida una stretta cerchia di anziani, eletti direttamente dai fedeli. La rigidità nei costumi, la paura verso il diverso identificato nell’indiano, nel pellerossa spesso associato alle attività del Maligno, creano un terreno fertile fatto di superstizione e paura.

Gli indiani si nascondevano nella boscaglia, assaltavano i coloni e, dopotutto, stavano reagendo alla perdita dei loro sacri terreni di vita e caccia. La vita era dura e l’oscurantismo risentiva degli echi di quelle strane popolazioni native, spesso mescolate ai coloni perché alcuni indiani erano tenuti in casa come servitù.

Gli inverni erano rigidi, ma l’inferno parve far divampare improvvisamente le sue fiamme tra il 1691 e il 1692. In realtà, già tra il 1647 e il 1688 furono giustiziate 17 persone.

Ma fu dal 1691 che prese il via la più estesa ondata di accuse ed esecuzioni per stregoneria del territorio del Nuovo Mondo.

Tutto iniziò da due giovani, Elizabeth Parris, la figlia del pastore Samuel Parris, e sua cugina Abigail Williams. Le due cominciarono a comportarsi in modo strano, a strisciare sotto ai mobili, a emettere strani versi… a parlare in tali maniere da far venire i brividi. La diagnosi fu chiara: possessione diabolica. Inizialmente il pastore Parris non volle diffondere la notizia e si rimise nelle mani di Dio. La paura e la superstizione, però, non conobbero quiete e si diffusero a macchia d’olio. Coincidenze, animali ammalati, bambini caduti a terra… ben presto intorno alle due giovani “sventurate” si formò un nutrito coro di possedute: tra i nomi si ricordano Ann Putnam, Betty Hubbard, Mercy Lewis, Susannah Sheldon, Mercy Short e Mary Warren. Ben presto venne fatto il primo nome: la strega era Tituba, la schiava caraibica che da anni viveva e serviva in casa dei Parris. In realtà la donna non fu mai condannata a morte; fece lunghe confessioni, parve diventare una strana “consulente” degli accusatori. Tituba in seguito fuggì e si persero le sue tracce. La stessa sorte non toccò ad altre donne accusate, torturate e giustiziate; di tutte le età ed estrazioni sociali. Ricordiamo Sara Osrborne, una povera anziana inferma; tra le accusate anche la figlia di quattro anni di un’altra “strega”, stiamo parlando di Dorothy Good, figlia di Sarah Good.

Le accuse e l’odio parvero seguire alberi genealogici, legami di parentela, confini territoriali. È chiaro come vi fossero sottese antipatie e interessi personali nella diffusione delle dita puntate verso il prossimo.

In realtà, prima di iniziare dei veri processi v’era da risolvere un problema: non c’era un Governatore dal 1689; per questo motivo i reali inglesi inviarono Sir William Phips. La corte era composta da sei membri, nominati da Phips, e dal vicegovernatore William Stoughton.

In tutto furono impiccate 19 persone, un uomo morì schiacciato da una montagna di pietre perché si rifiutava di testimoniare; 150 furono imprigionate per sospetta stregoneria e 200 persone furono accusate. I numeri non devono parer esigui dato che la popolazione del New England contava appena centomila unità.

In realtà, tutto si fermò grazie ai dubbi sul peso delle testimonianze; no, non ci fu un immediato slancio di coscienza. Alcuni dissero di aver sentito le ragazze sussurrare di nascosto di aver inventato tutto; altri addussero dubbi più religiosi, evidenziando che alcune ragazze avrebbero attirato su di loro quei sintomi perché avevano praticato divinazione prima delle visioni. La pratica della divinazione era ovviamente aspramente proibita dal puritanesimo. Alcuni membri della chiesa puritana iniziarono a criticare i processi; alla fine, in settembre, il Governatore Phips ordinò la sospensione dei processi. Furono assolti i 49 imputati dei restanti processi pendenti.


COTTON MATHER

Figlio del pastore Increase Mather, fu il più giovane studente di Harvard, entrandovi a soli dodici anni per gli studi in medicina. Si laureò ma pensò di non seguire le orme paterne per colpa di un difetto di pronuncia; un amico, però, lo riuscì a persuadere e Cotton diventò pastore del 1685. Fu collaboratore del padre nella seconda chiesa di Boston. Profondamente convinto dell’esistenza delle streghe, scrisse anche un trattato intitolato WONDERS OF THE INVISIBLE WORD; pubblicato nel 1693. Noto per aver preso parte alle vicende di Salem, in realtà non fece mai parte della giuria. Egli era interessato molto alla questione e criticava i metodi adottati dai giudici. Di vedute particolari, Cotton pareva quasi essere più “liberale” dei suoi simili: sosteneva anche che gli Indiani potessero essere sbiancati nell’animo grazie al battesimo. Fu un medico sperimentatore e sostenne e si adoperò per l’inoculazione del vaiolo. Era, però, un forte sostenitore della schiavitù. Durante i processi raccomandava la liberazione dei rei confessi, cosa che, ovviamente, non venne considerata dalla Corte. Chadwick Hansen, con il suo WITCHCRAFT OF SALEM del 1966, ha tentato una più profonda analisi ridimensionando l’aura esclusivamente negativa creatasi intorno a Mather.

Dopo i processi, però, Cotton Mather fu uno dei pochissimi che non dichiarò pentimento. Morì solo cinque anni dopo il padre. Fu vedono tre volte, ebbe quindici figli dei quali solo due gli sopravvissero.


UNA CURIOSITÀ SCELTA DA ME

Nella contemporaneità, molti sono i prodotti di fantasia che i media propinano al pubblico romanzando, rimaneggiando, o rimescolando gli eventi di Salem: dalla serie tv omonima a Le terrificanti avventure di Sabrina. Una della “Sorelle Sinistre”, personaggi di quest’ultima serie citata e a sua volta ripresa da un noto fumetto, porta il nome di “Dorcas”: per capire le origini del nome dobbiamo tornare ai processi di Salem.  Dorothy Good era la figlia di William Good e Sara Good, una delle vittime del terribile periodo di Salem. A soli quattro anni, Dorothy fu imprigionata e interrogata. La piccola sosteneva che la mamma era la sposa del diavolo, e non mancava di mordere chiunque le capitasse a tiro. Diceva anche di aver avuto in dono da sua madre un serpente… un “famiglio”, un chiaro servo delle streghe, per i giudici. Erroneamente il suo nome fu scritto come “DORCAS” dal magistrato Hathorne.

