mercoledì 22 aprile 2020

EUGENIO MONTALE: MALE DI VIVERE E "ASSOLUTO"

EUGENIO MONTALE: POETA, PITTORE 
UOMO

 Ph. Francesca Lucidi
In foto un'edizione facente parte di una vecchia raccolta della Mondadori (1996), ho anche altri volumi che erano e sono perfetti da portare sull'anima quando si è in cammino.

BREVI STRALCI SU EUGENIO MONTALE

Eugenio Montale nasce a Genova nel 1896 da una famiglia borghese. Il suo genio viene cesellato da ricchi studi da autodidatta presso la Biblioteca di Genova. Nel 1917 deve arruolarsi per combattere nella Prima Guerra Mondiale, a differenza di altri contemporanei, però, non scrive poesie di guerra.

Nel 1925 pubblica la raccolta Ossi di Seppia, che non ebbe particolare successo nella sua prima edizione (2° edizione nel 1931).

Nello stesso anno firma il Manifesto degli intellettuali antifascisti, noto anche come Antimanifesto, redatto da Benedetto Croce il 1° Maggio sui quotidiani Il Mondo e Il Popolo. Benedetto Croce decide di redigere il documento dopo un’iniziale fiducia verso Benito Mussolini, verso il quale nutriva una speranza di distacco dagli estremismi nazional-fascisti… la suddetta speranza matura però presto nella consapevolezza della reale natura della politica fascista. Il manifesto rappresenta così una risposta al Manifesto degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile.

Nel 1927 è a Firenze e lavora per un editore. Nella citta toscana ha l’occasione di conoscere, tra gli altri, Salvatore Quasimodo e Carlo Emilio Gadda. Nel 1929 guadagna una nomina assai importante: diventa direttore del Gabinetto Vieusseux (fino al 1938). L’Istituzione culturale fiorentina, caratterizzato anche dai servizi specifici di una biblioteca come le attività di prestito, è anche un vivace e storico crocevia culturale.

Proprio a Firenze il poeta conosce Drusilla Tanzi, una donna sposata, che diventa prima la sua compagnia e poi sua moglie (solo nel 1962, dopo la morte del primo marito di Drusilla occorsa nel 1958). Montale nelle sue poesie apostrofa la donna come “Mosca”. Montale ha anche altre relazioni durante la sua vita: è importante ricordare, tra le altre, il rapporto sentimentale con Irma Brandeis, un’accademica e critica letteraria statunitense di origine ebraica. La donna rimane in Italia fino al 1938, anno in cui è costretta a tornare in America per sfuggire alle leggi razziali. Nello stesso anno Montale viene licenziato dal Gabinetto Vieusseux perché antifascista; inizia così a guadagnarsi da vivere con le attività di insegnante privato e traduttore.

Nel 1939 pubblica la raccolta Le Occasioni, un mese dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Tra l’inquietudine personale e le incertezze economiche, il poeta legge i classici americani, le opere di Svevo (con il quale intraprende anche una corrispondenza epistolare), e… Dante. Nonostante le sofferenze causate dal suo rifiuto del fascismo, Montale non passa all’azione: non combatte direttamente nella resistenza, vive un antifascismo fatto di allontanamento e di pessimismo.

Nel 1956 pubblica Bufere ed altro: da lì il suo linguaggio vira sempre più verso una colloquialità che diventa prosaica e familiare da Xenia (1966), a Satura (1971), fino a Diario (1971).

Il poeta si distacca sempre di più dalla vita, e citandolo prestiamo ascolto:

“Pensai presto, e ancora penso, che l’arte sia la forma di vita di chi veramente non vive: un compenso o un surrogato.”

Nonostante il suo vivere trasognato riesce a guadagnare diversi riconoscimenti pubblici: tra gli altri ricordiamo le laure honoris causa presso le università di Milano e Cambridge, rispettivamente nel 1961 e nel 1967; e all’Università La Sapienza di Roma nel 1974.

Nel 1967 ottiene la nomina di Senatore a vita.

Durante il 1975, la sua visione di una vita priva di apparenti risposte e “presente” nel “male di vivere”, quanto assente dalle condizioni di un presente che si immerge in quel male non per “occasioni” storiche quanto per qualità endemiche, lo guida fino al riconoscimento più importante:  il Premio Nobel per la letteratura… ottenuto per aver “interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”.

Nel 1981 muore a Milano a 85 anni.


LA POETICA

Eugenio Montale è uno di quegli autori che non possono essere inseriti in una corrente letteraria senza subire forzature. Sicuramente la sua attività fa parte di quella schiera di artisti che si distaccano dalla verve avanguardista. Le Avanguardie si caratterizzano per una rottura totale con la tradizione e con un accento “interventista” che perde il suo fascino nel confronto con la dura realtà portata dal reale coinvolgimento bellico.

