I
DUE GIOVANNI E IL DIAVOLO
CAPITOLO
I
Parte
seconda
4.
L’ira della Sirena
Il
giorno dell’assalto cambiò ogni cosa. A volte ci sono eventi terribili che
provocano echi inestinguibili.
Chiaretta aveva vissuto una
vita da reclusa. Dopo aver passato quindici anni nel convento dove era stata
segregata, quando ancora le sue aspirazioni erano grandi, aveva imparato che il
suo posto era quello in fondo. Negli angoli nascosti poteva parlare solo con
Dio e con se stessa: gli unici interlocutori di cui si fidava, e a cui
ottenebrata rivolgeva le sue lamentazioni, ripetute ossessivamente muovendo il
capo avanti e indietro. Tra le consorelle era la più silenziosa, la più
gentile. Le sue preghiere erano lunghe e rabbiose: nel cuore nascondeva il
fuoco eterno del risentimento, che la puniva ogni giorno… ancor più delle
frustate che s’infliggeva per piegarsi a un destino sul quale non aveva mai
avuto potere alcuno.
Il giorno dell’incontro con
i malviventi vide la morte, ancora una volta. Lei era stata abituata al
sanguinario amministrare del fratello Cardinale. Dopotutto ella era quasi
contenta di vedere il suino corpo di Angelino gettato a terra, come il cadavere
di un maiale da scuoiare. Ella però ebbe paura per sé: nel tempo aveva
coltivato un egoismo ben nascosto. Provava sentimenti di paura e sfiducia per
ogni singolo essere umano; non aveva potuto conoscere alcun genere di amore e
rispetto reciproco, e nutriva nel petto una bruciante fede in se stessa e nella
forza della sua fame di riscatto. La croce d’argento che portava al collo era
il monito di quanto lei avesse intenzione di sfidare ciò che Dio aveva deciso
per lei… il Dio Laurenzio. Chiaretta credeva molto nel Signore suo Pastore,
credeva in un Onnipotente vendicativo: lo aveva letto in tutte le pagine dove
da bambina passava le ore fantasticando su pestilenze e Apocalissi, che
avrebbero liberato la sua anima e le sue membra avvolte da invisibili rovi
avviluppati.
Quando il capo dei
malviventi l’afferrò, per gettarla fuori dalla carrozza, sentì un brivido di
piacere che la inebriava. L’invitante sapore di una paura differente, di una
paura accompagnata da emozioni mai provate, e così piacevoli nella loro
subitanea potenza, le riempiva la gola stretta nel silenzio che la strozzava da
tutta la vita. Quell’uomo così forte e sporco fu il primo tocco maschile che
avesse mai sentito.
Chiaretta venne fatta
accomodare, quasi gentilmente, accanto al corpo tremante del fratello. Lei e il
capo si guardarono e nessuno dei due proferì parola. Il Laurenzio continuava
nelle sue farneticherie piagnucolose, che non aveva interrotto neanche quando
Chiaretta fu afferrata. A lui non importava di nulla fuorché di se stesso:
avrebbe consegnato agli assalitori “qualunque cosa” con le sue mani gonfie… se
questo gli avesse potuto salvare la vita. Angelino fu spogliato di ogni avere,
il capo continuava a fissare Chiaretta. Il Cardinale vedeva ormai la sua fine
approssimarsi, e non riusciva a far altro che piangere come un infante afflitto
dalla malattia nera. La piccola suora dal viso appuntito, quasi maschile ma
tinto di un fascino diafano, che la rendeva quasi una sirena imprigionata da
una rete di grossa stoffa bianca e nera, teneva stretta la croce d’argento e il
rosario; e sapeva… sapeva che quel giorno tutto sarebbe mutato.
