mercoledì 5 febbraio 2020

INTELLIGENZA E LIBRI CONTRO BULLISMO E SOPRUSI: La storia di MATILDE

IL ROMANZO MATILDE DI ROALD DAHL 

“I padri e le madri sono tipi strani: anche se il figlio è il più orribile moccioso che si possa immaginare, sono convinti che si tratti di un bambino stupendo.”

Roald Dahl non usa edulcorare i concetti, come i bambini dice sempre ciò che pensa, nel modo più colorito e brusco che si possa pensare. Egli scandaglia gli animi in modo magistrale: non presenta un mondo fatato e pervaso di purezza, Dahl parla dell’umanità… quella “grande” e quella “piccola”. Tutte le persone hanno presunzioni, possono essere cattive… possono essere terribilmente ordinarie e grette. Ciò che non è ordinario è il Mondo Dahl: scenari quotidiani vengono trasformati in sogni mostruosi, in contesti oppressivi o meravigliosamente colorati e assurdi. Sembra che i bambini siano il bersaglio del mirino creativo dello scrittore… in realtà lo sono ma non da soli… il motore dell’azione a mio parere sono gli adulti. I “grandi” sono la forza distruttiva dalla quale i “piccoli” devono, a volte, difendersi. I bambini imparano dai genitori, dagli educatori, e dagli adulti in generale una serie di informazioni disfunzionali su loro stessi e sulla realtà circostante. Ciò accade nella vita reale, ciò viene raccontato su milioni di lettini di milioni di psicanalisti. Leggere Dahl è una terapia molto più breve, e a volte credo anche efficace. I bambini possono riscattarsi, i bambini sono così potenti da provocare la morte o i tormenti di chi lo merita, siano essi genitori… o ad esempio streghe.  

 Ph. Francesca Lucidi
Edizione in foto: Editrice Salani 2019
Edizione letta e utilizzata in questo post: Editrice Salani 2019

MATILDE

Il romanzo Matilde fu pubblicato nel 1988: è la storia di una bambina prodigiosa, totalmente ignorata dai suoi ridicoli e disgustosi genitori (molto in Dahl è disgustoso, e questo feticcio non può non essere considerato come un tratto meravigliosamente infantile). La piccola Matilde è un genio, a diciotto mesi parla meglio di molti adulti e a tre anni ha già imparato a leggere da sola… purtroppo per lei in casa c’è solo un libro di cucina impolverato che legge e rilegge, e delle vecchie riviste (che probabilmente non aveva letto nessuno in precedenza).

 Ph. Francesca Lucidi
 Matilde ha due genitori: Il Signor Dalverme, un ometto secco che si muove velocemente nei suoi completi sgargianti… sfoggiando capelli nerissimi e curatissimi che svettano su una testa vuota da imbroglione (sì lui vende auto usate che sono, ovviamente, delle truffe), e su baffetti che fanno da accento a una “faccia da topo”; Matilde ha anche una madre… la Signora Dalverme, una donna grassa e troppo truccata, convinta  (a torto) del suo bell’aspetto e totalmente ignorante. Pensare che Matilde possa essere nata da questi due individui scortesi e superficiali fa assai impressione, contando anche il fatto che Matilde ha un fratello, Michele, che non ha assolutamente le qualità della sorella, e forse per questo non viene maltrattato così crudelmente come la piccola… probabilmente Michele non è per i Dalverme un paragone così doloroso per la loro scarsa qualità da esseri umani, come lo è Matilde.

Matilde dopo la risposta ovviamente scortese datagli dai genitori alla richiesta di avere un libro, come sempre fa da sola: inizia ad andare in biblioteca (appunto da sola), tutti i giorni, ed ha solo quattro anni. La Signora Felpa, la bibliotecaria, è stupita e intenerita da quella piccola figura che in pochissimo tempo legge tutti i libri per bambini… e arriva ben presto a leggere una lista di classici che pochi in vita possono dire di aver letto. La bibliotecaria come primo libro “da grandi” porge a Matilde Grandi Speranze di Charles Dickens; la piccola adora Dickens, e non si può certo dire che sia un caso. In questa storia, come in altre di Dahl, non si possono non riscontrare delle similitudini con Dickens: i bambini oppressi; gli adulti sciocchi, violenti o incapaci di provvedere ai propri figli… il riscatto dei bambini… e l’aiuto di qualche fenomeno soprannaturale e di qualche personaggio dal cuore d’oro per rimettere le cose a posto, anzi per far volgere la storia e la vita dei protagonisti a un livello di redenzione.

