I
DUE GIOVANNI E IL DIAVOLO
CAPITOLO
II
Parte
seconda
4.
La veggente
Dopo un anno Chiaretta era
diventata una protettrice dei predatori; e una pura creatura di preghiera come
non lo era mai stata quando era in convento. Aveva imparato a stare in silenzio
per interi giorni. Davanti al fuoco ascoltava Borja suonare un malandato
violino: il bottino di un assalto a una compagnia di musici e saltimbanchi,
provenienti da terre lontane. La piccola suora rincorreva quelle note con un
mugugnare dolce, senza parole. Vuk si poggiava con la testa alla femmina dominante
dei suoi lupi, mentre si faceva leccare i graffi ottenuti lottando con qualche
contendente più ardito. La saliva dei lupi è preziosa: ha un potere
rigenerativo… e una loro attenzione al loro compagno uomo, era il segno di un
legame profondo. Anche questo privo di parole ma ricco di odori, gesti, forza e
sangue.
L’uomo in fondo fissava
Chiaretta. Sempre.
Dopo nove anni la piccola
suora, ora più muscolosa nelle braccia e nella volontà, era presso il fiume
fangoso che bagnava quelle terre in Inverno così umide. Il Capodanno celtico
era vicino… lo aveva letto in alcuni libri che Borja aveva preso da una Chiesa
abbandonata. Chiaretta stava imparando così tanto… da libri mai concessi, e da
piaceri tangibili puri e non più repressi.
Mentre era tra quelle acque
fredde a bagnarsi i piedi stanchi, e riponeva le ciotole di legno sulla terra
per poi accingersi a lavarle… ecco che una donna dal passo elegante, e
misterioso, si avvicinò a quella strana creatura dal velo di monaca e dalla
pelliccia da lupo: una Zingara. Chiaretta non sapeva cosa fossero gli Zingari.
Chiaretta non conosceva molte delle cose che gli si paravano davanti giorno
dopo giorno. A differenza di quanto accadeva in passato, ora non aveva più
paura di ciò che nel mondo poteva graffiarla, ammalarla o ammaliarla. Il
violino di Borja riusciva sempre a farla sentire calma. Bene. Amabile.
Amorevole verso tutto ciò che Dio aveva creato.
La Zingara guardò Chiaretta
intensamente e, poggiando il rametto di erbe che portava in mano e una sacca
ornata, si sedette accanto a lei e gli disse: «Voi avete un animo freddo e
limpido come quest’acqua quando inizia a cadere la neve. Avete la sofferenza
negli occhi. Avete l’amore nel ventre. Amate un uomo, ma siete promessa a un
altro. Questa foresta è diversa… sussurra inquieta da quando il Conte si è
insediato lì. Guardate in alto… notate quella fortezza? Il gufo ha parlato. Noi
moriremo insieme giovane fanciulla velata. Sii serena. Dove andrai potrai
abbracciare entrambi i tuoi amori. Senti la pace nel cuore? È ciò che vuoi. Lo
sento. Un violino verrà tinto di morte. Attenta all’uomo senza un orecchio…»
Chiaretta cercò di
chiedere spiegazioni, anche se quelle parole gli sembravano meno celate di
quanto volesse credere. La Zingara gli poggiò l’indice sulle labbra e gli
bloccò ogni risposta, poi sussurrò: «Non chiedete. I gufi rivelano… ma non
svelano il tempo».
_______
L’elegante donna, dai lunghi
capelli corvini… scomparve appena prese una pietra tra le mani e vi sussurrò
dentro una frase, incomprensibile alla suora dai piedi ancora immersi nel
fiume. Chiaretta guardò alla sua sinistra e vide un gruppo di monete: avevano
sopra una croce incastrata in un cerchio spesso e delle scritte che non
riusciva a distinguere, discernere. Sentì che doveva prendere quel mucchietto
luccicante per una ragione. Lo mise in tasca… si fece il segno della croce… e
restò lì a pensare se davvero avrebbe raggiunto un luogo dove avrebbe potuto
amare pienamente i suoi sposi, nella purezza dello spirito… nella beatitudine
dell’eterno. Non ebbe paura della Zingara perché non conosceva bene la magia o
l’umanità che si stagliava fuori dalla tenuta di Angelino, fuori il convento; o
fuori dalla Foresta. Ebbe però paura dell’uomo senza un orecchio.
Proprio negli stessi attimi,
quell’uomo aveva visto la scena… nascosto come sovente faceva: come un ragno
raggomitolato sotto una foglia. Violentă aveva visto la Zingara, sapeva che gli
Zingari hanno molto oro. Corse via e andò veloce verso il sentiero per cercare
di trovarne qualche traccia. Violentă ascoltò dei canti e dei sonagli… Violentă
venne a scoprire che all’inizio dell’estate, gli Zingari sarebbero tornati.
Girò i tacchi alla svelta e inciampò nei piedi di un uomo goffo che cadde con
lui in una nuvola di polvere. L’uomo goffo, appoggiato al suo bastone curvo,
era Giovanni “La Paura”. Così tutti lo chiamavano. Così lui si vedeva. Violentă
si rialzò e diede un calcio alla curva schiena di quell’ometto insignificante.