5. Il pegno
Il capo degli assalitori
teneva un lungo coltello dal manico dorato nella mano sinistra. Il suo tocco
mancino era pronto per sgozzare il “maiale”…
Chiaretta per un secondo
sentì il dolce carezzare della vendetta, che le rizzava la peluria della
schiena intrappolata nella sua posa china. Lei aveva passato moltissimo tempo
nella solitudine della sua cella; e poi dell’umile camera dove il fratello
l’aveva riposta come un oggetto da tener da parte… perché ancora non se ne
conosce l’utilità o la pericolosità. Era stata strappata dal convento perché il
Laurenzio voleva tenerla sotto il suo sguardo. Egli era affetto da una
maniacale ossessione per il controllo, odorosa di una coscienza di pietra, mutata
in paranoia di resistente marmo tombale. Chi perpetra atti malvagi sa che prima
o poi ne pagherà il prezzo. L’Inferno anticipa sempre il suo arrivo, con
qualche avvisaglia improvvisa su chi gioca con le regole dettate dal Demonio.
La giovane suora restò a
fissare il coltello con le labbra umide. Avrebbe voluto afferrare essa stessa
quell’arma, e infilarla nelle pieghe sanguinanti della sua vita buia. La croce
iniziò a pesargli fin dentro il petto, e gli donò la forza di uno scudo quasi
incantato; e di promesse e speranze incastonato. Imbracciò poi l’intelligenza
che la solitudine gli aveva forgiato come un fabbro operoso. L’ambivalenza del
suo animo ribelle e della sua fede severa, e vendicativa, gli fece aprir bocca
per la prima volta dopo molto tempo, e così disse: «Vi prego Signore,
risparmiate mio fratello… è sangue del mio sangue… prendete me, farò qualsiasi
cosa vi prego! Lasciatelo andare, è un uomo molto potente e ricco. Sicuramente
potrà ricompensare la vostra magnanimità con altrettanta generosità. Io sono
solo una povera suora ma v’invito a non macchiare ulteriormente le vostre mani
di sangue innocente. Avete preso ciò che volevate, noi non faremo parola
dell’accaduto, e vi prometto che sarò la vostra serva, da ora in avanti, se
sceglierete di risparmiarlo. Di risparmiarci. Vi supplico!»
Il Laurenzio non
sentiva parlare la sorella da anni; ma iniziò subito a macchinare nella sua
mente, avvezza agli accordi, un qualche stratagemma per distogliere l’assassino
dal suo coltello. Sapeva che Chiaretta sarebbe stata utile un giorno, e forse
quel momento era arrivato. Forse avrebbe potuto venderla al suo assalitore per
aver salva la pelle… Chiaretta pensava le medesime macchinazioni, e sapeva bene
cosa faceva e cosa desiderava. Anelava la vendetta sul fratello, ed era
assetata da troppo tempo di una libertà che non aveva mai conosciuto.
Il suo spietato
padrone avrebbe forse avuta salva la vita… e anche lei. Forse sarebbe potuta
fuggire da quella vita imposta e confusa… sarebbe andata incontro a qualunque destino
purché fosse per una volta determinato solo da una sua azione. Avrebbe pagato
ogni conseguenza… avrebbe affrontato ogni pericoloso risvolto delle sue parole.
Qualcosa poi le diceva che quell’incontro era stato mandato da Dio, e che Dio
trova sempre il modo di vendicarsi sulle anime malvagie. Angelino un giorno
avrebbe pagato l’ennesimo patto incauto.
Il Laurenzio tossì e
proseguì le preghiere di Chiaretta prendendo la parola: «Mia sorella ha
ragione, vi ricompenserò. Se mi uccidete, tutti vi daranno la caccia. Noi non
faremo parola del vostro assalto. Sapete io sono molto ricco e posso darvi
tutto ciò che volete. Ho ammirato la vostra destrezza e v’invito a lavorare per
me. Possiamo accordarci ma vi supplico risparmiatemi! Adesso mi avete tolto
tutto…»; ma finendo di ciarlare ammiccò all’uomo girando lo sguardo verso
Chiaretta e le sue labbra umide e dischiuse. Il capo dei malviventi aveva ben
ascoltato sia la suora che il grasso Cardinale. Soprattutto aveva intuito
quanto l’opulento ometto avesse poco a cuore la vita della sorella, avendo
parlato per se stesso stringendo ancora l’anello vistoso senza aver rivolto
alcun gesto alla povera suora, che si stava offrendo per salvargli la vita. Fu
disgustato di quella situazione che si sarebbe potuta risolvere molto in
fretta. La presenza di quella piccola giovane, brillante dei suoi occhi arguti
dallo sguardo basso, aveva complicato la questione per qualcosa che in quel
momento lo confondeva; inoltre sapeva che uccidere un Cardinale avrebbe
scatenato una caccia all’uomo senza sosta.
