giovedì 7 maggio 2020

Il TAO TE CHING di Lao Tzu

IL CORPUS DEL TAO TE CHING 
LA FIGURA DI LAO TZU

 Ph. Francesca Lucidi. Il Tao te Ching edito da Feltrinelli nella Collana Spiritualità.

Il Tao te Ching di Lao Tzu è un dono per l’umanità.

Il titolo in realtà è ambiguo e di difficile traduzione e ciò ha molto a che fare con il Tao.

Tao non ha un equivalente nella nostra lingua; viene avvicinato al concetto di via o espresso in “modo in cui opera l’universo”. Il Tao in realtà è un profondo mistero. L’universo e la vita stessa hanno un’origine: la profondità di quest’ultima ci sfugge perché va aldilà della nostra compresione… perché? Perché il Tao è “prima di tutte le cose” e quindi anche dei concetti utilizzabili per una razionalizzazione,  che nulla ha a che fare con il Tao.

Il corpus del Tao viene attribuito a Lao Tzu.

Lao, secondo la leggenda, era il custode degli archivi imperiali dell’odierna Cina, sotto la dinastia Chou, circa ventisei secoli fa.

Durante un periodo di disordini, egli decise di allontanarsi dalla civiltà e di andare, da solo, sulle montagne.

Un giorno si presentò alle porte della città e fu fermato da una guardia… l’uomo appreso cosa Lao si apprestava a fare… gli chiese di lasciare degli insegnamenti per le genti, così Lao scrisse il Tao te Ching.

È più probabile che  il corpus sia stato sviluppato nel corso di due o tre secoli da diversi saggi. Alcuni di essi furono donne… e il “materno” ha molto a che fare con il Tao.

Alla fine poco importa quale sia la vera storia filologica, ciò che importa è l’enorme risonanza di questo canto che si scaglia contro i mali del mondo, di certo non considerando il “male” nel senso convenziale, e che i suoi insegnamenti sono di una portata enorme… e profondamente balsamici ancora oggi.

La contemporaneità non dovrebbe poter fare a meno di ciò che il Tao te Ching spiega, anzi mostra.

È da ricordare che il Taoismo di Lao Tzu, risalente al VI-V secolo a.C., è differente da quello, ad esempio, religioso che si incarna in diverse sette e organizzazioni. Il Taoismo filosofico va seguito attraverso l’andamento perpetuo delle sue radici che hanno raggiunto arte, poesia… pensiero, in Oriente e non solo. Ad esempio, un grande regalo del Tao è quel movimento Ch’an, in seguito conosciuto come Zen. Le pratiche taoiste affiancano e permeano i germogli e le luci di altre religioni e tradizioni.

Il Saggio del taoismo è ancora oggi la forma “umana” più auspicabile per un equilibrio salubre, interno ed esterno al mondo e alla persona.


GLI INSEGNAMENTI DEL TAO te CHING

La natura del Tao

Il Tao è indefinibile perché è prima di tutte le cose:

“Il Tao è aldilà delle parole
e aldilà della comprensione.
La parole possono essere usate per parlarne,
ma non possono contenerlo.
Il Tao esisteva prima delle parole e dei nomi,
prima del cielo e della terra,
prima delle diecimila cose,
liberati dei nomi,
dei concetti,
delle aspettative, delle ambizioni e delle differenze.
Il Tao e le sue innumerevoli manifestazioni
sorgono dalla sua stessa fonte:
la sottile meraviglia dell’oscurità misteriosa.
Questo è l’inizio di ogni comprensione.”


È la sua grandezza a renderlo incomprensibile… ma il Tao non va compreso. La cosa fondamentale da capire è che il Tao, come tutto ciò che ne scaturisce, è esperienza.

Il Tao non è un Signore che domina sulle genti: non è un monarca anche perché non è una persona. In molte religioni monoteiste la divinità è associata a una “persona” e in particolare a un essere maschile.

Il Tao non ha caratteristiche di genere perché le contiene tutte; però è avvicinabile a un “potere femminile” perché il Tao è il ventre del mondo, l’origine e fonte di tutte le cose. Le facoltà femminee del Tao non lo avvicinano però a una Dea.

IL TAO NON SI PREGA PERCHÉ NOI STESSI SIAMO IL TAO

Il Tao non si prega perché noi stessi siamo il Tao, siamo parte di esso e dentro di esso… e il Tao non è un ente che programma o gestisce; non si prega perché si dà spontaneamente e non potrebbe essere altrimenti. Ciò che conta non è la nostra capacità di volere fortemente o pregare qualcosa: il nostro potere è nel riuscire a fluire in modo armonioso nel processo del Tao, sapendo di non essere indispensabili e di essere un’energia che nel suo ciclo segue delle fasi fondamentali che non si possono fermare. Questo però non è il destino… che noi identifichiamo con la nostra professione, la nostra felicità, la nostra posizione sociale: il flusso è la vita stessa che va avanti e ha un suo mistero eterno assolutamente lontano dagli “scopi” che intrappolano e confondono. Si sta parlando di qualcosa ben al di sopra di una bella o una brutta giornata, sopra i dolori e le gioie perché oltre ogni definizione. Si parla di qualcosa di indistruttibile che nel complesso rende indistruttibili anche noi.

