sabato 13 giugno 2020

NEI PANNI DI POE

EDGAR ALLAN POE: LA PERSONALITÀ E IL PARTICOLARISSIMO ASPETTO FISICO DEL “CORVO”

Biografia, testimonianze e descrizioni minuziose di un genio “desiderato” e incompreso dal suo tempo

Ph. Francesca Lucidi

Edgar Poe venne alla luce il 19 gennaio del 1809, a Boston.

La sua nascita non fu cinta da felice attesa: la madre, Elizabeth Arnold, era un’attrice di terz’ordine; il padre, David Poe, che era il secondo marito della donna, abbandonò presto la famiglia.

Elizabeth ogni sera recitava dinanzi a un pubblico di certo non di alto rango… tutto ciò per tentare di mantenere i tre figli: William, più grande di Edgar di due anni, Edgar e Rosalie.

La piccola Rosalie era il frutto di un rapporto extraconiugale.

La famiglia si trasferì a Richmond nell’agosto del  1811. La donna era ormai logorata dalle difficoltà e morì di stenti e tubercolosi dopo pochi mesi.

La vita di Edgar, con la morte della sfortunata madre, cambiò radicalmente. Accanto al teatro dove Elizabeth si esibiva vivevano John e Frances Allan, quest’ultima, a volte, si prendeva cura di Edgar mentre la madre cercava di sbarcare il lunario. In realtà Elizabeth riuscì a sopravvivere grazie a delle collette organizzate dagli altri attori di Richmond. La famiglia Allan prese in adozione Edgar: la decisione fu, in verità, un forte desiderio di Frances. Poe divenne, da quel momento, EDGAR ALLAN POE.

La vita dell’oscuro scrittore arrivò a una svolta: cambiò nome e praticamente “identità”. Negli agi sviluppò un carattere capriccioso.

Nel 1815 gli Allan si trasferirono in Scozia… e Edgar non stava nella pelle nel voler dimostrare ai suoi parenti scozzesi quanto la sua condizione fosse cambiata.

Lo scrittore fu iscritto a un collegio di Londra, dove rimase per cinque anni. Nel frattempo Frances si ammalò, e il ribelle giovane tornava a trovare la famiglia solo per questo doloroso motivo.

I tormenti di Poe, da come si evince, non erano di certo terminati .

Nel 1820 la famiglia tornò in America a causa di problemi lavorativi di John. Gli Allan furono ospiti dei Ferris, a Richmond.

Edgar fu iscritto a un nuovo collegio: lì si distinse per acume, talento… e PESSIMO CARATTERE.

Poe si innamorò di una donna sposata: Jane Stith Stanard.

La Stanard era la moglie di un amico di famiglia degli Allan. Tra i due pare che il rapporto fosse prettamente platonico.

Anche questo rapporto finì in tragedia. La Stanard impazzì dopo una caduta e morì nel giro di poco tempo.

La fortuna degli Allan tornò: John ereditò ingenti fortune da uno zio paterno. Purtroppo Edgar, che non era, poi, mai stato a cuore a John, non beneficiò di ulteriori vantaggi economici: il padre adottivo gli lasciava solo quel poco per cui mangiare e vestirsi.

Nonostante tutto, le MADRI di tutta Richmond vedevano nel gracile e inquieto giovane un buon partito.

Il fascino di Edgar assunse la sua caratteristica forza inebriante: le donne lo desideravano e gli uomini lo invidiavano.

John iscrisse il figlio adottivo all’università. In questo periodo Edgar dovette subire un sinistro isolamento… e gli fu anche impedito di ricevere le lettere di quello che fu il suo secondo amore: Sarah Elmira Royster.

La Royster era un’amica della madre di Poe e Allan mal tollerava questa presenza.

Come tutti gli universitari, anche se siamo nell’ottocento, Edgar fece amicizia e si distinse nelle bevute e le serate “proibite”. In verità Poe non era un grande bevitore: non si serviva dell’alcool per gusto o piacere… ma per l’ANNEBBIAMENTO.

Un compagno di corso testimoniò:

La passione di Poe per le bevande alcoliche era tanto violenta quanto quella al gioco.

Edgar non sorseggiava ma si ingozzava di alcool per una ricerca agli altri sconosciuta. L’amico di Edgar prosegue:

Di solito gli bastava un bicchiere solo per stordirsi, ma se ciò non avveniva subito, si affrettava a tornare alla carica.

A causa dei debiti di gioco Edgar tornò a chiedere soldi al padre adottivo, che gli negò ogni aiuto.