Matilde viene mandata a scuola un anno in ritardo (i genitori si erano dimenticati di iscriverla); una volta arrivata in classe la Signorina Dolcemiele, la maestra, viene subito a conoscenza, per caso, delle straordinarie doti di Matilde… tra le due nasce un rapporto speciale, e i compagni di Matilde non sembrano infastiditi da una coetanea così “avanti” nelle capacità. Matilde è tremendamente umile e tutto sembra essere un perfetto quadretto… ma il dramma non erano i Dalverme… il vero dramma è la direttrice della scuola, la Signorina Spezzindue: una donna violenta che odia i bambini, e ben più pericolosa dei genitori di Matilde. La Spezzindue ha anche a che fare con la malinconia che pervade l’esile figura della Signorina Dolcemiele… i motivi si scopriranno grazie alla perspicacia di Matilde e al suo speciale rapporto con la maestra. È proprio in classe che Matilde inizierà a manifestare dei poteri, oserei dire pericolosi… ma questi poteri saranno la chiave per la risoluzione dei drammi umani di questa storia. Ciò che fa la differenza è sempre il cuore delle persone, che scelgono se perpetrare il bene o il male. Matilde prima della manifestazione dei suoi poteri aveva già iniziato a vendicarsi dei suoi genitori… con piccoli scherzi innocenti… Matilde è convinta che chi è cattivo la debba pagare. In realtà i suoi scherzi sono solo il preludio a ciò che l’intelligenza della piccola può escogitare e poi far scaturire dalla sua mente eccelsa così vessata da un molto scialbo, materialista e crudele.

Tranquilli… non morirà nessuno, se non ricordo male. O forse qualcuno è morto, in passato, in circostanze fin troppo misteriose. Ora non potete far altro che aprire questo libro… Roald Dahl è uno slogan vivente alla lettura, come la sua piccola Matilde.

Poi vi svelerò qualche aneddoto gustoso su questo autore… ma nell’altra sezione del Blog, e non ora.


L’ILLUSTRATORE QUENTIN BLAKE

Mi preme citare l’illustratore che ha contribuito, in un modo assai speciale, alla fortuna delle storie di Dahl: Quentin Blake.

Ph. Francesca Lucidi 
Immagine dalla bandella posteriore della sovraccoperta dell'edizione Salani
Quentin, insuperabile illustratore, scrittore e disegnatore britannico, nasce nel 1932. Inizia la carriera da disegnatore a soli 16 anni per il giornale Punch. Si laurea in letteratura inglese al Downing College dell’Università di Cambrigde nel 1956, per conseguire poi un Master all’Insitute of Education. Famoso per aver illustrato i libri di Roald Dahl, ha illustrato in realtà più di trecento libri, anche i suoi. Nel 2002 vince il Premio Hans Christian Andersen per il suo contributo alla letteratura per l’infanzia. Nel 2005 viene nominato Commendatore dell’Impero Britannico per i servizi alla letteratura per l’Infanzia. Ancora attivissimo nonostante l’età… potete scoprire il suo modo di lavorare e persino fare un giro nel suo studio… basta andare sul sito dell’illustratore al link https://www.quentinblake.com/.

Per i trent’anni di Matilde disegna una copertina che ritrae la bimba divenuta ormai donna e direttrice della British Library. È davvero emozionate vedere la nostra piccola eroina felice tra i suoi amati libri… e ormai in un posto dove possa riconoscersi ed essere “riconosciuta”.



LA LISTA DEI LIBRI LETTI DA MATILDE IN BIBLIOTECA

 A soli quattro anni (e tre mesi), Matilde legge la seguente lista di libri per adulti; potete divertivi a confrontare le vostre letture passate o in corso… e magari giocare con lei in una gara di lettura che come vincita ha il nutrimento del vostro cuore e della vostra anima.