All’inizio dell’estate gli
zingari sarebbero tornati.
5.
Maledizione e morte
La Primavera passò lesta. I
pollini erano passati veloci attraverso il vento; quella polvere giallastra
aveva tinto le giubbe di quella “Compagnia della morte”, che da qualche giorno
confabulava scura e sommessa sotto gli occhi di Chiaretta, che muta osservava e
nulla avrebbe potuto sospettare. Violentă era diventato una civetta obbediente
e servile; e sempre stava attaccato alle spalle di Borja. Il Capo ascoltava
nella notte la sua civetta ultimamente così mansueta e fedele. Il violino restò
poggiato a terra per giorni; Chiaretta non comprendeva quell’atmosfera segreta
e di malaugurio circondata. I lupi di Vuk spesso venivano mandati sui sentieri
alla ricerca di informazioni di cui la piccola suora non capiva la natura e lo
scopo.
Violentă aveva convito la
Compagnia ad assalire gli Zingari, egli sapeva sarebbero presto tornati nei
pressi della Foresta. Il Cardinale Angelino, dal giorno dell’assalto, li teneva
prigionieri di un patto che li aveva condotti su un fiume di sangue che
scorreva troppo veloce anche per le mani salde e incoscienti di quegli uomini
soli e disperati. Le monete si accumulavano, le sfortune anche. Ormai l’operato
del Cardinale aveva reso troppo noti la presenza e gli operati di quelle dieci
anime; che solo Chiaretta accudiva, per cui solo Chiaretta sperava ancora.
Borja ogni giorno pensava al dì dell’assalto e del patto. Una forza
incontrollata lo portò a diventare servo del maiale che avrebbe potuto macellare
con due gesti veloci… ma quella forza da quel giorno non l’aveva mai
abbandonato; cresceva e si moltiplicava tra i capelli di Chiaretta. Egli
riusciva a scorgerli quando la vegliava nell’attesa dell’asciugatura della sua
sacra veste.
_______
La coperta che lei
teneva stretta tutta intorno al suo corpo di rara perla, lasciava a volte
uscire delle ciocche scure e disordinate, luminose e vive come il dorso di un
serpente. Borja voleva andar via. Per la prima volta sentiva che forse una
parte di lui ancora non anelava all’oblio. Non poteva avere Chiaretta, forse, e
non poteva abbandonarla: questo era certo come quel fuoco che gli scaldava da
dentro il petto quadrato e segnato di cicatrici, le quali erano ormai il segno
di come il male lo aveva toccato… di come il male aveva operato attraverso il
suo corpo forte, e al contempo stanco.
Se Violentă aveva ragione,
tutti avrebbero potuto avere l’ultimo bottino da quella terra; ormai prigione
meravigliosa per uomini che sapevano essere destinati alla forca che anni prima
avevano evitato con tanta abnegazione, fino alla maledizione di se stessi.
La Compagnia stava
organizzando l’assalto agli Zingari. Il tutto era stabilito per l’indomani, le
tracce erano chiare e i lupi avevano scovato la magica carovana colorata che
lontano dal sentiero si nascondeva.
I “dieci” in un attimo
furono addosso e tutti intorno alle vittime designate. Il tramonto accarezzava
appena i cappelli fumosi delle montagne… e Chiaretta sapeva cosa stava
accadendo poco lontano da lei: Vuk aveva un debole per la piccola suora che
sentiva come una figlia, anche se lui non provava sentimenti umani… solo un
incondizionato istinto di sopravvivenza e protezione del suo “branco” così
elegante; ma cencioso. Un branco di anime e piedi sempre freddi e stanchi.
Chiaretta ricordava le parole che mesi prima gli disse la strana donna dai
lunghissimi capelli, e dal viso truccato da segni che ricordavano rami o
grinfie. Le monete che la donna gli aveva lasciato, lei le teneva nascoste
sotto un vecchio albero di noce. In convento aveva sempre sentito dire che
quella varietà di albero ha strane energie, e che mai bisogna addormentarsi
sotto uno di esso… pena la perdita del senno. Chiaretta sentì che quel posto
era il riposo adatto per quel mucchietto di cui ancora non capiva l’utilità. Le
piccole mani “benedette” pregarono su quelle monete ogni sera; quelle mani
macchiate di terra e malinconia consegnarono a Vuk le monete. Mani nelle mani
di quell’uomo-bestia disse: «Tenete queste monete, non hanno un valore che io
possa decifrare… ma che vi proteggano. Non vi porgo una croce e non vi invito a
guardare il cielo e a invocare qualcosa che per voi è sfocato e lontano.
Sentite ora le mie mani; che il mio affetto per il “branco” vi accompagni
dove io non posso raggiungervi, dove io non vi vorrei diretti… da dove sento
non tornerete impuniti!»