La piccola fu rilasciata sotto cauzione.


IL ROMANZO DI ELIZABETH GASKELL

 

INTRODUZIONE e UNO SGUARDO ALLA TRAMA (SENZA ANTICIPAZIONI ECCESSIVE, PROMESSO!)

L’edizione da me letta è stata pubblicata nel 2017 dalla Lit Edizioni.

“E dovete ricordarvi, voi che leggete questo racconto nel XIX secolo, che la stregoneria era, per Lois Barclay duecento anni fa, un peccato terribile.”

Pubblicato nel 1859, LOIS LA STREGA, è una novella scura e severa; accusatrice e seria; compassionevole verso i malcapitati adocchiati dal bieco e terrificato sguardo del puritano. È la storia di una giovane di diciotto anni, una fanciulla pallida e delicata, dagli occhi grigi, a quanto pare, ammaliatori… Questo piccolo libro brucia di denuncia, di una donna per le donne, e di una liberale per la libertà e i diritti dell’individuo.

Prendendo spunto dai terribili eventi occorsi a Salem alla fine del XVII secolo, Elizabeth Gaskell segue le sorti di un’orfana; non nata senza genitori ma spezzata dal dolore di aver perso ogni cosa, persino la speranza nell’amore.

 L’Inghilterra aveva le sue contraddizioni, ma pareva più lenta nel condannare le “streghe”. Una capanna nella boscaglia, un’emarginata e il suo gatto… poi le acque del fiume che diventano rosse e una profezia che urla le sue verità. Il lettore dovrà ricordare bene determinate parole, sopportare una visione macabra, triste, priva di misericordia e umanità. Queste responsabilità e moniti sono in primis, però, per la giovane Lois.

Il Nuovo Mondo attende, da un fiume all’Oceano. Un capitano burbero e giusto, silenzioso e schietto allo stesso tempo. E una lettera che si presenta come il lasciapassare di Lois verso una nuova vita, magari una nuova opportunità. Un primo accogliente approdo, delle donne che sembrano saper vivere in un modo dominato da uomini e regole scritte ovunque e propinate ad ogni occasione. Un breve stralcio di serenità, prima che due promesse lascino Lois in una casa oscura: non è il colore, non è la sola luce che mancano, è un sentore di fitto malessere, di infelicità e affetti malsani. La madre di Lois ha scritto una lettera, prima di morire: suo fratello deve accogliere la nipote. Alla fine, le uniche compagnie che avrà Lois saranno una zia, Grace Hickson… talmente pia che “il devoto signor Cotton Mather ha detto che persino lui ha da imparare da me”; la cugina Faith, verso la quale inizierà a provare una cieca devozione; la cuginetta Prudence, pestifera, innamorata del pettegolezzo e della zizzania; il cugino Manasseh, cacciatore impavido sempre chino su un grande libro, sgradevole di aspetto non per voler essere superficiali… ma a voler ben interpretare due occhi neri nel guardare e insistenti nel seguire Lois. Resta un’indiana, Nattee: serva fedele e particolarmente legata a Faith, tra confidenze all’ombra del focolare e alla luce di pentole in ebollizione di segreti e parole che echeggiano in lingue che non possiamo comprendere.

“E quanta era grande la misericordia umana a quel tempo? Ben poco, e Lois lo sapeva. L’ istinto, più che la ragione, le aveva insegnato che il panico era vigliaccheria, e la vigliaccheria genera crudeltà.”

Posso aggiungere che il Maligno ha la faccia di chi invidia, la lingua della bugia; il peccato originale non è il solo neo sulla carne della gente ma vi svettano scuri l’individualissima propensione al possesso, il desiderio di essere importanti, visti… di avere occhi solo per sé. Tradimenti, crudeltà gratuita, visioni e insistenze che ti spingono all’angolo nelle notti invernali dove il sole pare aver voltato le spalle a Salem per una personale volontà. Una disamina puntuale di Elizabeth Gaskell, che parte dalla storia, presa in prestito con uno scopo lampante e dichiarato, e s’incammina sotto il mantello di una innocente creatura. Occhi grigi nell’ombra, convulsioni, l’ingenuità di un racconto dettato dalla voglia di sentir ancora quello scialle invisibile che è la famiglia; “STREGA!”, “STREGA!”. La colpa della fiducia, il peccato della bellezza e della solitudine.

Vorrete sapere se quelle due promesse torneranno alla porta di Lois… Vedo rovi, sento il sapore di pane sporco e duro.

Una novella eccellente d’onore, coraggio e devozione. Non pensate alla religiosità quanto alla devozione per giustizia, fratellanza, e bontà d’azione.


ANALISI E OSSERVAZIONI

Elizabeth Gaskell prende in mano un evento storico, luttuoso, vergognoso; lo prende in una presa forte, legittima le sue parole con note che rimandano ad eventi storici e versetti biblici. Assume i punti di vista esterni di chi vuole parlare ai contemporanei facendo conoscere una realtà che pare, già allora, sconcertante; lo fa assumendo la postura puritana per metterne in luce i succhi putrescenti; lo fa indossando i panni di un’orfana che rievoca suoi dolori antichi. Gli eventi di Salem vengono ripresi cambiando qualche nome ma mantenendo le mura umide delle prigioni, l’ombra della forca che imperversa sul capo di accusati e accusatori, e avvicinando un lume a personaggi realmente esistiti che non devono essere dimenticati, come Cotton Mather.

Negli anni si sono susseguite scuse, remore… o affermazioni ancor più forti di legittima difesa del gregge del Signore. Qui sì, si ragiona anche sul perdono, sulle scelte e su ciò che una mente e un cuore possono provocare: morte, cura, oppressione o follia. Elizabeth Gaskell parla coraggiosamente, quando le donne cercavano di mostrare figure femminili che nell’umiltà della loro condizione riuscivano a proferir gentili sentenze, fedeli ai propri ideali e sprezzanti dell’ignoranza e la pochezza altrui. Il legame dell’autrice con Charlotte Brontë mi fa tornare alla mente alcune frasi proferite da Jane, protagonista del capolavoro di Charlotte JANE EYRE: parole dure, che paiono uscire da un corpo gelido e da uno spirito inflessibile; quando invece il dolore e la solitudine si stanno solo mantenendo vive sulle gambe solide della rettitudine vera, quella nata da un cuore puro e fedele, non legato ai precetti altrui ma agli universali valori del bene e del giusto.