Il FILM

Dal libro Matilde di Roald Dahl è stato tratto il film Matilda sei Mitica! del 1996.

Con la regia di Denny DeVito e l’interpretazione di Matilde da parte della giovane attrice Mara Elizabeth Wilson, già nota negli anni novanta per il suo ruolo nel film Mrs. Doubtfire (1993), la storia di Dahl assume dei connotati meravigliosi. Con DeVito nei panni di Harry Wormwood (il Singnor Dalverme)… tutto diviene una parabola coloratissima e rumorosa. Nel film le fisionomie dei genitori di Matilde rispetto al libro vengono invertite, e grazie agli attori la scelta diviene credibile ed efficace. I colori… beh parlando di colori sono proprio questi ultimi a connotare ambienti e personaggi. Dagli accecanti toni dei vestiti e dell’arredamento riferibile alla famiglia Wormwood, ai colori pastello che circondano la dolce Matilda, fino agli orribili grigi e marroni che connotano la Signorina Trinciabue (trasposizione della Signorina Spezzindue), e la sua inquietante scuola. Tutto diviene grigio intorno ai cuori aridi… ma tutto viene illuminato dai disegni dei bimbi, così protetti e nascosti dalla Signorina Honey (trasposizione della Signorina Dolcemiele), alla vista della terribile preside. I poteri di Matilda divengono assai più inquietanti nella narrazione cinematografica: tutto è movimentato e molto più spaventoso rispetto al libro, anche perché rispetto a una narrazione scritta che debba assecondare la capacità di lettura di un bambino, e una certa brevità auspicabile per il suddetto motivo, il film si prolunga nell’esaltazione della straordinaria potenza della mente di Matilde. Alcuni tempi sono dilatati; in un primo momento la bimba non riesce neanche a mostrare alla Signorina Honey i suoi poteri, e anche i Wormwood sono magistralmente presentati attraverso i loro gesti quotidiani che vanno dall’ossessività per il cibo, per la cura dell’aspetto (con pessimi risultati)… fino alla loro Tv-dipendenza. Anche gli agenti che sorvegliano le attività illecite del Signor Wormwood sono personaggi assai esilaranti. Tutto è fiaba, con accenti gotici (grazie al maniero occupato illecitamente dalla Signorina Trinciabue), e con richiami a un certo cinema “anni novanta” pieno di eccessi ed esilaranti questioni assurde e misteriose: pensiamo alla scia delle storie di fantasmi; ai travestimenti e agli equivoci di decine di film che riscuotono ancora oggi molto successo… per non parlare dei protagonisti “bambini” che rivestirono un ruolo primario.  Ricordiamo a tale proposito il film Mamma ho perso  l’aereo, Mrs. Doubtfire (appunto); i numerosi film interpretati dalle Gemelle Olsen o dallo stesso Macaulay Culkin. Da non dimenticare gli importanti precursori del genere fantastico per l’infanzia, che però ancora oggi ossessionano noi adulti: i protagonisti del film I Goonies del 1985. Molti altri si potrebbero citare… per ora v’invito a unire l’esperienza letteraria “Matilde” con la visione del film, non resterete delusi!








venerdì 31 gennaio 2020

“Buona sera. Tua madre probabilmente merita di morire.”, il romanzo GLI INCUBI DI HAZEL

Per un gotico contemporaneo e fiabesco: 
GLI INCUBI DI HAZEL 

UNA STORIA PER BAMBINI? O L'ESPERIENZA DI UN INCONSCIO QUALSIASI?

“Le persone che ammazzano altre persone sono tantissime. Lo hanno sempre fatto, per tutta la storia dell’umanità […] Questo libro dice perché.”
  

“Buona sera. Tua madre probabilmente merita di morire.”, così inizia Gli incubi di Hazel. Nessuno si aspetterebbe che un incipit ci possa propinare una sentenza così frettolosa e sommaria, eppure l’autore qui non usa mezzi termini. Il nostro inconscio e la nostra parte “mostruosa” vengono così spiattellati con crudele genuinità: non possiamo mentire all’autore, non possiamo più nasconderci dietro le maschere sociali.