Il Tao non si prega perché come tutte le cose naturali non è sentimentale:

“Il cielo e la terra non sono sentimentali;
nulla considerano indispensabile.
Nemmeno il saggio è sentimentale;
egli considera ogni cosa effimera e transitoria.
Il Tao è come un mantice:
vuoto , eppure inesauribile.
Più lo utilizzi, più produce.
Ma se ne parli troppo,
la tua comprensione si esaurisce.
Semplicemente rimani al centro del circolo.”


Il concetto di Vuoto

Siamo abituati a pensare al vuoto come assenza, e all’assenza come qualcosa di negativo… e tutto ciò nel Tao non ha significato, o meglio non ha funzione. Il Tao ci dona la vita: non per ottenere uno scopo ma perché emana se stesso perché la sua natura è vuota. Per cercare di avvicinarci al Tao possiamo pensare alla sua natura come al ventre di una donna: vuoto perché ricettivo, in potenza creazione e spazio accogliente per l’essere.  Il vuoto ha una funzione fondamentale, anche se non possiamo vederla… e il Tao sta al mondo come il centro vuoto del mozzo sta alla ruota:

“Trenta raggi si riuniscono in un centro vuoto
ma la ruota non girerebbe senza quel vuoto.
Un vaso è fatto di solida argilla,
ma è il vuoto che lo rende utile.
Per costruire una stanza, devi aprire porte e finestre;
senza quei vuoti, non sarebbe abitabile.
Dunque, per utilizzare ciò che è
devi utilizzare ciò che non è.”

E mantenendo a mente queste metafore possiamo parlare anche del concetto di centro. Se restiamo aperti siamo nel centro che è il Tao stesso. La quiete dell’abbandono di ciò che è fuori ed è spesso vissuto in modo spasmodico e con senso di possesso. Va coltivato un centro aperto… vuoto e abile a colmarsi. “Rimani al centro e sarai sempre a casa”, “resta nel Tao e il mondo viene a te”.  Rimanere nel centro significa seguire la “via del Tao” dalla quale ci si allontana quando ci si riempie la testa e il cuore di idee, di preconcetti, di definizioni, di aspettative e paure e differenze.


La brama del possesso

I desideri fatui sono il veleno dell’umanità, specialmente dell’uomo moderno: ognuno considera il mondo come la scena della propria conquista. Inseguire qua e là il possesso ostacola la crescita: l’uomo si illude di dominare e alla fine si ritrova in mano un mucchietto di sabbia sfuggente… perché l’universo che è il Tao ha il suo processo di cui si può far parte, di cui per natura facciamo parte, ma che non si può dominare nel senso egoistico a cui siamo abituati:

“Dominalo e lo rovinerai, afferralo e lo perderai.”

Questo atteggiamento ha inquinato il nostro rapporto con la natura esteriore, divenuto distruttivo. Non riuscendo a fluire e stando immobili nella gabbia degli scopi l’uomo è insoddisfatto e proietta la propria insoddisfazione all’esterno. Il conflitto interiore diventa conflitto globale, guerra. La quiete, il vuoto e il centro sono un’unica cosa. Siamo stati istruiti a non poterci vedere piccoli, ma quella piccolezza è un’eterna grandezza… anche perché ogni “misura” del Tao si mantiene nell’equilibrio. La vera conquista sta nel non agitarsi: ciò, per chi è avvezzo a queste conoscenze, non è lontano da molti insegnamenti e “cure” dei metodi della psicologia. Lasciar andare è un’opportunità unica: cercare di non ottenere con la violenza di una chiusura mentale che ci soffoca e limita la nostra evoluzione e la nostra salute come esseri viventi.

Tutto ciò che è prima o poi deve tornare alla sua radice, che è la propria radice e la radice del Tao. È ciò che avviene sia con la morte naturale sia con la meditazione di quiete. Il ritorno alla radice è il movimento del Tao, che non può essere fermato. Gli eccessi sono quindi i nemici dell’essere… se una cosa viene esasperata in fretta è destinata ad esaurirsi con altrettanta celerità. La nostra bramosia è una forma di violenza potentissima e il non violare la “natura” è la prima regola del Tao:

“Non violentare le cose, o ne sarai violentato.”

Tutto ciò non può non portarci a riflettere sul carattere globale della violenza umana sugli elementi naturali: interni… ed esterni.

“Chi dimentica se stesso, non viene mai dimenticato”. Il vuoto non è immobilità ma un CENTRO DI ATTRAZIONE.


La conoscenza

La mente moderna è abituata a un dualismo che è esclusione. La mente a volte diventa un potere raggelante che tenta di immobilizzare e cristallizzare ciò che per natura è in movimento. L’uomo innaturale non scioglie i nodi ma parcellizza e rende gli angoli più taglienti. La conoscenza deve essere aperta e partire dal concetto di vuoto. Quando siamo persi nelle definizioni perpetriamo un sapere artefatto. L’unica conoscenza possibile e naturale è la conoscenza contemplativa e soprattutto PARTECIPATIVA. La via taoista è un togliere e non un aggiungere.

“Comprendi senza conoscere.”

Quale affermazione può essere così difficile e quasi spaventosa per noi, oggi.

