mercoledì 6 gennaio 2021

LA VECCHIA DEI CAMINI. Vita pubblica e segreta della Befana

 

Di CLAUDIO LAPUCCI (Saggistica Breve per Graphe.it Edizioni)

“Viene la Befana,

vien dai monti a notte fonda.

Com’è stanca! La circonda

neve, gelo e tramontana.

Viene viene la Befana”

(Dalla poesia LA BEFANA di Giovanni Pascoli)

Ph Francesca Lucidi

INTRODUZIONE AL SAGGIO

Edito nel 2018, un piccolo saggio che propone un discorso sui significati e le tradizioni dell’Epifania, ormai sempre più legata alla figura della Befana e meno identificata esclusivamente con il valore che riveste per la Cristianità. Il tutto in meno di cinquanta pagine. Un breve sguardo per i curiosi, per gli amanti della storia; o semplicemente per gli affezionati della nostra cara Befana. C’è chi crede nella magia, o chi la vuole confutare… beh tutto questo gruppo di lettori variegati può trovare non pochi spunti dalla nutrita bibliografia. Le pagine di Lapucci sono un inizio, uno sguardo multidirezionale che può farci giungere in case di Orchi o in boschi “infestati” dalle fate (sì, infestati). Una lettura che si interrompe per un rumore furtivo o un’ombra che sfugge da un pertugio. Vecchi rancori della storia per chi fece del male, o non fece del bene, e forse diventò la Befana. Si cita la nonna di Nerone, Il Cireneo; la moglie di Pilato che espiò anch’essa. A proposito… molti monti della Alpi portano il nome di Pilato, c’è chi dice che proprio lì trovò esilio. Attenti alla buona cura, anche verso gli animali: essi tra loro parlano e svelano le nefandezze dei padroni, alla Vigilia di Natale e per altri nella notte dell’Epifania. Le filastrocche raccontano di consuetudini, timori e insegnamenti che all’uomo servono e che la Befana circondano per farne il vessillo; e vi riporterò spezzoni presi dal testo, mi sono piaciute immensamente queste interpolazioni: l’odore del folklore e del camino che ti entra nel naso, mentre il pane riempie l’aria e le cose di una volta tornano a parlare con forza. Un merlo, un gatto o un moscardino… da vicino il mondo che non notiamo ascolta e vede; sta a noi esser giusti e gentili. Dopotutto il dolce sapore del dono ricevuto fa lo stesso effetto di quando si masticano parole gentili o si portano alla bocca le mani degli altri per accoglierle e baciarle, anche simbolicamente.

Documenti storici e “Befanotti”, burle e vendette per il tirchio. Aria di Carnevale… e no è un caso. Portiamo in trionfo la Vecchina, il simbolo dell’eredità, del rinnovamento e del bilancio; la giustizia umile, il dono e il monito. Credere nell’invisibile aiuta a non abituare gli occhi solo a quello che ci si para davanti, a non essere schiavi di un progresso che priva di retaggi o di consuetudini che permettono aggregazione, insegnamento e, perché no, una bella dose di divertimento. Ma voi sapete dove abita la befana? Pare che in Toscana qualcuno sia stato a casa sua, ma una volta visitata la casina “magica” è impossibile ritrovarla. Il luogo, quasi esatti, ve lo svelerà la lettura.

LA BEFANA: GUARDANDO DA OGNI LATO, ASCOLTANDO OGNI ANTICO BISBIGLIARE

La Befana è un essere antico, una forza ancestrale che nasce come personificazione della natura, nelle apparenze più povere, semplici. Dall’amabilità delle tradizioni contadine inizia a prendere i connotati bonari: una vecchia che porta i doni di notte, e conosce le verità dei cuori e trascina via con sé feste ed energie dell’anno passato. Una nuova opportunità, seguita a un monito che può avere la sostanza del carbone, l’odore dell’aglio o della cipolla, l’inconsistenza penetrante della cenere.

È innegabile che siamo affezionati alla Befana; alla sua soppressione della festività, decisa nel 1977, la gente non reagì bene… nel 1985 fu ristabilito “l’ordine naturale” e la Befana tornò.

Ma come è fatta la Befana? Sappiamo che veste mucchi di panni rattoppati, ciabatte o scarpe rotte. Ha il naso adunco e la pelle rugosa; è piegata dagli anni ed è schiva e silenziosa…  ma badate che tutto vede e ascolta, sempre. Meglio non sorprenderla durante il suo lavoro: oltre a scappare non tornerebbe mai piu! E qui la tradizione è una legge, non una diceria. Nella sua umile solennità, la vecchina è accompagnata da un bastone o gerla; si serve di una scopa o un ciuchino per attraversare lo spazio e caricarsi di doni o oggetti simbolici. Vive in luoghi remoti, per lo più in cavità delle montagne, nei boschi… e per questo è amica dei boscaioli. Frequenta le carbonaie ed è sempre ricoperta di fuliggine. Lei sa che nell’uomo non alberga solo il bene; pare, addirittura, che durante l’anno cammini sui tetti delle case, di notte. Lei ascolta e conosce le azioni dell’uomo, non solo dei bambini. Questa energia perpetua, che lei rappresenta, porta con sé l’anima pagana della ritualità naturale: ogni cosa vivente si spoglia della vecchia vita.