Questo strano autore è il giovane Leander Deeny, nato nel 1980 e di origini irlandesi. Ha vissuto a New York, e in Inghilterra dove ha frequentato l’Università di Oxford e la London Academy of Music Art, non terminando però gli studi. Il suo primo e unico romanzo, per ora, ha riscosso un grande successo… nonostante ci dica, a tutti, che la nostra madre merita di morire. Una mente assai interessante, visionaria e sadica… sicuramente dispettosa e gotica in un modo ironico, cinico ma profondamente intriso di una bontà così umana da essere chiaroscurata tra le incertezze, le debolezze e le perversioni. Deeny è sincero, e questo ci deve andare bene se vogliamo godere delle sue parole.
Lui ci parla di Hazel, sì una “nocciolina” che nocciolina non è… dato che è una bambina di dieci anni piuttosto burbera; dai ragionamenti adulti e infantili al contempo… sa quello che vuole ma soprattutto, e categoricamente, ciò che non vuole. La piccola viene mandata dai genitori dalla Zia Eugenia: una tipa assai odiosa e spocchiosa. Lady Eugenia Pequierde non sopporta alcun essere vivente: l’ultima volta che ha visto Hazel gli ha rovinato il Natale e gli ha ripetuto assai troppo spesso quanto fosse stupida… e di quanto probabilmente non avesse degli amici… insomma la classica persona frustrata che mette il dito nelle nostre piaghe con gusto. Hazel infatti non ha amici, è forse un po’ viziata dai genitori… ma solamente perché il piccolo dispotismo di Hazel li sfinisce. Lei non vuole assolutamente andare dalla zia; i genitori vogliono assolutamente andare in Egitto. Hazel finisce, quindi, dopo una sequela di capricci e proteste inverosimili (assai esilaranti ed espresse attraverso paragoni assurdi, che volevano mostrare alla mamma quanto Hazel avrebbe preferito qualunque tortura a tre settimane dalla terribile Eugenia). Il maniero dei Pequierde è in rovina: dopo la morte del marito di Eugenia, il quale era il vero detentore di titolo nobiliare e patrimonio, tutto è allo stato di abbandono, anche perché Lord Pequierde scommetteva molto in qualsiasi assurda scommessa, e perdeva sempre. La sua morte nella fossa delle tigri allo zoo sembra quasi la punizione per una scommessa persa… ma proprio questa morte sarà poi il motore di molte brutte cose pensate e fatte all’interno del romanzo, da diversi personaggi. Hazel trova in questa casa piena di funghi, muffe, puzze e segni di tazze di tea ovunque, Zia Eugenia e il figlio Isambard… un bambino, a detta della madre, molto intelligente e ligio allo studio che vive isolato in una delle torri del maniero: appartenente ubbidiente e silenzioso, molto amichevole con Hazel e assolutamente succube della madre, merita pena e compassione… ma piano piano insinua un senso di inquietudine che avrà le sue ragioni verso la fine della storia. Oltre a questi due personaggi ,dai capelli improponibili, troviamo la governante Dungeon, lo pseudo maggiordomo Pude, il giardiniere Boynce: tutti assolutamente inadeguati nelle loro mansioni, e ormai probabilmente diventati stupidi dopo esserselo sentito dire così tante volte dalla crudele Eugenia. In quella casa tutto ha un cattivo odore, non c’è la tv; i sughi di carne, di cui è ossessionata la Signora Dungeon, infestano gli stomaci di tutti… e il cavolo bollito è l’unica alternativa a quel sapore pesante e insostenibile.

Hazel subisce, Hazel odia Eugenia sempre di più… “Noce”, “Nocciola”, “Mandorla” – come viene chiamata apposta o per follia dalla zietta –  a un certo punto incontra tre incubi. Di chi sono? E soprattutto cosa faranno mai a una bambina di dieci anni che è piombata nel loro bivacco interrompendo sonnellini e mangiate di biscotti.
Ah non vi ho detto che quella proprietà ha uno strano alone di fumo di sigaretta tutto intorno: le anatre fumano; dopotutto il cane ha la testa di legno e i due maiali sono cucini insieme… chi non sarebbe talmente stressato da fumare troppo.
Il tutto è magistralmente contornato da sprazzi di illustrazioni, di David Roberts,  a ogni inizio capitolo; e da “aperture” nei fogli di guardia di inizio e fine libro; non ne posso parlare, dovete vedere. Molte cose qui debbono essere viste per essere credute.
La prima edizione è del 2008, l’edizione in foto risale al 2010 ed è della Newton Compton