Il giovane cercò di sopravvivere utilizzando i fondi destinati agli studi. Dovette per questo abbandonare l’università.

Nel 1827 tentò il ritorno a casa ma vi fuggì subito dopo. Senza bagaglio e viveri, trovò ospitalità in un’osteria di cui conosceva la proprietaria.

Poe passò un periodo di ASSOLUTA MISERIA.

Per cercare la sua strada, dopo l’insuccesso della pubblicazione della raccolta poetica Tamerlano, si arruolò nell’esercito degli Stati Uniti… cambiando di nuovo il nome, in Edgar Allan Perry.

Il suo impetuoso carattere venne leggermente smorzato dalla VITA MILITARE, quest’ultima, però, si provocò una profonda insofferenza. Nel frattempo Frances si aggravò e John Allan richiamò Edgar in seno alla famiglia. Il giovane fece ritorno… Frances era però già morta, e Edgar non potette neanche partecipare alle esequie perché non era in possesso di un ABITO SCURO.

Durante il soggiorno padre e figlio discussero, e anche la città di Richmond iniziò a scontrarsi con l’atteggiamento fanfarone del “nostro”.

Edgar riuscì addirittura a impedire il secondo matrimonio di John, con la sorella della defunta Frances.

Rispedito a West Point, Poe incominciò a passare le giornate a leggere, in solitudine…  e fu lì che si imbarcò sul battello «Albany» e raggiunse New York. Era il 1831; e John nel frattempo si era risposato.

Nonostante la sua vita militare non avesse prodotto frutti, gli amici di West Point organizzarono una COLLETTA, che permise a Edgar di sopravvivere.

Baltimora fu la sua nuova casa: lì fu accolto dalla Signora Clemm, una zia. Questo incontro fu fondamentale perché è proprio in quella casa che conobbe Virginia…

Il figlio della Clemm, Henry, morì lasciando in dissesto la famiglia. Edgar prese parte al concorso letterario del «The Philadelphia Saturday Courier». Poe vi partecitò con il racconto Metzengerstein, ottenendo un grande consenso. Da quel momento si delineò lo stile d’INCUBO dello scrittore: autodistruzione, rabbia e simboli si dipanano nella pagine di quella prima, oscura, storia.

Edgar intraprese una burrascosa storia d’amore con Mary Devereaux, che terminò tra sospette violenze.

Poe partecipò, poi, a un nuovo concorso letterario per il «The Baltimore Saturday Visitor». Il suo Manoscritto trovato in una bottiglia vinse il premio per la prosa. In realtà Poe avrebbe vinto anche il premio per la poesia se non avesse avuto un acceso scontro con i membri della giuria.

IL PRESIDENTE DELLA GIURIA, J.H.B LATROHE, CI LASCIA UN RITRATTO DAVVERO INTERESSANTE DI EDGAR, DEL SUO ASPETTO… DELLA SUA UNICA E OSCURA AURA INTRISA DI FASCINO, MISTERO E “DISSONANZA”.

LATROHE SCRISSE:

Indosso agli altri, abiti come i suoi sarebbero sembrati trasandati e lisi, ma v’era qualcosa in quell’uomo che impediva nel criticarne il vestire. Aveva su tutta la persona l’impronta del gentiluomo nato, la fronte alta, caratteristica soprattutto per l’estremo sviluppo delle tempie, e che costituiva il particolare di maggior rilievo della sua testa, particolare che si notava subito e che io non ho mai scordato…

L’espressione del volto era grave, quasi triste; aveva una voce bella e ben modulata, quasi ritmica, e sapeva scegliere elegantemente le parole, senza esitare.

Questi aspetti sembrano ricondurre la figura di Poe a una moderna rockstar: di certo è impressionante entrare in contatto epidermico con un personaggio che abbiamo imparato a figurarci attraverso il suo immaginario. Edgar nella sua vita fu innanzitutto UN "PERSONAGGIO". Fu un individuo che racchiudeva in sé tutte le caratteristiche dell’OUTSIDER. Nei secoli gli sono stati imputati gli appellativi più impietosi e anche quelli più manifesti di un’ammirazione quasi religiosa. Sono felice di conoscere e far a voi conoscere intimi aspetti lontani dall’esclusiva reverenzialità letteraria. Il particolare della sua voce è assai intrigante

Edgar non smetteva di attirare l’attenzione: la Signora Clemm iniziò a tenerlo sotto il suo sguardo, per un motivo ben preciso, che vedremo tra poco.

