giovedì 24 settembre 2020

POESIE di Giorgio Caproni



BIOGRAFIA E PRIMI SGUARDI AI SUOI VERSI


Giorgio Caproni
nasce a Livorno il 7 gennaio del 1912, da Attilio Caproni e Anna Picchi. La città di nascita resterà sempre nelle memorie personali e letterarie dell’autore: evocandosi dal ricordo degli affetti primigeni e trasfigurandosi nei suoi versi allegorici, ben radicati in immagini quotidiane, nitide e al contempo evocative.

Anna Picchi è una sarta e sa suonare la chitarra e il mandolino. La musica sarà un’eredità importante per il giovane Caproni; infatti anche il padre è dedito alla musica: Attilio Caproni suona il violino… ed è anche un appassionato di Dante, in particolare della Divina Commedia, che acquista in edicola in dispense. Questi piccoli particolari diventeranno le radici culturali ispiratrici di Giorgio Caproni.

Le difficili condizioni economiche della famiglia, causate dall’arruolamento di Attilio nella Prima Guerra Mondiale e dai tumulti sociali che prepareranno il terreno per l’ideologia fascista, costringono la famiglia a trasferirsi presso i quartieri più popolari. Per un periodo coabitano con una coppia di lontani parenti, fatto assai normale in un’Italia sofferente.

Nasce la terzogenita Marcella, successiva a Giorgio. La famiglia si trasferisce prima a La Spezia e poi a Genova, una città che si imprime nell’animo dell’autore che dichiarerà: “Sono io che sono fatto di Genova”.

Giorgio aveva iniziato gli studi elementari a Livorno e li completa a Genova. Si iscrive, poi, alla Scuola Tecnica Antoniotto Usodimare. Il padre incoraggia il figlio a studiare violino. A tredici anni, Giorgio si diploma in composizione all’Istituto Musicale Giuseppe Verdi. Di notte… suona nell’orchestrina di un dopolavoro. A causa della propria indigenza, Giorgio deve interrompere la formazione musicale e inizia a lavorare: farà anche il fattorino per uno studio legale.

La musica resta una base importante dove nasceranno le armonie e le suggestioni sonore e strutturali caratterizzanti le poesie di Caproni.

Giorgio viene contagiato dall’amore paterno per la musica ma anche per la Divina Commedia; inizia ad avvicinarsi alla poesia moderna, letture che definirà “infatuate”.

Nel 1932 invia i primi versi al direttore della rivista genovese I Circoli, i componimenti vengono, però, rifiutati.

Lo stesso anno vede Giorgio arruolarsi nel 42° Reggimento Fanteria di Sanremo. Porta con sé le memorie letteraria abitate da Ungaretti, Montale, Saba. Durante le guardie notturne scrive componimenti, che confluiranno in Come un’allegoria (1936).

Due anni dopo, dopo la fine dell’impegno militare, si prepara da privatista agli esami per la scuola magistrale; un professore antifascista di nome Alfredo Poggi lo affianca e gli permette di approfondire Dante, ma anche Catullo, Virgilio e Lucrezio.

Giorgio riesce a diplomarsi e successivamente prende servizio come maestro elementare a Rovegno, nell’alta Val Trebbia. La carriera di insegnante è molto importante per lo scrittore, e la porterà avanti il più possibile, fino al 1973.

Il giovane maestro, nel suo trasferimento, porta con sé la fidanzata genovese Olga Franzoni, ragazza molto cagionevole di salute. La giovane, purtroppo, muore di setticemia poco dopo. La dipartita della sua amata, occorsa poco prima delle nozze, piega profondamente Giorgio… che la ricorderà per tutta la vita, come fosse un fantasma, il ricordo di una mancanza incolmabile.

“[…] E intanto lenta scaturiva,

dal silenzio infinito, un’altra corte

infinita di brividi sul viso

scolorato toccandoti: ma fu

storia anch’essa conclusa – né ora più

m’è soccorso a quel tempo ormai diviso.”

(Biciclette da Il passaggio d’Enea)

 Però, la vita continua e il giovane si trasferisce a Pavia, sempre per motivi di lavoro. Nella nuova residenza incontra Rosa Rettagliata, che sposa nel 1938. La donna, apostrofata nelle poesie come “Rina”, è l’altro polo amoroso dei versi del poeta: colei che porta con sé una speranza di continuità, di vita che si rinnova e non torna indietro. Rina è l’esistenza quotidiana che va avanti, anche se tra le angustie del vissuto, anche matrimoniale.

Rina è ciò che salva il poeta dal baratro:

“Senza di te un albero

non sarebbe più un albero.

Nulla senza di te

sarebbe quello che è.”

(A Rina, in Galanterie)

Nel 1938, il maestro Giorgio Caproni approda a Roma, alla Scuola Giovanni Pascoli di Trastevere. L’Italia entra in guerra e Caproni viene richiamato alle armi. Partecipa alla Campagna di Francia e successivamente compie diversi spostamenti e peregrinazioni.

Particolarmente importante è l’incontro con il giornalista e scrittore Libero Bigiaretti, il quale lo presenta all’editore Luigi De Luca: Finzioni viene, così, pubblicato.

Lo scrittore Pietro Bargellini, invece, lo presenta all’editore Vallecchi che pubblica a Caproni Cronistoria.

Arriva l’armistizio dell’8 settembre 1943, lo scrittore si trova in congedo dai familiari della moglie. Rifiutandosi di unirsi alla Repubblica di Salò, entra nella resistenza partigiana della Val Trebbia; viene impiegato principalmente in mansioni di approvvigionamento. Lo scrittore dedicherà versi cupi a questo periodo della sua esistenza, come nella raccolta I Lamenti.

Nel 1945 torna a Roma. Cambia più volte casa e alla fine si stabilisce nel quartiere di Monteverde in un’abitazione senza riscaldamenti. Molto vicino a Caproni… vive, in una residenza ben più dignitosa, Attilio Bertolucci.

Lo stipendio da insegnante è troppo basso, e lo scrittore cerca di arrotondare come correttore di bozze di una tipografia. Però, iniziano ad aprirsi le porte dell’ambiente letterario. Inizia a frequentare Attilio Bertolucci e Pier Paolo Pasolini. Il poeta Carlo Betocchi, a cui era stata affidata la trasmissione radiofonica L’Approdo, invita Caproni in radio diverse volte.

Bertolucci diventa il lasciapassare per la casa editrice Garzanti. Cerca anche di far ottenere a Caproni un congedo dal lavoro, ma Giorgio si rifiuta… come farà anche per la possibilità di un posto fisso in RAI.