Peccato non aver potuto acquistare altri libri di Deeny, anche perché credo sia impegnato a salvare il mondo: ha interpretato Capitan America versione magra e sfigata in “Capitan America. Il Primo Vendicatore”. Nulla da dire sulla tua carriera da attore… ma io avrei bisogno di un altro tuo libro, e forse di qualche altro incubo di cui poter essere regista.
“Non è facile fare amicizia. Anche se coloro con cui cerchi di fare amicizia non sono struzzi rana o gorillopardi o pitospini, o assassini o pazzi. La gente è complicata, sola, arrabbiata o ansiosa: è così e basta.
Ma devi provarci lo stesso. Per quanto la gente ti possa spaventare, devi decisamente cercare di conoscerla.
Perché i fifoni non piaccono a nessuno.”

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venerdì 17 gennaio 2020

ARTICOLO num.2: I FANTASMI DI CHARLES DICKENS TRA REALTÀ E SIMBOLO

I FANTASMI DI CHARLES DICKENS TRA REALTÀ E SIMBOLO

UN CANTO DI NATALE

                                                                                     Ph. Francesca Lucidi
In foto l'edizione Newton Compton dei RACCONTI DI NATALE, contenente Un Canto di Natale, Le Campane, Il Grillo del Focolare, La Battaglia della Vita e Il Patto col Fantasma.

Una delle letture tipiche del periodo natalizio è Un Canto di Natale  (A Christmas Carol, in Prose. Being a Ghost-Story of Christmas) di Charles Dickens. La storia è quella, primamente indigesta, dell’avaro Ebenezer Scrooge, che subisce l’apparizione dell’inquieto fantasma del  suo socio in affari Jacob Marley, morto sette anni prima proprio alla Vigilia di Natale, il quale gli preannuncia la visita di tre spettri che Scrooge deve seguire pena la maledizione irrimediabile della sua anima nera e avvizzita… e forse “morta come un chiodo di porta”. 

Henri Christiaan Pieck (19 April 1895, Den Helder – 12 January 1972, The Hague)
                                                                  