Non è un caso che sia legata al focolare; c’è da dire che anticamente le case erano molto basse e le canne fumarie potevano permettere a un uomo alto di trovarsi con la testa nel cielo e sotto le stelle.

Il saggio ripercorre tradizioni passate di porta in porta, da focolare in focolare; perché è proprio quest’ultimo luogo a rappresentare il cuore della famiglia, la sacralità della casa, e l’agente magico e purificatore delle mura domestiche.

Molte altre sono le usanze legate al fuoco; è da ricordare il CEPPO: la parte del tronco che sta tra le radici e la parte dell’albero che si dirama. La simbologia richiama il punto di unione tra cielo e terra. Si soleva scegliere un ceppo e bruciarlo alla Vigilia, per alcuni doveva durare fino a Capodanno, per altri doveva arrivare fino all’Epifania. Questo pezzo di legno veniva persino benedetto o ornato; il saggio cita numerose consuetudini legate a località disparate, anche lontano dall’Italia. In alcuni angoli della Francia si soleva conservare parti del Ceppo: nel caso si fosse cambiata abitazione, schegge venivano bruciate nel nuovo focolare e altre parti venivano sepolte lungo i muri esterni. Da noi è conosciuta persino una AVEMMARIA del Ceppo. Fuoco e cenere, vecchiaia… il senso e il significato della morte sono fortemente legati alla magia purificatrice e istruttiva che circonda il folklore di molte notti di festività.

E Gesù Bambino? Il suo culto fu introdotto nel XII secolo; anche in questo caso si pensava potesse proteggere le case, e un bambinello veniva sotterrato nelle fondamenta delle abitazioni. Ma il ruolo della Vecchina pare il più antico e longevo: nella COROGRAFIA FISICA, STORIA, STATISTICA DELL’ITALIA dello ZUCCAGNINI il bambinello non compare nella veste di portatore di doni; contando che il trattato è vastissimo e copre il periodo che va dal 1835 al 1845.

Neanche I RE MAGI hanno offuscato la funzionalità della figura della befana e le sue simbologie: i fantocci a forma di vecchia bruciati come buon auspicio; ciò nel corso del tempo, dato che prima si facevano solo dei grandi falò e la direzione del fumo veniva ben guardata per prefigurarsi il raccolto futuro. La befana è un sacrificio della vita, è anche energia che si estingue per ritornare. È eredità, simboleggiata dai doni; è il raccolto che l’uomo fa di ciò che ha prodotto durante l’anno in termini di azioni buone. I MAGI rappresentano più la regalità del divino, la Befana la vita semplice e la povertà; non dobbiamo stupirci che le genti si siano maggiormente riconosciuti in essa. RE portatori di doni e Vecchina hanno in comune la capacità di fare un viaggio lungo in breve tempo; è da ricordare, però, che i Magi hanno impiegato tre giorni per giungere al Salvatore e numerosi anni per tornare a casa. Lapucci ci indica come più completa storia dei Re Magi l’opera di GIOVANNI HILDESHEIM, carmelitano tedesco del XIV sec.

LA BEFANA E IL CARNEVALE: CORTEI E MASCHERATE

Le celebrazioni popolari raccontano di numerosi cortei, di trionfi grotteschi. I fantocci del Carnevale e le “vecchie” da bruciare; in entrambi i periodi si prefigura un ordine nuovo e una diversa stagione. Lapucci ricorda la descrizione delle feste legate alla Befana dell’Abate Gaetano Buganza che, nelle POESIE LATINE (1786), racconta delle strade di Firenze zeppe di gente che canta, urla e fa schiamazzi; mentre una Befana viene portata in trionfo su una sontuosa carrozza. Le persone brandiscono una scopa, e la “nobile” figura sorride.

Il saggio ci parla di cortei, in alcune località ancora praticati, nei quali comitive mascherate battevano le vie paesane, le case poderali, le fattorie; anche i luoghi dove si lavorava anche di notte, come i frantoi. Questi gruppi cantavano e portavano allegrie e buon augurio; manifestazioni associabili alle questue della notte della Vigilia di Natale, con differenziazioni per territori e periodi storici. La Befana spesso accompagnava questi figuri mascherati, tutti recitavano esilaranti scenette nelle quali la trama era quasi sempre la stessa: una giovane deve maritarsi, la Befana vuol rubargli l’amato e nasce una baruffa che porta la Vecchina a un malore o addirittura alla morte. Interviene il dottore che prescrive salsicce, dolci e vino… ed ecco che avviene la resurrezione con annessa raccolta dei beni salvifici. Non essere visitati era quasi un affronto, non rispondere alla “bussata” implicava reazioni verbali niente affatto gentili. L’Italia centrale lascia diverse testimonianze in merito a questa usanza; la bibliografia chiarifica fonti interessanti.