Nel Taoismo si parla di “notte spirituale” che non è assenza ma ricettività, umiltà e unione con il tutto. Da tempo, ascolto i video di un noto psicanalista che invita all’esercizio della grotta: un cammino verso il profondo che nel buio non ci faccia trovare la paura ma la visione distaccata e chiara di noi, delle emozioni… senza giudizio alcuno. Il giudizio è qualcosa che ci uccide in silenzio… che ci soffoca e immobilizza. La purificazione è nell’accettazione nel fluire: come l’acqua di una grotta oscura che penetra e raggiunge… che scompare per poi riaffiorare.

“Chiudi la bocca. Blocca la porta. Acquieta i sensi… Sii come polvere e penetra nell’unità originaria.”

L’annullamento non è scomparire: IL SAGGIO NON PUÒ MORIRE PERCHÉ È GIÀ MORTO. La morte è spaventosa perché è frutto della paura nata dal desiderio di possedere e definire, e toccare con mano e razionalizzare ogni cosa. L’Io viene concepito come un oggetto qualsiasi da possedere… quando invece nel flusso delle diecimila cose del Tao l’eternità è già compresa nel suo essere e non essere.


La non- azione e il Wu-Wei

Anche il bene e male sono concetti molto ostici se raffrontiamo la nostra cultura con il Tao; se ci sforziamo di fare il bene non è detto che questa forzatura porti ad un bene reale.

Sembra terribile leggere che il Tao invita a eliminare la rettitudine e la morale… questo perché non vi è teoria del Tao ma solo azione. Non stiamo parlando di un invito al caos; infatti come il Tao governa e dirige l’universo, così l’uomo deve governare la terra: senza possesso e scomparendo nell’equilibrio e nell’accettazione degli opposti. Un mondo senza dolore è impossibile… ma mantenere un equilibrio tra poliziotti e ladri è il modo migliore per ottenere durevolezza. Il capo migliore è colui che scompare, che guida e seguendo al via del Tao fa credere al popolo di essere il fautore del buon governo: l’ESSERE PARCECIPATIVO è un punto sul quale si insiste molto. Il governatore deve essere un saggio perché se il suo palazzo è pieno di tesori e i granai sono vuoti il territorio sarà lo specchio del suo agire. Paradossalmente l’equilibrio interviene anche nell’affermazione che “più leggi ci sono, più si moltiplicano i furfanti”. Sia chiaro che qui stiamo solo raccontando il Tao… e a mente aperta e vuota si ascolta… senza dire che sia meglio questo o quello.

È affascinante la concezione del rapporto tra il capo e i suoi sudditi come quello che esiste tra il corpo e le membra:

“Quando il governo è rilassato e tranquillo, il popolo è sano e bonario.”

Il buon governante illumina ma non abbaglia. Il buon capo riesce a utilizzare la forza degli altri. L’ingerenza politica deve essere equilibrata, sia nella vita fiscale sia nella vita privata dei cittadini. Qui entra in campo quella NON-AZIONE già menzionata.

La NON-AZIONE, o WU-WEI, è quell’atto naturale che non nutre ambizioni egocentriche e riesce ad adeguarsi flessibilmente. Per questo si parla di “via” non come meta ma come cammino. Saper vedere e ascoltare è il regalo dell’emancipazione da un’azione bramosa desiderosa di governare e sottomettere… e anche qui la natura del Tao ci viene in aiuto.


Dinamismo: Complementarietà e Dualismo

Il Dualismo è qualcosa di costitutivo per il mondo, ma mentre per noi diviene spesso un ostacolo nel Taoismo è un motore evolutivo che mira a ricomporre tutto nell’unità: un’unità dinamica e fatta di complementarietà.

Se siamo in grado di riconoscere che una cosa è bella o che è buona, necessariamente introduciamo anche la categoria del brutto e del cattivo, del suo opposto complementare. I significati in questo caso non hanno una volontà di definizione qualitativa, appunto per l’accettazione della relazione tra le cose: che senso avrebbe parlare di luce se non ci fosse il buio?

Alla fine anche una semplice piantina ha fisiologicamente bisogno di una dose equilibrata di sole, di notte… di acqua o aria secca. La natura viene spesso costretta, specialmente la natura interiore e psicologica. La rosa non si chiede perché è una rosa e non si sognerebbe di diventare una quercia, noi siamo in grado di vivere in questo modo “naturale”? E badate bene non significa non migliorarsi ma non forzare, non violentare e di conseguenza non annientarsi uscendo dal cammino, dal processo.

Gli opposti complementari sono in un continuo rapporto dinamico tra loro. Tutto fa parte di un’unità originaria che contiene entrambi gli elementi di una dualità. Il movimento ciclico, poi, fa sì che una cosa scivoli nell’altra… e da lì ancora l’importanza dell’equilibrio.

Quando un processo raggiunge il suo culmine è fisiologicamente spinto verso la discesa… verso la trasformazione del suo contrario; quindi cosa fare? La MODERAZIONE è la chiave. Evitando gli estremi e “avvertendo” il corso degli eventi, ascoltando… possiamo affrontare le future cose difficili quando sono ancora facili. Ovviamente non possiamo pensare di diventare veggenti, ma abbiamo la naturale attitudine per essere dei SAGGI.

Ciò che è equilibrato si mantiene facilmente, e se guardiamo fuori, intorno a noi:

“Una tempesta non dura tutta una mattina,
uno scroscio di pioggia non dura un giorno intero.”