LOIS LA STREGA è una breve lettura indimenticabile, almeno per me. Una mano sulla coscienza, un libro aperto sul passato e uno sforzo di pensiero e azione proiettati al futuro.

Buona lettura!

 

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Grazie!


sabato 12 dicembre 2020

LE MIRABOLANTI AVVENTURE DI GATTO MERLINO

 FIABA, TRABOCCHETTI, LA FAVOLA STA DIETRO L'ANGOLO E HA IL PROFILO DI UN GATTO.

MAGIE E RIFLESSIONI TRA STORIE DINAMICHE E RICCHE DI ILLUSTRAZIONI STRABILIANTI

Testi di Paolo Migliorelli

Illustrazioni di Angela Gubert

Ph Francesca Lucidi

INTRODUZIONE

“Mondi Possibili”, la collana che comprende questo volumetto strabiliante, divertente, adatto a tutta la famiglia. Edito da Aliribelli Edizioni nel 2020, nato dalla fantasia di Paolo Migliorelli e trasformato in immagine grazie alle illustrazioni di Angela Gubert.

 Beh, tra queste pagine si parla spesso di mutazioni e di cose che appaiono, scompaiono o cambiano natura; direi che spesso nella trasformazione alcuni si esaltano come esseri viventi, e soprattutto pensanti. Un gatto appare in copertina carico di strani oggetti, la sua ombra rivela contorni inaspettati: uno stile immediatamente fiabesco e magico, che fa promesse… e posso garantire che le mantiene tutte. Girate la quarta di copertina: un cappello da mago (o da strega?), strane ampolle, uno specchio, pergamene e una citazione che spiega la forma della misteriosa ombra. Stregonerie e avventure, personaggi toccanti, cattivi cattivissimi; non siate pigri come la Morte, anzi forse potrete esserlo gustandovi questa storia letta dai vostri bambini, o magari stando con questo volumetto arancione quieti su una coperta. Il freddo va lasciato fuori, ve lo devo ricordare. Tappate ogni fessura, tirate le tende perché i contorni di un castello dalle strane luci notturne imperversa all’orizzonte. La luna è tormentata da malefiche megere, una bellissima donna percorre la strada con uno specchio in mano; vi invito a tenervi lontani da questi soggetti, tanto potrete gustare tutto dal vostro posto sicuro, con un gatto speciale che fa la guardia fuori dalla finestra. A proposito, vi piace il cioccolato? Dicono che acquieti gli animi più tormentati e possa persino spegnere i brutti ricordi; per scoprirlo… venite con me!

MIRABILIE, Signore e Signori

Diciamocelo subito, se il vocabolo “mirabolante” richiama qualcosa di stupefacente, e la sua origine contiene tra le righe di spiegazione anche la parola “scherzo”, sappiate che qui di tranelli ce ne sono parecchi, e non mancano di certo le straordinarie vicende che possono meravigliare, aguzzare la fantasia, portare in altri tempi e luoghi; farvi mutare la pelle perfino!

Cinque piccole fiabe tenute insieme dal cammino di Gatto Merlino: IL CAVALIERE DI CIOCCOLATO, LA BAMBINA DELLA STEPPA, DONNA CITRULLA, IL CASTELLO STREGATO DEL NORD e GLI ANIMALI DELLA SAVANA.

Nessuno conosceva la sua vera identità, ma era chiamato da tutti “Gatto Merlino”, sia perché era piuttosto bravo con la Magia e sia perché affermava di essere un gatto trasformato in un uomo per essere un mago, uno tra i più grandi, come mago Merlino che tanto ammirava.

Ed ecco che Merlino lascia la sua amata padrona e parte verso paesaggi stravaganti, al confine tra la “storia” e il reale. Sente il richiamo della natura di mago, si sa che i maghi sono curiosi e si trovano sempre in mezzo agli affari di qualche strano personaggio. Chi non chiederebbe l’aiuto della magia se si potesse?

Un cavaliere ritrova i suoi “occhi da uomo” anche se saranno rinchiusi in un involucro di cioccolata; il passato sfuma… ma a volte i vecchi errori tornano a trottare verso di te, e tu devi prenderti tutte le responsabilità. Si può vivere il presente e si può guardare speranzosi al futuro senza dimenticare il passato? Forse quest’ultimo è necessario, la differenza possiamo farla noi: un’armatura, anche se dolce, non protegge dalle amarezze che portiamo nascoste nel cuore. E allora, affrontiamo le prove a cui siamo chiamati, sia anche fare ammenda!

Per prepararsi a qualunque movimento bisogna restare ben caldi, un focolare può essere assai utile, qualcuno lo ha chiamato “Candela del Cuore”. La luce e il calore devono tenere lontani i malintenzionati che possono assalire chi è rimasto solo; ma, dopotutto, se guardiamo bene qualcosa di magico potrebbe celarsi dietro l’angolo da cui un assalto felino può spazzar via il Signore del Vento, e i brutti pensieri su chi ci ha abbandonato. Meglio saper attendere chi vuole tornare da noi, la Speranza anche qui ci richiama.

Ph Francesca Lucidi

E voi, credete di essere belli? Belli nel senso estetico direi… qui dovrete stare attenti agli specchi, sappiate che possono catturarvi in modi terribili. Anche se qualcuno non è detto che protesti. Una Donna Citrulla andrà su tutte le furie per uno specchio frantumato, fortuna che qualcuno molto poco furbo si farà guidare dalla propria tracotanza.

E dopo tutti questi bei problemi bisogna anche arrampicarsi lì, verso il castello diroccato. Nel villaggio strani timori sussurrano “streghe!”. Di certo è bene difendere sé stessi e gli altri, ma dobbiamo farci trovare preparati. I cattivi fanno tanto chiasso e ghignano come se avessero studiato alacremente alla scuola dei ghignatori, ma non sanno fare molto altro; alla fine sono un po' stupidi. Sapete che dicono che la cattiveria torna sempre contro chi la perpetra? Potrebbe essere verso come è sicuro che una zuppa di streg… roditore avrebbe davvero un saporaccio.