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La fanciulla, avvolta
nel suo sacro abito, aveva risvegliato in lui qualcosa. Quegli uomini non avevano
la compagnia di una donna da molto tempo. Venivano dalle lontane terre
dell’Est; erano fuggiti dalla scure del boia seminando una scia di sangue
dietro le loro spalle. Ma quella suora aveva qualcosa di speciale. Aveva negli
occhi il fuoco delle donne della loro terra, e i tratti delle Icone delle
cattedrali d’Oriente.
Il capo accettò il
“contratto” di lavoro proposto dal Cardinale. Gli diede un pugno sul volto
tanto da fargli saltare il dente d’oro che gli illuminava il sorriso giallo e
unto. L’uomo misterioso raccolse il dente da accanto il corpo svenuto del
maiale scampato al macello… raccolse poi anche Chiaretta e la portò via con sé,
sparendo nella foresta con gli altri uomini carichi dei pezzi delle carcasse
dei cavalli.
Angelino si risvegliò quando
la notte era già calata. Pianse di gioia nel vedersi vivo… e non vedendo
Chiaretta considerò il contratto sigillato.
6. Giovan Festa e il
desiderio all’edera scura
Il Festa restò a guardare
quelle figure circospette che si muovevano lente tra le fronde della Foresta.
Sotto il suo sguardo vide quella compagnia, dall’occulto andare, sedersi… come
afflitta da un peso insostenibile e invisibile. Quei briganti stranieri si
poggiarono a terra e si tolsero dalla cintura delle sacche ricamate dai colori
vistosi. Colui che sembrava guidare quel gruppo di figure mascherate, aprì la
sua sacca e vuotò a terra un contenuto che accecò lo sguardo sempre più
interessato del Conte.
Sull’erba umida un gruppo di
pietre luccicanti ruppe l’oscurità di quella notte ventosa illuminando tutto
intorno. In un modo innaturale, potente, ipnotico. Il Festa allungò la mano e
avrebbe voluto afferrare quegli oggetti meravigliosi, che sembravano chiamarlo
e invitarlo a un convito a cui ora voleva assolutamente partecipare, con tutto
se stesso. Gli uomini non riuscivano più a camminare, e sembravano affaticati
più di una legione di ritorno da una lunga guerra. La figura seduta che
contemplava le pietre luminose, non faceva altro che guardare il suo bottino; e
sembrava parlargli con fare disperato… confuso…. supplichevole. Giovanni voleva
quel tesoro per sé ma sapeva che dalla sua finestra non poteva raggiungere ciò
che anelava; se avesse allertato i suoi uomini loro avrebbero potuto rubare
qualche pietra… non poteva fidarsi di nessuno. Le pietre chiamavano il suo nome
ossessivamente. Una paranoia, mista a piacere e bisogno, lo avvolse come un
sudario stretto, odoroso e inebriante. Allungò ancora le mani verso quella visione
celestiale… gli uomini nel frattempo avevano poggiato a terra le loro sacche e
ne avevano svuotato il contenuto; si reggevano il capo e scuotevano a destra e
sinistra la testa, cercando come di scacciare una vespa determinata a pungere
la loro carne. Il Conte disse ad alta voce: «Le mie ricchezze sono imponenti,
il mio potere saldo e spietato. Mi sento vuoto in questa fortezza buia. La luce
di quelle pietre m’infuoca il cuore. Farei qualunque cosa per stringerle a me.