In questa storia su cui non voglio anticiparvi nulla, anche se molti ne conoscono lo svolgimento… spicca anche la vita quotidiana della famiglia del mal pagato impiegato di Ebenezer ScroogeBob Cratchit.
La povertà e la ricchezza d’animo di questo nucleo familiare si contrappone all’avarizia e alla disumanità del protagonista di questa storia dai toni gotici, intrisa della critica sociale che per Dickens fu la materia prima da cui trarre le sue storie tormentate, oscure ma rischiarate dal riscatto e dalla morale più luminosa e positiva. Dickens trasse dalla sua stessa esperienza personale la veemenza con la quale raccontò le sue storie.
John Dickens, il padre di Charles, fu rinchiuso per debiti alla Marshalsea dal febbraio al maggio del 1824, quando lo scrittore aveva solo 12 anni. Tutta la famiglia si spostò dal quartiere popolare di Camden Town (quartiere dove vive anche la famgilia Cratchit) direttamente alla prigione; tranne Charles che venne mandato a lavorare in una fabbrica di lucido da scarpe: la Warren’s Blacking Warehouse, e visse in una stanza con altri due ragazzi presso la struttura di una certa Mrs Roylace, sempre a Camden Town.
Dickens rimase profondamente scioccato da quell’esperienza e si impegnò tutta la vita per la difesa dei più poveri, e contro la “New Poor Law” (1834) che non faceva altro che trasformare i poveri in schiavi a buon mercato, intrappolati nelle “Case di Lavoro” dove ricevevano poco cibo e nessuna assistenza. Dickens definì lo stato come “Un genitore cattivo e negligente nei confronti dei più poveri”… i poveri che Dickens andò a visitare più volte anche presso le scarse strutture “scolastiche”per i ceti meno abbienti.
Un Canto di Natale fu un successo clamoroso e vendette seimila copie in soli cinque giorni (fu pronto per l’acquisto e la vendita il 19 dicembre 1843). Dickens impiegò solo sei settimane per la stesura, e i manoscritti presentano una stesura di getto zeppa di note a margine. La verve con la quale lo scrittore ci catapulta tra le strade gelide della prima Londra industriale si evince in ogni passo… le sequenze descrittive ci portano a vestire i panni della GENTE di Londra, ad annusare i cibi portati a cuocere nelle botteghe per il Natale; a vivere i sentimenti puri e genuini della gente semplice e povera… ma ricca di ciò che a Scrooge manca da molto tempo. La semplicità è nei cuori dei personaggi di Dickens, la complessità è nelle metafore e nelle evocazioni vivide e violente… nella durezza della cruda quotidianità di un popolo dimenticato e sul quale Dickens scommette la salvezza… non solo dell’animo dello spietato Scrooge.
Le tragiche condizioni dei lavoratori della Londra del tempo, sono testimoniate dal rinvenimento di cento scheletri durante uno scavo nel parcheggio di New Covent Garden; già parzialmente epurato da altri scavi negli anni sessanta, finalizzati allo spostamento del mercato dal centro della città alla zona sud-ovest. Nel sito del mercato in passato vi era un cimitero, il quale era adiacente alla Chiesa di San Giorgio a Martire. Tra i resti ne furono rinvenuti numerosi associabili bambini e ragazzi. Ogni individuo era morto a causa di una vita molto dura, disumana: infezioni, violenze, sifilide endemica… tutto a testimoniare quanto ciò che Dickens racconta nei suoi scritti sia stato realmente un racconto horror… ma purtroppo tutt’altro che inventato.
La stessa prigione dove fu rinchiuso il padre dello scrittore è tristemente nota per le condizioni in cui vivevano i prigionieri: chi non poteva permettersi di pagare i servizi era condannato a una morte per stenti ( la prigione era a gestione privata, come tutte le prigioni della Londra del XIX secolo).
Il grande successo di Un Canto di Natale non è casuale… Dickens è definito uno scrittore “generoso”, non solo per il suo stile… ma probabilmente per l’amore che circondò ogni sua opera. Nonostante il numero delle vendite del racconto, Dickens in proporzione non guadagnò moltissimo: vendette le copie a soli 5 penny, nonostante l’edizione da lui scelta fosse molto costosa. Ogni volume aveva una copertina in velluto e una carta color salmone con incisioni decorate.
La grande passione dello scrittore era ed è assolutamente contagiosa: fu famoso anche per le letture pubbliche delle sue opere, in cui riusciva a impersonare ogni soggetto… probabilmente perché ogni personaggio ha una base reale che è divertente andare a cercare seguendo i suoi indizi, e anche gli eventi della sua vita privata.
Ma su questo forse torneremo…
“E CHE DIO CI BENEDICA TUTTI QUANTI!”

Scrivania utilizzata da C. Dickens per le sue letture pubblice.Dal Web.
                                                                                                                                                

mercoledì 13 novembre 2019

ARTICOLO num.1 - PROFANATORI DI TOMBE (Parte Prima)