Yin e Yang: Maschile e femminile

Il Tao ha delle “costanti” riconoscibili allo spirito aperto. Identificare le costanti significa avvicinarsi al Tao; l’osservazione delle suddette è illuminazione. Una delle leggi del Tao è che esistono due polarità: una che potremmo definire femminile (Yin) e l’altra che potremmo definire maschile (Yang). La seconda è positiva e la prima negativa ma non con un significato morale (cose queste… che poco appartengono al Taoismo). Nessuna delle due è superiore all’altra. Lo Yin  è il ricettivo, la madre, l’inverno, il freddo, l’ombra, il morbido, la passività; lo Yang  è il creativo, l’attività, la razionalità, il duro, il caldo, il fuoco, la luce. Entrambi i poli determinano il mondo così com’è. Anche all’interno del corpo umano possiamo distinguere queste parti: nella medicina cinese la parte destra è lo Yang, la sinistra lo Yin, ed entrambe devono essere in equilibrio... se un lato manca di energia l’altro va in iperattività con conseguenze sulla funzionalità del corpo e della psiche, in modo interdipendente.

“Conoscere il mascolino e tuttavia affermarsi al femminile significa essere il ventre del mondo.”

Tutto questo non può non suggerire dei collegamenti con la psicanalisi…

Per guidare noi stessi, o i popoli nel caso dei governati, è bene riscoprire entrambe le polarità.

L’energia scorre in un circolo di equilibri: l’agopuntura ad esempio punta proprio all’armonizzazione di questi processi; ormai si è studiato abbastanza sull’efficacia di questa pratica che ricordiamo è praticabile in Italia solo da personale laureato in medicina.




In conclusione

Il Saggio accetta le cose come vengono, e anche il Governante-Saggio tiene sottocchio le leggi del Tao da una parte e l’interesse GENERALE dall’altra.

L’auspicio è quello di conservare l’armonia: nel rapporto con la natura e con i poli dinamici del Tao; lo scopo-non scopo è “aiutare tutti gli esseri a diventare se stessi”.


















giovedì 30 aprile 2020

LA FINZIONE PUò DARE VITA ALLA REALTÀ? O è LA REALTÀ A ESSERE FASULLA?

 DONATO CARRISI: I "MOSTRI" E IL ROMANZO LA RAGAZZA NELLA NEBBIA

 Ph Francesca Lucidi
Versione Ebook del romanzo La ragazza nella nebbia edito da Longanesi nel 2015.

«Abbiamo tutti bisogno di un mostro, dottore. Abbiamo tutti bisogno di sentirci migliori di qualcuno.»

DONATO CARRISI

Donato Carrisi nasce a Martina Franca nel 1973. Esordisce nel mondo delle arti attraverso il teatro, anche se il materiale per i suoi best sellers proviene dalla sua istruzione: Carrisi dopo il diploma classico si laurea in giurisprudenza… e la sua tesi non può non attirare la nostra attenzione: il soggetto scelto è “Il Mostro di Foligno”… e di questo ne parleremo tra poco.

Dopo la laurea si specializza in criminologia e scienze del comportamento. Lavora come sceneggiatore per serie tv e cinema, cura gli adattamenti cinematografici dei romanzi La ragazza nella nebbia, per il quale firma regia e sceneggiatura vincendo il David di Donatello nel 2018, e Il suggeritore producendo il film e occupandosi sempre di regia e sceneggiatura. Attualmente vive a Roma e collabora con il Corriere della Sera.


LA CARRIERA LETTERARIA

Carrisi esordisce nel 2009 con il romanzo Il suggeritore. Il suo primo libro vince numerosi premi tra cui il Premio Bancarella, resta in classifica per più di 30 settimane e diventa un fenomeno editoriale. Il suggeritore esce in 23 paesi e sale ai vertici delle classifiche di Francia, Spagna, Germania e Inghilterra. Donato Carrisi è così diventato, in breve tempo, l’autore di thriller italiano più venduto al mondo.

Per consultare la bibliografia dell’autore, e scovare tutte le informazioni a riguardo, rimando al sito ufficiale https://www.donatocarrisi.it/.


«La giustizia non fa ascolti. La giustizia non interessa a nessuno. La gente vuole un mostro… E io le do quello che vuole.»


LUIGI CHIATTI: IL PRIMO “MOSTRO” DI DONATO CARRISI

Donato Carrisi si laurea in giurisprudenza con una tesi sul “Mostro di Foligno”.

Negli anni 90 l’Italia venne scossa da due atroci delitti che prima della cattura del responsabile crearono un impatto mediatico che non può non avvicinarci ai temi del romanzo La ragazza nella nebbia.

Il 4 ottobre del 1992 scomparve un bambino di soli quattro anni, Simone Allegretti. Nella campagna intorno a Foligno si cercò il bimbo per due giorni fino alla macabra scoperta: il piccolo fu ritrovato nei pressi di una scarpata, non lontana da dove era scomparso. In realtà l’epilogo fu anticipato da un biglietto ritrovato in una cabina telefonica della stazione ferroviaria di Foligno: il biglietto indicava il luogo dove era stato abbandonato il corpo di Simone Allegretti, gli abiti indossati dalla vittima… e purtroppo le informazioni erano rese ancora più terrificanti dalla dichiarazione del killer che sarebbe tornato a colpire ancora, unitamente a una vanteria infantile nel comunicare che aveva usato i guanti nello scrivere il biglietto… atteggiamento che va ad affiancarsi a un’esplicita richiesta di aiuto; questa ammissione della sua stessa pericolosità non fermò il mostro.