Toccarle. Baciarle. La mia anima non vale quanto quella bellezza che non posso
sfiorare. Brucio, brucio…»
Il Conte iniziò a
piangere come un infante a cui avessero strappato il suo latte. A un tratto, da
fuori la finestra, l’edera scura e infestata iniziò a contorcersi e a invadere
la pietra su cui le mani del Festa si erano aggrappate, nella disperazione di
un desiderio incontrollato. Le foglie nere e appuntite liberarono ragni e
scorpioni che iniziarono lesti a correre via… come spaventati da uno stivale
incombente sul loro corpo piccolo e sgradevole. L’edera scura prese a parlare:
«Conte ho ascoltato le tue parole. Ci sarebbe un modo per cessare questo
dolore, questa sete che vi affligge. Potete avere tutto ciò che volete. Voi
siete il Conte Giovan Festa… e nulla vi è precluso. Io posso placare il vostro
desiderio. Promettete di accettare il mio magnanimo aiuto… dovete solo farvi
toccare. Lasciatemi il vostro corpo ed io vi curerò. Lasciatemi entrare, e
promettetemi che qualunque cosa io tocchi e che decida di prendere voi me la
darete. Sigillate dunque il contratto?»
Il Festa non sapeva da dove
venisse quella voce, riusciva solo a fissare le pietre luccicanti e gli uomini
presi da spasmi, e strane forze, che vi si agitavano intorno. Fino a quel
momento aveva ottenuto ogni cosa… non aveva mai provato un vuoto tale nel
petto. Avrebbe lasciato tutto ciò che portava indosso. La sua cintura. La sua
spada ornata di rubini. Il suo collare d’oro. I suoi orecchini di diamanti. Non
c’era nulla di cui non si sarebbe spogliato per baciare quei preziosi che lo
chiamavano per nome ancora e ancora.
L’aiuto presto offerto, ecco
che cela spesso un inganno assai molesto.
Le brame ardenti oscurano il
giudizio di chi non ha mai avuto caro il significato della Vita. Chi non ne
rispetta il valore e le regole… ecco che non ne conoscerà mai le insidie e le
armi silenti.
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Il Conte aprì le braccia al
vuoto e disse: «E sia…»
L’edera scura prese ad
avvolgerlo… s’intersecò attraverso le sue gambe, gli coprì le braccia e
s’inumidì della sua lingua che fuoriusciva da una bocca aperta dalla confusione
e dal piacere. I rami gli ornavano i capelli…. il petto scolpito di muscoli
solidi era vestito ora di un’armatura di rami e foglie spigolose. A un tratto
si sentì un abbaiare lontano: un ululato lungo e stridulo, dissimile da
qualunque richiamo di un lupo di montagna. L’edera strinse quelle carni
abbandonate come fa un amante violento. In un attimo i rami si dissolsero.
L’abbaio si fece più vicino e il Conte spalancò gli occhi come risvegliato da
un sonno agitato.
Urla di dolore e di morte
presero a lottare con i gridi del vento. Un cane marrone-nero apparve nella
luce di quelle pietre… il sangue degli uomini che quelle pietre avevano
mostrato, non volendo, ai bramosi occhi del Conte, prese ad annaffiare la terra
impietosa e gli alberi unti di resine e muschi maleodoranti.
Giovanni, con il busto
totalmente sporto fuori dalla finestra alta… ecco che prese ad annusare l’odore
di carni lacere che saliva dalla Foresta Proibita. Il cane si voltò a guardarlo…
Quattro occhi s’incrociarono
in un lungo e inteso momento.
Ogni cosa cessò il suo moto.
Il vento si fermò.
Giovanni si guardò addosso
toccandosi: non mancava nulla. Non capì cosa l’edera avesse preso come prezzo.
Si pensò furbo… guardò ancora il cane che lo fissava mentre gli uomini
giacevano morti… a brandelli.
Il Contratto era stato
sigillato con qualcosa che il Festa non aveva mai utilizzato… “sfruttato” come
ero atto a fare, e che per questo gli risultava impercettibile…
Il desiderio volgeva al suo
soddisfacimento. Ogni cosa stava per volgere verso un oscuro scorrere che
divenne leggenda.
Continua...