Gli Zingari avvertirono
appena le ombre che avvolsero i loro mantelli variopinti. Violentă mutò la
mansuetudine che aveva mostrato scaltro per mesi: sgozzò i sette Zingari e
guardò soddisfatto Borja con il fiatone in corpo. Il capo capì che quel sangue
versato aveva un odore diverso; quando raccolse dalle mani della Regina degli
Zingari il sacchetto violaceo che ella stringeva tra le mani… guardò il ghigno
sereno che la donna morente gli rivolse. Tutto, in un attimo, fu avvolto da
voci sinistre e sferzate di risate stridule e canti lontani ripetuti e
incomprensibili. La Compagnia per la prima volta ebbe paura. Ogni membro prese
il suo bottino di ori e pietre; Borja stringeva tra le mani il sacchetto e,
preso da tremori sconosciuti, ordinò che il carretto degli Zingari fosse
bruciato. Ognuno caricò un corpo dietro suo invito; e tutti si diressero al
“Burrone dei tori impazziti” per gettarvi quei cadaveri che sembravano dirigere
i movimenti di quelle entità che si erano scatenate tra gli alberi.
Mentre correvano ogni albero
sembrava piegarsi, ogni cornacchia li rincorreva urlante e rabbiosa. Giunti al
burrone, così noto perché dei tori impazziti vi precipitarono in tempi lontani,
ognuno gettò il suo fardello. Le monete che Vuk aveva dato a ognuno
tintinnavano a ogni loro passo: tutti i membri le avevano cucite intorno agli
stivali logori.
Una voce si alzo dal
burrone: «I gufi parlarono. Maledetti dal nostro sangue, le monete
accoglieranno le vostre anime che per sempre saranno imprigionate anelando fino
alla liberazione in un Inferno meritato! Sassi e pietre, e sacchetto di lavanda
vestito… misteri e prigioni. Avarizia e Male. Male sul Male. Male nel Male.
Eterni gli Spiriti del nostro Popolo viaggiano e combattono. Eterni i sussurri
della vendetta. Senza tempo il potere che viene dalla linfa lattiginosa. Rossa
ora e tinta, il fuoco vi avvolga e le vostre menti adesso bruciando INCATENA!»
Ogni voce che li aveva
rincorsi tra i rami e i rovi si insinuò tra i capelli lunghi e sudici di quegli
uomini che sentirono mille formiche fameliche affilare le fauci attorno ai loro
pensieri. Le monete inziarono a brillare… solo un piccolo miracolo fu
possibile…
La Regina degli Zingari
aveva previsto ogni cosa; ma come ogni veggente sapeva di non dover cambiare il
corso degli eventi. Usò Chiaretta per far arrivare le monete incantate a quelli
che sarebbero stati la rovina per lei e la sua famiglia. L’Amore e la
scaltrezza incosciente della piccola giovane crearono il miracolo che quel
giorno riuscì a salvare anime che non avrebbero avuto altra possibilità di
salvezza. Le preghiere che Chiaretta aveva rivolto a quegli oggetti forgiati
dal fuoco magico, avevano avvolto quelle monete di una benedizione sempiterna e
potentissima: l’AMORE. Le monete vibravano sui calzari degli uomini che
saltellavano come mosche a cui erano state strappate le ali. La magia della
Zingara richiamava quelle anime… l’Amore di Chiaretta bloccò la “maledizione” e
le anime dannate restarono protette in quei corpi che si contorcevano.
La Compagnia scappò dal
burrone e si diresse nel cuore della Foresta, sotto l’occhio silenzioso della
Fortezza del Festa.
Gettati a terra, con i capelli
strappati tra le dita, videro arrivare un cane scuro e alto.
Tutto fu sangue e grida.
Violentă riuscì come al solito a restare in fondo. Si nascose dal cane e
guardava foglie e rami tingersi di membra e capelli e sangue. Non si mosse.
La follia che aveva
accecato gli altri non riuscì a penetrare nella mente di quell’uomo che “nacque
diavolo”.
Violentă non aveva preso
nessun oggetto dai corpi degli Zingari. Lui nacque da una famiglia di Zingari e
conosceva molti segreti; nessuno però aveva mai scoperto i suoi. Il
giorno in cui il passo falso di Borja si sarebbe trasformato nell’opportunità
di chi da lontano attendeva era giunto.
La Compagnia spirò in un sol
momento di terrificante comunione. Il corpo di Vuk giaceva sopra la figura di Borja
che di nascosto rantolava ancora… mentre un misterioso uomo lì arrivò e con
quel cane nero si fissò a lungo.
Chiaretta avvertì un ululato
nell’aria, mentre intorno al fuoco, da interminabili minuti, affannosa sentiva
la morte che gli appesantiva il collo e il capo. La sua paura in un attimo
divenne rabbia, divenne forza: la suora si alzò di scatto e iniziò a correre
tra gli alberi…
La giovane diafana pensava
alla donna che presso di lei al fiume si presentò… correva e pensava al violino
di Borja… correva e pensava alla promessa che fece al silenzioso capo dai
capelli con i riflessi dorati; correva come aveva promesso dieci anni prima.
CONTINUA...