A quel punto l’opinione pubblica fu letteralmente catapultata nel caso del “Mostro”: venne attivato un numero verde, fu stabilita una taglia. Il numero verde fu contattato da un misterioso individuo che dichiarava essere il mostro che tutti cercavano. Intanto il mondo dell’informazione… e le famiglie, e la politica e la polizia facevano i conti con i risultati dell’autopsia effettuata sul corpo del piccolo Simone Allegretti (risparmio gli impietosi dettagli): il piccolo morì per asfissia da soffocamento e aveva subito atti indicibili.

Il reo confesso fece numerose telefonate prima di essere rintracciato: l’uomo, l’assassino, il mostro era il ventiduenne Stefano Spilotros, un agente immobiliare della provincia di Milano. Questore e magistrati dichiarano trionfalmente che il caso era ormai chiuso. Tutti avevano avuto il “Mostro”: si dichiarò che erano stati trovati numerosi indizi a carico dello Spilotros; in realtà troppe cose non combaciavano e gli amici del ventiduenne dichiararono a gran forza che il ragazzo, quel giorno, era con loro. L’alibi si aggiunge all’esumazione del corpo del piccolo Simone… ma coloro che dovevano trovare il responsabile si erano invaghiti di un’idea, di quel colpevole, di quel nome.

Lo stuolo degli accusatori dovette cedere e scarcerare Spilotros per la mancanza di prove e di qualsivoglia elemento… ma soprattutto il vero “Mostro” tornò a chiedere aiuto. Spilotros fu scarcerato e confessò di essersi autoaccusato perché sconvolto a causa di una delusione amorosa.


L’impatto psicologico della vicenda continuò ad espandersi, ben oltre l’orrore dell’assassinio di un bambino innocente. La presenza ingombrante e fantasmatica del mostro iniziò a bussare alle porte e alle menti della gente. Questo fenomeno arrivò a spingere al suicidio l’operaio trentunenne Giampaolo Marsili, di Macerata. L’uomo, affetto da esaurimento nervoso, si impiccò e lasciò un biglietto con scritto “Sono io il mostro, perdonatemi!”

Altri nomi iniziarono così ad affiancare quello della vittima, e come succede in questi casi… l’unico nome ad avere importanza venne messo da parte e declassato ad accessorio di “QUEL MOSTRO”.

L’assassino, però, colpì ancora… in modo frettoloso e imprudente. Ad agosto venne ritrovato il cadavere del tredicenne Lorenzo Paolucci… poco lontano la villa dove abitava il geometra ventiquattrenne Luigi Chiatti.

Luigi Chiatti nacque con il nome di Antonio Rossi. Era figlio di una cameriera, che avendolo avuto in giovane età decise di abbandonarlo. Antonio trascorse sei anni in un orfanotrofio prima di essere adottato dalla famiglia Chiatti, di Foligno. Antonio Rossi divenne così Luigi Chiatti.


Il giovane… dal carattere introverso e il viso immobile e ombroso… venne raggiunto dagli inquirenti e confessò subito gli omicidi.


In primo grado Luigi Chiatti fu condannato a due ergastoli. In seguito, la Corte d’Appello riformulò la condanna dichiarando l’imputato semi-infermo di mente, anche grazie a delle testimonianze che fecero luce su violenze subite dal giovane prima dell’adozione; Luigi Chiatti fu condannato a trent’anni di reclusione. La decisione fu confermata anche dalla Corte di Cassazione.

Nel 2015 l’uomo, terminata la pena, venne però rinchiuso in una struttura psichiatrica.

Nel 2018 il Chiatti ha visto prolungarsi la detenzione in struttura per altri due anni…

LA RAGAZZA NELLA NEBBIA

 Ph Francesca Lucidi
Capirete ogni elemento leggendo il romanzo o guardando il film...

Il Romanzo esce nel 2015 ed è edito da Longanesi.

Ad Avechot, cittadina persa tra i monti in un’apparente e immobile tranquillità, scompare una sedicenne dai capelli rossi. Il 23 Dicembre Anna LouKastner esce di casa… quando l’oscurità è già calata sulle strade di Avechot… e non fa più ritorno. La ragazza è la figlia di Bruno e Maria Kastner, due persone apparentemente semplici e profondamente dedite a una fede incrollabile.