Poe riuscì a pubblicare il racconto Berenice sul «Richmond Southern Literary Messenger». Il racconto era assolutamente nero, gelido e pregno di effetti abili a disturbare il lettore. Un nuovo modo di scrivere stava iniziando a prendere sempre più forma, e questo STILE cambiò gusti e modi della letteratura mondiale.

Dal feticismo alla necrofilia… Poe è l’iniziatore degli INCUBI che si sono poi espressi, all’ombra degli insegnamenti dello scrittore, attraverso tutti i mezzi artistici. Le “maniere” di Poe sono particolari: sono distaccate ma al contempo ESTREMAMENTE PERSONALI; basta guardare alla sua storia per ritrovare una profetica sovrapposizione di realtà e invenzione. Proprio per questo è stimolante e arricchente CONOSCERE l’uomo, il dissoluto non per piacere ma per inquietudine… il sentimentale e il violento; il marito devoto e l’amante bisognoso.

Ecco che pubblicò “Gordon Pym”, un racconto di avventure…  ma prima si avviò verso la più tragica e intesa avventura della sua vita: sposò la giovanissima cugina VIRGINIA.

Virginia aveva solo tredici anni e fu unita in MATRIMONIO con lo scrittore, il 22 settembre del 1835, nel salotto di una pensione. La Signora Clemm falsificò l’età della figlia per far sì che le nozze si potessero svolgere senza intoppi. Il matrimonio fu poi ripetuto in forma pubblica l’anno successivo.

Ci sono diverse ipotesi, di cui ancora non riesco a reperire fonti attendibili, sul fatto che Poe e Virginia non consumarono l’unione fino a una età più “accettabile” della ragazza.

Il matrimonio non portò Edgar alla stabilità: la scrivania del “Messenger” gli stava stretta… anche se la rivista aumentò esponenzialmente la sua visibilità grazie a questa collaborazione.

Poe raggiunse con tutta la famiglia New York e iniziò a lavorare con il «New York Review». Anche questa rivista ottenne molto successo grazie al lavoro di Edgar; ciò non impedì gli aspri alterchi con il direttore che si ostinava a revisionare e storpiare gli articoli dello scrittore. Questo particolare non può non andare a completare quell’atmosfera fatta di invidie che Poe dovette sopportare. Io credo che la sua presunta antipatia non fosse la causa dei suoi contrasti: spesso una mente eccelsa e SUPERIORE, e DIVERSA, incontra l’intolleranza della gretta umanità invidiosa, spesso dura nella comprensione.

Nel 1838 fu la volta di Philadelphia: anche lì nulla di concluso, apparentemente.

Dopo le iniziali difficoltà, Poe pubblicò presso l’editore inglese Burton Morella, Ligeia… ma anche questa collaborazione terminò nell’INCOMPRENSIONE.

A Burton subentrò Graham e Poe porto il «Graham’sLady’s and Gentleman’s Magazine» a una tiratura impressionante in soli due anni. Sulla rivista, nell’aprile del 1841, venne alla luce I DELITTI DELLA RUE MORGUE.

Edgar acquistò un pianoforte e un’arpa per la sua amata Virginia; la suocera si deliziava del denaro del genero per soddisfare i suoi desideri… Poe, invece, iniziò ad apparire liso e trasandato. Forse questo grigiore di una nuova tonalità fu il preludio della nuova tragedia che attendeva lo scrittore. 

Virginia si ammalò gravemente di tubercolosi: fu colpita da emorragia mentre si esibiva cantando, in casa.

Lo scrittore iniziò degli ossessivi tentativi di creare una propria rivista, lo “Stylus”. Ottenne addirittura di POTER INCONTRARE IL PRESIDENTE: peccato che la sera prima dell’appuntamento lo scrittore si distinse per le pietose condizioni raggiunte durante una festa, in un locale. Il segretario del presidente assistette alla scena e l’incontro fu, ovviamente, annullato.

Poe riportò la famiglia a New York.

Agli inizi degli anni quaranta vennero pubblicati capolavori come Il gatto nero e Il cuore rivelatore. Poe, però, risentiva sempre di più della malattia di Virginia: pur essendo legato a lei da un Amore indissolubile, iniziò a frequentare le donne facenti parti di quella mondanità che non lo aveva mai “riconosciuto”.

Di nuovo altalenanti condizioni economiche… fino alla pubblicazione de IL CORVO. La notorietà raggiunta con il poema lo portò anche a ottenere la pubblicazione di un’intera raccolta di racconti, sempre nel “glorioso” 1845.

