domenica 23 agosto 2020

IL GATTO NERO DI EDGAR ALLAN POE

ANALISI DEL RACCONTO ORIGINALE 
E
 PRESENTAZIONE DELLA VERSIONE GRAFICA 
DI 
NINO CAMMARATA 
PER 
NPE EDIZIONI 

Ph. Francesca Lucidi

INTRODUZIONE

Edgar Allan Poe pubblica il racconto Il gatto nero nel 1843.

Poche pagine, infinite sfaccettature della mente e dell'animo umano, follia o lucida malvagità, orrori interiori che esplodono in comportamenti violenti. Una coscienza deformata, un rimorso mutilato… demoni che non sono mitologia ma realtà. La prospettiva di Poe è quella di un analista dei lati oscuri: non vi è in questo perversione o sensazionalismo ma metodico scandagliare. I racconti dello scrittore appaiono così asfissianti perché mettono a nudo le inconfessate pericolosità insite in ognuno, le perversioni, il lato predatorio che la società cerca di reprimere senza comprendere; l’altra faccia di una mela che mostra una lucida superficie da davanti e dietro nasconde un piccolo buco nero, che può espandersi e far marcire ogni cosa…  quel buco è la putrescenza potenziale di ogni essere umano. Abbiamo più paura della morte, e dei racconti di morte, che delle infinite declinazioni che offrono il libero arbitrio e le scelte alle quali la vita invita in ogni singolo istante. La domanda importante è “come potremmo morire?” o “come potremmo vivere?”.

I racconti di Poe sembrano reclamare un diritto di cronaca sulle mostruosità messe “sotto chiave”, quelle che nelle profondità covano e si riproducono. Abbiamo paura del nostro simile e invece di cercare l’autocoscienza e la coscienza sociale ci si chiude in illusorie immagini immobili fatte di convenzioni, saluti cortesi o di forconi e forche: sì, quelle erette con molta facilità e scarsa comprensione e responsabilità.

 Il “vicino” ci fa paura… ma chi non ricorda la famosa frase “salutava sempre” che accompagna sempre le rocambolesche interviste post tragedia inaspettata?

Nel 1995, grazie allo psicologo e giornalista David Goleman prorompe l’espressione “intelligenza emotiva”. Questo concetto era già stato espresso in precedenza con diverse terminologie o riflessioni… ma il fatto che nel decennio della grande rivoluzione tecnologica e mediatica queste due parole diventino famose è assai importante. Spesso si parla di QI, quoziente intellettivo… ma è stato dimostrato che questo aspetto influenza la performance e lo status di un individuo o di una collettività in una percentuale intorno al trenta percento… il resto da cosa è influenzato? Dal QE, il quoziente di intelligenza emotiva. La funzionalità cerebrale fatta di processi di calcolo e immagazzinamento non basta. L’intelligenza emotiva è la capacità di connettersi e dirigersi verso sé stessi e gli altri, di comprendere le emozioni e gestirle; è anche il saper guardare alla paura potendola usare come mezzo di consapevolezza, addirittura di evoluzione.

 La frase “salutava sempre”, di cui abbiamo parlato, cosa mostra? Sicuramente la volontà di dare una definizione agli altri, il più possibile rassicurante; il rimarcare a sé stessi e all’interlocutore che un tale orrore è inspiegabile; il porre una realtà pensata come verità… anche se gli eventi suggerirebbero una presa di coscienza a ritroso. Se ragioniamo sul fatto che in comunicazione le parole occupano una percentuale di importanza intorno al sette percento, quante cose ci sfuggono? O meglio… di quante cose scegliamo di non farci carico? L’intelligenza emotiva spinge alla coscienza, in primis verso sé stessi e poi verso l’altro. Non possiamo essere obiettori di coscienza davanti alla coscienza stessa. La mission dovrebbe essere comprendersi e comprendere, entrare in empatia con il nostro Io (non con l’Ego iperstrutturato), per poi compiere il nostro ruolo condiviso di cucitura e rifinitura del tessuto sociale, COLLETTIVO. L’empatia non è una cosa da Hippie ma una seria responsabilità. Non è la compassione… o almeno non solo. Avere empatia significa entrare in connessione con l’altro (ma prima sempre con sé stessi).

L’Horror che ruolo ha in tutto questo? La paura è un fisiologico sentimento che ha immense potenzialità per la nostra conservazione e sopravvivenza; è anche vero che è, allo stesso tempo, uno dei blocchi più potenti nel percorso esistenziale. È sempre la consapevolezza e il movimento a fare la differenza. Posso comprendere e superare solo ciò con cui mi confronto. Se Carl Jung ci dice che ciò a cui opponi resistenza persiste… forse prima di opporre resistenza all’orrore dovremmo capire come funziona, CHI è, porre dei rimedi il più possibile realmente efficaci. Bisogna essere proattivi verso il problema, non sordi e ciechi. Da piccoli ci parlavano del diavoletto e dell’angioletto che dividendosi le nostre due orecchie ci sussurrano cose: mai metafora più azzeccata. La scelta… Poe ci pone davanti uomini che hanno scelto la voce del male. Non sono dei pazzi, sono dei lucidi scienziati della malvagità, della vendetta e dell’autodistruzione. Il prefisso auto è potente, sempre. La follia viene chiamata in causa dalle prevedibili considerazioni esterne. Nel caso de Il gatto nero il protagonista specifica di non essere pazzo; magari leggendo potremmo pensarlo perché così si archivia il problema e si dorme tranquilli (più o meno).

L’Horror simula il male in potenza che può proliferare dentro e fuori dalle mura. Certo, alcuni prodotti sono esagerati e quasi comici… ognuno ha il suo stile. Edgar Allan Poe è realismo psichico; a volte è troppo per essere sopportato. Basta però leggere i saggi dell’autore o le sue poesie per rendersi conto di quanto lui fosse dotato di intelligenza emotiva.

Poe è lo scrittore del QE, ci fa vedere la paura, ci fa accarezzare il ragno che ci terrorizza… ci fa buttare nell’acqua che temiamo e con cui non vogliamo bagnarci. Poe compie anche delle sottili opere di autocoscienza: inserisce qua e là demoni a lui familiari, cita malanni e dolori che conosce in prima persona e ha dovuto ben guardare per poterli narrare così bene e, soprattutto, in modo credibile. I fantasmi sono dubbi che insinuano i pensieri del doppio sé, la vendetta è spesso l’urlo della solitudine inascoltata per anni, l’amore è morboso e disfunzionale. Oggi si parla di femminicidio, e molti sono anche infastiditi da questa “nuova parola”: Il gatto nero è una storia vera, mettiamola così. Io voglio pensarla così perché i filosofi (come dice anche l’autore) chissà se possono spiegare il tutto; chissà se un prete può esorcizzare quel demone, aggiungo io. Siamo noi i portatori della nostra coscienza, e siamo anche i cittadini della coscienza sociale. La letteratura non è solo svago: leggere è un processo di immagini, le immagini influenzano il pensiero e poi l’azione.

Ovviamente se non vi piace il genere non significa che state facendo un peccato mortale… di certo posso invitare alla curiosità e alla riflessione, sempre. Soprattutto a considerare che le cose sono sempre molto di più di ciò che sembrano.

 

TRAMA e RIFLESSIONI

Il racconto è la narrazione di un uomo che sa di dover morire il giorno successivo. Non è esattamente una confessione perché non c’è volontà alcuna di assoluzione o discolpa; si parla sì di “liberazione dell’anima” ma andando avanti nella storia si capisce il significato di questa espressione. Il rimorso non è un motore di redenzione ma quasi uno dei demoni che tirano i fili del male, della violenza. Guardare un “occhio” attraverso il quale ci vediamo colpevoli quali reazioni può provocare? Non dobbiamo rispondere in modo soggettivo ma con quella intelligenza emotiva consapevole di cui vi ho parlato.

Il protagonista/narratore ci mette davanti al “racconto più straordinario, e al medesimo tempo più comune”: le primissime parole usate per avviare la storia sono una chiave di comprensione, a mio avviso.  

Un essere docile può trasformarsi in un crudele torturatore e in un assassino? Saremmo portati a dare una rassicurante risposta negativa… ma purtroppo qui si parla di una “serie di casi domestici” (altra chiave sbloccante il senso). Poe non è uno scrittore del fantastico tout court: è un analista.

 L’autore ha vissuto la sofferenza, gli eccessi, il rifiuto e la dipendenza dall’alcol. Tutti questi elementi reali sono presenti in questo spaccato di finzione che è, però, la testimonianza di come il male possa nascere inaspettatamente in ognuno di noi. Si implora la pretenziosa sapienza della filosofia, si cerca di appellarsi al senso comune: in realtà il senso comune qui non dona risposte ma dovrebbe farsi un esame di coscienza, dovrebbe fermarsi a guardare ciò che può nascondersi in ogni luminosa fotografia di apparente normalità.

Il protagonista è solo un uomo che ha vissuto una solitudine giovanile riempita dall’affetto degli animali: un affetto che riconosce valoroso, incondizionato, differente dall’amicizia umana definita “insignificante”. Qualcosa però accade. Forse quella solitudine ha covato in una mente labile, fino a creare un transfert che andrà a scagliarsi in primis con gli inermi soggetti della compagnia che fu balsamo per l’indole docile e asociale del protagonista. O forse forze oscure hanno dall’esterno corrotto un uomo fondamentalmente buono?

Questo condannato a una morte di cui all’inizio non conosciamo ragione, o precedenti, racconta di essersi sposato con una brava donna, con cui è riuscito a condividere la passione per la cura degli animali più disparati. Il prediletto? Un gatto nero.

Si dice che i gatti neri siano streghe travestite, lo dice la moglie del protagonista perché lo dice il senso comune.

Tutto si svolge in una tranquilla convivenza domestica, mentre il gatto nero segue dappertutto il protagonista con devozione ammirevole.

Negli ingredienti comuni di una realtà nella media tranquillità ecco che l’alcol arriva a spezzare qualcosa, o a far accade qualcosa. C’erano avvisaglie o punti di cedimento che precedentemente non si sono visti o non si sono voluti avvertire? Il protagonista diventa ciò che non è mai stato: duro, crudele, indifferente e perverso.

Si dice che i mostri peggiori dormano sotto al nostro letto: in questo caso animali domestici e consorte devota ne avranno la prova.

L’uomo inizia ad essere violento, salvando in apparenza solo il gatto nero. Ma proprio il felino prediletto sarà il bersaglio delle più atroci azioni: mutilazioni e soluzioni definitive per far tacere un rimoso martellante. Un occhio mancante diviene il baratro in cui un’anima perduta sente il peso del proprio vuoto.

Leggere questo racconto è pura sofferenza. Dobbiamo però consolarci pensando alla funzione edificante della paura ben gestita. Ogni cosa troverà il suo modo di vendicarsi o di posizionare gli eventi verso l’autodistruzione di chi ha deciso vita e morte di creature innocenti.

Ciò che non si riesce a comprendere viene scansato o definito barocco, e anche Poe usa questo termine quando il narratore si rivolge ai lettori nelle prime battute. Dopo un incendio e un’apparizione mostruosa qualcuno esclama “strano!”, “singolare”: ecco il senso comune…

Qui si parla di mostri, mostri veri, in bi-direzionalità. Chi ha una mente corrotta vede nel mondo esterno una mostruosità di riflesso, un rinforzo continuo per gli impulsi incontrollati del lato malvagio della natura umana. Chi è colpevole cerca negli altri la giustificazione alle proprie azioni, e prova potere ma al contempo disgusto per gli oggetti quieti e sofferenti che sopportano il dolore inflitto dal mostro originario.

Poe parla della perversione come di un allettante gioco in cui si cade per il puro piacere di far qualcosa che non si deve fare. Lo scrittore non usa mai mezzi termini e come potete vedere non regala sconti alla verità, alla cronaca e alla perquisizione del corpo nudo dell’umanità.

Il protagonista racconta e non riesce a generare alcun tipo di compassione, neanche nel momento dell’auto-sabotaggio del mostro.

Alla fine, il doppio dell’uomo incontra il doppio della vittima, purtroppo molti morti vengono lasciati sul cammino di questa testimonianza. Si può far sì che questo sacrificio non sia nullo… riflettendo, imparando a perpetrare l’allerta verso il male ogni giorno. Dobbiamo denunciare, ascoltare, creare protezione in un mondo dove le vuote cortesie devono lasciar spazio alla caccia al mostro con metodo, non con superstizione; un racconto del 1843 ci è riuscito, con i mezzi a disposizione.

La violenza domestica è una realtà tremendamente attuale: empatia, consapevolezza, ALLERTA! OCCHIO APERTO… e proprio gli occhi sono uno dei tratti distintivi del romanzo grafico che vi vado a presentare.

 

THE BLACK CAT di NINO CAMMARATA, Edizioni NPE

Questo romanzo grafico è il primo che non ha generato in me nessuna perversione: nessuna tentazione di mettere a confronto il racconto primitivo con l’interpretazione data da sceneggiatura e immagini. L’introduzione assai apprezzabile del volume parla della ricerca di simmetria e riscontri tra le forme di comunicazione di una storia: “È come cercare corrispondenze esatte di forma e sostanza tra il bruco e la farfalla, tra il ghiaccio e l’acqua”. Innanzitutto, posso affermare che Poe è presente: all’inizio il volo di un corvo ci dà il benvenuto in questo orrore. In quel corvo ho visto Poe nell’epiteto a lui associato, ho visto il simbolo della morte, il fantoccio dell’ossessione e della proiezione… come quelle raccontate nella poesia omonima. Quel corvo parte nero, materico; alla fine perde spessore e si trasforma in una maschera rossa che si posa direttamente sugli occhi del protagonista. Il personaggio che racconta la storia assume in sé le sembianze della morte, e dell’autore che in lui scaraventa i demoni della sua stessa esistenza.

Ph. Francesca Lucidi 

Le parole sono ben dosate e la sintesi del testo non mi ha fatto sentire la mancanza del racconto originario non perché superiore ad esso… ma perché è altro da esso: è espressione in forme e immagini che possono mostrare un altro modo di raccontare l’orrore, e una storia che ha il potenziale per l’applicazione di una condivisa presa di coscienza.

Non dobbiamo pensare ad ambientazioni “storiche” in linea con la cronologia dell’opera originale: tutto sembra sopra il tempo e lo spazio perché i parametri sono totali, applicabili all’analisi di molte realtà e anche e soprattutto di quella contemporanea. I colori sono dosati e non evocano realismo ma simbolismo, essendo, però, in certi casi denotativi; ma in maggior frequenza connotativi. Il nero non può non essere il colore principale, con tutte le sue sfumature. Troviamo però anche il rosso dell’allarme, del pericolo.

 I disegni sono arte e sono antropologia. Teschi ed espressioni facciali raccontano la storia di uomo e di tutti gli uomini. L’evoluzione viene vista dal punto di vista di un deep side, unito alla messa in evidenza del dark side dell’universo psichico.

Ph. Francesca Lucidi

I gesti enfatici si alternano al vuoto riempito dalle variazioni dello sguardo del protagonista. Negli occhi del mostro si possono vedere tutte le sfumature della caduta, preceduta dall’alternanza di tenerezza, confusione e rara tristezza. Anche la dipendenza da alcol è assolutamente ben rappresentata nei momenti in cui quegli occhi si mostrano spenti, morti.

I primissimi piani mettono a confronto i vari personaggi e soprattutto i due combattenti, anzi tre, di una battaglia che può finire solo con l’annientamento di una delle due parti contendenti.

Nei fogli di guardia si parte da una lontananza, da due figure messe una di fronte all’altra, alla fine del volume solo un buio che fa scorgere qualcosa… per poi tornare al punto di partenza. All’inizio si può capire chi si confronterà… e una casa appare infestata: fantasmi? Morte? In fine si può intendere che il preludio avvertito come un puro vezzo grafico ben riuscito si trasforma nell’eterno ritorno del male nel ciclo dell’umanità.

Questo romanzo grafico è straordinario, dark ma non “di genere”; forte ma dosato sui reali pesi della storia. La cura materiale è eccezionale e Nino Cammarata ha, secondo me, centrato un lavoro unico e potente.

Sono presenti scene violente, in linea con il racconto originale. A voi la scelta se tentare il salto.

 

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Grazie e buona lettura!


 

giovedì 20 agosto 2020

PIÙ FUOCO, PIÙ VENTO

 di 

SUSANNA TAMARO

UN ROMANZO EPISTOLARE ESPLOSIVO E QUIETO, INTIMO E GLOBALE

Ph. Francesca Lucidi

Più fuoco, più vento è un romanzo epistolare, pubblicato nel 2002. Per la biografia dell'autrice, importante per cogliere molti aspetti a pieno, vi invito a cliccare QUI: verrete indirizzati a un precedente contenuto del Penny Blood Blog. La cornice che ha i lati fatti della vita dell’autrice, dei progetti di carriera della stessa… e della figura della destinataria misteriosa si delinea capitolo dopo capitolo, anzi, data dopo data.

La durata si distende e processa durante un anno, lasso rispettato in modo quasi matematico, vogliamo dire scientifico? Diciamo “sperimentale” e “ragionato”, insieme. Questo tempo è il tempo delle vite delle due “protagoniste”, ma è anche il tempo della natura. Ogni giorno inizia con la descrizione di ciò che accade agli alberi, agli animali e a tutto ciò che di vivo circonda l’autrice. Autrice e narratrice sono la stessa persona. Le lettere che leggiamo sono esclusivamente le risposte di Susanna alla sua amica di penna, ma alcuni passi delle missive della destinataria vengono riportati fedelmente per essere meglio commentati, analizzati e soprattutto ascoltati. L’ascolto è la potenza trainante dell’impatto emotivo, la virtù richiamata e praticata, il valore; la vocazione di questo lavoro di comunicazione, accoglienza e direi… "maternità".

 Sì, pare che le due si siano già viste dato che tutto parte dal ricordo di una passeggiata, dagli scorci di un dialogo che introduce all’alternanza di pensieri, subbugli e “medicine” che si susseguiranno nelle lettere di questo “ciclo” che si avvia alla fine di settembre per giungere al concedo dodici mesi dopo.

Tutto è molto intimo, familiare. Si entra nell’abitazione ritirata, reale, dell’autrice e si cammina per il suo orto circondati dai suoi cani: ognuno diverso, ognuno con una natura che manifesta perché, a differenza dell’uomo, l’animale non si impone interferenze.

Ph. Francesca Lucidi

 Conosciamo le abitudini della scrittrice, ci sediamo al caldo del sole estivo o al tepore del focolare invernale. Riusciamo a vedere le nipotine venute da molto lontano che si godono una pausa nella vita vibrante prima di tornare tra il cemento che può addestrare o obnubilare, se non affrontato con curiosità e spinta verso l’alto e l’altro. Susanna Tamaro è una zia, è una professionista che si sta preparando per la nuova avventura del cinema; è un’amica fedele e sincera… ed è un’anima incredibilmente vera, incapace di mentire, incapace di “piacere”. Questa incapacità è la santità e la maledizione di questa scrittrice che riesce a parlare di ogni cosa dando fastidio a molti.

Susanna Tamaro è affetta da una sindrome neurologica che non mina minimamente il suo acume e la sua capacità di mettersi e mettere in discussione. E questo… nella Sindrome di Asperger non è affatto scontato.

Se avete letto il mio precedente contenuto sull’autrice sapete di quante etichette gli siano state lanciate senza beccare mai il centro. Leggendo questo libro ho capito il perché di tanto accanimento.

Qui, una donna di quarantaquattro anni si confronta con una ragazza di ventidue anni… di Trieste (la città natale della Tamaro); le parla come noi vorremmo saper parlare, la stimola come noi non sappiamo fare neanche con noi stessi… si discute di temi di cui abbiamo terrore perché esprimendo un pensiero potremmo minare l’ottuso scopo di piacere, di non litigare, di essere ben visti e mai criticati. Beh, qui la paura di essere criticati non ha molto spazio.

La giovane interlocutrice è una neolaureata infelice del suo status di adempiente a tutte le aspettative. La morte del padre è stata la rottura che ha fatto cadere un castello di vetro cristallino, e freddo. Quando ci stacchiamo dalla zona di comfort si prova un grande disagio… e raramente riusciamo a pensare che quel disagio sia il segno di qualcosa che si sta muovendo. Sì, la morte del padre è stata un dolore, ma la ragazza sembra preoccuparsi molto di più di tante piccolezze quotidiane che lei vive come flagelli. Questo perché quel disagio non è visto con osservazione attiva ma solo subìto come una bolla di zanzara che ti fa ballare da una parte all’altra senza trovare sollievo.

La natura… beh la natura è il grande libro da cui l’autrice trae esempi semplicissimi per rispondere agli enormi tormenti di una giovane che ancora deve uscire dallo stato larvale: quella giovane siamo un po' tutti noi. Sembra strano che una ventiduenne laureata possa apparire così infantile: la sua rabbia e le sue giuste recriminazioni verso le lettere della Tamaro sono circondate da un senso di costante capriccio. Ah beh… la fatica è uno dei temi che si fanno sentire tra le parole di questo libro: la fatica vera, e la fatica piena che porta a una evoluzione totale. Non pensiamo a tormenti ma a normali processi che abbiamo denormalizzato perché siamo diventati ciechi al ciclo, alla vita, alle fasi. Non scorgiamo la luna tra alti palazzi e schermi sempre accesi… io e la Tamaro inneggiamo a un ritorno alle origini? No, solo a un ritorno all’umanità con i mezzi che abbiamo, i quali non è detto che debbano sempre restare tali o essere usati sempre allo stesso modo.

Ogni trasformazione è un movimento che va dall’interno verso l’esterno.

Questa frase si trova alla fine, ma io ve la propongo all’inizio per farvi intendere cos’è questo libro, a cosa portano queste lettere e cosa magari dovremmo considerare nella nostra vita. Il romanzo parte dai moti interiori della giovane, rapportati alle esperienze dirette della Tamaro, ampliati in immagini del passato e del presente con le loro motivazioni, domande… e insegnamenti che si potrebbero trarre. Si lavora “sul cuore e sulle viscere”: qui non si viaggia solo da testa a cuore ma si attraversa il corpo con la speranza di un ritorno alla sapienza che i corpi racchiudono. Le viscere sono anche il ventre, il luogo dove la forza della maternità sprigiona la vita, e questa maternità è da applicare a ogni stato di esistenza e a ogni rapporto, azione. La Tamaro fa riferimenti alla medicina cinese… e chi non è digiuno di Taoismo può ritrovare spesso molti principi del Tao, della sua indefinibilità, della sua duplicità, delle sue interdipendenze e cicli. Il plauso che si fa alla medicina non tradizionale è rivolto a quell’attenzione speciale alle energie, alla commistione di Spirito e Corpo che la modernità ha abbandonato per una medicina e una psicologia delle patologie, del disagio. L’attenzione sembra nascere solo dalla disfunzione, e non viene mai attivata quando si parla di bene, di felicità o di comunione di felicità, soprattutto.

Stupore e vigilanza sono due mezzi potenti; sembra ci sia rimasta soprattutto la vigilanza, ma non per contrastare i mali del mondo… più per evitare grattacapi o fastidi che spesso sono solo “falsi problemi”: così li chiama l’autrice.

Le parole forti e le domande potenti sono i mezzi che permettono ai sensi di resistere, e sono anche i motori che faranno sì che la giovane destinataria delle lettere possa ritrovarsi a scardinare, sbarra dopo sbarra, la prigione della propria insicurezza. Badate bene, l’insicurezza, l’ansia e l’inquietudine sono fisiologici mezzi per smuovere il nostro terreno; da un terreno mosso le radici acquisiscono più nutrimento. Il tutto diventa oscurante e bloccante se non è proiezione e normale tremolio verso una prova, un ideale altro, una diversità da conoscere… ciò che blocca è la convinzione, l’assenza di Fede, il Sapere immobile che non incontra la Sapienza e ha un’attitudine non critica ma giudicante. L’autrice ci avverte di quanto siano pericolose le verità, soprattutto quando queste assumono un colore: quando ci si mette da una parte e si pensa di stare nel giusto e si uccide il proprio simile perché da un giorno all’altro si dà un colore al bene e alla verità, che invece sono di tutti, sono dentro ognuno di noi e non sono definizioni ma attitudini, tocco gentile, ascolto.

Si parla di Nazismo ma anche di quanto possa essere terribile l’idea di un campeggio con degli sconosciuti. Cosa hanno in comune queste due cose? L’arrendevolezza. Ci si arrende all’immobilità senza permetterci esperienze e si cede al potere perché si tenta di sopravvivere dimenticando la vita, e non si vede come la natura insegna le scelte radicali, la cura e la “reazione”. La storia del padre di un amico dell’autrice racconta del Nazismo e di quando un quartetto musicale diventò un trio da un giorno all’altro: un leggio vuoto e un repertorio de ridefinire… poi c’è anche stato un altro padre, che si è fatto uccidere per la libertà e per immolarsi a quell’ideale superiore di bene che dovrebbe insegnarci l’unica via sulla quale, magari, certi orrori non potrebbero più ramificare come la gramigna.

La gramigna è simile anche all’invidia… ma quanto è pericoloso pensare che questo sentimento non ci riguardi. Qui non c’è il buonismo che potrebbe venire in mente a chi si infastidisce davanti alle domande e alle parole forti, ai concetti di Dio, Santi e Padri Spirituali… no, qui si parla dei Santi come di persone “contro”, si parla di fede in un senso globale, anche se l’autrice è cristiana. Questo Cristianesimo non è quello che si lustra e trincera dentro templi costruiti da uomini per altri uomini: la Tamaro inserisce considerazioni di amici provenienti da culture e credo diversi. A questo proposito vi voglio riportare una preghiera inserita nel libro (molti si stanno già infastidendo vero?); queste sono le parole del Rabbi Nachman di Braslav:

Insegnami a intraprendere un nuovo inizio, a rompere gli schemi di ieri, a smettere di dire a me stesso “non posso” quando posso, “non sono” quando sono, “sono bloccato” quando sono totalmente libero.

Cari lettori… il fuoco è quello dell’Amore, e qui si parla anche di sesso; il vento è lo spirito, Santo? Forse… anche. Ma come si accedeva un fuoco? Si battevano le pietre una contro l’altra. Il cammino interiore deve essere costellato di sussulti, di movimento. Tutti siamo unici e non dobbiamo appiattirci tra le sicurezze di un’immobile aria epurata, ferma, non adatta a poter nutrire delle alte fiamme. Siamo gelosi del nostro “spazio”, ma cos’è lo spazio? Facciamo che non diventi mummificazione, sarcofago e uscio ben chiuso. Per il “virus della mummificazione” l’autrice propone una profilassi, che non è altro che la preghiera riportata qui sopra. E se pensassimo invece agli “spazi”? Suona meglio, magari fa paura… fa pensare alla fatica di spostarsi. In un terreno duro come la pietra nessuna pianta potrà mai prosperare.

Vi invito a leggere questo romanzo solo se siete disposti a svolgere le bende e a respirare, magari piangendo, arrabbiandovi e scaraventando il libro sul divano quando leggerete parole con cui non volete avere a che fare. Intanto, però, avete mosso le membra anche grazie a questo eventuale lancio egoprodotto.


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giovedì 13 agosto 2020

TONY SANDOVAL

AMORI, ADOLESCENZA, UN CADAVERE E UN SOFÀ GIALLO

ANALISI DI UNO DEGLI STRAORDINARI 
GRAPHIC NOVEL DELL'AUTORE


 TONY SANDOVAL:

 CENNI BIOGRAFICI E STILE

Tony Sandoval nasce a Esperanza, in Messico, il 14 luglio del 1973. Sandoval inizia a lavorare nel mondo del design e della grafica, in seguito si approccia al fumetto da autodidatta. Lascia il Messico in mezzo a rocambolesche esperienze che racconta nel suo coraggioso graphic novel Appuntamento a Phoenix, del 2016. Sandoval approda in Europa e la Francia è il luogo dove vengono alla luce i suoi lavori indipendenti da sceneggiatore e disegnatore. In Italia possiamo godere dei sognanti mondi dark di Sandoval grazie alla casa editrice TUNUÉ.

Dal 2011 la Tunué è impegnata nella pubblicazione di tutti i graphic novel dell’autore: Il cadavere e il sofà; Nocturno, Doomboy, Oltre il muro, Echi invisibili, Mille tempeste, Watersnakes; il controverso autobiografico e “reale” Appuntamento a Phoenix e il grande ritorno nel mondo fantasy con Futura Nostalgia.

Sandoval viaggia per l’Europa, tra Barcellona, Parigi, Berlino; mantenendo vive le radici dell’immaginario messicano.

Questo artista ha un aspetto corpulento, lunghi capelli scuri, una barba importante e indossa una “divisa” di abiti neri: tutto in linea con un’immagine metallara. Sì, il metal è uno dei mondi che abitano gli universi onirici e fiabeschi di Sandoval: lui suona, ma rassicura, in diverse interviste, che ciò non ha a che fare con alte aspirazioni ma con una passione da consumare tra amici. Uno dei suoi lavori prende vita proprio da questo genere musicale: Doomboy, pubblicato primamente nel 2013 dalla casa editrice di Ginevra Paquet (che cura la maggior parte delle edizioni dell’autore); il graphic novel in questione parla proprio della carriera musicale di un misterioso e immaginario musicista. Sandoval lo arriva a definire un “documentario”. La musica è presa in grande considerazione dall’autore, che la definisce un mezzo di espressione, come il film, o il fumetto.

Effettivamente, l’autore non è un disegnatore codificato, e la “codificazione” è vista da Sandoval come un tratto specifico della visione europea del mondo fantasy. Sandoval ama l’arte, la pittura: si esprime con una tecnica pittorica che sfrutta gli effetti dell’acquerello. Egli non ha uno stile definito ma segue le ispirazioni del momento, o almeno così afferma. Sandoval nota nel mondo europeo anche un’altra specificità: l’immaginario appare più asettico e i “mondi” sono definiti, separati tra loro. In Messico le tradizioni, le superstizioni e il misticismo sono parte integrante della vita delle persone, delle loro storie e delle loro interpretazioni: tutto questo viene ripreso nelle opere di Sandoval dove le dimensioni si mescolano in narrazioni dove non è ben definito il confine tra la realtà, il sogno, l’immaginazione e il magico.

La fantasia è uno sguardo attivo che traccia segni, paesaggi e personaggi. I protagonisti di Sandoval sono principalmente adolescenti, individui che vivono in quella lontananza dal mondo reale fatta di istinti fisici, problemi assai particolari e immagini che nascono dalle paure e dai sentimenti esagerati che si provano a quell’età. Il buio fantasy di Sandoval non è codificato, alla maniera europea, ma segue i moti interiori di personaggi strani, dark, reietti e avvolti da una freddezza verso il mondo bilanciata da un sentimentalismo poetico altissimo. L’adolescenza è fatta di curiosità e scoperte, che non sono necessariamente collegate ed esiti confortanti. L’epicità della giovinezza si esprime in sfide fatte di violenza (sì perché la violenza non ha età, purtroppo), di scoperte intime dolcissime o oscene. Il malessere dell’adolescenza si dipana come un film horror, come un’immaginazione che crea un fantastico non codificato perché non viene dal pensiero ordinato ma dal disordine degli istinti potenti di un corpo e di una mente giovani, alla scoperta del mondo con i suoi dolcetti, a volte avvelenati a volte deliziosi.

Nelle opere di Sandoval il disegno è preponderante e la narrazione avviene principalmente attraverso le immagini, quelle create dalla mano dall’autore e dalle menti dei protagonisti delle sue storie.

La crudezza di Sandoval riesce a essere delicata. I paesaggi non sono belli ma duri e ombrati da energie invisibili. I corpi dei personaggi sono esagerati e pieni di tratti esasperati. L’occhio critico prevale, critico nel senso che è un’analisi espressa attraverso i parametri e le tecniche del sogno e della fantasia. Sandoval mostra un feticismo fatto di proporzioni sballate, di nasi impossibili e piedi nodosi ma magari laccati di sensuale smalto nero. I capelli fluttuano in acconciature che diventano attraenti nel complesso di abbigliamenti ben pensati, da outsider sciatto e allo stesso tempo bello, iconico. Le teste sono grandi, così l’immaginazione è ben comoda, i corpi si muovono per perpetrare cose terribili o per fare l’amore… e questo ci introduce alla nostra storia… ma tra poco.

Il buio che prende vita dalle mani dell’amatoriale musicista metal Sandoval… riesce a soffocare persino l’autore, tanto che egli tenta una fuga attraverso la curiosa autobiografia Appuntamento a Phoenix, e questo riferimento ci aiuta a capire la stretta codificazione del fantasy europeo con i suoi estimatori, simile con simili. Il lavoro di Sandoval che parte da un contesto politico, ben studiato dall’autore, racconta la fuga dal Messico che l’artista ha dovuto tentare, fare, riuscire. Si è detto che qualcosa, qui, è mancato. Si è parlato della mancanza della forza favolistica, di buonismo e addirittura di edulcorazione. La prigione di un genere che finisce per assorbire l’indipendenza di creazione di un autore… forse Sandoval ha ragione nelle sue considerazioni. Magari se lo leggerete potrete farvi una vostra idea; magari ne parleremo insieme. Le critiche hanno comunque riconosciuto a Sandoval il coraggio di uscire dalla comfort zone; ma magari non si è considerato che quella “zona” di buio, magari, non è sempre così confortevole per l’autore. In Sandoval la sofferenza ha una sua bellezza, ma è pur sempre sofferenza. Nelle opere dell’artista il mondo strano trova voce, e questo spazio non esisterebbe se non ci fosse quello primigenio intorno a Sandoval, e forse abbiamo il dovere di ascoltare la sua storia personale, decodificandoci.

Volete vedere uno di questi strani mondi? Che ne dite di un microcosmo che si divide tra un sofà e un cadavere in decomposizione?

 

IL CADAVERE E IL SOFÀ

Tradotto in italiano da Cristina D’Onofrio per Edizioni Tunué, Il CADAVERE E IL SOFÀ è stato edito in Italia grazie alla casa editrice, con base a Latina, nel 2011 e nel 2014.

È estate, la stagione che per l’adolescenza significa attese: le attività d’obbligo si fermano e a volte la noia fa da padrona. In estate si può vivere solitudine o nuove amicizie e nuovi amori; nel luogo del racconto, però, non è una stagione normale: è scomparso un ragazzo, Christian, e tutti sono chiusi in casa attanagliati dalla paura. Polo, un ragazzo strano e solitario, ciondola in un paesaggio giallo… in cui non si avverte una temperatura reale ma una temperatura dell’anima: tutto sembra avvolto da una strana immobilità angosciante, non calda, non fredda. Una fontanella attira l’attenzione di Polo, che la scruta e riflette. Quella strana attività sperimentale viene interrotta dall’arrivo di una ragazza. Sophie veste di nero e ha capelli corti, occhi completamente neri e una carnagione pallida da dove spicca il suo smalto nero e dei canini pronunciati. I due “strani” si piacciono subito, anche se con qualche imbarazzo. Polo mostra a Sophie la sua grande scoperta riguardo alla fontanella rotta, in cui l’acqua che continua a gocciolare ha fatto nascere un piccolo ecosistema di vegetazione e mosche. Polo osserva:

“Hai mai pensato che i difetti rendano le cose più interessanti?”

Il ragazzo esprime candidamente il suo pensiero ma poi si vergogna, complice quel senso di inadeguatezza che accompagna spesso l’adolescenza e i tipi strani. La bizzarria non spaventa Sophie, la quale mostra le sue attitudini particolari tirando fuori un libro sui lupi mannari. Anche nel luogo del racconto si sente spesso parlare di lupi, anzi, si crede che il ragazzo scomparso possa essere stato preso dal vicino di Polo… potrebbe essere un lupo mannaro il misterioso individuo?

Ciò che conta in questa storia non è solo ciò che accade realmente ma come le cose vengono percepite. Una cosa avvertita con la fantasia o i sensi non è meno reale di ciò che l’occhio vede e la ragione riconosce: questo è il paradigma di Sandoval.

La personalità curiosa e solitaria di Polo viene raccontata tramite il girovagare, anche notturno, che portano il ragazzo a fare una scoperta sconcertante, orribile. Christian non è scomparso, è morto.

I giorni successivi all’incontro, Polo e Sophie si intrattengono davanti alla tv da 180 canali del papà della ragazza… sì perché lei è solo in visita momentanea presso il genitore, e non si sa perché, non si sa nulla di lei. La tv è la solita vecchia scusa per un po' di intimità: Sandoval mostra dolcemente i sensuali segnali della ragazza verso Polo; i due si uniscono e i gesti e la pelle nuda vengono mostrati in tutta la loro realtà, carnalità. Nulla disturba perché tutto è vero, imperfetto, bellissimo in quella stranezza che addobba di meraviglia tutto ciò che è anticonvenzionale, finanche disfunzionale.

Polo, inaspettatamente, entra a casa del misterioso vicino per un futile motivo… e nota una serie di particolari che rimandano al mondo dei lupi, ai licantropi. Quasi a togliere l’imbarazzo, o per sviare il discorso, l’uomo afferma di preferire i vampiri, cosa che farà imbestialire Sophie al fedele racconto di Polo dell’incontro.

I due si cullano in silenziosi amplessi su un sofà giallo, un altro paesaggio giallo dalle temperature dell’anima. Quel pezzo di mobilio ha una strana storia, ma Sophie l’ha scelto dal bordo di una strada, e Polo non lo sa… e la scoperta di uno strano biglietto tra i cuscini genera in lui preoccupazioni e incubi terribili. Il ragazzo passa una brutta notte che si tramuta in febbre: mostri, serpenti e lupi… e in una Sophie famelica e crudele. E il fantasma di Christian inizia a infestare tutto, sempre di più. Il biglietto alla fine trova una spiegazione che spinge a un’indagine, che porterà a un “sequestro” e a una tremenda rivelazione da parte di un soggetto disgustoso.

Ph Francesca Lucidi

Può la decomposizione di un cadavere essere il segnatempo di un amore? Qui accade proprio così. Un adolescente ha una scala di valori estremamente personale, e anche le paure sono singolari. Alcune cose normali fanno orrore, alcune cose orrorifiche diventano affascinanti.

Il racconto si riduce a poca scrittura e a moltissime immagini narrative, e ad altrettante rappresentazioni di cose che non si sa se siano reali. Numerose domande restano senza risposta, forse è meglio così. Un omicidio, due partenze e tante rivelazioni. Un suicidio sembra portare giustizia, ma un cuore rotto non può che cercare di curarsi le ferite grazie al ricordo e alla fantasia. I sensi custodiscono le medicine per i pensieri ossessivi che possono ammalare. Si dice che gli adolescenti dimentichino in fretta. Sono certa che Polo non scorderà il momento in cui ha scrutato con timore la bocca di Sophie, o quando la ragazza si è presentata da lui vestita di bianco e senza le lenti spettrali ad offuscargli lo sguardo.

Tanta sofferenza è presente in questo fumetto; tutto però riesce ad essere bello perché il cuore riesce a far sentire il suo forte canto che è multiforme e non può intonare una melodia ad un sol tono: tutto esalta e poi butta giù, come accade nella vita reale.

Volete capire perché il sofà verrà spostato? Avete il coraggio di sapere cosa è accaduto a Christian e ai suoi boccoli biondi?

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Buona Lettura!


 

SITOGRAFIA:

https://www.staynerd.com/etna-comics-2017-intervista-tony-sandoval/

http://www.auracan.com/Interviews/349-interview-entretien-avec-tony-sandoval.html

https://www.tunue.com/product-author/tony-sandoval/

https://www.fumettologica.it/2016/09/appuntamento-phoenix-tony-sandoval-recensione/

http://www.ilterzonews.it/il-cadavere-e-il-sofa-tony-sandoval/

https://fr.wikipedia.org/wiki/%C3%89ditions_Paquet

 

 

 

 

 

 

martedì 11 agosto 2020

AMARSI TROPPO PER UCCIDERSI

 UN FUMETTO 
di
JANE FADE MERRICK

Ph Francesca Lucidi

VITA DI COPPIA, "GATTINI", E UN GIOCO CELATO (ma non troppo) PER I LETTORI

Amarsi troppo per uccidersi è un fumetto pubblicato in self-publishing da Jane Fade Merrick. Il nome da me citato non è quello reale della nostra autrice ma è uno pseudonimo: lei è riservata e nasconde la sua identità. In realtà si riesce a capire QUASI tutto sull'autrice di ATPU (Amarsi troppo per uccidersi) leggendo le sue strisce, ma questo lo vedremo in seguito.

Il fumetto è in formato orizzontale, la copertina è flessibile e colorata e al suo interno racchiude numerose strisce che sono al contempo autoconclusive e consequenziali: presentano spaccati autonomi e anche l’evoluzione della storia dei due protagonisti, o forse dovrei dire quattro. Le strisce sono delineate con un tratto delicato e sottile, su uno sfondo bianco. La scarsità di teatro è proprio una delle caratteristiche da me più apprezzate: la quotidianità viene esaltata dalla velocità del momento del disegno e del racconto; i protagonisti sono semplici e reali; gli eventi sono comuni e riconoscibili da qualunque lettori. Sì, il bianco e nero e la linea sottile sono il linguaggio di una vita quotidiana raccontata come lo schizzo che tracciamo inconsciamente mentre siamo al telefono, in cui magari ci troviamo a fare la caricatura di un nostro amico, o delineiamo i profili della nostra casetta ideale.

La scelta dell’autopubblicazione non far deve pensare a un ripiego: Jane crede in questo mezzo di diffusione e ne abbraccia forme e modi in maniera eccellente. Il fumetto è curatissimo, piacevole e amabile perché si evince tutto l’amore che vi è dietro, tutta la cura e la passione dell’autrice.

La storia è semplice: un ragazzo e una ragazza si incontrano, si piacciono… e tutto appare perfetto se non fosse che lei vive con due gattini, animali che il partner, primamente entusiasta, non tollera particolarmente.

Le tappe di questa piccola e tenera storia d’amore, che non ha nulla di epico, vengono man mano raccontate mostrando i caratteri di entrambi, e anche il loro background. I personaggi non hanno nomi, fino a che i “nomignoli” che scelgono per vezzeggiarsi donano un’identità: PICCOLO e PICCOLA entrano nel loro ruolo di amanti sbadati e dolcissimi, alle prese con lo smisurato affetto per gli animali di lei e l’apparente freddezza di lui.

Piccola è dolcissima, pigra, sbadata; è anche indipendente, risoluta e matura. È una ragazza attiva che fa la commessa, vive da sola e si prende cura di due gattini in un modo tipico per la sua personalità… in modo dolcissimo e sbadato. Piccolo è apparentemente pragmatico ma in realtà appare più pigro della sua Piccola; lui si “accoda” alla vita della sua dolce metà, occupando divani e sedie con un libro in mano (che sembra sempre lo stesso)… commentando ogni cosa. Infatti, i pensieri segreti e le conclusioni caustiche che Piccolo trae da ogni evento sono davvero esilaranti.

Il rapporto complicato di Piccolo con i “gattini” appare una disfunzione familiare… e capirete il perché dalle prime strisce. Lui sembra amare la pulizia e l’ordine ma la sua attitudine freddina si scioglie davanti alla sua Piccola dagli occhi grandi e il caschetto piastrato. Sono una coppia anticonvenzionale, perché? Non sono fighi, non amano lo shopping o i locali alla moda, non sono adepti della movida (parola e paradigma ormai fin troppo in voga), ma loro non si incensano e non si propongono a modello… loro finiscono per constatare che in realtà non sanno mai cosa fare il sabato e la domenica: questo è l’esilarante mondo creato da Jane Fade Merrick. Piccolo e Piccola sono gli amici che vorrei, e che probabilmente molti di voi vorrebbero. La vita di coppia che si racconta è romantica in una attitudine assolutamente poco romantica: si sentono odori sospetti, i “gattini” attaccano l’intimità, i film sono quelli sbagliati e i sughi sono sempre gli stessi… e a volte qualcuno scappa bruciaticcio. La storia d’amore che possiamo vivere è quella di ognuno di noi: imperfetta, disagiata e goffa. Tutto, però, è estremamente sincero, e questo è ciò che ho amato di Jane, profondamente.

   
Ph Francesca Lucidi. ATPU di Jane Fade Merrick

L’umorismo dell’autrice passa dal sottile, allo sguaiato (senza mai eccedere), al “nero”. Beh, chi non è cresciuto guardando le avventure di quel famoso gatto che sognava di fare arrosto il suo nemico topo? che poi tanto nemico non era. Il rapporto di Piccolo con i “gattini" è un po' questo: amore e odio, e immaginazione macabra. Non aspettiamoci il politicamente corretto, non ce lo aspettavamo per QUEL gatto e QUEL topo, e non dovremmo neanche ora.

Questa storia di VITA DI COPPIA ha una chicca per noi… sì! Perché questo fumetto è anche un GIOCO PER LE COPPIE. Il fumetto di Jane è costellato di giochini e stimoli di cui godere dall’inizio alla fine, perché possiamo leggere le strisce aprendo a caso, perché sono corte e autoconclusive, ma fanno parte di un progetto più grande e bizzarro. Sopra ogni striscia troviamo riportata una PERCENTUALE DI VERIDICITÀ, che va da 0 a 100. Questo perché? Innanzitutto, in questo modo possiamo conoscere la misteriosa autrice e farcela amica (oh, quanto mi sono riconosciuta nelle Jane/Piccola al 100%); poi, l’autrice invita a ripetere il gioco da noi, valutando la situazione illustrata dandogli una percentuale di veridicità in corrispondenza con la nostra vita personale e di coppia. Questa IDEA GENIALE è un modo nuovo per comunicare. Spesso si vive una quotidianità frenetica e ci abituiamo a ingoiare pensieri e considerazioni o a non vedere con occhio attento le bellezze della nostra "vita insieme". Giocando con Jane possiamo vederci dal di fuori. Se è vero che il cervello umano funziona ad immagini e che immaginare è un processo creativo che può spingerci allo sviluppo… ECCO CHE LA MAGIA è fatta, attraverso un giochino. Magari possiamo imparare a passare il tempo in maniera “diversa” ma senza vivere la noia che a volte attanaglia il week-end di Piccolo e Piccola.

Se volete adottare questa coppia sconclusionata e un’altra coppia, ma di “gattini”, ecco, questo fumetto vi aspetta! Grazie alla mia affiliazione Amazon potete acquistare il fumetto cliccando QUI: si aprirà la pagina del prodotto all’interno dello shop. Il Penny Blood Blog potrà avere, così, la possibilità di ricevere un piccolo contributo da reinvestire in tanti altri libri sui quali discorrere insieme!

Vi riporto la lista di tutti i lavori di Jane Fade Merrick, con delle note che mi ha mandato direttamente lei; io ho riportato tutto fedelmente… perché la adoro.


FRA LE SUE OPERE:

Le Ceneri della Fenice | Romanzo d'esordio - Narrativa Generale - Drammatico.

Iniziato come libro auto-conclusivo, questo racconto si è poi evoluto in due volumi successivi che sono andati a sviluppare le vicissitudini dei personaggi secondari. Il primo volume rimane comunque a sé stante e non è necessario leggere i seguenti per avere una storia completa.

Amarsi Troppo… Per Uccidersi! | Strisce a fumetti.

Basato su fatti di vita realmente accaduti, questo fumetto ripercorre la convivenza di una coppia dal loro primo incontro alla convivenza. L’unico “ostacolo” al loro idillio consisterà nei due adorabili gattini di lei. Lui non ha mai convissuto con degli animali e li considera una privazione al suo spazio personale. Con tenacia, pazienza e un pizzico di ironia affronteranno le situazioni più disparate. Riusciranno a raggiungere una pacifica coesistenza?

Sto-caz amee - Da fangirl a superstar in 2,9 sec. | Romanzo breve - Demenziale.

Il libro più stupido mai scritto sulla Terra, ma necessario.

Sfogo/polemica dell’autrice verso tutte quelle storie (spesso uscite da Wattpad) che nonostante siano un concentrato di relazioni tossiche, manzi addominalati e gnocche stratosferiche, vengono pubblicate e hanno successo mondiale. In questo libro di appena 69 pagine, sono riassunti tutti i cliché, le incongruenze e gli accadimenti che rompono il patto della sospensione dell’incredulità nelle cosiddette “fyccine” (storie che hanno come prestavolto personaggi famosi).

Il secondo prima di morire | Romanzo breve - Introspettivo.

Disponibile solo su Wattpad.

J.M. è invischiata in una vita ordinaria e da tempo spoglia di speranze e aspettative.

Sospesa in una bolla di illazioni sulla puerilità di un'esistenza sprecata, ne rimacina i contenuti nel breve tragitto che compie da casa al lavoro, ma in un attimo tutto cambia: una macchina le piomba addosso quando sta attraversando l'ultimo tratto di strada e la realtà si ferma. Persone, oggetti, il tempo stesso, sembrano congelati, mentre lei rimane l'unica in grado di muoversi.

Costretta dagli eventi, si incamminerà alla ricerca di una risposta in un mondo che non fornisce indizi e che si mostra per la prima volta per come l'ha sempre percepito: indifferente al suo passaggio.

Dal bit alla carta | Guida self.

Disponibile su Wattpad, Instagram e sito web dell’autrice. Questa piccola guida sviscera punto per punto alcuni dei passi fondamentali del self-publishing a partire dalle motivazioni per cui si dovrebbe scegliere. È una guida amatoriale basata sull’esperienza di auto-publicazione e non ha pretesa d insegnamento ma solo di condivisione.

Tutti i libri sopra citati sono disponibili GRATUITAMENTE su Wattpad all’account www.wattpad.com/user/janefademerrick

inoltre:

- EBOOK/PDF IN REGALO: Le ceneri della Fenice (la trilogia), Sto-cazz-amee, Il secondo prima di morire, Amarsi troppo per uccidersi: scrivere a janefade.merrick@libero.it

- GRATUITI SU INSTAGRAM:

Sto-cazz-amee, Il secondo prima di morire, Pillole di Self (tutti a puntate) sull’account www.instagram.com/janefademerrick

Amarsi Troppo …Per Uccidersi! sull’account www.instagram.com/amarsitroppoper


 

giovedì 6 agosto 2020

ANTONIO TABUCCHI

IL ROMANZO REQUIEM:
SOGNI E RICORDI TRA FANTASMI E INCONSCI (O ANIME?)



CENNI BIOGRAFICI

Antonio Tabucchi nasce il 24 settembre del 1943 a Pisa, anche se viene registrato un giorno prima, il 23 settembre; mentre sulla città si abbattono i primi bombardamenti americani. Suo padre è un commerciante e sua madre un’ostetrica.

Tabucchi trascorre l’infanzia nella casa dei nonni, presso il borgo di Vecchiano. Ha un grande passione per l’arte, che matura grazie alle gite a Firenze in cui lo coinvolge lo zio materno.

La lettura è un’altra grande passione. Questo stretto rapporto si fortifica, specialmente, quando lo scrittore a 14 anni è costretto a letto da un’ingessatura.

Frequenta il liceo a Pisa; poi si reca a Parigi dove assiste, come uditore, a lezioni di Filosofia presso La Sorbona. Quando decide di tornare in Italia si ferma alla stazione di Paris Gare Lyon… dove ha occasione di avere un incontro determinante. Proprio lì decide di acquistare la versione francese della poesia Tabacaria, di Álvaro de Campos (eteronimo di Fernando Pessoa). Da quella lettura, di un testo sofferente, onirico e profondo, scatta la scintilla tra Tabucchi e Pessoa.

Lisbona. From Pixabay, edited.

Nel 1965 decide, quindi, di recarsi in Portogallo a bordo della sua Fiat 500. A Lisbona incontra la futura moglie Maria José Le Lancastre. Tabucchi si presenta alla giovane con la curiosa domanda “Aimez-vous la litérature?”

A Lisbona conosce diversi intellettuali perseguitati dal regime dittatoriale di Salazar[1] ; entra anche in contatto con i poeti surrealisti.

Tabucchi si laurea nel 1969 con una tesi sul surrealismo in Portogallo. In seguito, continua gli studi presso la Scuola Normale di Pisa.

Nel 1970 lo scrittore e Maria José si sposano. Dalla loro unione nascono due figli: Michele e Teresa.

Nel 1975 viene pubblicato, dall’editore Bompiani, il primo romanzo Piazza d’Italia.

Per un periodo lo scrittore fa l’insegnante di latino e italiano nella provincia di Pisa.

Nel 1977 fonda, insieme alla moglie e a Luciana Stegnano, la rivista semestrale «Quaderni Portoghesi».

Del 1978 è il secondo romanzo, intitolato Il piccolo naviglio; edito da Mondadori. Nello stesso anno, Tabucchi viene chiamato ad insegnare presso l’Università di Genova, e vi insegnerà per più di dieci anni.

Nel 1981 esce la raccolta di racconti Il gioco del rovescio. Due anni dopo inizia la collaborazione con il quotidiano «La Repubblica».

Tra il 1983 e il 1987 pubblica una serie di racconti e i romanzi Notturno Indiano e Il filo dell’orizzonte.

A partire dal 1987, detiene per due anni la carica di direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Lisbona. Del 1988 è l’opera teatrale I dialoghi mancati; nello stesso anno prende vita la collaborazione con il quotidiano «Il Corriere della Sera».

Nel 1989 il Presidente della Repubblica Portoghese conferisce a Tabucchi L’Ordine do Infante Dom Henrique; il governo francese, invece, nomina lo scrittore Chevalier des Arts et des Lettres.

Lo studio su Pessoa Un baule pieno di gente. Scritti su Fernando Pessoa viene pubblicato un anno dopo.

Nel 1990 inizia l’impegno di Tabucchi come insegnante presso l’Università di Siena, che durerà fino al 2005.

La particolare raccolta di racconti L’Angelo Nero e il romanzo Requiem escono nel 1991. Requiem è stato concepito e scritto in portoghese ed è tradotto in italiano da Sergio Vecchio, per Feltrinelli editore. La versione italiana viene pubblicata un anno dopo. Grazie al romanzo Tabucchi vince il Premio Pen Club.

Nel 1994 esce Ultimi tre giorni di Fernando Pessoa: un delirio. In questo libro Tabucchi immagina Pessoa sul letto di morte che riceve i fantasmi dei suoi eteronimi; il tutto tra il biografico, l’immaginario, il macabro e l’onirico: in pieno stile Pessoa-Tabucchi. Dello stesso anno è l’importante romanzo Sostiene Pereira, che vince il Premio SuperCampiello. Il libro guadagnerà molti altri riconoscimenti.

Lo scrittore viene chiamato dall’École de Hautes Études di Parigi, dove tiene lezioni su Pessoa in seguito pubblicate.

Tabucchi, è da sottolineare, era uno scrittore “impegnato”: sempre nel 1994 è, infatti, tra i fondatori dell’International Parliament of Writers, sostenendone la missione di proteggere gli scrittori perseguitati per le loro idee.

Nel 1997 esce il romanzo La testa perduta di Damasceno Monteiro.

Tra gli scritti del periodo è da evidenziare il reportage Gli Zingari e il Rinascimento. Vivere da Rom a Firenze, pubblicato da Feltrinelli. Lo studio fa guadagnare a Tabucchi il premio spagnolo Hidalgo per la cultura gitana.

Nel 2000 il Pen Club[2] italiano propone all’Accademia di Svezia il nome di Tabucchi per il Nobel.

L’anno successivo esce il romanzo epistolare Si sta facendo sempre più tardi, edito da Feltrinelli.

In quel periodo lo scrittore si esprime criticamente sul Governo Berlusconi, in diversi articoli.

Del 2003 è il testo Autobiografie altrui. Poetiche a posteriori. Del 2004 il romanzo Tristano muore.

Antonio Tabucchi viene insignito del Premio Francisco Cerecedo nel 2004: importante riconoscimento dell’Associazione Giornalisti Europei, consegnato dal Principe delle Asturie. Tabucchi guadagna il Premio per la sua esplicita difesa della libertà di espressione.

Lo scrittore riceve, nello stesso periodo, la nazionalità portoghese.

La sua attitudine all’impegno ideologico e civile si traduce, sempre nel 2004, nella sua candidatura nella lista del Blocco di Sinistra alle elezioni per il Parlamento Europeo.

Due anni dopo, nel 2006, Tabucchi pubblica una raccolta di interventi scaturiti dalla sua penna e apparsi su riviste nazionali e internazionali. Oca al passo. Notizie dal buio che stiamo attraversando include testi dai temi più svariati come il terrorismo, il ritorno del razzismo e il revisionismo.

Nel 2007, lo scrittore riceve la Laurea Honoris Causa dall’Università di Liegi.

Del 2009 è la raccolta di racconti Il tempo invecchi in fretta.

Dopo un articolo di Tabucchi, apparso su «L’Unità», il Presidente del Senato Renato Schifani richiede allo scrittore un risarcimento di un milione e trecentomila euro. L’articolo in questione tratta dei fatti legati alla permanenza di Schifani in Sicilia; i suddetti fatti erano già stati raccontati da altri ma Tabucchi resta l’unico oggetto della protesta. Lo scrittore si difende sostenendo il diritto dei cittadini alla conoscenza dei trascorsi di un personaggio pubblico e ancor più di un importante esponente politico. L’editore Guillard lancia l’appello “Sosteniamo Tabucchi”, pubblicato dal quotidiano francese «Le Monde»[3] . L’appello si diffonde rapidamente anche in Italia. La Cassazione assolverà Tabucchi solo nel 2019, riconoscendogli il diritto di critica.

Nel 2012 esce il libro Viaggio e altri viaggi. L’anno successivo viene pubblicato Racconti con figure.

Lo scrittore viene invitato a un Festival brasiliano ma decide di non partecipare a causa del rifiuto del Brasile a estradare il latitante Cesare Battisti[4] .

Nel 2012 lo scrittore muore di cancro a 68 anni, presso l’Hospital da Cruz Vermelha di Lisbona. Le sue ceneri sono conservate nel Cimitero dos Prazeres, nella Cappella degli Escritores Portugueses.

Dopo la morte di Tabucchi hanno risuonato tra i mezzi di comunicazione le parole della direttrice della Fondazione Pessoa, Ines Pedrosa: “Il Portogallo gli deve molto”. La Pedrosa non manca di ricordare il carattere politico della letteratura di Tabucchi… che è stata una preziosa testimonianza abile a superare la breve memoria dei mezzi di comunicazione. L’invito della Direttrice è chiaro e potente:

“Gli scrittori continuano a vivere finché li leggiamo.”


REQUIEM

Ph. Francesca Lucidi. Edizione Feltrinelli, 1998

Il romanzo è breve e multidirezionale. La lettura di questo testo implica un percorso che invita ad andare avanti subendo arresti in pieno disorientamento: si deve a quel punto tornare indietro perché ci sono numerosi rimandi che chiedono la volontà di non affrettarsi alla fine ma di riuscire a cogliere spunti nascosti, che paiono semplici ma che sono assai complessi, richiedenti attenzione e tempo. Si legge qualcosa che sembra essere stato già accennato, ed ecco che ciò che sembrava superfluo deve essere ricercato nelle pagine precedenti, compreso di nuovo, collegato, ancora e ancora, ad altro. Il racconto racchiude piccoli ulteriori racconti che non prendono il via solo dai personaggi incontrati dal protagonista ma anche dalle trattazioni celate, dalle frasi che paiono casuali ma che sono una summa della vita dello scrittore e dell’esistenza del misterioso personaggio che il protagonista deve incontrare.

L’autore e il protagonista, chiamato “io” (così dice Tabucchi nell’introduzione), si sovrappongono in una narrazione che è una riflessione totale e riassuntiva, un’autobiografia infestata dalla biografia di un “altro”, un testamento e un commiato.

Il romanzo è un Requiem: ciò che dice il titolo è affermato con chiarezza nell’introduzione. Il personaggio deve fare la sua orazione nel solo modo possibile: in forma di romanzo. Dopotutto è uno scrittore che produce il testo e il narratore, nella sua sovrapposizione a Tabucchi, è uno scrittore. Il requiem è un’orazione ma anche una messa e una composizione musicale. L’autore parte dalla scelta della lingua, che non si esplica nell’obbligato e solenne uso del latino: l’idioma scelto è il portoghese. Lo scrittore è italiano ma ciò che chiama la lingua portoghese è l’ambientazione, la “natura” del personaggio morto che il protagonista deve incontrare, e le caratteristiche stesse di questa lingua che viene vista da Tabucchi come luogo perfetto di affetto e riflessione.

«Questo Requiem, oltre che una “sonata”, è anche un sogno»

Se partiamo dalla prima definizione, Tabucchi si distacca dalla solennità per indirizzarsi verso il sentimento della familiarità: sceglie la lingua di un paese che lo ha adottato e che lui stesso ha scelto di “adottare”. Lo strumento che sarebbe abile a dar vita a questa melodia non è l’organo di una cattedrale ma è più identificabile in un’armonica o un organetto… sì perché questa sonata viene eseguita sulla strada e serve uno strumento da portare con sé.

In questa storia si parla di morti… dopotutto è un requiem. I morti, però, non sono entità lontane da piangere ma figure reali che parlano, camminano, mangiano e provocano. Morti e vivi sono messi sullo stesso piano e nello stesso mondo, che è un mondo dell’affetto, del sogno e dell’inconscio… con una punta di rimorso.

LA TRAMA appare semplice e tratta di una persona che da una situazione di tranquillità campagnola si trova catapultato a Lisbona perché deve incontrare sul molo una persona importante, un grande poeta.

Vi devo comunicare, se non lo avete ancora sospettato, che il personaggio tanto atteso è Fernando Pessoa.

Il fantasma dà appuntamento al protagonista alle dodici… e il vivo così tanto abituato ai vivi si presenta al molo a mezzogiorno, sotto il sole torrido dell’ultima domenica di luglio. Solo dopo riesce a capire che probabilmente quell’orario indicava la mezzanotte, momento molto più in linea con le apparizioni spettrali.

Da quel momento inizia la giornata dell’”io”, che vagherà tra Lisbona e i suoi dintorni incontrando una lista di personaggi già indicata all’inizio del romanzo: sì, l’autore compila una vera lista di soggetti che include vivi e morti senza distinzione.

Seguire il personaggio, grazie allo stile di Tabucchi, significa provare una nuova sovrapposizione… che questa volta coinvolge i nostri sensi fisici e i nostri sentori mentali. Il calore di quella domenica lo sentiamo addosso nel sudore appiccicoso che attanaglia l’”io” all’inizio della sua PRESUNTA ALLUCINAZIONE.

Molte edizioni riportano il titolo REQUIEM: UN’ALLUCINAZIONE, altre abbreviano. Le due scelte implicano questioni assai importanti… se dopo quei due punti si sceglie di dare una definizione a quell’ultima domenica di luglio. In realtà non è chiaro cosa accada dato che nel testo di parla sì di allucinazione ma anche di sogno, di finzioni… e di storie redatte e immaginate da scrittori.

Nulla nel romanzo è identificabile con certezza. L’unica cosa chiara è che il protagonista deve incontrare il fantasma di un famoso poeta, presumibilmente a mezzanotte. Ciò che accade nel frattempo sembra essere determinato prima dalla casualità e poi dal destino.

Ogni personaggio incontrato diventa il pretesto per riflettere sulla vita, sul presunto declino del mondo nel presente (della storia e del libro), sulla fortuna e i suoi scherzi o manifestazioni; altresì ogni soggetto è uno spaccato della società e delle classi, delle virtù e delle fragilità umane.

L’intera umanità e il protagonista si frammentano in tante personalità.

Un drogato diventa il mezzo per parlare di surrealismo ed Erik Satie; un venditore ambulante di biglietti della lotteria legge articoli filosofici sull’anima e si intrattiene con l’Io che si lamenta di aver preso l’Inconscio (maiuscolo nel testo), visto come una malattia. Il venditore crede che al Sud si abbia l’anima… come se questa sia una fiamma calda e confortante rispetto al freddo e disorientante Inconscio mitteleuropeo. Un venditore della lotteria che parla di queste cose… beh, in Requiem è possibile e anche necessario. È anche vero che questo dissertatore, poi, annuncia di dover tornare al suo ruolo di “semplice zoppo” e scambia il giornale sull’anima con quello sul calcio comprato senza piacere dal protagonista. Ogni personaggio non si sa se sia una marionetta, una maschera dell’autore o un simbolo. In realtà questi presunti vivi sembrano più inconsistenti e sospesi dei morti. Ogni barista, lavoratore o donna incontrati si trova in un luogo di esistenza ristretto, come un fantasma legato a una casa infestata o a un cimitero dimenticato.

Il venditore della lotteria è anche la manifestazione di un ricordo letterario… e quindi lì viene il sospetto che quei simboli non riguardino Tabucchi bensì Pessoa. Il protagonista ricorda che prima di “arrivare” a Lisbona stava leggendo il Libro dell’Inquietudine, in cui il un venditore della lotteria importuna Bernardo Soares (uno degli eteronimi di Pessoa)… a volte si sogna ciò che abbiamo sperimentato appena prima di addormentarci.

Da un inizio pacato e annoiato si passa per dissertazioni che sembrano quelle consuete che si sperimentano quotidianamente a una fermata dell’autobus. Una prima porta apre a Lisbona, una seconda porta in forma di cancello apre a un uscio. Una Zingara (il maiuscolo ha le sue ragioni) sta prima dell’uscio e lo preannuncia attraverso la lettura delle mani del protagonista, dopo aver venduto allo stesso delle magliette taroccate che riproducono una famosa marca in modo creativo. Anche questo romanzo pare un falso ben eseguito e dai colori assai gradevoli.

Il protagonista inizia il percorso nel disagio, e in un malessere fisico talmente evidente da far preoccupare un povero tassista abusivo che stenta a seguire gli indirizzi confusi che il protagonista ha bene a mente. Tutto questo caos trasognato si trasforma via via in momenti di autentico piacere, al tavolo con un morto o con i piatti della cucina portoghese. Sì, la cucina portoghese ha un ruolo di primo piano in questo romanzo, con nomi e descrizioni. Ovviamente mangiando pesante si fanno gli incubi e il sonno si fa pesante a sua volta… dal piacere spunta ogni tanto del disagio, nulla che il letto pulito di un albergo a ore non possa curare. E non bisogna pensare male, il protagonista si reca in certi posti proprio per dormire. L’Io prende delle medicine per calmarsi, che funzionano ma spossano. L’anima di un defunto non manca di fargli notare quanto siano velenose le presunte medicine per l’anima. Anche qui sovrapposizione: anima su anima.

Le digressioni sono quasi più numerose delle apparizioni di vivi e morti. Le conversazioni con persone mediocri e costrette in una vita di doveri e placida ignoranza diventano il pretesto per ridicolizzare la cultura ufficiale, le definizioni, persino i generi letterari. Le classi umili vengono esaltate in una diminuzione apparente, che alla fine non fa che sottolineare una coscienza di classe forse tardiva… come tardiva è la consapevolezza della possessione subita dall’Io da parte di quel fantasma di cui si deve pur far qualcosa.

La tardività è parente del rimorso, anche questo paragonato a una malattia come avviene per l’Inconscio.

Le malattie te le prendi senza volerlo e spesso te le porti dentro tutta la vita… magari anche Pessoa è una malattia, una dalla quale Tabucchi vuole assolutamente guarire per tornare a sentirsi sé stesso.

Come si risolverà l’incontro di mezzanotte?

Prima bisogna prendersi tempo e magliette pulite per attraversare Lisbona e dintorni per tutto il giorno. Tanti incontri non hanno nemmeno un epilogo, eppure sembravano così importanti!

Infarti, suicidi… tutto appare normale in una narrazione anormale. Si fanno domande ma le risposte vengono spesso tralasciate perché ciò che conta pare essere solo il fantasma del prestigioso poeta. E anche questo fatto sembra rappresentare quanto questa messa “da morto” e messa “per un morto” sia necessaria per creare un distacco, per elaborare e accommiatarsi.

 

INDICAZIONI E AVVERTENZE (come riporterebbe il bugiardino di una medicina per l’anima)

Seguite le tracce, ascoltate bene e godetevi ogni singolo incontro.

Il fantasma forse in vita era un mago… e, comunque, un mago dovrebbe restare tale anche dopo la morte; quindi questa magia chi coinvolge e come? Chi ha chiamato lo spettro e per quale via si incammina sulla terra o in un Inconscio/sogno?

Pessoa era un occultista e un membro di diverse associazioni segrete di stampo massonico. Vi sembra strano che si parli di magia? E quella citazione di Erik Satie, fatta a cospetto di un drogato/allucinato, è casuale?

I nomi di Pessoa e Satie sono entrambi collegati all’antico e misterioso ordine dei Rosacroce.

Il protagonista cita spesso la fortuna, i numeri. La magia dei numeri e dello stato astrale di nascita non è un vezzo ma è un richiamo, un rimando.

Requiem è pieno di cose che appaiono ciò che non sono; in realtà sono anche ciò che sembrano ma sono anche un mezzo per altro. Tutto è un portale per un portale. Ogni parola è ciò che è, ciò che è stato e ciò che potrebbere essere o sempre sarà. Il ricordo spinge indietro ma la volontà originaria di Requiem è assolutamente quella di andare avanti.

Ricordate come iniziò l’amore di Tabucchi per Pessoa? Vi inserisco qualche verso della Tabacaria; provate a leggerli dopo aver completato la sonata/sogno:

 

“Oggi sono perplesso, come chi ha pensato e trovato e scordato.

Oggi sono diviso fra la lealtà che devo

alla Tabaccheria dirimpetto, come una cosa reale dal di fuori,

e alla sensazione che tutto è sogno, come cosa reale dal di dentro.”

/-/

“Mi hanno subito riconosciuto per chi non ero, e non l’ho smentito e mi sono perso.

Quando ho voluto togliermi la maschera,

era attaccata al mio viso.

Quando l’ho tolta e mi sono visto allo specchio,

ero già invecchiato.”

 

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[1] Governo autoritario istituito nel 1932 e destituito da un colpo di stato militare incruento, nel 1974. La rivoluzione che porta alla liberazione del Portogallo è anche chiamata la Rivoluzione dei Garofani.

[2] [2] Antica organizzazione di letterati fondata nel 1921 a Londra. Il nome fa riferimento all’oggetto per scrivere ma le iniziali richiamano anche le categorie incluse: Poets, Essaysts, Novelists. L’Organizzazione ha anche rapporti con le Nazioni Unite. Attualmente sono compresi nell’organigramma anche gli esponenti di tutte le forme di comunicazione scritta, come, ad esempio, i giornalisti.

[3] È interessante l’articolo del quotidiano «La Repubblica», che ironizza anche sul fatto che gli avvocati del protestante chiamino il grande scrittore “giornalista”. L’articolo è disponibile al link http://temi.repubblica.it/micromega-online/sostiene-schifani-condannate-tabucchi/.

[4] L’ex terrorista degli anni di piombo evaso dal carcere di Frosinone nel 1981. Battisti ha trovato per molti anni rifugio in Brasile, anche se ha anche maturato, contestualmente, diversi anni di carcere. Solo nel 2018 il Presidente Michel Temer dà l’ordine di estradizione. Il ricercato fugge ma viene arrestato dall’Interpol in Bolivia. Trasferito in Italia, viene condannato all’ergastolo.