Tra il 1966 e il 1972, la Rizzoli impiega il Nostro come consulente editoriale. Nel frattempo, si moltiplicano le letture radiofoniche delle sue opere. Caproni lavora alacremente anche come traduttore. Si impegna altresì nell’attività giornalista: collaborerà con importanti testate schierate come l’Unità, L’Italia Socialista… ma lo scrittore non manifestò mai un forte interessamento politico in senso stretto.

Negli anni Sessanta, attraversa un momento di difficoltà a causa di un intervento chirurgico allo stomaco. In seguito, la morta della sorella e del fratello creano un senso di solitudine intorno al poeta. A consolarlo i numerosi inviti all’estero, e i viaggi nei quali viene spesso accompagnato dalla figlia Silvana. A Parigi parteciperà a una lettura di versi con il poeta Mario Luzi. Diverse prestigiose università vogliono guadagnarsi un intervento di Giorgio Caproni: lo scrittore si reca, infatti, all’Istituto Italiano della Columbia University, a Berkeley e a Stanford.

Durante un viaggio in Germania, sempre in compagnia della figlia Silvana, inizia a concepire la raccolta che uscirà poi postuma, Res Amissa.

Il primo gennaio del 1984, il rettore dell’Università di Urbino, Carlo Bo, consegna a Caproni la Laurea Honoris Causa in lettere e filosofia.

Del 1985, è la Cittadinanza Onoraria conferita dalla città di Genova.

Giorgio Caproni muore a Roma il 21 gennaio del 1990, nella casa in via Pio Foà dove abitava dal 1968. È sepolto nel cimitero di Loco di Rovegno, accanto alla moglie Rina.

 

LA POETICA DI CAPRONI… e intensifichiamo i precedenti sguardi già indirizzati

Ph Francesca Lucidi



Versi che si vestono da aforismi, continui enjambement che fanno procedere la lettura scalino dopo scalino. Un orecchio musicale che tramuta la scrittura poetica in partitura. Se guardiamo alla storia creativa della raccolta postuma Res Amissa, possiamo scorgere un poeta che scrive appunti sui righi di uno spartito musicale; se torniamo indietro al Conte di Kevenhüller, dobbiamo avere a che fare con una divisione in “Libretto”, “La Musica” e “Altre Cadenze”. La formazione musicale ereditata dai genitori intesse strutture apparentemente semplici che, però, costruiscono allegorie altissime: stazioni che diventano purgatori, strade che ospitano osterie (come in Borgoratti) circondate da sospensioni in cui i significati restano negli interrogativi che spesso assillano i versi di Caproni. Tutto, però, è reso con parole semplici, motivo per il quale si è parlato impropriamente di “realismo”.

 Il passato del poeta ritorna sempre: la poesia diventa un regno tra la vita e la morte, tra il presente e il continuo tentare di andare avanti guardando all’indietro. Si è parlato di stazioni, sì, un luogo caro al poeta, dove, tra treni e tram, lo sguardo di Caproni vede ciò che esiste infestato da ciò che non c’è più. La morte cammina tra le strade del quotidiano come si fosse in una Commedia Dantesca al contrario. L’eredità del violino, l’eredità di quelle dispense di Dante acquistate dal padre, umile lavoratore. Il movimento del ritorno è sempre presente, nello spettro del primo amore e soprattutto negli incontri con la parvenza della madre Anna, “Annina”.

Chi viaggia spesso in treno ha occasione di vivere spesso l’alba, e molte albe sono scure.

Prendendo ad esempio due componimenti, entrambi illuminati da una nebbiosa alba, si può ben assistere a due forme vocative e di attesa “dichiarate”, diverse ma molto simili.

Il primo, contenuto in Il passaggio d’Enea, e dal titolo Alba, ha intorno diverse supposizioni e contestualizzazioni. È ambientato nella latteria di una stazione, vi è una delle consuete attese del poeta e semplici oggetti e rumori infestano l’aria. In una intervista rilasciata al settimanale Gente, Caproni racconta che si trovava nella latteria per attendere la moglie in arrivo da Genova, dato che a Roma ancora non era pronta un’abitazione consona. Ma dei versi sembrano raccontare un’altra storia. Partiamo dalla metà:

[…] io quale tram

odo, che apre e richiude in eterno

le deserte sue porte? … Amore io ho fermo il

polso: e se il bicchiere entro il fragore

sottile ha un tremitìo di denti, è forse

di tali ruote un’eco.

Nell’ultimo capitolo dell’unico romanzo del Caproni, rimasto incompiuto, intitolato La dimissione, il poeta racconta dei momenti precedenti alla morte di Olga… il suo primo amore. La giovane, presa da un momento di rabbia sommessa, rimprovera l’amato per il modo in cui gli porge il bicchiere d’acqua da lei richiesto. Olga è un tema ricorrente, una presenza che viene inserita cercando di celarne l’identità.

Se si giunge all’ultimo verso del componimento non si può non vedere una delle più ingombranti compagnie dei versi di Caproni, la quale ha tra le braccia sia Olga che Anna:

[…] non dirmi che da quelle porte

qui, col tuo passo, già attendo la morte.

Sì, vi è il gesto semplice di una attesa in un luogo reale, ma i luoghi di Caproni sono descritti come tangibili ma sono luoghi psichici, onirici… varchi oltre la realtà.

L’oltretomba che si mescola agli odori e ai materiali di un posto senza importanza… è evocato, anzi visto, in Ad portam inferi, componimento parte dei Versi Livornesi, dedicati alla defunta madre, contenuti in Il Seme del piangere.

Una donna, apparentemente confusa, siede e, davanti a un cappuccino, cerca di scrivere al proprio figlio… che non riesce a rimembrare chiaramente. Tenta anche di scrivere al marito,e nel frattempo si accorge di non avere le chiavi di casa. Nelle righe per il marito parole di congedo non auliche, ma allegoriche alla maniera di Caproni. La donna ricorda al marito del caffè sul gas, del burro nella credenza; invita il coniuge a fumare meno (forse per lungimiranza data da una nuova condizione ancora non cosciente ma definitiva). Le righe vanno verso il congedo parlando del contatore del gas. Ad un tratto un fremito: la fede al dito non c’è. Il cappuccino è freddo e i ricordi diventano immagini confuse. Il figlio diventa il marito, e questa è una tipica mutazione che si ritrova in molte poesie di Caproni:

Nemmeno sa distinguere bene,

ormai, tra marito e figliolo.

Vorrebbe piangere, cerca sul marmo il tovagliolo

già tolto […]

Alla fine, la potenza dei viaggi di Caproni che sfaldano le lamiere di un tram e di un treno apparenti… e mostrano eternità inquiete, narrano la morte tramite la semplicità dei gesti di una persona che fu viva e che ora è persa, forse non meno dei vivi che lascia.

«Signore cosa devo fare,»

quasi vorrebbe urlare,

come il giorno che il letto

pieno di lei, stretto

sentì il core svanire

in un così lungo morire.

