domenica 10 maggio 2020

“TOTUS MUNDUS AGIT HISTRIONEM

IL TEATRO ELISABETTIANO E GIACOMINIANO

E

 IL “GLOBO” RAPPRESENTATO DAI DRAMMI SHAKESPEARIANI

TOTUS MUNDUS AGIT HISTRIONEM

Img. Pixabay

Shakespeare emerge come autore all’interno di una galassia semantica e culturale complessa.
Oggi i modi scenici sono profondamente cambiati, come anche le condizioni caratterizzanti il lavoro del palcoscenico. È naturale pensare i personaggi muoversi e dar vita al testo secondo ciò che conosciamo. Il teatro ai tempi del “Bardo di Avon” era un cosmo diverso dagli scenari che nella mente ci costruiamo e mettiamo in movimento leggendo un suo dramma, e lontano da ciò che i nostri sensi vivono in una rappresentazione contemporanea.

I testi stessi di Shakespeare furono condizionati dalle convenzioni del teatro elisabettiano e giacominiano. Per comprendere quei testi, per afferrarne a pieno i modi e i contenuti, dobbiamo situarli in uno specifico ambiente artistico e fisico. La configurazione spaziale, temporale e culturale fu ciò che permeò ogni dramma dalla concezione, alla realizzazione… alla resa e percezione.

Il lasso temporale parte dal regno di Elisabetta I (1558-1603), attraverso quello di Giacomo I (1603-1625)… fino alle profonde crisi politiche, sociali, spirituali e anche culturali del regno di Carlo I (1625-1649).

Fare teatro era “rivoluzionario”, era un’attività che infastidiva molti e fu soggetta a molte regolamentazioni: ricordiamo che nel 1642, alla fine, arrivò la chiusura dei teatri dopo anni di intolleranza da parte della borghesia puritana; questo alla vigilia della Prima Rivoluzione Inglese.

Il primo teatro  ̶  vicino a quello che oggi potremmo considerare tale  ̶  fu costruito nel 1576 fuori dal centro storico di Londra: il The Theatre. Poi venne il The Globe che sfortunatamente andò a fuoco, per un incidente, nel 1613, e fu ricostruito poco lontano dal luogo originario solo tre secoli dopo e inaugurato nel 1996.


SHAKESPEARE “UOMO DI TEATRO”

                                                            William Shakespeare, John Taylor (?), inizio XVII sec.

Negli anni ottanta del 1500 sono riscontrabili le prime testimonianze dello “Shakespeare attore” presso la compagnia Lord Chamberlain’s man. Come drammaturgo ci è noto dal 1592… i suoi drammi sono quindi il frutto della sua esperienza come professionista della scena. Shakespeare era anche tra i proprietari del Globe Theatre, e di quest’ultimo come del BlackfriarsTheatre era anche azionista: sharer.

Allora non esisteva il copyright e i copioni venivano venduti alle compagnie alle quali il drammaturgo cedeva l’opera per un forfait. Ciò non significa che Shakespeare non fosse attento al lato economico: aveva da perdere sotto molti punti di vista da un fallimento… a ragione della sua presenza a tutto tondo nella scena del teatro elisabettiano. A tale proposito ci sono molte testimonianze riguardo cause legali verso inquilini morosi: Shakespeare aveva molti interessi economici che curava con dovizia.


LA FRUIZIONE DEI DRAMMI

Shakespeare sposava in toto le ragioni della scena per rendere le opere accessibili a tutti: dalla ricchezza intellettuale e retorica apprezzabili da una ristretta cerchia, alla presa in considerazione delle condizioni e delle modalità di istruzione delle masse e all’attitudine delle percezioni di quest’ultime. L’istruzione presso le grammar schools, presso cui aveva studiato anche Shakespeare presso Statford, predisponeva ai modi della retorica… specialmente si aveva bene a mente le strategie e l’importanza dell’elocutio: della persuasione. Anche i sermoni religiosi erano piuttosto lunghi quindi si può dire che nel periodo storico dove i teatri, nonostante mille difficoltà, diedero vita alle messe in scena più note e fondanti si era mentalmente e sensorialmente pronti a spendere una grande quantità di tempo per “ascoltare”qualcosa.

Si usava dire “Hear a play” ossia “ascoltare un dramma”; si puntava così a soddisfare non solo l’occhio ma anche a coinvolgere le orecchie degli spettatori. La poesia e l’azione scenica vengono così a compenetrarsi e a influenzare i testi e le scelte dei drammaturghi e dello stesso Bardo.

Ogni pagina scritta nasceva in relazione alla compagnia e alla struttura scenica di destinazione.


TEATRO COME DOMINIO DELL’ATTORE

I personaggi stessi inventati dal drammaturgo venivano pensati per specifici attori, nel caso di Shakespeare per determinati personaggi dei Chamberlain’s Men o dei King’s Men. Amleto fu scritto, cesellato e cucito per l’attore Richard Burbage.

Anche lo spazio fisico era una condizione tenuta in considerazione con molta attenzione, in primo luogo il teatro “pubblico”, all’aperto, appartenente alla compagnia di Shakespeare.

La forma del teatro pubblico elisabettiano incise sugli aspetti esteriori e meccanici dell’intera messa in scena, a partire dal numero dei personaggi fino alla loro disposizione. Le ragioni profonde della drammaturgia shakespeariana risiedevano proprio in tutto questo.

Harold Bloom sostiene che Shakespeare abbia inventato “l’uomo moderno”, così, tout court: l’esplorazione della soggettività umana, in realtà non sarebbe stata possibile senza quel particolare veicolo teatrale.

Il soggetto era AL CENTRO. Ogni gesto, intonazione o uso della voce, costume... ERANO LO SPETTACOLO!

Era tutto nell’azione: ogni battuta costruiva il personaggio e l’ambiente e il tempo. Nel teatro elisabettiano la scenografia era pressoché assente e spettava all’attore la costruzione del contesto, le suggestioni materiche di qualcosa che materialmente era quasi invisibile.

Tra attori e pubblico vi era un tacito patto: i segni teatrali erano il simbolo di una realtà immensamente più vasta.


LA STRUTTURA

Il palco era aggettante: il thrust stage era, relativamente, senza ostacoli. Gli unici aspetti fissi erano la frons scenae, il fondo della scena, ornato di pitture… e al cui interno si aprivano due o tre porte di ingresso e uscita; i due pilastri di legno che simulavano colonne di marmo che sostenevano il tetto sopra il palco. Forse tale organizzazione era l’evoluzione degli spazi informali di piazze e cortili delle taverne, utilizzati in precedenza per le rappresentazioni e che richiamavano aspetti del teatro greco-romano.

All’attore era destinata l’intera responsabilità di essere la FONTE dell’attrazione del pubblico. Il teatro era un teatro di AZIONE SCENICA e di PAROLA. Il lavoro del drammaturgo concepiva la poesia che acquistava braccia e gambe attraverso la “possessione” dell’attore. Anche se le genti erano avvezze all’ascolto, come già detto, le rappresentazioni erano brevi rispetto ai tempi contemporanei: la durata di uno spettacolo era di circa due ore e ciò era reso possibile da tagli e una certa rapidità di recitazione aiutata dall’assenza di scenografia.


IL TEATRO COME IL MONDO, IL MONDO COME UN TEATRO

Ciò che caratterizzava i teatri ai tempi di Shakespeare era soprattutto la MULTIDIMENSIONALITÀ.

Il Globe era largo circa 15 metri e profondo 8: una straordinaria ampiezza di certo. Queste misure erano il contenitore abile a ospitare tutti gli attori di un dramma che spesso si dovevano trovare in scena contemporaneamente… perché il tempo e lo spazio si sovrapponevano in una disposizione che oggi avremmo difficoltà a comprendere ma che all’epoca era consueta e straordinariamente funzionale.

Ricostruzione del Globe Theatre, realizzata da Joseph Q. Adams nel tardo XIX secolo. P
Ph. by Folger Shakespeare Library which was uploaded on February 7th, 2017.

Una compagnia poteva essere composta dai 14 ai 18 attori. A volte personaggi che erano in “luoghi” diversi si trovavano sul palco in contemporanea. Solo il tiring house, lo spogliatoio, era l’altro luogo in cui gli attori si avvicendavano nell’alternanza delle entrate e delle uscite.

I plays elisabettiani non erano divisi in atti e scene: ciò era determinato dall’avvicendarsi dei personaggi sulla scena. I gruppi di attori in entrata e in uscita erano invisibili tra loro… e questo era assolutamente consueto per chi assisteva, e per chi doveva scrivere la storia… che nel caso di Shakespeare è diventata “storia” nel senso più ampi del termine.

In Hamlet, nella scena quarta del primo atto, il fantasma conduce Amleto lontano da Orazio e gli altri presenti uscivano da una porta per rientrare subito da un’altra entrata. Ogni porta era un “passaggio” non solo spaziale ma ideologico e narrativo.

Anche la DIMENSIONE VERTICALE aveva un ruolo fondante e assai suggestivo e stuzzicante.

Il palco era sollevato di circa un metro e mezzo e vi era, quindi, un sottopalco. Questo particolare probabilmente era un retaggio dei pegeant… carri tardomedievali utilizzati per la performance in piazza dei morality plays e dei mistery plays: in entrambe le rappresentazioni il sottopalco aveva una finalità simbolica. Quell’area sottostante era per così dire… OFF LIMITS: vi abitavano diavoli e spiriti maligni che entravano e uscivano tramite una botola. La sopravvivenza della simbologia religiosa nel teatro laico è innegabile. Gli attori elisabettiani continuavano a battezzare la zona come HELL (inferno), anche dove non aveva un ruolo diretto. Il soffitto del palco, decorato con costellazioni e pianeti, veniva invece familiarmente chiamato HEAVEN (paradiso).

Il dramma shakespeariano rappresentava l’uomo nel suo dibattersi tra il “cielo” e la “terra”… sospeso tra “inferno” e “paradiso”.

Il nome del secondo teatro della compagnia di Shakespeare, THE GLOBE, allude alla nozione di THEATRUM MUNDI: un teatro del mondo intero era lì dinanzi allo spettatore, all’uomo. Su quelle tavole si poteva viaggiare nel tempo e nello spazio e tutte le tipologie umane e psicologiche potevano essere rappresentate, da uomo a uomo… da bocche parlanti a orecchi attenti.

Il motto sovrastante la porta del teatro di Shakespeare recitava: “TOTUS MUNDUS AGIT HISTRIONEM”… e per capirne la traduzione simbolica e non letterale… basta ascoltare le parole di Jacque in As you lik eit: “tutto il mondo è un palcoscenico”. Il globo gioca a fare l’attore… o il globo crea l’attore?


PICCOLI RIFERIMENTI

Amleto è attanagliato dal dubbio sulla natura dello spettro paterno… si potrebbe pensare che non  si dovrebbe aver timore e provare solo gioia nel rivedere un “caro estinto”… beh così non era per le credenze dell’epoca e nello specifico ci interessa ciò che suggeriva la messa in scena. All’inizio del dramma Bernardo si accingeva a narrare la comparsa del fantasma avvenuta prima, dopo ovviamente l’invito agli spettatori a sedersi e a guardare in alto… lo spettro si manifestava attraverso la botola.

Shakespeare giocava magistralmente con le percezioni del pubblico e con le convenzioni del teatro… e tutto creava emozioni disturbanti che non sempre possiamo rievocare leggendo le parole del “Bardo” su un volume… e oggigiorno si sa quanto sia libera l’interpretazione della realizzazione di un testo teatrale.


In questo caso specifico, credo che conoscere questi particolari storici possa davvero farci apprezzare le sapienti “prese in giro”… assolutamente serie…  che Shakespeare utilizzava per uno studio psicanalitico non solo dei personaggi ma degli stessi spettatori.