Riguardo allo stile Montale riabbraccia la tradizione nel panorama di quel generale “ritorno all’ordine” già qui citato in altri interventi. Gli stilemi del passato vengono rivalutati in una visione nuova, ma non di rottura. Ritroviamo l’uso dell’endecasillabo (caro alle solide basi poetiche italiane che guardano a Petrarca e al più vicino Leopardi), rinnovato alla luce di contenuti proposti da Italo Svevo e Luigi Pirandello: uno svelamento della condizione dell’uomo.

La poesia si mostra come il frutto del dolore, inteso come una ferita non scaturita dalle vicende contemporanee ma come una condizione senza tempo che è cosmica e costituzionale per l’umanità. Il sentimento doloroso di Montale si può avvicinare a quello leopardiano, si differenzia però per la ricerca di un “varco”: di un senso nascosto, un’illuminazione improvvisa che cerca di mostrare ciò che vi è oltre il muro, oltre quella metafora tanto usata dal poeta. In realtà questa illuminazione resta inefficace e lo sconforto avvolge l’uomo e la sua vita.

La tecnica primaria attraverso cui Montale esprime la condizione dolorosa del vissuto è il Correlativo Oggettivo: una tecnica letteraria che nomina gli oggetti, i quali non sono simboli ma richiami. Gli oggetti sono il mezzo per nominare i concetti: per mostrarli e porli davanti come la fisicità stessa dei sentimenti e del vissuto.

Con Ossi di Seppia il paesaggio ligure fornisce il materiale attraverso cui sfruttare i meccanismi del correlativo oggettivo. La natura non è uno scenario ridente e consolatorio ma un ambiente secco per una poesia di “scarti”. Il linguaggio si fa anch’esso secco ed essenziale, vicino alle scelte ermetiche. La natura si mostra indifferente all’uomo e non si preoccupa del dolore che prende la forma dell’osso della seppia: di uno scarto del mare.

Il mare a volte riesce a costituire una pausa e un sollievo… nella sua contemplazione dilatata. Anche l’amore costituisce una sospensione dal dolore, un’ancora di salvezza. Le donne del poeta costellano tutta la sua poetica, partendo dal sentimentalismo fino al sogno… quest’ultimo espresso nell’amore perso nell’attesa della lontana Clizia.

Montale non disdegna la ripresa di forme preziose: oltre alla metrica tradizionale si può riscontrare uno sguardo al D’Annunzio naturalistico, da interpretare però nel generale distacco dalle pretese eroiche avanguardistiche di quelli che chiama “poeti laureati”. Montale si avvicina alla quotidianità e alle piccolezze, alla concretezza delle cose, alla materialità degli oggetti.

L’alta e ardita poesia avanguardista viene affrontata alla maniera di Montale nella lirica Non chiederci la parola:


Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
Perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Il componimento apre Ossi di Seppia non a caso: si rivolge direttamente allo stile e alla terminologia aulica di D’Annunzio per superarla attraverso il semplice linguaggio della raccolta e i suoi temi.

Il poeta non è più un “vate”: non ha risposte da proporre all’umanità che nella contemporaneità vede l’intellettuale, non strumentalizzato e strumentalizzabile, sempre più inascoltato. Le false certezze promosse dal regime vengono sostituite con l’insicurezza di una condizione umana dolorosa che rifugge le illusorie idee urlate dal fascismo. Il poeta non compromesso con il regime è un uomo qualunque, smarrito come l’uomo comune. Non vi è sfoggio ma osservazione, non vi è certezza ma precarietà espressa attraverso la correlazione con oggetti e immagini sussurranti dolore… come il “cavallo stramazzato”.

Il male di vivere non viene superato ma accettato… e così infatti Montale va a constatare: 

Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’ accartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stamazzato.

Bene non seppi, fuori del prodiggio
che schiude la divina indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

Nella normalità della vita si riscontra il dolore dell’uomo; il significante anche… è duro e aspro come gli scarti che fanno da titolo alla raccolta poetica. Il ritmo e la musicalità della prima quartina ci fanno indugiare su forme “strozzate” e rumorose, poi tutto si calma tra le vocali pacate della seconda quartina. Il bene che si può raggiungere è il puro esistere senza tempo, sospeso come la poesia che non si genera dalla storicità ma dall’universalità di una memoria dolorosa e congenita di tutta l’umanità.