*

Guarda l’orologio: è fermo.

Vorrebbe domandare

al capotreno. Vorrebbe

sapere se deve aspettare

ancora molto. Ma come,

come può, lei. Sentire,

mentre le resta in gola

(c’è un fumo) la parola,

ch’è proprio negli occhi dei cani

la nebbia del suo domani?

Il critico Pier Vincenzo Mengaldi fa notare come l’inattualità della poesia di Caproni, nel contento letterario del suo tempo, rende quei versi “attualissimi”.

Caproni resta in disparte per lungo tempo, e l’attenzione dei critici inizia ad avvicinarsi dopo un articolo di Pier Paolo Pasolini del 1952; possiamo oggi darci la possibilità di esplorare questo sé radicato nella realtà ma assolutamente assente perché trapassa i misteri attraverso gestualità frammentate da un ritmo poetico che incalza tra nebbie, cose isolate e messe lì a contornare una lettura a scalini che scendono o salgono verso il mistero primo, e ultimo della vita.

Un figlio può mutare in un marito, e viceversa, perché le contraddizioni di Caproni permettono rigenerazioni di forme fisiche attraverso la narrazione del ciclo delle cose, anche se siamo piuttosto distratti dal pensiero del gas aperto…

Dopo questi umili cenni, se volete acquistare un volume su Giorgio Caproni vi propongo una raccolta. Grazie alla mia affiliazione con Amazon, se cliccate QUI verrete indirizzati alla pagina dedicata nello shop. Acquistando tramite il mio link sosterrete il lavoro del Penny Blood Blog, il quale potrà ottenere dei compensi virtuali da reinvestire in libri sui quali discorrere insieme.

 

Ph. Francesca Lucidi

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA DELLE FONTI

https://www.ilsommopoeta.it/giorgio-caproni

https://www.academia.edu/31243574/_Alba_di_Giorgio_Caproni_?auto=download

https://www.treccani.it/enciclopedia/giorgio-caproni_res-4f6a36cc-87ea-11dc-8e9d-0016357eee51_%28Enciclopedia-Italiana%29/

https://giugenna.com/tag/res-amissa/

 Giorgio Caproni, I Miti Poesia, Arnoldo Mondadori Editore, 1997.

venerdì 18 settembre 2020

PETALI DI EMOZIONI

UN LIBRO DI STORIE ILLUSTRATE

DELL'EMERGENTE
ANNA ITRI

Ringrazio l'autrice per la copia digitale.

CENNI BIOGRAFICI SULL’AUTRICE

Anna Itri nasce a Napoli nel 1994. Percepisce e manifesta da subito un grande legame con l’espressione artistica tradotta in storie narrate attraverso colori e linee. Si forma come autodidatta, spinta dalla passione.

Il suo stile si ispira al mondo dei manga ma è anche intriso di realismo, romanticismo e fantasiose visioni tipicamente fiabesche. 

PETALI DI EMOZIONI

Ph. Francesca Lucidi.  Petali di Emozioni di Anna Irti, edizione digitale, 2020. Disponibile su Amazon, anche in cartaceo.

INFORMAZIONI GENERALI E STRUTTURA

L’autrice ha scelto l’autopubblicazione, avvalendosi di collaboratori per editing e impaginazione.

Il volume è breve, e la lunghezza scelta è assolutamente in linea con il tono generale dell’opera. Il libro è una raccolta di piccole narrazioni che racchiudono elementi fiabeschi e favolistici.

Ritroviamo le fiabe nel magico che pervade ogni personaggio, ambiente o fatto. Gli animali parlanti e le morali esplicite poste alla fine di ogni stralcio richiamano i caratteri e gli intenti educativi tipici della favola.

Stiamo parlando di un libro illustrato: ogni brano contiene disegni narrativi con elementi che si inseriscono nel testo o che occupano una pagina singola. Le illustrazioni mostrano quanto viene detto in parole, non aggiungono nulla alla storia ma ne amplificano gli effetti materializzando personaggi e visioni straordinarie. Lo stile delle parti grafiche è realistico, colorato e semplice. La suggestione del mondo dei manga si ritrova nei grandi occhi dei personaggi, ma alcune rappresentazioni sono perfettamente in linea con uno stile classico da libro di fiabe per bambini in vecchio stile.

Le singole narrazioni sono precedute da una copertina non illustrata dall’autrice ma realizzata graficamente. Le introduzioni visive contengono titolo del brano ed elementi decorativi.

Il corpo centrale è racchiuso tra interventi personali dell’autrice. L’introduzione è accorata ed evoca una sorta di “fanciullino” di Pascoliana memoria, non con ardore filosofico ma con sincero invito all’immaginazione e ai buoni sentimenti. Anna parla come un’amorevole amica, con un atteggiamento quasi materno.

A conclusione vi sono numerosi ringraziamenti, sempre estremamente accorati; a precederli, giochi illustrati che contengono rebus, numeri, esercizi di osservazione.

I brani inseriti nel volume sono quattro: LA CONIGLIETTA FUNNY, LUCCIOLA, NASINO NASINO e PETALI DI SPERANZA.

 

UNO SGUARDO AI QUATTRO BRANI

LA CONIGLIETTA FUNNY

Nel regno di Canu vive una ragazza di diciotto anni chiamata Funny. La ragazza è per metà un coniglio, dalle sfumature violacee.

Funny è una sognatrice e, soprattutto, una sarta. La ragazza vive con la grande speranza di poter vestire con una sua creazione qualcuno di veramente importante. Il regno colorato di Canu è fatto di nuvole pastello e carote dalle forme improbabili.

 Una Principessa e un Principe, come nelle migliori fiabe, stanno per convogliare a nozze. Questo matrimonio non è solo un evento istituzionale ma un’occasione di condivisione e festa per tutti gli abitanti del regno. La Principessa vuole un abito speciale e indice un concorso che fa drizzare le orecchie di Funny: l’abito scelto per le nozze sarà realizzato da un abitante di Canu; tutti sono invitati a partecipare e solo il grande giorno la Principessa svelerà il vincitore sfoggiando l’abito scelto.

Funny è umile, ma il suo grande cuore pulsa forte e richiama la ragazza al suo sogno.

La piccola sarta metà coniglio si mette all’opera: purtroppo i tessuti sono costosi e la ricerca non è facile… ma qualcosa, alla fine, attira l’attenzione di Funny.

Riuscirà la nostra coniglietta a realizzare il suo più grande desiderio? L’invito dell’autrice è rivolto a chi ha paura di non essere all’altezza, a chi non ha condizioni di partenza facili, a chi nonostante tutto questo non deve abbattersi.