Ph Francesca Lucidi

Non si sa mai se si ha davanti un animale o una persona. In queste storie c’è da aguzzare l’istinto. Ecco, proprio il sentir dentro è ciò che farà arrivare un’accorata richiesta d’aiuto a Gatto Merlino. Una profonda riflessione sulla natura umana, tra leggere considerazioni e problemi pratici… di chi, magari, starebbe meglio se fosse una giraffa o una tartaruga. Gli umani devono preoccuparsi di cose così fastidiose, come nascondere le rughe della vecchiaia, o convivere con un aspetto da modella; e poi una grassa corporatura non è un problema per un ippopotamo quanto lo è per un panciuto uomo con i baffi.

Questo volume è dinamico, moderno quanto profumato di antiche magie. Le storie sono brevi e le parti dialogiche coinvolgenti. Adatto anche ai bimbi più piccini, se saprete interpretare bene le voci!

A tal proposito ho un’idea da proporvi, perché non prendete qualche scialle, un paio di scarponi malandati, uno strano cappello e un sacco di patate? Sarebbe divertente interpretare queste storie che ben si prestano a una recitazione degna delle piazze più gremite di curiosi. Non sarebbe un bel modo per movimentare il Natale in famiglia?

Le stupende illustrazioni vi aiuteranno: in bianco e nero e di misure così svariate da farvi correre gli occhi in su e in giù. Da disegni a pagina singola fino a scene che se la comandano da piccoli spot che non racchiudono solo visi o oggetti ma intere sequenze narrative. L’immaginazione ci permette di conoscere il mondo della nostra mente; dovrete ormai sapere, parlando con me, che la nostra testa funziona per immagini, e da lì partono le narrazioni che ci facciamo su di noi e sul mondo. Sapersela cavare con la fantasia è la garanzia di una grande conoscenza, e abilità! Forse magia?

Ringrazio Aliribelli Edizioni per la copia.


Buona lettura. Mieow!

 

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venerdì 4 dicembre 2020

TRE ZAMPE

di

ANNALISA STRADA

Illustrazioni di Gregorio de Laurentis

DISABILITÀ E SUPERPOTERI, TRA DISEGNI ESILARANTI E PAROLE INDIMENTICABILI

Ph Francesca Lucidi

INTRODUZIONE

“UNO, DUE, TRE E QUATTRO CON UN GRAN RITMO.

HO PROVATO ANCH’IO. MI SONO IMPEGNATA.

UNO, DUE, TRE E… DOVE ERA FINITO IL QUATTRO?”

˜

Una dolcissima storia illustrata edita da Giunti Editore nel 2020; adatta ai bambini al di sopra dei sette anni.

Un piccolo libro, che con i suoi disegni simpaticissimi propone un messaggio enorme: questo non è un volume qualsiasi, qui abbiamo un SUPERLIBRO! Sui superpoteri. Pensate si parli di creature straordinarie, beh, un po' forse è vero, ma niente di fantascientifico: gatti, una famiglia, due cani attaccabrighe… e CIRCE!

Un nome assai importante, per chi? Per una gattina nata insieme ad altre tre sorelle. Dentro una piccola cesta colma di peli e amore, ecco che una piccola micia inizia la sua vita circondata da attenzioni particolari.

Attenzione! Qui tutti possono imparare cosa significa scoprire un superpotere, piccoli e grandi lettori. Non si tratta di avere qualcosa in più; già, Circe si accorge che non tutto va come dovrebbe andare, nel suo corpo. Ma essere super è qualcosa che viene da dentro. Disabilità, coraggio e simpatia: le tre guide che possono accompagnare chiunque a scoprire il mondo della diversità, delle difficoltà, della paura.

TRAMA, ANALISI E CONSIDERAZIONI

“E POI CI SONO IO!”

Circe si accorge subito che la mamma la lecca e la coccola di più, rispetto alle altre sorelle. Gli umani circondano la micia di altrettante attenzioni, accompagnando le carezze con frasi del tipo “Ma è normale?”, “Poverina!”. All’inizio non capiamo bene cosa possa avere Circe: il disegnatore è stato ben sapiente nel nascondere un piccolo particolare dalle varie inquadrature delle ciccette della gattina.

Bisogna presto lasciare il cesto! Fuori c’è un mondo da esplorare. Circe si accorge di essere più lenta delle sue sorelle, e resta sempre dietro… ma l’erba ha per lei l’inebriante profumo che ha per tutti.

A volte, una difficoltà è il motore che ci mette davanti a noi stessi, alle nostre debolezze, alle verità esteriori e interiori. Circe dovrà vedersela con Gogo, un barborcino scarsamente amichevole. Una corsa su un albero, una sorellina spaventata che la aspetta da sopra un ramo. Denti affilati da una parte, un tronco da scalare dall’altra, cosa succederà a Circe?

“DI NUOVO MI SONO ACCORTA CHE C’ERA QUALCOSA DI STRAVAGANTE: NON ANDAVO DRITTA E DOVEVO CONTINUAMENTE RIPRENDERE LA MIRA SULL’ALBERO.”

Nel momento di massima tensione credete che la micia si dia per vinta? Non esiste! Lì nascerà un SUPERGATTO.

Dall’alto due occhietti guardano in basso, sulla superficie riflettente di una pozzanghera:

“E SUL RAMO CHE SI SPECCHIAVA DI SOTTO C’ERA UN GATTO. ERO IO. UN SUPERGATTO A TRE ZAMPE!”

Tutto scorre veloce in questa parentesi di puro panico. Qualcuno potrebbe pensare che l’autoefficacia di Circe venga annientata da una scoperta così sconvolgente, e che non può fare altro che sentirsi spacciata: no!

“NON ERO DIVENTATA ALL’IMPROVVISO PIÙ CORAGGIOSA, ERO SOLO MOLTO ATTENTA A USARE BENE I MIEI POTERI”.

Da qui esplode la forza comunicativa di questa storia. Tutto appare molto reale e quotidiano: l’imbarazzo degli altri verso la diversità, tradotto in attenzioni maggiori che mettono forse anche un po' a disagio. Il confronto con le evidenti difficoltà oggettive nell’essere come gli altri, nel fare le cose allo stesso modo. L’amore fa molto, ma la comprensione e l’accettazione sono i veri miracoli per una vita piena anche se si nasce destinati al superpotere della resistenza, della resilienza e della caparbietà; vogliamo poi parlare dell’atteggiamento positivo e attivo di chi si sente di poter sempre agire nel contesto? Una variante ambientale (e di sfiga?) ci ha messo lo zampino? Ok, mettiamola a cuccia con le varianti decisionali di chi riesce a restare in equilibrio, e anche se non sta dritto è comunque equilibrato nel suo modo, con i suoi mezzi, con i suoi superpoteri.