Tutta la cittadina di Avechot è circondata dall’abbraccio stretto di una confraternita religiosa che da anni governa la vita spirituale delle poche anime rimaste tra quei monti scuri, meravigliosi, gelidi. La confraternita è nata dopo che un giovane sacerdote riesce con il suo carisma ad attirare la popolazione… in realtà riesce ad attirare fin troppo le anime e intreccia una relazione amorosa con una fedele. Il sacerdote abbandona Avechot che decide a quel punto di autogestire la propria vita religiosa: gli abitanti rifiutano la nomina di un altro sacerdote e portano avanti liturgie e fede grazie alla nomina di diaconi scelti tra la popolazione locale. La confraternita ha un ruolo primario nella vicenda: i Kastner sfoggiano un’apparente incrollabile solidità di spirito, evocata dalla croce che portano al collo… simbolo della confraternita. Quella croce campeggia sui petti di molti dei personaggi di questa storia, a partire dal sindaco della cittadina. Anna Lou il 23 Dicembre ha come missione proprio il raggiungere i locali della confraternita per fare lezione di catechismo ai più piccoli. Un’aura di purezza e innocenza avvolgono la figura sfocata di questa sedicenne molto più “infantile” della sua età anagrafica. Anna Lou è la preoccupazione di tutti, o forse è il motore di ben altre ossessioni che guidano tutti i personaggi di questo mistero avvolto da neve, e nebbia.


Primamente veniamo a sapere che c’è stato uno strano incidente e che il famoso agente speciale Vogel ne è la vittima. La macchina dell’agente è finita fuori strada ma l’unico passeggero, appunto Vogel, è illeso ma ricoperto di sangue. I vestiti firmati e accuratamente scelti sono la tavolozza terrificante su cui si presenta la fotografia di un fatto sicuramente grave… di cui però bisogna sapere ogni dettaglio. Il procuratore, una donna risoluta e di poche parole, fa condurre Vogel presso lo studio dello psichiatra della città: il dottor Flores.

Lo studio dello psichiatra, un uomo comune che viene catapultato giù dal letto da una chiamata che non si aspetta di certo, diventa il laboratorio dove poter analizzare quella tela tinta di rosso… e dove far parlare l’oggetto dell’analisi di una notte che “cambierà tutto”.

A questo punto si inizia con una serie di passi indietro, e poi in avanti. Vogel apparentemente sembra sotto shock… ma Flores viene invitato dal procuratore Mayer a non credere a quest’uomo dalle abili qualità manipolatorie. Sarà proprio la manipolazione a caratterizzare ogni singolo svolgimento del romanzo.

Dallo studio disordinato e “familiare”, rassicurante, di Flores… si torna indietro fino a due giorni dopo la scomparsa di Anna Lou. Anna Lou è ufficialmente scomparsa da ventiquattro ore quando Vogel si presenta in tutta la sua teatralee studiata sicurezza al tavolino di una tavola calda semivuota. La tavola calda è addobbata con “Buone Feste” messi lì in modo sciatto: tutto appare sciatto e al contempo ordinato. “Buone Feste” e altre decorazioni rendono asfissiante l’atmosfera di una cittadina che emana una soffocante sensazione oscura: sembra assurdo che una città così piccola abbia uno psichiatra, e non un parroco.

Ventiquattro ore sono il limite: un giovane allontanatosi volontariamente, di media, resiste solo quel lasso di tempo senza utilizzare il cellulare. Vogel spiega questo particolare al gestore della tavola calda come parlando ad una conferenza, anzi… come parlando a una conferenza stampa. Vogel è sicuro e sprezzante in ogni sua informazione regalata magnanimamente a quell’uomo semplice, non solo nell’aspetto ma anche nelle capacità intellettive. Tutti sembrano piccoli e sciocchi in confronto all’agente speciale e al suo taccuino nero sempre in fermento (che alla fine rivelerà il suo “inaspettato” contenuto).

Vogel è colui che viene chiamato dopo le ventiquattro ore: passato quel lasso di tempo lui ci informa che si materializza, che viene “chiamato”. Ovviamente appare impossibile che ogni scomparsa veda Vogel apparire come una manna, o come una soluzione imprescindibile… Vogel segue un istinto o un corso che si segna sul terreno della “potenzialità” della faccenda da risolvere. Un odore viene emanato dalla scomparsa di Anna Lou, lo avverte Vogel… e lo avvertiranno i media: l’agente speciale è la condizione per cui quest’ultimo fatto si verifichi.

All’agente speciale non interessa il Dna, le prove… a Vogel interessa la risonanza, la luce dei riflettori: i media. Da eccellente manipolatore riesce ad attirare l’attenzione della nazione intera convincendo i Kastner a fare un appello in televisione per il ritrovamento, o il ritorno della propria figlia. Da quel momento tutto muta, tutta Avechot esce dalla nebbia e viene accecata dalle luci della ribalta.

Vogel, e il suo armamentario fatto di gemelli luccicanti e scarpe costose, è noto a tutti. Lui è già stato in televisione e tutti lo ricordano per il caso del mutilatore. Proprio questo fatto, il caso Derg, è uno snodo assai importante: la carriera di Vogel ha subito un colpo, la giornalista Stella Honer sembra un postumo inguaribile di quella vicenda; il mostro che tutti cercano, ora, ad Avechot… si contende l’attenzione di Vogel con i ricordi e le risonanze delfallimento Derg.

Il mutilatore è stato scarcerato, qualcuno ha manipolato le prove… e Derg ha avuto un ictus e un ingente indennizzo. Tutti ricordano il caso del mutilatore. Tutti conoscono la sorte di Derg, anche ad Avechot.