Cosa rende speciale l’abito realizzato da Funny? Il sentimento. L’emozione e la bellezza vengono raccontati come valori uniti intimamente. La vera bellezza non è lo sfarzo, ciò che conta è la felicità che non viene dalla ricchezza materiale ma dalla forza del cuore, dalla facoltà di saper parlare agli animi e regalare un sorriso.

Ciò che conta davvero sono “i piccoli gesti fatti con il cuore”.

LUCCIOLA

Questa è la storia di un bambino, Pietro, e del suo giocattolo, Lucciola.

Lucciola è un panda rosso che emette una flebile luce visibile solo al buio. I due sono inseparabili e vivono insieme numerose avventure straordinarie, nella normale vita quotidiana che diventa uno scenario pieno di sorprese grazie all’amicizia tra Pietro e Lucciola.

Un giorno Pietro si ammala e Lucciola è riposto sulla sua poltrona davanti al letto del bambino. Il piccolo non ha la forza di alzarsi e giocare con il suo più caro amico… ma qualcosa, di notte, inizia a muoversi. Un cuore rosso diventerà il magico veicolo di un’energia misteriosa. Quante volte ci è sembrato di vedere oggetti muoversi, giocattoli ammiccarci dai grandi occhi lucidi.

Sì, Lucciola si animerà grazie alla più grande forza che esiste al mondo. Quanto si soffre, però, quando si fa di tutto per dimostrare a qualcuno il nostro affetto ma bisogna farlo senza farsi troppo vedere. Disegni, dediche affettuose: il rapporto tra Pietro e Lucciola raggiungerà un momento di vera magia.

Anni dopo, un adolescente sarà ancora in grado di rievocare l’incantesimo fatto di amore e immaginazione?

 NASINO NASINO

Anna è una bambina gentile che vuole molto bene alla sua coniglietta nera di nome Bonnie. Le due, pur essendo di sue specie diverse, riescono a vivere un legame profondo fatto di sguardi e soprattutto di gesti semplici ma allo stesso tempo assai potenti… come lo sfregarsi i nasi in segno di saluto e presenza, una presenza reale fatta di cura e attenzione.

Un giorno, Anna corre a chiamare Bonnie, come ogni mattina: nessuna “risposta”. La coniglietta è finita nel “mondo dei sogni”, così spiega la mamma ad Anna. Un legame così non si può dimenticare, e proprio il sogno sarà il luogo dove un grande arcobaleno accoglierà Anna per mostrargli come l’Amore non muore mai, e come veglia su di noi anche quando non ne vediamo la fisica manifestazione.

Un coniglietto piccolo piccolo sarà una visione e, poi, una speranza. L’Amore non si esaurisce, come la vita: queste energie si trasformano e possono fare cose straordinarie!

 PETALI DI SPERANZA

L’ultimo brano è anche il più lungo della raccolta: è una fiaba in piena regola, ma moderna e intrisa di temi e valori assolutamente attuali. Ovviamente non si raccontano le cose in modo letterale: i personaggi sono simboli, le vicende sono inviti alla riflessione vestiti di colori e fantasia.

In un villaggio c’è una strana leggenda che inquieta la popolazione: si parla di distruzione. La vegetazione sta iniziando a scomparire, ma prima di tutto questo un misterioso bambino compare davanti a una porta.

Una donna riceve da un petalo un messaggio e un fagottino dalla pelle scura da accudire.

Il bambino, però, ha delle particolarità che vengono celate al resto della gente… che non ricorda la notte della venuta del “dono”: tutti ne sono usciti trasognati e solo una donna sa, e compie il suo amorevole dovere di madre attenta.

Anemone, così si chiama il bambino, vive un po' in disparte: la gente lo vede diverso e lo guarda con sospetto, anche se la vera particolarità di Anemone viene tenuta ben nascosta.

La gente, però, non è tutta scontrosa. Il bambino, divenuto pian piano ragazzo, ha un caro amico di nome Elias.

Anemone nasconde sotto gli abiti dei germogli che continuano a uscirgli dalla pelle: meravigliosi racemi e fiori che lui strappa brutalmente per sentirsi come tutti gli altri.

Un giorno, durante il bagno, un germoglio fa capolino dal cuore di Anemone. Il ragazzo, che ha ormai quindici anni, tenta di strapparlo con forza ma prova un terribile dolore. Sentendo i lamenti del figlio, la mamma accorre da Anemone e comprende la situazione. Ormai è chiaro che quei rami sono parti vitali per il ragazzo; se li estirpa si fa del male, se li mostra rischia l’ira della superstizione dell’ignoranza. Dopotutto, nel villaggio ancora circola la paura di una catastrofe, e la vegetazione intorno alle case sta misteriosamente scomparendo.

Un giorno il segreto di Anemone viene scoperto, il ragazzo fugge verso un luogo che per anni ha esplorato con Elias, e lo ha fatto sentire sempre “a casa”. Ci si chiede chi sia la vera mamma di Anemone: petali fluttuanti, una grotta e il tempo daranno la risposta.

Questa è una storia di fedeltà, di amicizia e amore vero, di coraggio. Attraverso la storia di Anemone si comprende il valore della distanza, della forza di fare la cosa giusta… la facoltà di star vicino a chi amiamo anche se possiamo farlo solo in modi che non ci saremmo aspettati.

Ognuno ha splendide particolarità che bisogna difendere e mostrare fieramente. Essere sé stessi crea rapporti profondi; essere sé stessi spesso è difficile, ma che senso ha strapparci dal cuore i fiori della nostra unicità se il cuore viene via con quello stesso gesto?

 

RECENSIONE

Anna incarna i pregi delle sue storie: emana buoni sentimenti, è fatta di sogno e di fantasia; è forte e delicata nella volontà di comunicare un messaggio.

I suoi disegni sono confortanti, le sue narrazioni sono essenziali e fatte di fascinazioni che si vestono semplicemente di felicità, purezza e vibrazioni positive… un po' come gli abiti cuciti dalla sua Funny.

La sensibilità di Anna è grandissima: provoca risonanze di vissuto generale, ma anche personale, in ogni cosa che l’autrice crea. La coniglietta Bonnie è la materializzazione di un ricordo, di un affetto. I rami che sgorgano dal corpo del personaggio di Anemone sono la trasfigurazione poetica dell’unicità che ognuno di noi deve difendere e rispettare. Anna è unica, e fiera del suo essere romantica, ma è anche decisa a voler fare la sua parte nel mondo veicolando semplicemente il bene. È piacevole vedere che ancora si voglia parlare di amicizia, di storie fantastiche e di piccolezze che riverberano onde di luce immensa: nessuna tragedia, niente apocalisse o violenza… solo invenzioni che diventano reali perché le morali alla fine di ogni storia parlano di tutti noi. Questa autrice ha il dono della passione più vera e sincera; però, l’energia deve essere ben indirizzata e bilanciata dal pensiero, da un distacco salutare che faccia da dosatore di elementi: ogni formula magica necessità di rituali, regole e ordine.

Purtroppo, sono inciampata in momenti di sintassi spigolosa o incidentata; le parole scelte, a volte, non sono nell’ordine giusto e il significato ne risente, la lettura ne soffre. L’accorata introduzione che si rivolge agli adulti, bisognosi di ricordare il bambino che sono stati, chiama un target di pubblico che nel complesso non risulta ben definito. È sicuramente un libro adatto ai bambini, soprattutto, ma anche ai grandi. I giochi posti a fine volume sono un’idea deliziosa ma di una tipologia maggiormente pertinente a un prodotto per i più piccoli. Durante la narrazione ci si rivolge ancora agli adulti: credo che, per l’appunto, il target debba essere meglio definito e rispettato in ogni parte del testo che richiama il tipo di pubblico a cui ci si rivolge.

Anna è molto attiva sui social ed è amante della collaborazione: al termine del libro, l’autrice mostra alcune illustrazioni fatte dai suoi lettori, per un contest. I ringraziamenti prendono una grande quantità di spazio se si conta che il corpo principale della raccolta è breve.

Sarebbe bello se avendo una grande fantasia e una innata capacità manuale riuscissi a costruirmi una casa fatta di zucchero. Sarebbe straordinario prendere un pezzetto di muro per dolcificarmi una cioccolata calda… però siamo nel mondo reale: ok la magia, ma se un giorno il sole picchiasse più forte rischierei di vedere la mia bella casa di zucchero sciogliersi… e resterei anche senza un tetto sulla testa!

Consiglio ad Anna di considerare una nuova edizione avendo bene a mente il target e rispettando questa coordinata nelle scelte fatte per il testo. Una rilettura dei brani potrebbe aiutare ad appianare le parti dove non vogliamo che il lettore perda l’equilibrio, e magari rovesci la fetta di gustoso dolce che Anna ci regala. 

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Grazie e buona lettura!

 

mercoledì 16 settembre 2020

IL TRAGHETTATORE di William Peter Blatty

DAL CREATORE DE L'ESORCISTA 

UNA STORIA DI FANTASMI, UNA RIFLESSIONE SULL'ESSENZA DELLA MORTE

Ph. Francesca Lucidi
Ed. FAZI EDITORE 

CENNI BIOGRAFICI: VITA E CARRIERA DI WILLIAM PETER BLATTY

William Peter Blatty nasce il 7 gennaio del 1928 a New York City. È il quinto figlio di un’umile famiglia di immigrati libanesi. Sua madre Mary, fervente cattolica, si guadagna da vivere vendendo gelatine di frutta tra le strade di Manhattan.

A causa delle gravi condizioni economiche, la famiglia cambia spesso dimora, tra uno sfratto e l’altro.

William, grazie a una borsa di studio, frequenta la Scuola Preparatoria gesuita di Brooklyn. In seguito, inizia gli studi presso la Georgetown University; ottiene questa possibilità sempre tramite una borsa di studio. William si laurea in inglese nel 1950.

Gli studi continuano alla Georgetown, dove si iscrive a un Master in letteratura. Durante questo periodo si mantiene con i lavori più disparati; si ritrova anche a vendere aspirapolveri porta a porta.

Ottenuto il Master, William si arruola nell’Aeronautica Militare; in seguito si unisce all’USIA (United States Information Agency), un’agenzia di diplomazia pubblica.

Inizia a collaborare con diverse riveste, e a scrivere articoli umoristici.

Lavora come direttore delle pubbliche relazioni per la Loyola University di Los Angeles, e con mansione simile, in ambito comunicazione e pubblicità, per l’Università della California Meridionale.

Pubblica il primo libro nel 1960, Where way to Mecca, in cui parla del suo lavoro presso l’USIA anche in toni umoristici.

Nel 1961 vince diecimila dollari nello show di Groucho Marx You Bet Your Life. La vincita gli permette di dedicarsi completamente alla scrittura, non mantenendo altri lavori in modo stabile.

Inizia a scrivere fumetti che vengono apprezzati pur non raggiungendo un numero alto di vendite.

Cruciale è la collaborazione con il regista Blake Edwards: la prima sceneggiatura di successo è Uno sparo nel buio, il cui protagonista è Peter Sellers.

Negli anni Quaranta Blatty rimase particolarmente colpito da un oscuro fatto di cronaca inusuale: l’esorcismo di un quattordicenne del Maryland. La Chiesa impose il silenzio per paura di ripercussioni mediatiche e per evitare accuse di superstizione o arretratezza culturale. La storia permane nell’immaginario di Blatty e fornisce l’ispirazione per il suo grande successo letterario: L’esorcista. Siamo nel 1971, e il libro suscita un enorme scalpore. Il successo del romanzo porta alla versione cinematografica del 1973, con Blatty in veste di produttore e sceneggiatore, la regia è affidata a William Friedkin. La pellicola vince due Premi Oscar, su dieci candidature.

Il romanzo Legion, del 1983, è l’unico seguito ufficiale del romanzo del 1971; ne viene tratto un film dal titolo L’Esorcista III, nome scelto per riallacciarsi al precedente L’Esorcista II. La decisione viene presa dai produttori per creare una continuità. Blatty, dal canto suo, non ha però apprezzato il secondo capitolo della saga, che non ha ottenuto neanche un particolare successo.

Nel corso della sua vita, lo scrittore produce circa tredici romanzi; tra i quali troviamo Il Traghettatore, edito nel 2009.

William Peter Blatty muore il 12 gennaio del 2017 a 89 anni, nel Maryland.

 

IL TRAGHETTATORE

L’edizione presa in esame è edita dalla Fazi Editore e risale al 2012. La traduzione è di Cristiano Peddis.

Il romanzo è abbastanza breve, è forte, maschile e “americano”. La vita quotidiana raccontata è circondata di imprecazioni, arrivismo e appartamenti affacciati sul vuoto esistenziale e sul paesaggio brulicante o immobile, portatore di speranza o perdizione di Manhattan. La storia è horror, di un horror sovrannaturale ma anche tremendamente radicato nella vita reale. Una storia di fantasmi apparentemente nei canoni. La maggioranza dei personaggi ha tratti rudi e capricciosi; la restante umanità, meno insopportabile, è fatta da una manciata di presenze più pacate ma inquietanti.

Il tutto presenta diversi rimandi alla biografia dell’autore.

In questa storia si parla di morte e vita. Il terrore è mitigato da fiumi di alcol e da punti di vista cinici… a un certo punto si passa da una storia a tratti fastidiosa a una dimensione di tensione che non riesce ad affievolirsi neanche grazie all’umorismo martellante, sboccato e spregiudicato dell’autore.

TRAMA

New York, 1993 (circa). Joan Freeboard è un’agente immobiliare di successo.

Joan vive da sola, se non si contano due domestici che la donna tratta con rispetto e gentilezza, quasi con dolcezza; la cosa non è di poco conto contando che Joan è un’affarista senza scrupoli che vive secondo il motto “farcela o morire”.

Elsewhere è una vecchia e grande casa, situata su un’isola poco lontana da Manhattan. La magione è risalente agli anni Trenta, è bagnata dalle acque del fiume Hudson e, soprattutto, promette grossi guadagni… qualora Joan riuscisse a piazzarla. Il problema è che la casa ha una pessima fama, non per problemi strutturali.

La sfida di Elsewhere è la più grande prova della carriera di Joan. L’agente immobiliare è abituata a non lasciare nulla al caso, e di certo non è avvezza alla rinuncia, specie se si tratta di una grossa somma di denaro. Joan, ripetiamo, non lascia nulla al caso: una festa organizzata per venerdì, invitati importanti, specialmente uno. Lei è disposta a tutto pur di smascherare delle sciocche credenze che possano mettersi tra lei e una vendita.

Sono anni che non succede nulla in quella casa.

La casa fu costruita da un medico, uno psichiatra, il dottor Edward Quandt. L’erede Paul Quandt e la sua famiglia vagano in Europa in attesa di vendere la proprietà dalla fama sinistra. La storia di Elsewhere è macchiata da un omicidio e un suicidio, così dicono le voci. Il vecchio padrone era un uomo geloso: la moglie Riga, una zingara originaria della Romania pare alimentasse sospetti di adulterio.

La storia della casa viene raccontata a pezzi: prima un dossier tra le mani di Joan, poi due racconti sparsi nel corso della narrazione.

Joan. Sì Joan vuole andare a segno… nonostante uno strano sogno che ha la forma di una angelo di luce senza volto: vongole, piatto del giorno… parole sconnesse che la donna non vuole ricondurre a un avvertimento che sembra collegato all’affare di Elsewhere. L’agente immobiliare, però, ha un piano.

Ma “NON TUTTE LE EPIFANIE HANNO ORIGINE NELLA GRAZIA”.

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Il piano sembra perfetto: un rapporto sessuale concesso di fretta, una bugia qua e una bugia là.

Alla fine, la donna riesce anche a vedere, da sola, con i suoi occhi Elsewhere. Quando si reca sull’isola il posto sembra bello e nessuno, fortunatamente, sembra fissarla dalla finestra. Il salone si mostra accogliente, una volta tolti i teli dai mobili.

Ecco che la squadra è decisa: Joan, la famosa sensitiva inglese Anna Trawley; lo psicologo esperto del paranormale Gabriel Case, dell’Università di New York; il migliore amico di Joan, il famoso scrittore Terry Dare. Tutti devono svolgere un ruolo, non totalmente consapevole, per permettere all’agente immobiliare di far “certificare” la totale normalità di Elsewhere.

Anna Trawley riflette nella sua adorabile casetta, mentre Joan fatica a convincere il capriccioso amico scrittore. Dare è un personaggio infantile, capriccioso, benestante. Un gay dai modi eccessivi che ama follemente i suoi due cagnolini. Dipinge e si fascia di abiti sportivi alla moda mentre si fregia del suo convinto motto “IO SONO TUTTO UN DUBBIO”. La reticenza di Dare è semplice pigrizia o un oscuro timore già affligge i protagonisti della storia? Dare è in un periodo in cui ha smesso di scrivere, anche se i suoi romanzi gotici sono assai famosi. Romanzi inquietanti scritti da un tipo tutto eccessi e capricci, e dubbio: bizzarro!

Tutti i componenti della spedizione vengono reclutati, salgono su un’imbarcazione denominata “Lungo Viaggio” e, nonostante una tempesta terrificante, raggiungono Elsewhere. In realtà il professor Case non si imbarca con loro perché li ha preceduti per montare le apparecchiature.

Tutto sembra presagire giorni di pizza, alcolici e conversazioni. In realtà, da subito le cose sembrano mostrare falle, déjà vu. Case li accoglie come ci si sarebbe aspettati, ed è seduto al pianoforte. Sul caminetto un dipinto che attira l’attenzione. Due visi a confronto e domande che soffocano dietro l’incredulità e il materialismo dell’americano di successo che pensa solo alle cose concrete, che si contano e possono comprare cose.

L’inizio della convivenza si consuma tra l’insofferenza di Joan, i dialoghi pacati tra la Trawley e Case. In tutto questo dovrebbe sentirsi lo sgambettare dei cagnolini che Dare non avrebbe mai lasciato. Dovremmo fare attenzione ai loro segnali canini.

Case diventa il fulcro della storia, un personaggio che si sposta da una parte all’altra quasi fluttuando: getta ammiccamenti, ascolta, dona spiegazioni e filosofia… tutto quello che ci si potrebbe aspettare da uno psicologo interessato ad altre “dimensioni”.

Joan e Dare litigano in continuazione, le parolacce fanno capolino tra una riga e l’altra e si prova una certa insofferenza tra i modi di fare inquieti e vuoti della coppia di amici. Strano modo di dimostrarsi affetto quello di promettersi morte e mutilazioni.

In ogni storia di infestazioni c’è sempre una persona che riesce per prima a captare qualcosa. Qui c’è una sensitiva, e una cripta misteriosa abitata da una scultura poco confortante. In realtà, le prove inizieranno a manifestarsi attraverso “il DUBBIO”, la personificazione del dubbio: Dare.

A metà del romanzo, il fastidio per una storia dell’orrore che sembra solo il documento della normalità vuota dell’essere umano medio lascia spazio a qualcosa che inizia davvero a far paura. Le storie intorno ad Elsewhere sono tante e le “vittime” della casa altrettante. Tra un bicchiere di scotch e un Martini si parla di suore, di pazzia.

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Due preti gesuiti, una reminiscenza.

E… Dare ha portato i cagnolini? Che domanda sciocca!

Un guaito si sentirà forte e chiaro, ma crescente… poi rabbioso.

Qualcuno avrà la pelle che brucia in modo innaturale ma così “vero”; altri mostrano strane petecchie sul collo; altri ancora cicatrici.

Quando si iniziano a ricollegare tanti fili rossi, persi nel racconto di vite fastidiose e vuote, ci si accorge che il tempo e lo spazio nascondono molti più inquilini della spedizione organizzata da Joan.

Buon “Lungo viaggio”.

Il finale farà tirare un sospiro, di pace? Di sollievo? O forse di rassegnazione verso qualcosa di implacabile che non può che ripetersi. Forse tutte queste eventualità si sommeranno, sta al lettore scoprirlo.

ANALISI E CONSIDERAZIONI

La narrazione viene svolta da un narratore esterno, onnisciente, verrebbe da dire onnipotente se si volesse ricalcare l’umorismo ammiccante e tosto dell’autore.

Parlare di tempo della storia e tempo del racconto è, per questo romanzo, assolutamente fuori luogo.

Lo stile è freddo, i personaggi sono pressoché antipatici. Tutto potrebbe osteggiare un legame empatico e foraggiare un senso di fastidio nella lettura. In realtà, tutto ha un senso se si presta attenzione, molta attenzione. L'autore regala anche inaspettati momenti di dolcezza, umanità e profonda sensibilità: solo sprazzi, solo altre deviazioni; forse visioni sfuggenti della verità sottesa, del senso finale della storia. Sono ipotesi, le mie sono solo ipotesi. 

L’autore si diverte a distrarre il lettore rendendolo simile a quegli esseri umani presi dalle cose da fare, che non credono in nulla e sono frettolosi, pieni di pretese… il più delle volte insoddisfatte perché vacue.

È poco funzionale cercare di affezionarsi a qualcosa di corporeo in una storia di fantasmi. Le nostre emozioni vengono “traghettate” continuamente, quasi senza una meta. Le bussole? Innanzitutto, una piccola conoscenza della biografia dell’autore, per apprezzare i riferimenti alla dura infanzia di Joan e la scelta di far entrare nella storia dei preti gesuiti.

Anche l’ambientazione metropolitana rievoca ciò che l’autore deve aver visto per tutta una vita. La stessa professione di scrittore viene posta sotto la lente e criticata, quasi sminuita e ridicolizzata attraverso il personaggio di Dare. I personaggi sono persone che hanno perso la facoltà di essere felici, davvero in pace. I cuori sono spezzati e nascosti sotto strati di silenzi o battute sboccate.

La seconda via d’uscita dal vagare è posta in mezzo al romanzo, parrebbe solo per dare un tono al parlare del professor Case. Lo psicologo si trova a conversare con la sensitiva mentre prendono il tea e si confidano le rispettive disgrazie, anche se il modo di fare accondiscendente di Case pare sempre sospendere e sottintendere qualcosa. L’uomo parla di alcuni studi sui fantasmi: niente inferno e paradiso ma entità quasi perse, inquiete; capaci di mentire, a detta della Trawley. Dopo la morte ci si potrebbe trovare tutti in uno stesso posto, forse senza percepirsi a vicenda, passando questa esistenza eterna secondo parametri soggettivi, percettivi. Inferno e paradiso non sarebbero luoghi o mete ma quasi proiezioni dell’inconscio di un vivo che si trova morto e, dopo la morte, cerca ancora, disperatamente, di essere felice. Il libro OLTRE IL MURO: COMUNICAZIONI ELETTRONICHE CON I MORTI, riporta la risposta di un’entità alla domanda “Quale è lo scopo della vostra esistenza attuale?”. Il presunto fantasma risponde: “Imparare a essere felici”.


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Che senso ha, allora, scrivere un libro pieno di personaggi antipatici? La risposta non viene dalla scelta del genere horror ma dallo studio profondo della felicità personale, nella sua mancanza, nel suo attaccarsi a “giocattoli” disorientanti, annebbianti. L’autore parla di vuoti, di anime che vanno esorcizzate estirpando il demone dell’assenza di desiderio puro, di spessore, di reale percezione di sé stessi e della vita. Se non si riesce a cogliere l’essenza della vita… come si può…

Le parolacce abbonano, l’umorismo e il “colore” anche. La formazione fumettistica di Blatty fa capolino, ogni tanto. C’è anche un discorso complesso intorno alla fede, alla redenzione e alla presunzione delle etichette di bene e male, cattivo e buono. La morte viene presentata come una condizione assolutamente democratica, comunista. La vita, però, reclama il suo senso nel momento in cui la si abbandona. Non tutto ciò che non si vede è cattivo, spaventoso; non tutto ciò che è materiale e visibile è reale nel senso più nobile del termine.

Alcune minacce di morte si trasformeranno in un abbraccio disperato. Vivere è un lungo viaggio, la morte è una destinazione che dipende da un atto di volontà che, se fatto tardi, fa perdere.

Se si ricongiungono tutte le trame tessute da un esperto di pubbliche relazioni divenuto scrittore di demoni ed esorcismi… si può apprezzare un romanzo forte che si presenta, a una prima lettura, solo per qualcosa che sfugge, come il senso della vita e della morte; di inferno e paradiso.

 Il complesso è intrattenimento ma anche riflessione verso i più grandi significati e le più ingombranti incognite della nostra esistenza. 

 

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Grazie e buona lettura!

sabato 12 settembre 2020

SNOWHITE di ANA JUAN

 UN ALBO ILLUSTRATO FATTO DI FILAMENTI DI PURO BUIO 

Ph Francesca Lucidi

INTRODUZIONE E CENNI BIOGRAFICI SULL’AUTRICE

Ana Juan nasce a Valencia nel 1961, artista poliedrica e originale; si distingue per uno stile spettrale, onirico.

Studia all’Università Politecnica di Madrid, e si diploma in Belle Arti nel 1982. Inizia a lavorare per la stampa spagnola, realizzando copertine, illustrazioni e fumetti. Inizia a esporre i suoi lavori in mostre personali e collettive non solo in tutta la Spagna ma anche a New York e Ginevra. Viaggia tra la Francia e il Giappone.

Ana raggiunge il Giappone grazie a una borsa di studio editoriale, e vi rimane per tre mesi.

Nel 1995 inizia a collaborare con il New Yorker, per il quale illustrerà anche la copertina dedicata all’attentato subito dal settimanale francese Charlie Hebdo.

L’artista collabora anche con El PaÍs e illustra diverse copertine per i libri di Isabel Allende.

Durante la sua carriera ha esposto i suoi lavori in diverse occasioni e ha ricevuto una grande quantità di prestigiosi premi e riconoscimenti. Tra i tanti si ricorda il Premio Nazionale di Illustrazione conferito dal Ministero della Cultura di Spagna. Se vogliamo citare un’approvazione che ha il suo peso pur non essendo un premio o una medaglia… nel 2017, Ana Juan illustra, dietro esplicita autorizzazione dell’autore, il racconto di Stephen King L’Uomo vestito di nero.

Tra i suoi “mondi oscuri” ho scelto Snowhite, il primo libro della Juan, uscito nel 2001 e edito in Italia solo nel 2011 grazie a Logos Edizioni. Se volete approfondire la conoscenza di Ana Juan, in lingua italiana… potrete farlo proprio grazie alla Logos.