Una gattina a tre zampe riesce a salvare la sorella perfettamente sana… e sappiate che le sfide non finiranno qui, anzi.

Mi butto a capofitto in questi volumi piccoli, semplici, ENORMI, sapete perché? Insegnano il tatto. Gli adulti sono contenitori strabordanti di regole, nozioni, aspettative e arrivismo. Vogliamo sembrare buoni, perfetti, infallibili. Non a caso i bambini riescono ad affrontare tutto molto meglio di noi. Loro sono pure antenne che recepiscono tutto, non hanno tanti filtri e, se non contiamo le influenze da parte degli adulti, riescono sempre a trovare un loro modo per fare le cose. Noi abbiamo mal di schiena appena alziamo una cassa di acqua, loro scavalcano lettini immensi o letti a castello giganti. Questo solo perché hanno articolazioni senza artrosi? No, i bambini sono “flessibili”, in tutto. La comunicazione indirizzata a loro è dritta, empatica, efficace e sincera. I libri per bambini sono più veritieri di tanti tomi che promettono risposte assolute.

Questo volume è assolutamente ben riuscito, come molti altri che sto leggendo in questo periodo. Anche io, come Circe, sto un po' sbandando… ma grazie alla rieducazione alla vita e alle emozioni che certe storie sanno regalare, voglio tornare ad essere abile per un invito su un letto a castello, da cui vedere il mondo con gli occhi puri e coraggiosi.

Questo è il senso della letteratura per l’infanzia, o per ragazzi, l’educazione. L’anagrafe non ci faccia arrivare il messaggio che siamo belli e finiti, fatti e pronti all’uso. Siamo esseri in continua evoluzione, e di tatto ne perdiamo spesso, con gli anni. Vi invito a cimentarvi in attività diverse, a confrontarvi con qualcosa che sia gioco, scoperta. Sappiamo affrontare la vita solo a calcoli e confusione, ma non è colpa nostra, non tutta.

Ricordiamoci che abbiamo il diritto a migliorare, a sognare… ad avere dei SUPERPOTERI, ed anche a saper parlare di diversità, disabilità, malattie, senza attingere da espressioni sciocche nate da un certo tipo di giornalismo sensazionalista, o da qualche sito di “frasi per ogni occasione”.

“SICCOME SONO UN SUPERGATTO, MENTRE ACCELERAVO CON LE MIE TRE ZAMPE IN VERSIONE TURBO, HO TROVATO PERSINO IL TEMPO DI FARE UN RAGIONAMENTO. GIÀ, PERCHÉ PER TUTTI NOI CHE SIAMO SUPER LA PAURA NON È UN FRENO, MA UNA MARCIA IN PIÙ PER FAR FUNZIONARE LA TESTA.”

Vi abbraccio.

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Grazie! 

martedì 17 novembre 2020

FINCHÉ IL CAFFÈ È CALDO di TOSHIKAZU KAWAGUCHI

UNA RIFLESSIONE SUL VIVERE IL PROPRIO TEMPO

Ph Francesca Lucidi

L’autore nasce nel 1971 ad Osaka, in Giappone; lavora come sceneggiatore e regista. Con il suo romanzo Finché il caffè è caldo vince il Suginami Drama Festival, ed è da ricordare che stiamo parlando di un’opera prima.

In Giappone, il romanzo diventa in breve tempo un caso editoriale vendendo oltre un milione di copie. Uscendo dai suoi confini d’origine, questa storia fantastica di storie assolutamente umane e vicine quasi a tutti conquista il resto del mondo.

CENNI SULLA TRAMA E STRUTTURA

C’era una volta, anzi molte volte in tempi diversi, un caffè centenario giapponese. Come un anziano, saggio e misterioso personaggio, questo luogo ha una sua identità, un suo carattere, delle sue regole… e si incontra con chi cerca la sua auspicale saggezza o facoltà rivelatrice. Questo perché? Il caffè permette alle persone di viaggiare nel tempo, tramite una sola sedia, seguendo rigidissime regole; il luogo ne ha viste di vite e di persone, proprio come un individuo che abbia avuto l’occasione di ascoltare e incontrare tanta gente, magari non per volontà ma perché è al mondo da molto tempo e ha la maledizione e la benedizione di un dono.

Il caffè non ha un nome, per il lettore, anche perché un nome ce l’ha ma viene celato dietro ai ricordi di alcuni personaggi che citano i versi di una canzoncina.

Tutto si svolge in presenza dentro al caffè, mentre i luoghi esterni prendono vita specialmente da rimembranze, accelerazioni e rallentamenti del tempo della storia attraverso una narrazione che sottostà alle regole come chi compie il rito del caffè. Il narratore pare empatico e freddo allo stesso tempo, questo perché la ritualità è il peso maggiore del romanzo. Alla fine, ci rendiamo conto che l’emozione e la comprensione dell’altro, dei personaggi e delle situazioni, avviene tramite i dialoghi e la nostra capacità di cogliere i vissuti presentati; se riusciamo a toglierci l’ansia del controllo e delle domande, così come devono fare i protagonisti.

L’intera storia, che comprende la possibilità di viaggiare nel tempo, seguendo un rito, sottostando a regole, riuscendo a scambiarsi di posto con un fantasma, facendosi venire la nausea dovendosi ossessionare per ogni segnale proveniente da una tazza di caffè, fa da cornice a tante altre storie che ruotano intorno a quel tavolo “magico”. È contemplata una maledizione che punisce chi non rispetta i tempi di chi occupa il posto, è assicurata la perdita del proprio essere se si indugia quando non si deve. Tutti sanno cosa può succedere in quel caffè, anche i giornali ne scrivono; in realtà, non c’è la fila per entrare… SE VAI NEL PASSATO IL PRESENTE NON CAMBIERÀ.  A questo punto pare inutile tentare, rischiare: tutti vorrebbero una facile risoluzione a rimpianti, errori del passato; altrettanti vorrebbero riuscire a dire ciò che non hanno pronunciato per milioni di motivi che sottostanno, in fine, alle leggi dell’orgoglio, dell’egoismo, e dell’eterno allenamento umano alla procrastinazione e al celamento. Parliamo sempre troppo poco e spesse volte senza dire quello che realmente pensiamo. Abbiamo paura del rifiuto e perdiamo occasioni e gioie restando nell’anticamera della nostra vita. Il vivere saggio dovrebbe essere un equilibrio dinamico tra coraggio e prudenza, tra regole e colpi di testa. In quel caffè è così che ci si ritrova ad agire, per forza di cose.

Ok, ripetiamo che il caffè è lì da più di cento anni, è piccolo e perennemente avvolto in una atmosfera color seppia; non vi sono maghi e streghe ma personaggi normali e fallibili, tra cui una cameriera poco socievole che fa da chaperon a coloro che si siedono su quella sedia. Il posto preposto per il viaggio nel tempo è occupato da un fantasma, devi aspettare che questa parvenza (in realtà fin troppo corporea) si alzi. Verrete a sapere che anche i fantasmi vanno in bagno. Bisogna avere una certa facoltà di dominio delle emozioni e della memoria: puoi incontrare solo persone entrate nel caffè, non puoi cambiare il presente, non ti puoi alzare… e devi controllare la temperatura del caffè, servito da una piccola caraffa d’argento in una tazza bianca. È stabilito che il caffè venga bevuto tutto, ma prima che si raffreddi. Cosa succede se non rispetti una delle prescrizioni? Ti verrà detto ma non vorresti sperimentarlo. La migliore delle conseguenze è l’essere riportato bruscamente nel presente: ne rimarresti con un terribile amaro in bocca anche perché avrai una certa risposta se chiederai di volerlo rifare.

Tutto sembra privo di senso. In realtà la cornice è il pretesto per arrivare al senso, il succo è disponibile per essere gustato solo dopo che siamo stati inermi spettatori di innumerevoli dolori, sfortune, tragedie, impotenti sorti.

All’inizio dovrete stare attenti a un primo magico talismano di verità, messo lì per un personaggio forse superficiale, e che al momento non credo abbia colto il peso di quelle parole… dato che tornerà.

Quasi alla fine arriva il vero carattere del narratore: saggistico, burlesco perché mascherato da semplice romanziere, filosofo; duro insegnante della verità di una vita non facile; sapiente analista della psicologia, e dei trabocchetti cognitivi dell’uomo contemporaneo così certo di sé stesso dietro un’insicurezza che non comprende la fallibilità.

L’articolo del giornale recitava così:

“In fin dei conti, che uno torni nel passato o viaggi nel futuro, il presente non cambia comunque. E allora sorge spontanea la domanda: che senso ha quella sedia?”

Che senso ha questo libro? Beh, sedia e libro una cosa la fanno… per scoprirlo dovrete aspettare che nelle ultime battute un personaggio tutto d’un pezzo si sbottoni e vi faccia comprendere una regola non scritta, che parla del vero veicolo magico del rito.

AVVERTENZE, POSOLOGIA E CONTROINDICAZIONI (fare solo una “recensione” non basta!)

Il volume si presenta in formato flessibile e confortante: colori pastello, allegri, vivaci; un’aletta che presenta una trama accattivante con elementi fiabeschi, moraleggianti, educativi e motivanti.

Ciò che si propone questa lettura è di far generare un certo tipo di pensiero costruttivo e critico sul nostro autogoverno del presente, a scapito del rimuginare sterile sul passato, gli errori, i rimpianti. Il senso di responsabilità dovrebbe generarsi già dopo il primo racconto nel racconto.

Per arrivare a sopportare l’annebbiamento dovuto alla foschia del caffè bollente dovremo sorbirci il ripetersi ossessivo delle regole, dei gesti e persino di alcune abitudini che rallentano la narrazione facendo avvertire quel sentore di smarrimento che caratterizza l’intera assunzione del libro.

Arrivare alla fine della somministrazione può provare disgusto verso il sapore del caffè per chi è abituato a berne, e nausea in chi non preferisce questo tipo di bevanda. Verranno versati inquantificabili quantità di caffè e lacrime.

Gli eccipienti scelti partono dai personaggi: Fumiko, una donna in carriera abituata al controllo talmente concentrata su sé stessa da non aver inteso la visione delle realtà e del rapporto sentimentale del suo partner; Katzu, la cameriera asociale che vive versando caffè per il rito e disegnando in solitudine a casa; Hirai, una sprezzante giovane che ha sfidato da famiglia per un egoismo che guadagnerà una punizione che cambierà tutto; Nagare, il proprietario del caffè dalla stazza imponente e la cura per ogni ingrediente acquistato per i piatti che cucina, e una vera ossessione per la miscela del caffè che non ammette repliche; la Donna in bianco, un fantasma condannato nel ripetersi dei suoi gesti perché in un determinato momento non ha saputo coordinare proprio questi; Kei, una creatura piena di saggezza del vivere a cui ci affezioneremo… e per la quale dovremo raccogliere i pezzi del nostro cuore. Al gruppo si uniscono una coppia di coniugi, Fusagi e Kotake: anche loro, come gli altri, si troveranno immersi nel dolore di una vita difficilissima e di sentimenti frantumati da un evento che cambierà tutto, o forse rischia di “cancellare” TUTTO.

Il conservante che promette di salvaguardare i protagonisti è un senso di comunità che rende il caffè una famiglia che saprà affrontare le verità, la tragedia e le responsabilità… soprattutto quelle derivanti dalle scelte.

La capsula che riesce a mantenere stabili questi instabili elementi è il Giappone, con il modus tipico di alcuni romanzi nipponici e il confronto stretto tra tradizioni ancestrali e una modernità che pare rendere tutti freddi e distaccati, fino a che non tocca tirare le fila di una vita che deve uscire dall’illusione della perfezione per confrontarsi con le luci e le ombre che la storia del mondo non smette mai di generare.

Questo percorso non è facile, se volete una lettura leggera non fa per voi; se siete sensibili e aperti avrete la straordinaria opportunità di riflettere sulla gestione del tempo, delle decisioni e, in fine, della scelta. Però soffrirete. Cercate di tenere duro e di riuscire ad andar dietro al narratore che qualche risultato lo dissemina anche prima della conclusione. Potreste non finire la lettura o magari vi ritroverete a prendere molti appunti. Di certo per un po' avrete nella testa le regole del “rito” anche mentre svuotate la lavatrice o portate a spasso il cane. Il caffè non avrà più lo stesso sapore, come anche la vita.