Il nome di Anna Lou viene ripetuto continuamente ma la sua voce non si ode mai. Sappiamo di lei attraverso i racconti della madre: una donna dimessa che si rivela autoritaria attraverso i racconti del marito, Bruno Kastner, il quale ci informa che quella apparente compostezza è il frutto delle decisioni prese dalla donna. Maria Kaster è ricca: come molti ad Avechot ha venduto dei terreni alla società che gestisce le miniere di fluorite. Un giorno, di non molto tempo prima, la cittadina era già mutata: da paese turistico era diventata la costola di una grande e redditizia miniera che aveva spaccato la popolazione in due: alcuni cittadini avevano perso tutto per  la latitanza dei turisti e altri si erano arricchiti esponenzialmente con la vendita dei terreni fagocitati poi dalla miniera.

Maria Kastner è ricca e decide però di far vivere la famiglia in modo semplice… non senza donare una parte della fortuna alla confraternita, anche se una parte del denaro è messo da parte per Anna Lou e i due fratellini, i piccoli gemelli che giocano sotto un albero di Natale che i Kaster decidono di non togliere fino al ritorno della figlia…

Vogel entra a casa Kastner sapendo esattamente cosa fare; l’unica crepa nella sua armatura è causata da un braccialetto. Anna Lou è solita confezionare braccialetti di perline per le persone a cui vuole bene… e Maria Kastner mette al polso dell’agente speciale uno di quei preziosi oggetti come un pegno, un pesante fardello… o forse un brillante orpello che sarà molto utile ad attirare le gazze ladre.

I braccialetti di Anna Lou sembrano l’unica presenza della ragazza: avranno a che fare con un’altra sedicenne… Priscilla, con un ragazzo problematico armato di telecamera, con un gatto rosso e marrone. Il polso è il luogo anatomico dove tutti dobbiamo porre attenzione… anche il Diavolo, anche il Mostro.

Acciuffare un mostro è la missione di Vogel, anzi più che prendere il mostro è importante la cesellatura perfetta di ogni particolare di questo e la sua MESSA IN SCENA. L’agente speciale è chiaro:

“La giustizia non fa ascolti. La giustizia non interessa a nessuno. La gente vuole un mostro… E io le do quello che vuole.”



IL BISOGNO SOCIALE DI IDENTIFICARE UN MOSTRO


La gente, secondo Vogel, ha la necessità di ricollegare un evento scioccante e negativo a un colpevole. Il colpevole deve essere trovato e subito. Il colpevole, la calamità, il mostro devono essere riconoscibili e identificati come qualcosa di “altro” dalla vita delle persone, dal noto e dal classificato. Il mostro viene immaginato come tale: come qualcosa di difforme dalla consuetudine della natura, della società. La vittima appare meno importante, poi se di vittima non si può parlare… perché ancora non si è trovato un corpo… l’incertezza rende tutto il processo estremamente urgente.

Tutti sembrano normali e noiosi ad Avechot, tranne l’elegante agente speciale che tratta tutti con la superiorità delle sue mezze frasi che elargisce con avidità, tranne quando è davanti alla lucina rossa di una telecamera. Il circo di Avechot diventa sempre più grande e le attrazioni saranno molteplici: un agente mandato da lontano con una vita familiare ordinaria fatta di moglie, figlio in arrivo… vestiti scarsi e a buon mercato; una giornalista senza scrupoli dal fascino tagliente e la passione segreta per fumo e alcool; e un’attrazione grigia, anzi forse marrone… verde sbiadito: l’insegnante Loris Martini.

Il professor Martini è una persona, una brava persona… un uomo buono che sopporta il passato tradimento della moglie e una figlia scontrosa. Martini è scappato con tutto il suo bagaglio emotivo e parentale ad Avechot solo da poco tempo. Il professore guadagna poco e parla ancora meno… e l’unica luce che accende il suo petto vestito di velluto a coste è la moglie Clea. Lui farebbe qualunque cosa per Clea… qualunque cosa.

Tutti sembrano lenti intorno alle veloci mosse di Vogel, intervallate dalle comparse dell’agente Borghi che da scudiero riserverà un certo numero di soprese… infatti tutti piano piano iniziano a pensare e agire più velocemente. Tutti hanno un piano, davvero tutti, non solo Vogel. Più che di piani si potrebbe parlare di scopi.

Anche Loris Martini deve trovare una soluzione; anche lui sarà raggiunto dallo sguardo famelico della telecamera… in particolare il suo vecchio fuoristrada bianco.

La cronaca della vicenda di costringe a spingerci avanti e indietro tra i ricordi di Vogel raccontati a Flores, gli sviluppi della passata indagine sulla scomparsa di Anna Lou, la vita della ragazza prima del 23 dicembre… e la scoperta del mostro.

 Un mostro viene pescato da Vogel, e tutti vogliono banchettare con quella prelibata preda. La pesca è un’attività di  pazienza e metodo, come ciò che Vogel riesce a perpetrare con sicurezza. Il mostro non è l’unico trofeo che possiamo guardare tra le pagine del romanzo: più volte si parla di trote iridee campeggianti sulle pareti dello studio di Flores. La trota in questione è un esemplare particolare che presenta una sfumatura rossiccia sui fianchi e numerosi puntini neri sulla pelle. Anna Lou ha i capelli rossi e le lentiggini… sia le trote iridee che la ragazza hanno delle particolarità assai vistose. La sedicenne però non possiamo guardarla come si può fare con quei pesci, tutti uguali, appesi nello studio del dottor Flores.

Forse Anna Lou non è stata la sola ad essere risucchiata dalla “nebbia”.