 

TRAMA

Ecco Biancaneve, di nuovo. Credo che la fiaba dei fratelli Grimm abbia subìto un numero imprecisato di riletture, rimaneggiamenti. Ana Juan inizia il libro ringraziando i Fratelli, bene. Partiamo subito con il dire che l’immaginario presentato non è bello, non è magico e non è adatto ai bambini: infatti, il volume è sconsigliato al di sotto dei quattordici anni di età. In realtà credo che un adulto non possa uscirne meno turbato: qui non ci sono creature magiche, streghe o incantesimi; i personaggi sono tremendamente reali e crudeli.

Lady Hawthorn si punge con lo spillone del suo cappello e vede cadere il sangue sulla neve, desidera una bambina che richiamasse i due elementi ed ecco che nasce Snowhite. Ovviamente la madre della bimba muore, certamente il papà si risposa. Invidia? Ah sì, è altrettanto vero e sicuro che uno specchio fomenta il demone dell’invidia dentro una donna narcisista e senza scrupoli. Ah, dimenticavo che anche il papà, ovviamente, muore. Fin qui tutto torna. Adesso vi aspetterete il seguito della storia con nani amorevoli e Principe azzurro: qui i nani sono degli sfruttatori senza cuore, il Principe è solo un uomo che di cognome fa Prince… e di certo non ci sono scarpette di cristallo. Però, la bara di cristallo è al suo posto, in piedi in mezzo alla sala di una taverna di infimo ordine. Devo anche informarvi che non leggerete di mele rosse. Il lieto fine? Se pensate che una siringa, una paralisi sospetta, e una violenza carnale mista a necrofilia “accennata” possano essere premesse a qualcosa di buono… ma penso che dovrete scoprirlo da soli.


STRUTTURA, ILLUSTRAZIONI E ANALISI (e permettetemi qualche considerazione personale)

Snowhite è un albo illustrato, presenta un formato orizzontale e una copertina rigida. I fogli di guardia sono illustrati a doppio spread, e veniamo subito in contatto con la piccola protagonista, persa in un labirinto.

Le uniche note di colore sono il titolo in copertina, di un rosso “avvertimento”, e i fogli di guardia che ricordano il colore delle prime fotografie… che avevano sempre un qualcosa di inquietante.

Ph Francesca Lucidi

Se apriamo il volume, troviamo una netta divisione degli spazi: nella pagina di sinistra c’è un bianco totale e freddo, interrotto dai caratteri delle piccole parti in scrittura che a volte sono sormontate da uno spot completamente nero: solo contorni riempiti di nero lucido che prendono la forma di qualche personaggio o oggetto. Sulla pagina di destra l’illustrazione disperata che danza tra i vorticosi segni di un carboncino rabbioso che sa essere soffice come la neve o assoluto come la morte.

Questo dualismo viene a volte interrotto da aperture di illustrazioni silenziose che catapultano il lettore direttamente nella storia; direi in un incubo.

Ana Juan non è per tutti, indubbiamente la sua complessità stilistica attira, avvinghia e ti porta via. Non c’è speranza di uscita dal labirinto di Snowhite. La bellezza della protagonista non mostra i canoni dell’equilibrio e dell’armonia: ogni scena è un vortice di scura inquietudine. Gli occhi dei personaggi sono quasi sempre simili allo sguardo fisso di un cadavere o all’espressione di un Urlo di Munch che si moltiplica. Modigliani sembra fare l’occhiolino da palpebre affilate, da iridi assenti, da bulbi monocolore. Le figure fluttuano come le oniriche figure di Marc Chagall, ma qui non ci sono colori, non ci sono violini… la vita non si mostra multiforme ma direzionata unicamente verso l’assenza di speranza.

Ph Francesca Lucidi

Se avessi avuto di fronte un silent book forse avrei avuto una reazione diversa. Parole affilate, poche e fredde, unite a immagini tra il dark e il macabro. Il dark della Juan, però, è veramente uno “scuro”, senza porte antipanico.

La temporalità si contestualizza vagamente tramite abiti, oggetti e accessori: tutto evoca gli Anni Venti.

Si cita la guerra, si vede una siringa.

I ringraziamenti ai Fratelli Grimm forse sono scuse velate? È stato difficile scindere il mio impatto con l’opera dalla sua analisi distaccata. Ana Juan è sicuramente un’artista gigantesca, pesante, penetrante: basta vedere le innumerevoli imitazioni tentate da numerosi illustratori contemporanei. Non capisco perché mi sento combattuta. Fossi entrata in una sua mostra sarei rimasta estasiata, ma leggere questa storia mi ha lasciata solo un senso di angoscia e incertezza. Illustrare è comunque narrare, e questo tratto è ciò che distingue l’illustrazione dal mero disegno; però la struttura del libro sembra un libro dei morti, un catalogo della miseria umana messa lì, non capisco bene il perché: denuncia? Semplice descrizione? Credo di dover continuare il mio cammino con Ana Juan per capire qualcosa di più…  ma forse la comprensione è solo un mio sciocco tarlo.

Ph Francesca Lucidi

La tecnica della Juan è misurata, la passione e la forza sono orchestrate per creare un mondo che non lascia indifferenti. Dopotutto l’arte non è solo prati verdi e cieli colorati… assolutamente no. Non sono solo certa che il concetto della Juan possa contenersi in un volume, con testi dell’artista, illustrazioni dell’artista. È tutto un buco nero potentissimo. Quando la Juan si mette al servizio di contenuti di altri, basta guardare le copertine da lei curate o i lavori con Matz Mainka… lì qualcosa sembra muoversi.

Ana Juan sicuramente riscuote molto successo perché attualmente il dolore attira più di qualunque speranza, ma il valore dell’artista è proprio nei suoi lavori grafici, in tutto. Riguardo alle tematiche credo ci voglia tempo per comprende il ruolo di Ana Juan nella nostra epoca. Un’opera d’arte è tale quando emerge, e quando un nutrito numero di esperti del campo decidono che un determinato materiale scaturito dall’intelletto e dal lavoro umano lo è. Detto questo credo di poter apprezzare la grandezza e la forza dei lavori di Ana Juan senza dire che mi piacciono le sue narrazioni. La difficoltà sta proprio nello scindere l’impatto personale dal lucido confronto con un messaggio veicolato da un sublime incantatore dell’immaginazione.

Non sono costretta a rileggere questa storia, sicuramente riguarderò le tavole… e rifletterò, e mi perderò, ancora.

Nell’epoca della creazione spasmodica di contenuti da parte di tutti, credo si debba distaccare il giudizio personale e il proprio impatto con un’opera dalla diffusione della cultura. Non sempre “qui”, “ora” ed io… possiamo mettere il punto accanto ad un prodotto artistico.

 

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Grazie e buona lettura!