Edgar fu nominato direttore del «Journal». La collaborazione si tinse di foschi slanci di rabbioso rancore: Poe sfogò tra quelle pagine il suo astio, armandosi di feroci critiche verso il prossimo.

Lo scrittore tornò in rovina. A quel punto andò in suo soccorso il suo vecchio amore Mary Davereaux.

Mary arrivò a New York, in tempo per la tragica morte di Virginia occorsa il 30 gennaio 1847.

Poe, da quel momento, si trascinò in diverse relazioni sentimentali. Le donne erano PROFONDAMENTE ATTRATTE DA LUI; nessuna, però, si volle legare a lui definitivamente.

Edgar era ormai conosciuto come “IL CORVO”. Affascinante e tormentato, come tutte le figure circondate da sensuale decadenza, si alternava tra l’attrazione e la repulsione altrui.

Poe arrivò a tentare il suicidio, a Boston. Il laudano non gli dette però la morte.

Nel settembre del 1849, lo scrittore scomparve misteriosamente. Fu ritrovato il 3 ottobre, a Baltimora, dall’amico medico Snodgrass. Poe era in evidente stato confusionario e indossava abiti apparentemente non suoi. SPOGLIATO dei suoi vestiti e della sua LUCIDITÀ, fu ricoverato al Washington Hospital.

Edgar Allan Poe si spense a soli 40 anni, tra i deliri e le convulsioni.

Le cause della sua morte restano avvolte nel mistero: molte ipotesi sono state fatte… e ne parleremo… posso prometterlo.

Sussurando “SIGNORE, AIUTA LA MIA POVERA ANIMA”, il grande visionario dell’incubo passò nell’altra dimensione, portando con sé i suoi segreti. Fu privato spesso del suo valore, altre volte fu bramato. Un animo sensibile facile preda di un mondo ostile… parlò come nessun altro del terrore e dell’oscurità… e in quella oscurità svanirono i suoi abiti eccentrici e così attraenti.

A distanza di così tanto tempo, possiamo dire che la sua anima non sappiamo se sia stata perdonata dall’entità da lui evocata… sappiamo, però, quanto ancora TUTTI NE RESTIAMO RAPITI. Che le nostre anime sappiano sempre accogliere quella immensa e bisognosa di EDGAR ALLAN POE.

 

Per le testimonianze si rimanda all'introduzione di Gabriele Morandi ai Racconti del Terrore (ediz. a cura di Alberto Peruzzo Editore, 1985).

 

giovedì 11 giugno 2020

I RAGAZZI DELLA VIA BOERI di Enrico Tommasi

 UN ROMANZO DI FORMAZIONE

TRA RISVOLTI FANTOZZIANI E PROFONDA UMANITÀ

Ph. Francesca Lucidi

I RAGAZZI DELLA VIA BOERI
di Enrico Tommasi

Edito da Primiceri Editore nel 2019

In foto la versione Ebook, visualizzata da Kindle Fire 7.

TRAMA

Il periodo storico da raggiungere, armati di maglioni fatti a mano e musicassette, è quel lasso di tempo che inizia nel 1980 e si estende per almeno quattro anni; direi per due vite… dato che l’autore, che è qui anche il narratore, afferma di essere nato a Salerno nel 1961 e a Milano nel settembre del 1980.

Il nodo emotivo e diegetico del romanzo si svolge a Milano nel pensionato Egidio Trezzi, struttura dell’Opera Cardinal Ferrari, sito in via Boeri numero 3.

Un gruppo di ragazzi, provenienti da tutte le parti d’Italia, lascia la tana “familiare” e si dirige al Trezzi. Tutti sono stati dichiarati “non idonei” a una più ambita collocazione… ma questo fortuito tiro della sorte li cambierà per sempre: da quel momento, tutti, diventeranno e resteranno dei “Trezzini”.

Il narratore ripercorre le tappe di quel periodo dall’abbandono della calda Campania, della madre protettiva e così “italiana” e del padre militare austero e pudico nelle manifestazioni sentimentali, fino ad accompagnarci nel percorso di questo umoristico e nostalgico romanzo di formazione.