Dalle strette di Ossi di Seppia i versi di Montale si armonizzano con una quotidianità che si allontana dal paesaggio ligure per arrivare alle esperienze d’Amore e all’ironia rivolta alla società.

La raccolta Le Occasioni ha i profumi di Firenze e di Clizia; Bufere ed altro racconta una donna angelo… sempre collegata al rapporto con Clizia, che regala una salvezza non religiosa… ma umana, esperenziale.

Satura, nome derivato dalle raccolte latine in cui sono riscontrabili forti toni ironici… addirittura critici, si rivolge ancora di più alla quasi ridicolizzazione della poesia “alta”.
Della sezione Xenia fa parte la poesie Ho sceso dandoti il braccio: un omaggio alla moglie… alla sua “Mosca”. La moglie del poeta muore pochi anni prima dell’uscita della raccolta, e riceve un grande omaggio attraverso alcuni tra i versi più belli della poesia italiana:

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
                              
IL MONTALE PITTORE

Non è molto nota l’attività di Eugenio Montale come “pittore della domenica”: il poeta realizza diverse opere e unisce la pratica pittorica a un sodalizio particolare e a una trattazione sull’argomento caustica, in linea con l’atteggiamento verso quei “poeti laureati” di cui abbiamo appena parlato.

Montale conosce il pittore-poeta Filippo De Pisis nel 1920, e da lì nasce un’amicizia duratura.



De Pisis (1896-1956) studia lettere a Bologna e si dedica all’attività poetica con particolare riferimento alle tematiche e allo stile di Leopardi e Pascoli. Le nature morte marine del pittore si uniscono ai paesaggi scabri narrati dai versi di Montale: le opere pittoriche dei due sono state avvicinate anche in mostre che hanno permesso di rendere fruibile questo particolare sodalizio artistico. 

 De Pisis Natura morta aerea (1931), collezione privata

Montale non si limita a dipingere ma parla anche dei pittori in un intervento apparso sul breve volume in prosa La poesia non esiste (1971), nel testo Il pittore:


Il pittore è stato informato che scopo dell’arte sua non è dipingere il vero ma le tempeste del suo cranio, la sua visione del mondo, la sua Weltanschauung. Ora nel suo cranio non c’era proprio nulla di simile. Nato per non pensare gli hanno fatto credere che deve invece dar forma e colore all’Idea.

Praticamente, l’Idea non è affatto un’idea, ma consiste nel seguire una certa formula che si ritiene essere nuova, o moderna o «progressiva» rispetto alle altre. Chi ha detto questo? Non il pittore. Il pittore non ha detto nulla. Egli ha però delegato il giudizio sull’arte sua a una congrega di supposti competenti, dei quali deve accettare l’imbeccata e il giudizio. Il pittore dipinge per delega, dipinge il pensiero degli altri.


Come per i “poeti laureati” i pittori di professione non riescono a raggiungere quei momenti imprevedibili dell’esperienza in cui veniamo illuminati da una verità, solo sfiorata, che non possiamo possedere nel tempo ma che ci fornisce un “assoluto” momentaneo che si esprime attraverso un’immagine. Quest’ultima può essere fissata nella parola poetica o nelle realizzazioni materiali dei pittori dilettanti, coloro i quali sono scevri da condizionamenti di mercato, di critica… e di un’avanguardia forzata dettata dai tempi e dalle aspettative degli sguardi dei teorici.

Montale si definisce un “pittore della domenica” ma in realtà la sua produzione evidenzia un’ interessante qualità. Innanzitutto il poeta si cimenta in diversi tecniche come l’acquerello, il pastello, le incisioni o gli schizzi a biro e sanguigna. Ciò che prevale sono i soggetti marittimi o gli elementi presenti nelle sue poesie: la natura… una foglia secca.

La sua arte viene avvicinata alla pittura metafisica, una corrente nata a Ferrara  nel 1917 (tra gli esponenti ricordiamo Giorgio de Chirico), che punta a rappresentare immagini che vanno aldilà della reale percezione dei sensi. La pittura metafisica è immobile: gli oggetti risultano simbolici e inquietanti e fermi in un istante atemporale. Stiamo parlando di un approccio “assoluto” come quello della poetica di Montale.

 Opera di Eugenio Montale

Il poeta-pittore Montale e il pittore-poeta De Pisis vivono reciprocamente un rapporto fatto di influenze ma anche di punzecchiamenti vivaci… come dimostrato dall’epistolario tra i due. Interessante è riportare alla mente che Montale nell’inviare a De Pisis Le Occasioni scrive nell’incipit un breve componimento intitolato Alla maniera di Filippo De Pisis:

Una botta di stocco nel zig zag
del beccaccino –
 e si librano piume su uno scrìmolo
(Poi discendono là, fra sgorbiature
di rami, al freddo balsamo del fiume)

Il componimento suggerisce una provocazione del Montale verso De Pisis, il quale imitava lo stile poetico dell’amico prendendosene quasi gioco…

È stupefacente lo spessore di una manifestazione artistica che nella sua assenza di temporalità riesce a esprimere attraverso le parole e i colori… immagini che ci obbligano a sospenderci dal giudizio e dalla necessità di risposte per la contemplazione: di un assoluto e di un senso della vita da osservare e non interrogare.


MI PREME DI AGGIUNGERE…

Nel 1943 Eugenio Montale dà asilo a diversi intellettuali salvandogli la vita dalle persecuzioni fasciste: nasconde Umberto Saba, di origini ebraiche, ed Edoardo Sanguineti perché comunista.

Montale si cimenta anche nell’arte del canto: studia lirica da ragazzo, tra il 1915 e il 1918, decide però di interrompere la carriera da cantante. Riprende successivamente il campo musicale lavorando come critico discografico presso Il Corriere della Sera tra il 1954 e il 1967. Montale non è mai salito sul palco in  prima persona.


LA MIA SCELTA


giovedì 9 aprile 2020

MISTICI ECHI FAVOLISTICI PER "VEDERE"

L'OCCHIO DEL LUPO
di
Daniel Pennac

 Ph. Francesca Lucidi
In foto compare il formato ebook di Salani Editore, disponibile su Amazon.
Di questa edizione non ho amato particolarmente le illustrazioni rare, e in bianco e nero... dato che i colori sono un dato fondamentale del romanzo, dei personaggi e degli echi immaginativi che la storia emana. In ogni modo scelgo spesso le edizioni della Salani, qui però ci voleva uno sforzo in più nella cura dell'impatto visivo del romanzo.


DANIEL PENNACCHIONI

Daniel Pennacchioni nasce nel 1944 a Casablanca. I suoi genitori sono militari, per questo motivo Daniel viaggia molto e durante la sua infanzia vede e vive l’Africa, il Sud-Est Asiato e in fine la Francia.
Affetto da dislessia, non si distingue particolarmente negli studi… fino a che un professore si accorge del suo potenziale e lo invita a scrivere grazie al progetto tutto particolare di un romanzo a puntate, a cadenza settimanale.
Nel 1968 consegue la laurea in lettere all’Università di Nizza. Diventa insegnante; grazie a questa professione si può così dedicare alla scrittura. Curiosamente il suo primo intervento pubblico è un pamphlet del 1973, che esprime una critica verso l’esercito; provenendo da una famiglia di militari preferisce però firmarsi con uno pseudonimo: Pennac.
In seguito Daniel Pennac si cimenta nel genere fantascientifico grazie all’incontro con Tudor Eliad: con lui scrive Les enfants de Yalta (1977), e Père Noël (1979).
Inizia poi a scrivere libri per bambini. Da una scommessa con gli amici scaturisce la sua ispirazione verso i gialli grotteschi, da cui nasce il ciclo di Malaussène (Il paradiso degli orchi è il primo volume, pubblicato nel 1985 con il titolo Au bonheur des ogres). Il ciclo si sviluppa intorno alla figura di Benjamin Malaussène, di professione “capro espiatorio”, e alla sua famiglia.
Nel 1992 Daniel Pennac pubblica il manifesto a favore della lettura Come un Romanzo, di cui riporto due righe che esprimono cos’è la lettura per l’uomo:

“La lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di nessun’altra, ma che nessun’altra potrebbe sostituire.”

Le parole che ho scelto possono richiamare anche qualcosa riguardo al libro dell’autore che qui ho sentito la necessità di proporre.
L’autore, nel 2013, viene insignito della Laurea ad Honorem, per l’impegno nella pedagogia, presso l’Università di Bologna: in particolare per “per aver posto la necessità del leggere al centro dell’azione educativa, per la sua mirabile attenzione allo sguardo, al vissuto, ai diritti propri dell’infanzia e dell’adolescenza”. Il rettore Ivano Dionigi aggiunge anche: “Pennac è un classico, uno scrittore che scrive per gli altri, che parla per noi, sa insegnare, affascinare, convincere”.
Durante il suo discorso, Pennac si rivolge ai demagoghi della letteratura… colpevoli di inneggiare senza stimoli, senza formare i lettori, senza parlare ad essi veramente: senza diffondere davvero qualcosa. L’Intellettuale viene visto come un privilegiato distaccato… ma a questi sterili meccanismi controproducenti Pennac contrappone una figura: il passeur, l’intermediario che riesce a smuovere qualcosa senza cercare di controllarlo.
L’autore definisce così i passeurs: “Intermediari che trasmettono la cultura agli altri. Sono quei professori, critici, librai, bibliotecari e anche lettori curiosi di tutto, leggono tutto, non confiscano nulla, trasmettono il meglio ai più”. Tutto ciò non implica però un meccanismo di giudizio, riferibile più a quelli che l’autore chiama “i guardiani del tempio”, i demagoghi appunto. Pennac infatti specifica:

“Passeur supremo è colui che non vi domanda mai cosa pensate del libro che avete appena finito di leggere, perché sa che la letteratura non ha nulla a che fare con la comunicazione. Se siamo passeurs convinti, siamo anche i guardiani del nostro tempio interiore.”

Queste righe le lascio aperte… sospese in attesa di una venuta presso il vostro “tempio interiore”. Chissà che non vi “traghettino” verso spunti e riflessioni.


L’OCCHIO DEL LUPO

Questo romanzo fa parte degli scritti per ragazzi di Pennac. È pubblicato nel 1984 con il titolo L'œil du loup. In Italia viene edito da Salani nel 1993.
L’occhio del lupo è una storia metanarrativa dove due personaggi raccontano: apparentemente immobili, quasi invisibili, o per cui il mondo sembra essere distante e inesistente. Lupo Azzurro vive in uno Zoo in una qualche città “dell’altro mondo”: ha un solo occhio aperto, l’altro è malato e serrato.
Lupo Azzurro, da quando è morta la lupa dall’aspetto di pernice che occupava la gabbia con lui da anni, trotta lungo il recinto e non si ferma. L’occhio del lupo ha smesso di vedere ciò che gli mostra la visuale di una delle due direzioni del suo cammino inquieto: i visitatori e lo Zoo. Lo sguardo di Lupo Azzurro “attraversa” le persone: le attraversa come fossero fantasmi inconsistenti e senza volto. Quando l’occhio percorre l’altro senso del cammino… vede solo la gabbia: una visuale che la bestia sembra preferire. Cosa fermerà questo moto ossessivo? Un ragazzo.
Il ragazzo fissa Lupo Azzurro e l’animale ne viene disturbato… fino a che si sente costretto a fermarsi e a guardare anch’esso quello strano visitatore che da giorni non si sposta, e come “un albero gelato” sta e guarda. Lupo Azzurro conosce molto bene l’uomo… tanto da disprezzarlo e non volerlo guardare, vedere, sentire. A un tratto accade qualcosa che fa sentire a suo agio la belva che i piccoli dell’uomo sono, lì, abituati ad additare con spavento. A un tratto il ragazzo chiude un occhio: i due iniziano a fissarsi da pari a pari, con una visione parziale che diventa in un attimo TOTALE.
Il ragazzo e il lupo iniziano così una serie di viaggi incredibili: Il Grande Nord e le “ Tre Afriche”… famiglie, abbandoni e animali meravigliosi… e l’uomo, l’uomo che ha due pelli e una è quella degli animali, l’uomo che è un “collezionista”. Le storie dei personaggi sono commoventi, a volte crudeli; sono anche piene di orgoglio e onore. Un umile ragazzo e una belva feroce diventano simbolo di coraggio e  pazienza… di sacrificio. Tra le prime pagine della storia la malinconia sembra soffocarci: tutto però viene pian piano mitigato da altri personaggi esilaranti o così saggi da proferire parole che ci affrettiamo ad appuntare mentre quella strana fonte di narrazione ci mostra due vite, o forse di più.
Ci sono molte perdite che dobbiamo sopportare, come hanno fatto il Ragazzo e Lupo Azzurro… forse qualcosa cambierà: guardate bene quella pupilla nera simile a una lupacchiotta accucciata. Da quella pupilla si giunge a una fine diversa da quella che i personaggi si aspettavano; forse Lupo Azzurro aveva molte più aspettative del Ragazzo… forse per questo è così inquieto, cosi “lupo”.
Tante volte il cambiamento può restituire qualcosa in una forma inaspettata… le cose possono essere davvero migliori se riusciamo ad aprire bene entrambi gli occhi. La visione parziale delle aspettative e del rancore… sembra quasi che una coscienza universale si diverta a sparpagliare le anime per vedere cosa succede. Un grande occhio e una grande anima possono sempre trovare il proprio grande mondo, anche se in un formato inaspettato.


Buona Lettura…
E non fate l’errore di pensarlo solo un romanzo per ragazzi: è colpa della visione parziale di una delle direzioni a cui siamo abituati, trottando ossessivamente.