Non ci resta che assistere allo spettacolo e usufruire degli effetti balsamici che una tragedia ha sui suoi spettatori: pare che un evento terribile, che non accade a noi in prima persona, ci faccia godere di più di ciò che abbiamo. Qualcuno però deve essere sacrificato: la vittima? il mostro? o chi subisce la tragedia in questione?

Tutto è così ingannevole quando si viene accecati dalla certezza, dalla VANITÀ.

“Il peccato più sciocco del diavolo è la vanità”


LA RAGAZZA NELLA NEBBIA NELLA VERSIONE CINEMATOGRAFICA


Carrisi lavora alla regia e alla sceneggiatura dell’adattamento cinematografico del suo romanzo. Nel 2017 il film esce nelle sale. La pellicola guadagna diversi premi tra cui il David di Donatello a Carrisi per regia e sceneggiatura.


La versione per il grande schermo ha un asso nella manica: Toni Servillo nei panni dell’agente speciale Vogel.

Toni Servillo è la personificazione perfetta di Vogel: ha un viso che considereremmo comune, non certo bello… ma la sua sicurezza riesce a farci amare e odiare ogni suo gesto, passo o parola. Vogel nel film è gigantesco: fagocita  molti eventi del romanzo e fa spostare alcune azioni e snodi. Alcune decisioni che nel romanzo vediamo prese e portate avanti da un personaggio… nel film vengono ricondotte a Vogel. Toni Servillo è sempre in primo piano, è ben visibile e sovrasta tutte le altre figure che sembrano “spalle” ottimamente funzionanti.

Avechot stesso perde molte delle sue peculiarità e storie. Non si fa riferimento alla miniera di fluorite, viene appena citato il CIMITERO: un luogo che nel romanzo ha la singolare funzione di centro gravitazionale di tutto ciò che è segreto, forse deplorevole… i morti ad Avechot sembrano come non esistere. La morte stessa sembra non essere mai stata metabolizzata in quel paese dove non succede mai nulla, o almeno dove non accadeva mai nulla. Questo aspetto viene evidenziato sia nel romanzo che nel film: Flores è necessario ad Avechot per colpa dei suicidi. Quando la vita è troppo tranquilla si perde la fisiologica paura della morte… e questo destabilizza la stessa vita.

Nella versione cinematografica Anna Lou è la prima sagoma che il telespettatore vede; ma è nella nebbia, è prospettivamente lontana e in silenzio. L’unico che è sempre ben inquadrato e presente è Vogel.

In realtà c’è un uomo che si contende la ribalta con l’agente speciale… non il ben noto Jean Reno che interpreta il dottor Flores, il quale sembra solo un’altra cornice senza sfondo… ma il professor Loris Martini.

Il professore occupa la seconda metà del film; lui e il suo fuoristrada bianco. Lui è il secondo centro della storia. Vogel e Martini sono i duellanti di una sfida che sembra avere senso solo per l’agente speciale. In realtà i due si incontrano ben poche volte… ma decisive.

Guardando il film si viene avvolti dalla pesantezza di un verde cupo e di un marrone legno che sembrano i paramenti di un palcoscenico. Tutto appare un po’ teatrale: anche Maria Kastner con il suo forte accento e la ricrescita di capelli bianchi sulla testa sempre più visibile. Tutti i maglioni troppo larghi ed infeltriti di Avechot sono un po’ il simbolo dell’anonimato che avvolge alcuni personaggi.

Nel romanzo ogni nome e cognome ha la sua storia, il suo microcosmo e i suoi gesti: Bruno Kastner guarda vecchie foto e ha pensieri propri… nonostante la moglie; Priscilla ha una doppia vita; il procuratore è un intoppo per Vogel, da spostare in continuazione; Clea Martini segue con ardore e dolore la vicenda di Anna Lou, perché è una madre di una figlia anagraficamente vicina alla “vittima”; un ragazzo di nome Mattia viene nominato più e più volte da diverse persone… nel film se ne parla poco, e principalmente è tutto ricondotto a Vogel e alle sue scoperte, domande e stratagemmi. Ogni personaggio del libro ci viene fatto conoscere. Nel film le personalità sono abbozzate e certe cose dobbiamo cercare di capirle notando dei piccoli  particolari e vezzi del regista… dopotutto i tempi cinematografici sono quelli che sono.

L’ultima parte della vicenda è, secondo me, il punto dove si gioca l’osservazione della narrazione romanzesca e cinematografica. Lo spettatore alla fine “vede”, e gli occhi si riempiono di rabbia… anche verso colui che ha partorito questa storia che inevitabilmente ci irriterà in più punti. Il lettore alla fine “ascolta”, chi ascolta? Finalmente ascolta le parole di Anna Lou; anzi devo dire che la ragazzina non sarà la sola che dovremo ascoltare obbligatoriamente…

Io l’ho fatto dolorosamente.

Un thriller come tanti? Beh…

“La prima regola di un grande romanziere è copiare”

Siete così sicuri, pieni di vanità da pensare che tutto sia già chiaro e limpido? Sarebbe un grande errore per il Diavolo uscire allo scoperto così presto; è anche vera un’altra cosa:

“Che gusto c’è ad essere il diavolo se non puoi farlo sapere a nessuno”


Buona visione… o buona lettura.