PROFANATORI DI TOMBE: I RESURREZIONISTI


La sepoltura è una circostanza avvolta da mistero e misticità.  Fin dai tempi antichi si possono riscontrare riti preposti a facilitare e “guidare” la vita dopo la morte. Essere seppelliti, però, non ha sempre significato l’inizio di un pacifico riposo corporeo. La profanazione delle tombe trova come prima motivazione, la sottrazione di oggetti preziosi: primamente inseriti nel luogo di sepoltura (basti pensare ai complessi riti egizi), ma anche presenti addosso al cadavere stesso. In seguito le tombe attirarono gli intenti dei profanatori per scopi ben diversi e particolari; sempre con un guadagno… ma per una posta forse ancor più alta. La professione medica ebbe, nel corso dei secoli, una storia travagliata: prima confusa con le pratiche magiche, fu spesso qualcosa di poco compreso, e fosco per alcuni. Ai giorni nostri, all’interno di quella che chiamiamo “medicina” vi sono i chirurghi. Oramai questa branca è strettamente legata a ciò che veniva comunemente chiamato medicina: in realtà questo non è scontato, considerando che le pratiche chirurgiche o dentistiche, erano in  mano a professionisti che non ci aspetteremmo… come ad esempio i barbieri. I barbieri amputavano arti ed estraevano denti; oggi è difficile pensarlo, ma fino al XIX secolo era consuetudine. Oggi sappiamo che la sala autoptica è il terreno dove si giocano il coraggio e l’abilità degli  studiosi e studenti di medicina: la cosa, anche questa  apparentemente scontata, ha una lunga storia complessa e piena di loschi individui, omicidi; battaglie politiche e risoluzioni poco ortodosse, ma probabilmente, da una parte, necessarie. I corpi che vengono attualmente studiati a scopi medici e scientifici, sono corpi non reclamati o donati alla scienza (dietro diverse procedure su cui è inutile, qui, dilungarsi). Nel secolo XIX, quando il Positivismo diede una forte spinta alla ricerca scientifica, gli studiosi di anatomia si moltiplicarono, e non erano, come abbiamo già detto, tutti medici nel senso che noi attualmente conosciamo. I corpi da studiare era pochi… in Gran Bretagna erano utilizzati quelli appartenenti ai giustiziati, i quali erano stati condannati alla dissezione postmortem.  Sicuramente questa risorsa era insufficiente, specialmente dopo le limitazioni delle pene capitali e del Bloody Code dal 1823, e per questo si iniziò a violare le tombe, con ogni mezzo… e con metodi assai articolati, per rendere poco visibile dall’esterno ciò che si era fatto. I profanatori di tombe del periodo vennero chiamati i “Resurrezionisti” (nome assai ironico e agghiacciante). Il business della vendita dei cadaveri diventò ben presto fiorente: ciò avveniva perché molti erano gli studiosi disposti a pagare per un corpo fresco da dissezionare, e anch’essi in prima persona, a volte, si adoperavano in queste pratiche, se scarsi di risorse economiche o se appartenenti alle categorie inusuali che praticavano la chirurgia e gli studi anatomici. 


La situazione divenne un’emergenza, in special modo dopo il caso Burke-Hare. Gli irlandesi emigrati in Scozia William Burke e William Hare furono due ladri di cadaveri che si macchiarono di ben 16 omicidi, in meno di dodici mesi, tra il novembre del 1827 e l’ottobre del 1828, finalizzati ad avere una merce di scambio migliore in quantità e qualità; con la complicità delle rispettive compagne.

 Ritratto di Burke a Hare (dal web)

I corpi da loro “guadagnati” venivano venduti all’anatomista Robert Knox. I due resurrezionisti, divenuti assassini, furono scoperti grazie a dei passi falsi compiuti nel loro ultimo omicidio (la vittima era Marjory Campbell Docherty). Hare confessò e testimoniò, dietro promessa di aver salva la vita, e Burke fu così condannato a morte. Il suo corpo fu sottoposto a dissezione. Riporto la testimonianza del professor Alexander Monro che intrinse la sua penna d'oca nel sangue di Burke e scrisse: "Queste parole sono scritte con il sangue di William Burke, che fu impiccato ad Edimburgo. Questo sangue è stato preso dalla sua testa." Lo scheletro di Burke, altri oggetti ricavati dalla sua pelle conciata; e le maschere mortuarie di entrambi i serial killer, sono esposti nell’Anatomy Museum dell’Università di Edimburgo. Knox la fece franca, perché protetto dai due malviventi, ma la sua fama ne risentì e la sua richiesta di assunzione alla Edinburgh Medical School fu respinta; tutto ciò dopo l’Anatomy act del 1832. La legge in questione regolamentò lo studio dell’anatomia, che fu sottoposto al controllo di organi preposti; i corpi da studiare aumentarono grazie alla possibilità data agli istituti di medicina riconosciuti, di entrare in possesso dei corpi non reclamati, di chi era deceduto nelle case di lavoro o negli edifici pubblici. Fu data altresì la possibilità ai parenti del defunto di donare il cadavere del congiunto alla scienza, ottenendo il pagamento delle spese per le esequie, a meno che il defunto stesso non avesse messo per iscritto la sua non volontà alla donazione. Chiunque poteva poi donare il proprio corpo… e su questo torneremo.

Continua…