CHI ERA LA BEFANA? NOMI FAMOSI ED ESPIAZIONI

Si narra che Ponzio Pilato e sua moglie, Claudia Procula, andarono in elisio nelle Gallie o sulle Alpi. Lui morì e la donna espresse la volontà di espiare la colpa del consorte che mandò a morte il Salvatore con la sua indifferenza. Claudia divenne la custode delle anime dei bambini non battezzati, che sarebbero rimasti con lei fino al Giudizio e oltre, in un giardino fiorito. In Alto Adige si racconta che la consorte di Pilato fosse diventata una specie di fata, chiamata Frau Brechta. In altre tradizioni religiose si parla di un pentimento di Pilato, il quale è anche stato fatto santo dai Copti, i Cristiani d’Egitto.

Il Saggio cita diverse “trasformazioni” in qualcosa di simile alla Befana. È chiamata in causa anche la nonna di Erode. In Trentino, invece, la consorte Erodiade pare si fosse trasformata in fata; viene chiamata Redòsega o Redòsa, dal numero “dòdese” (dodici) perché pare appaia a mezzanotte.

Elementi che intrecciati tra loro avrebbero contribuito a formare e arricchire la figura della Befana, con le sue caratteristiche.

L’ELEMENTO MAGICO

Nel MALMANTILE (1668) di Lorenzo Lippi, Il Minucci nelle note parla della Befana come di uno spauracchio usato per spaventare i bambini. Addirittura, pare esistessero due figure: una buona e una cattiva.

Il Nieri ci parla di fate, lontane dall’immagine fiabesca a noi nota. Le fate possono essere buone o cattive, passano per le abitazioni e non amano le persone poco gentili. In Abruzzo, nella cittadina di Penne, si narra di una fata vestita di celeste con un cappello a cono sulla testa… attenzione, non fa magie ma si siede su di voi mentre dormite per rubarvi il respiro. Le fate della tradizione hanno un viso rugoso e non affascinante, e sono piuttosto vicine al mondo delle genti, osservando.

La Befana pare una strega, ma ha mantenuto i connotati assolutamente buoni e positivi. Come una strega vive da emarginata. In Toscana si narra che un filo di fumo si possa intravedere tra monti e cime degli alberi; la tradizione locale è chiara: la Befana abita a Coldevento. Piccole tracce, modeste entrate; se si fa attenzione si può accedere alla casupola della Vecchina, posto che presenta anche un magazzino colmo di giocattoli e carbone. La leggenda, però, racconta che se si vuole ritrovare l’abitazione della Befana una seconda volta resteremmo delusi, è impossibile. Dimenticavo che la Befana ha altresì fieno e stalle per nutrire e accogliere i ciuchini che lavorano per lei.

In merito agli animali si sussurra molto: le spie della portatrice di doni o rimproveri silenti sono molte. Corvi, merli, gatti e topini; queste bestiole sono spesso associate anche alle streghe, nel nostro caso fanno da informatori per distinguere i buoni e i cattivi. Una leggenda narra che alla Vigilia di Natale, o nella notte dell’Epifania, gli animali parlino tra loro. Sempre in Toscana, i bovi direbbero così:

«Biancone!»

«Nerone!»

«Te l’ha data la ricca cena il tuo padrone?»

«No, non me l’ha data»

«Tiragli una cornata!»

L’origine della credenza sarebbe da attribuire a una distorsione popolare delle profezie messianiche che la Chiesa legge nella liturgia natalizia. In particolare, quella di Isaia (11-6,8):

“Il lupo dimorerà con l’agnello;

il leopardo si sdraierà accanto al capretto;

il vitello e il leoncello pascoleranno insieme

e un piccolo fanciullo li guiderà.

La mucca e l’orsa pascoleranno insieme;

i loro piccoli si sdraieranno insieme.

il leone si ciberà di paglia, come il bue.

il lattante si trastullerà sulla buca della vipera;

il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso”.

Il saggio è acquistabile ad un prezzo di un euro e novantanove, se vorrete avere spunti curiosi il testo potrebbe essere una breve lettura stimolante.

Vi lasci con la parte finale di una canzone sui Magi e l’Epifania, raccolta nel Mugello:

“Buona gente, è qui finita

questa storia se è gradita,

tocca a voi or farvi onore

per la festa del Signore.

 

Gira, gira padroncina,

la dispensa e la cucina,

anche voi girate, sposa,

e donateci qualcosa

per far festa in allegria

per la Pasqua Befania.”

 

L’elemento Pasquale non può che richiamare la rinascita auspicata da tutte le tradizioni che hanno amato, e amano, celebrare la morte invernale della natura.