Il Trezzi non accoglie solo studenti poco abbienti (anche se molti mostrano una certa spavalderia nell’ostentare un benessere economico che è solo il risultato di una mente fantasiosa e di una curiosa capacità di “adattamento”); il pensionato ospita anche lavoratori che si trovano a Milano per mantenere una famiglia lontana. Ciò che rende il Trezzi un posto molto “caro” è la presenza, appunto, dei CARISSIMI: la struttura si adopera anche per l’accoglienza e la nutrizione dei diseredati della società, di quelli che senza mezzi termini chiamiamo distrattamente BARBONI.

Il narratore incontra i “Carissimi” nelle prime battute di questa commedia milanese. Anche lui, come noi, aveva considerato superficialmente quelle creature invisibili; il Trezzi gli fa, però, il regalo di attirare la sua attenzione su tutte quelle cose della vita che fino a quel momento erano ottenebrate dalla sicurezza dei pasti materni e dei baci notturni paterni, ricevuti di nascosto fingendo di dormire.

Il Trezzi è un casermone quasi inquietante: è perennemente cinto da una nube di fumo di sigaretta, nebbia e olezzi provenienti da ogni parte. Questo strano microcosmo, in realtà non così lontano dal centro nevralgico della Milano adornata e luccicante, diventa però immediatamente la VERA CASA del protagonista. Questo ragazzo, essendo figlio di un militare, ha subito diversi trasferimenti… e si accorgerà, forse troppo tardi, dove si sono realmente fissate le sue radici emotive, inconsce e “umanitarie” (ma questo lo capiremo alla fine di questa strana e colorita cronaca).

Dopo il dettagliato racconto di partenza, sgomento e adattamento ecco che inizia la visita nel freak show trezzino. Il protagonista incontra una MAREA di personaggi che rappresenta tipi e sottotipi umani, maschere, superstizioni; idiomi e usanze…  particolarità gastronomiche e stili disparati. La lista dei nomi da ricordare è assai lunga. Il valore di questo affollato compendio umano è nelle generali categorie principali: la BANDA DEI SALENTINI, LE GUARDIE E I LADRI… I POLITICANTI… I CARISSIMI; nel mezzo il protagonista, forse un po’ insicuro e camaleontico nel suo educato adattarsi a tutto e a tutti (più o meno). Egli non spiccherà mai particolarmente, anche perché la magia sta proprio nel suo ANNULLARSI (e questo lo spiegherò presto nel successivo paragrafo).

Nella storia dei Trezzini si mostra la STORIA dell’Italia sotto ogni punto di vista: economia, disagi, scontri politici e tentativi; paure e sommosse pacifiche e meno pacifiche. Alla fine, tra scorribande e aule dell’Università Cattolica, viene raccontata un’evoluzione persone e universale: una piccola società di ragazzotti diventa il MANIFESTO di un’Italia in cambiamento dove le differenze tra le varie località è marcata ma, anche, dove l’incoscienza giovanile non ancora inquinata dai meccanismi del mondo è il mezzo per comprendere, unire e mondarsi. In realtà, lavarsi via gli odori del Trezzi non è cosa facile: è proprio questo che spinge l’autore a raccontare la storia a distanza di molti anni. Alla fine capiremo perché; alla fine capiremo tanti perché che magari non sono affari del protagonista ma affari nostri… noi in certe circostanze cosa avremmo fatto?

 

STILE (se così si può dire, al Trezzi)                   

L’autore e il narratore coincidono: questo è dichiarato in modo chiaro, fiero, FERMO. Il protagonista non credo possa identificarsi in un solo individuo, neanche nello stesso narratore: il Trezzi, poi, è solo un edificio… i Trezzini, invece, non sono le sole anime che parlano, o in silenzio raccontano. Credo fermamente che il vero protagonista del romanzo sia l’UMANITÀ: in senso stretto e nel più ampio significato.

Si potrebbe pensare a una focalizzazione fissa, a un unico punto di vista interno: in realtà lo sguardo del narratore sa attraversare ogni uscio e si alterna tra soggettività e onniscienza (quasi vojeuristica).

Il linguaggio è semplice e colloquiale, nutrito di dialoghi inframezzati da espressioni dialettali e saggezza fin troppo popolare, ma per questo esilarante.

Ogni cosa è paragonata a un’immagine: le similitudini e le metafore sono davvero molte, forse troppe. Non c’è da dimenticare che è un racconto a posteriori, e che è un adulto uomo affermato che racconta una gioventù che ai giovani d’oggi sembra una razza aliena. Molte di queste figure retoriche di paragone sono sviluppate da raffronti militari e storici… che senza una passatina su Wikipedia non sono, sempre, immediatamente intuibili. Anche il cinema, quello popolare, ha un ruolo nella creazione di questi specchi sovrapposti: BENVENUTI AL SUD, FANTOZZI… o L’ALLENATORE NEL PALLONE tra gli immaginari citati.