Se non bisogna far freddare il contenuto della tazza bianca… proviamo a generalizzare questa immagine e a capire quanto ogni istante della vita vada gustato finché è caldo, ma a piccoli sorsi.

Vi starete chiedendo se i personaggi riusciranno a farsi uscire di bocca le parole non dette, molto meno di quello che ci potremmo augurare. Il personaggio che riesce ad avere davvero uno svelamento sconvolgente è Kei: il narratore con lei ha forse perso nella coerenza di meccanismi stretti che non cambiano il presente, alla fine. In realtà ogni status dei personaggi cambierà, quasi tutti per effetto di nuove consapevolezze, solo Kei per un bonus dato arbitrariamente.

Vi voglio lasciare la vera chiave di questa lettura; della ripetizione delle regole del rito non avete tanto bisogno perché alla fine non ve le leverete più dalla testa, anche solo dopo aver letto quarta di copertina e aletta.

L’effetto auspicato passa da qui:

“Le persone non vedono le cose e non sentono le cose nella maniera oggettiva che credono. A distorcere le informazioni visive e uditive che entrano nel cervello intervengono i pensieri, le circostanze, le conoscenze, la consapevolezza e un’infinità di altri meccanismi cerebrali.”

Buona lettura! Con cautela.

 

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Grazie!

domenica 8 novembre 2020

IL GRILLO DEL FOCOLARE di Charles Dickens

EDIZIONE A CURA DI ENRICO DE LUCA
PER CARAVAGGIO EDITORE

Ph Francesca Lucidi

INTRODUZIONE

Ancor prima del Trillo Primo, quello che succedette al borbottio del ramino: sì, perché deve esser chiaro che fu quest’ultimo a cominciare, Il Grillo prese fiato durante un viaggio di Dickens in Italia. Al suo ritorno, lo scrittore confidò all’amico e biografo Forster di voler fondare un periodico: un solo foglio settimanale che contenesse racconti, osservazioni su libri e teatri. Prestando ascolto, le parole di Dickens affermarono: “Dominerà sempre l’ardente, cordiale, generosa, allegra e splendida allusione al domestico focolare e alla famiglia. Lo intitolerei IL GRILLO! Allegra creatura che garrisce sul focolare”.

Alla fine il periodico non venne alla luce e il grillo saltò nell’abitazione dei coniugi Peerybingle: nacque The Cricket on the Hearth, novella facente parte del gruppo dei Racconti di Natale che uscirono negli anni quaranta del XIX secolo (Un Canto di Natale nel 1843, Le Campane nel 1844, il Grillo del Focolare nel 1845, La Battaglia della vita nel 1846; Lo Stregato o Il Patto col fantasma nel 1848). In seguito, le novelle vennero pubblicate in un unico volume. In Italia, la prima traduzione dell’autore venne dedicata proprio ai Racconti di Natale.

La Caravaggio si ripropone di presentare autenticamente lo stile originario dell’autore, il quale ha subito nel tempo numerose epurazioni e normalizzazioni che ne hanno appiattito il guizzo linguistico e stilistico.

La bellezza di questo volume non sta tanto nella trama, assai semplice come una “favola domestica”, e infatti così è definito nel sottotitolo, ma soprattutto per la scrittura non scorrevole, saltellante e vivace come il verde ospite, che nasconde in sé una magia potente.

Ora mettiamoci ad attendere, perché un’attesa apre le porte di un casolare umile: si alza il sipario su una commedia sentimentale, tragicomica, viva nei gesti… dal più minuto al più eclatante.

CENNI SULLA TRAMA

Non pensate sia un racconto che si snoda tra le strade addobbate per il Natale, ci troviamo alla fine del primo mese dell’anno. Tutto è gelo, nebbia. Due piccoli zoccoli arrancano nella fanghiglia per riempire solertemente il secchio dell’acqua. Una piccola donna attende. La questione spinosa è quella rivolta al primato di chi cominciò. Il narratore si avverte come una vera e propria voce esterna a un palcoscenico che ha pochi scenari, definiti, caratterizzati e assolutamente sufficienti all’economia della storia.

È stato il ramino a cominciare, ossia il calderone che in passato bolliva perpetuamente nei focolari: per attendere nascite, per dar vita a una tazza di tea fumante, per accogliere qualche patata. In una piccola casa il ramino non collabora e una donna paffuta e graziosa si spazientisce; l’orologio olandese si unisce al coro… ma qui è il Grillo a segnare il tempo, e a dirigere, a fare da cassa di risonanza ai cuori duri e a quelli teneri e sinceri.

Questa è una storia domestica, di una moglie che aspetta un marito che di mestiere fa il corriere: un carro contiene aspettative e tante storie; le persone conoscono benissimo il buono e semplice John Peerybingle, e anche il cane Boxer, sempre pronto a salutare, annunciare e indagare… e soprattutto a capir tutto prima degli altri.

È una sera particolare, oltre ad esser particolarmente fredda fino a far letteralmente gelare il viso di John, il carico porta tre novità, attese, e anche meno attese perché non auspicabili o ritenute difficilmente esperibili. Il carico porta un pacchetto prezioso, tanto atteso da un altro personaggio, abile a farci sciogliere il muscolo cardiaco alla vista del suo dolce e triste guardare la figlia cieca. Stiamo parlando di Caleb Plummer, padre di Bertha; cosa è disposto a fare un padre per la felicità di una sfortunata figlia?

Il Grillo una volta parlò a Caleb:  

“Ma anch’egli aveva un Grillo nel suo Focolare, e ascoltando tristemente la sua musica quando la Bimba Cieca senza madre era molto piccola, quello Spirito gli aveva dato coraggio con il pensiero che persino la grande privazione di lei potesse essere tramutata quasi in una benedizione […]”

Caleb fa l’impossibile, soprattutto perché oltre a essere un costruttore di giocattoli è un creatore di realtà, di persone e bontà e bellezze che non esistono. Incredibile come l’amore sia generatore in tutte le sue manifestazioni. Leggendo la novella, potrete commuovervi scoprendo ciò che non c’è ma che qualcuno sente e vive dalla nascita.

I Grilli sono un po' in tutte le case, anche se qualcuno non li ascolta ma vi si accanisce, li schiaccia. Questo ci riporta a un’altra delle sorprese portate da John: una enorme scatola contenente una torta nuziale. Lieto evento? Niente di più sbagliato dato che non si riesce neanche a pronunciare il nome dello “sposo”, e Mary Peerybingle si sente quasi mancare. Il Capo, il Padrone di Caleb, il giocattolaio Tackelton, è colui che sta per sposare una donna, anzi una giovane e bella fanciulla di nome May Fielding, vecchia compagna di scuola di Mary.

l’idea di qualunque essere umano nelle mani Tackelton può certo far rabbrividire, se si pensa che quell’uomo sa solo creare giocattoli mostruosi per il puro piacere di torturare il prossimo. Un vero topos dickensiano: avaro, brutto, comico nelle sue convinzioni e massime che circondano un animo arido perché avvinto dalla solitudine e dall’incapacità di comunicare con gli altri, con sé stesso. Sospetto e macchinazioni… le armi di chi non conosce amore nel proprio cuore.

“Tackelton il giocattolaio, quasi generalmente noto come Gruff e Tackelton — perché quella era la ditta, sebbene Gruff fosse stato rilevato da molto tempo, lasciando nella società solo il nome, e, come dice qualcuno, la natura, secondo il suo significato nel Dizionario[1]”.

Le descrizioni sul Giocattolaio non lasciano dubbi sulla natura del suo animo:

“Non assomigliava molto a uno sposo, mentre stava in piedi nella cucina del Corriere, con una smorfia sulla faccia asciutta e una torsione del capo, e il cappello tirato sulla gobba del naso, e le mani ficcate in giù in fondo alle tasche, e tutto il suo essere sarcastico e malintenzionato facente capolino da un angoletto di un piccolo occhio, come fosse l’essenza concentrata di uno stormo di corvi.”

Proprio quell’occhio si posa sospettoso su l’ultimo carico misterioso della serata: un viandante sordo, silenzioso, con capelli bianchi e un viso sfuggente. L’uomo par gentile e chiede ricovero per la notte. I corvi sorvolano sul viandante e su Mary, che pare a disagio, molto a disagio.

Qualcosa accadrà, ma non prima che Tackelton si autoinviti alla consueta merenda che i Peerybingle organizzano periodicamente nell’umile casa di Caleb, che per la giovane e candida cieca è una reggia. Mistificazioni, bugie e sospetti. Chi male vive proietta un’ombra su tutto ciò che vede. Qui si parla di cattivi consiglieri, di cose giuste da fare nonostante i rischi…

Purtroppo, i malintesi la faranno da padroni, tra esilaranti quadretti e scenette che hanno per protagonisti le sprezzanti offensive massime e recriminazioni del Giocattolaio, i poetici slanci di Bertha; da non dimenticare la sbadata bambinaia Tilly Slowboy, che con tanto amore si prende cura del pupo dei Perrybingle, anche se ogni spigolo pare pronto ad accogliere il capo del lattante. E non perdetevi i discorsi della querula voce della madre di May: alla fine tutti i personaggi si troveranno a quella merenda, l’inizio dell’inizio e della fine, prima di arrivare alla vera conclusione e risoluzione.

Tackelton è ossessionato dalla sua età matura, rispetto a quella di May; dovete sapere che anche John e Mary hanno una grande differenza d’età… ma nella casa dove Il Grillo ha trovato ricovero, il canto ha dato un benvenuto rassicurante per una coppia che pare perfetta perché vive nell’accettazione delle reciproche differenze, arricchendosi nella semplicità dei ruoli ricoperti con la solerzia che i bambini adoperano quando giocano a far i grandi.

Il Grillo, però, sta a guardare. I Grilli son spiriti potenti, sono fate… appaiono quando devono, ma le risposte devono venire dal cuore di chi è coinvolto in visioni che sanno mettere alla prova, non svelare, non ancora.

Secondo voi uno stormo di corvi può fermarsi a banchettare allegramente tra ghiandaie, colombi e pettirossi? Potrebbe…

ANALISI E CONSIDERAZIONI

L’edizione della Caravaggio, curata da Enrico De Luca, ci restituisce uno stile da affrontare lentamente, anche se a volte corriamo per andar dietro a periodi che paiono indovinelli. Finte reticenze, cose da non dire che vengono assolutamente dette, dette tutte; nomignoli e descrizioni minuziose. Un voyeurismo puro e simpatico, tra le moine di Mary e l’impacciato modo di comunicare di John. Una maniacale attenzione per i dettagli, che porta ogni cosa ad avere la sua importanza e la sua voce. Non è una lettura facile perché per comprenderne la bellezza bisogna scendere a patti con un testo che si abbellisce come una ghirlanda decorativa assai carica: bella, sì, ma carica. La storia, però, a perdifiato tiene incollati, avvinti.

Rispetto ad altre traduzioni, troviamo alcune scelte coraggiose: Mary, viene definita “Piccina” non “Dot”, come spesso si può leggere in differenti edizioni. Dot sta per punto, e questo termine trova la sua ragion d’essere nel testo. Ce lo dice John, riferendosi a Mary come a un “punto e a capo”, guardando il loro figliolo. Io sono affezionata all’espressione inglese, ma è una mia personale preferenza.

La scrittura di Dickens dirige prossemica, cinetica e ogni significato come un regista preciso, all’avanguardia. Si prendono pochi personaggi, un tema vecchio come il mondo, persone non belle e non speciali: l’insieme è una sinfonia che si eleva forte e chiara grazie a un’orchestrazione di sentimenti e cose piccole piccole che creano un’epica rappresentazione della vita.

 La morale? Potete respirarla dal primo scalpiccio degli zoccoletti di Mary.

Piccina si guadagna una di quelle appassionate descrizioni minuziose che l’autore spesso dedica alle rotonde donne che abitano i suoi racconti. Descrizioni assolutamente lusinghiere.

Dalla novella si esce con un sospiro di sollievo, e con la voglia di mettere su il tea e godersi in silenzio il beneficio di avere una famiglia, o anche solo una mente capace di creare castelli da una baracca.

Alla fine del volume potete ammirare le riproduzioni di due antiche illustrazioni: sono stata stupita di vedere come ricalcassero ciò che avevo immaginato; per scorgerle dovrete decidere di leggere questa piccola edizione, che dietro ha un lavoro lungo e meticoloso.

 

 



[1] Gruff significa “burbero”