Segni e simboli sono qui di una nobile BASSEZZA. È necessario approcciare al romanzo senza pregiudizi: dopotutto è un maschio diciottenne che parla… di altri maschi e di cose assolutamente da VERI UOMINI.

Non vi è retorica ma tante sfigate partite di calcio e poco lusinghiere massime sul gentil sesso… ma è ovvio che prendere alla lettera tutto questo è un errore: il romanzo è una TESTIMONIANZA, magari non comprensibile a tutte le generazioni o a tutte le mentalità… ma è sincero e RUSPANTE.

A fare da cornice a questo caos rumoroso e poco elegante vi sono l’Introduzione e l’Epilogo.

L’introduzione è curata proprio da uno dei Trezzini. I nomi citati nel romanzo sono ovviamente inventati, i personaggi NO. Io sono stata una privilegiata nell’aver “saputo” a quale Trezzino imputare introduzione e abitudini che sono stata costretta a conoscere leggendo questa storia (la cosa mi ha fatto una certa impressione!). La chiusa è tessuta dall’autore che si ricongiunge così con il narratore diventando un UOMO TUTTO D’UN PEZZO: non nel senso abituale ma nella riunificazione di ricordi, esperienze di vita e consapevolezze.

In realtà, le parti che ho apprezzato di più sono state proprio l’inizio e la fine… probabilmente perché sono una donna nata nel 1983. Sono d’accordo con l’autore sul fatto che questo romanzo sia stato scritto in trance: a volte tutto corre molto velocemente e, per chi non è Trezzino, non è sempre facilissimo ricondurre nomi, caratteristiche e puntine da disegno piazzate sulla cartina dell’Italia.

L’umorismo è l’imbragatura di sicurezza che non abbandona mai il lettore: tutto è familiare, confortante anche quando le condizioni “climatiche” sono tragiche.

Immagine recente del "Trezzi". Fonte: http://www.viaggispirituali.it/strutture-turismo-religioso/lombardia/pensionato-egidio-trezzi-dell-opera-card-ferrari_1909/

 BREVE ANALISI

Lo sforzo da compiere per apprezzare questo romanzo è l’IMMEDESIMAZIONE. L’attivazione di una forte empatia è sicuramente dipendente da fattori anagrafici: chi è nato in un mondo ancora non affollato dalla tecnologia ricorda quei rapporti non caratterizzati da una eccessiva presenza manifestata attraverso i mezzi di comunicazione; ciò facilità la comprensione emotiva.

Anni fa, sembra strano pensarlo, si passavano mesi senza “sentire” gli amici geograficamente lontani… ma i rapporti erano cementati ad un suolo impastato dal legame profondo della condivisione reale del quotidiano. Tutto ciò è molto, molto bello… permettetemi di dirlo. Per chi ha vissuto quella realtà è un dolce ritorno; per i millennialsè l’occasione per una lezione di storia, autentica, e che forse non avrebbero altrimenti l’occasione di sperimentare.

Il romanzo è al contempo egoista e GENEROSO.

L’autore si monda di qualche piccola innocente colpa causata da quella frenesia di vita che annebbia i ricordi e i “debiti” con l’esistenza; questo porta a una presentazione della storia in modo molto personale.

La soggettività della scrittura è il terreno dove si gioca la partita con questo libro.

Tommasi è, però, al contempo GENEROSO: il Trezzi ci manifesta un altruismo a volte perduto, trascurato… durante la descrizione delle festività natalizie possiamo ritrovare quella critica sociale esperenziale da “Canto di Natale”. La retorica sicuramente non è il mezzo scelto; il LIRISMO di alcune parti è, però, ciò che mi ha coinvolta maggiormente e mi ha permesso di emozionarmi, anche quando mi sono trovata a leggere di comportamenti assolutamente lontani da me.


Cari universitari mi rivolgo a voi: penso che qualche brivido di commozione vi assalirebbe molto facilmente.

Cari genitori… anche voi ne potreste venir colpiti: lo capirete se vorrete armarvi di attrezzature di fortuna e partire per un viaggio che ha tra le pieghe la realtà che spesso i vostri figli nascondono, per puro AMORE.


Ecco una vecchia foto scattata all'intero dell'Opera Cardinal Ferrari. Si rimanda al sito ufficiale: