lunedì 15 giugno 2020

I DELITTI DELLA RUE MORGUE di Edgar Allan Poe

 LA NASCITA DI UN GENERE RIVISSUTA ATTRAVERSO L'ESPERIENZA

DI

UN AUDIOLIBRO

Ph. Francesca Lucidi. In foto l'audiolibro di Aliribelli Edizioni (in collaborazione con).

Nell’aprile del 1841, Edgar Allan Poe pubblica I DELITTI DELLA RUE MORGUE. Il racconto, inizialmente, apparve sul «THE GRAHAM’S LADY’S AND GENTLEMAN MAGAZINE» di Philadelphia, la rivista di proprietà dell’editore Graham per il quale Poe lavorava.

La grande importanza di questo breve lavoro di Poe sta nel contenuto, anzi nel personaggio…  un personaggio che è la personificazione di un METODO. I DELITTI DELLA RUE MORGUE  è il primo capitolo di una triade che comprenderà IL MISTERO DI MARIE ROGET  (1842-1843) e LA LETTERA RUBATA (1845). La storia introduce il personaggio di Auguste Dupin: un investigatore molto particolare… che segnerà la storia perché la sua genesi determina la nascita del RACCONTO POLIZIESCO, della  cosiddetta DETECTIVE STORY.

Quando si pensa a un poliziesco che racchiuda intuito, deduzione… stranezze e risoluzioni che non scaturiscono dalle “normali” indagini della polizia ecco che viene immediatamente alla mente la figura di Sherlock Holmes. Il celebre detective di Sir Arthur Conan Doyle non è altro che il frutto della scia iniziata dai ragionamenti e dalle bizzarrie di Auguste Dupin. Doyle ammette il suo debito e noi non possiamo non rileggere le pagine de I DELITTI DELLA RUE MORGUE senza riscontrarne tutti gli elementi che frustrano, burlano, e al contempo stimolano le nostre menti quando ci si approccia a una storia non solo di Conan Doyle ma anche di Agatha Christie, e di tutta la letteratura poliziesca… senza dimenticare le moderne serie tv dove compare sempre un personaggio straordinariamente acuto, scontroso; quasi inquietante nel suo vivere ai margini della consuetudine e in un corpo che porta in giro una mente gelida e “acutissima”. Proprio queste sono le caratteristiche che consegnano alla storia un topos umano che a distanza di tempo, molto tempo, riesce ancora ad affamarci e affascinarci… come accade ai personaggi “spalla” che  spesso raccontano di questi protagonisti misteriosi … che però DEL MISTERO CONOSCONO LE CHIAVI DI ACCESSO

 

AUGUSTE DUPIN

Dupin era di ottima famiglia; una serie di sconosciute e malaugurate vicende, però, lo avevano colpito causandogli la perdita di beni e “forza di carattere”.

Auguste Dupin rinunciò ad ambizioni e mondanità e iniziò a vivere cercando di gestire una rendita minuscola. Grazie alla volontà magnanima dei creditori riuscì a cavarsela e a trovare il suo modo di vivere.

Nel tempo del racconto, Dupin vive semplicemente e l’unico lusso che si concede sono i LIBRI.

Chi ci riferisce i particolari sulla storia di questo personaggio è il narratore. La voce che parla al lettore è quella di un amico di Dupin, il suo SOLO AMICO. L’uomo incontra Auguste lì a Parigi (la città che ospita storia, morti e carnefici), in una libreria di Montmatre: da quel momento nasce una frequentazione foraggiata dalla vivace IMMAGINAZIONE e dal FERVORE insolito di Dupin.

I due vanno a vivere insieme, scegliendo una magione “guasta”, separata. Arredata la casa in tono con la “fantasiosa malinconia” che affligge i loro animi, gli amici iniziano a vivere in un isolamento volontario in cui l’oscurità è il manto che avvolge i loro vividi ragionamenti e i loro discernimenti: questi ultimi sono il vero nutrimento di una vita parca e ritirata.

Questa coppia di coinquilini condivide la scelta di vivere nel buio: di giorno le imposte sono serrate… e la notte è il momento in cui i due si riversano sulle strade per commentare aspetti diversissimi di una realtà che pare filtrare attraverso Dupin per scioccare e inebriare il narratore, che asseconda ogni capriccio e atteggiamento dell’amico, non senza ragione.

Auguste ha conoscenze nella polizia… cosa che già preannuncia gli elementi caratteristici del genere che si delineerà proprio dopo la pubblicazione de I DELITTI DELLA RUE MORGUE. Questo particolare collegherà i due alla scena di un efferato delitto.

Ciò che però introduce al racconto è un discorso molto particolare fatto dal narratore: l’amico di Dupin, che quasi scompare dietro la descrizione dei comportamenti dell’oggetto-soggetto della sua testimonianza e ai ragionamenti che da quest’ultimo scateneranno la VERA TRAMA del racconto, parla delle “FACOLTÀ MENTALI”.

Più nello specifico… dopo aver usato proprio queste parole per iniziare la sua narrazione, colui che racconta descrive le facoltà analitiche, e più generalmente un metodo e una VISTA . Queste premesse che paiono in un primo momento assai astruse e complesse… sono la necessaria introduzione a Dupin e alla sua risoluzione dei MISTERI legati alla rue Morgue; di contro, i misteri della rue Morgue saranno la dimostrazione “pratica” che quanto l’amico dice all’inizio è vero e inconfutabile.

 Auguste Dupin è una parvenza assente e al contempo infinitamente PRESENTE nei fatti del mondo, e del racconto; è nobile nei modi e gentile, allo stesso tempo è però freddo e inquietante. Dupin si mostra come un “DOPPIO”: nel momento delle vive manifestazioni della sua particolare ATTITUDINE ANALITICA, della quale si vanta pronunciandosi sul fatto che le persone hanno per lui una “FINESTRA APERTA NEL PETTO”… ecco che Dupin prende ad assumere uno sguardo fisso, e la SUA VOCE CAMBIA.

Auguste Dupin ha un fare quieto e una voce da tenore… quando Dupin diventa “ANALISTA” la sua voce sale: diventa petulante, e sopportabile solo grazie alla chiarezza della sua dizione. L’attenzione sulla VOCE è un aspetto importante… che si manifesta nei terribili fatti della rue Morgue.

 L’amico-narratore è preda delle straordinarie osservazioni di Dupin; ne è anche, però,  il testimone che si riscalda alla luce delle fiaccole che illuminano l’oscuro appartamento da loro occupato: quelle fiaccole sembrano essere anche il segno esteriore dell’acume spietato di Auguste Dupin. Il testimone privilegiato che racconta il mistero e la risoluzione dei fatti della rue Morgue ci introduce il METODO attraverso il quale comprendere ogni cosa…

 

IL METODO

 L’ANALISTA è innamorato degli enigmi: questi sembrano giungere a lui per caso… e vengono poi risolti in una maniera che appare sovrannaturale.

L’acume è il muscolo allenato e sfoggiato dall’analista.

La matematica può essere una chiave di comprensione di questo metodo… in particolare l’analisi. Ma se si pensa alla matematica non dobbiamo credere che il calcolo sia il mezzo privilegiato.

Il narratore fa un paragone tra il gioco degli scacchi e il gioco della dama. Il giocatore di scacchi calcola, ma ciò non significa che compia un’analisi. Siamo soliti pensare che questo gioco sia difficilissimo… in realtà lo è, ma non per l’impiego delle facoltà mentali. Le pedine degli scacchi prevedono per esse numerosi movimenti e molteplici variabili: alla fine ciò che fa la differenza è la capacità di NON DISTRARSI.

Dice il narratore: “La complessità viene scambiata per profondità”.

Nella dama le mosse possibili sono poche: l’acume è ciò che differenzia un giocatore dall’altro… l’ACUME e il METODO.

 Nel gioco… anche di carte… ciò che distingue un analista è l’OSSERVAZIONE. Penetrare nell’avversario, quasi “possederlo”, ne fa prevedere i pensieri e i movimenti… ed ecco che entrando nei panni di un altro, attraverso la mimesi intellettiva, tutto appare chiaro e si rivela. La DEDUZIONE e l’osservazione fanno raccogliere all’analista una grande quantità di informazioni. SAPERE COSA OSSERVARE è il primo passo.

Tutto questo è ingegnosità? No. L’immaginazione è la molla che fa aprire e chiudere l’osservazione di un analista.

 

CENNI SULLA TRAMA… SENZA RIVELARE CIÒ CHE MERITA DI ESSER LETTO

Dopo l’ipnotica e illuminante introduzione del narratore, sull’analisi e sul rapporto con Dupin, ecco che i due si trovano a leggere l’edizione della sera della «Gazette des Tribunaux»; l’attenzione viene immediatamente indirizzata verso una notizia:

 SENSAZIONALI DELITTI

 “ INTORNO ALLE TRE DI STANOTTE GLI ABITANTI DEL RIONE SAINT-ROCHE SONO STATI SVEGLIATI DA UN SUSSEGUIRSI DI URLA SPAVENTOSE CHE SEMBRAVANO PROVENIRE DAL QUARTO PIANO DI UNA CASA DELLA RUE MORGUE, NOTORIAMENTE ABITATA SOLTANTO DA UNA CERTA MADAME L’ESPANAYE E DA SUA FIGLIA, MADEMOISELLE CAMILLE L’ESPANAYE.”

 La cronaca continua raccontando che i vicini e due gendarmes riuscirono a entrare nell’edificio solo dopo aver forzato energicamente la porta. Le grida in un primo momento cessarono… ma quando i soccorritori iniziarono a salire la prima rampa di scale ecco che le grida ricominciarono.

Poi di nuovo cessarono.

Quando i presenti arrivarono in una stanza al quarto piano, sul retro della casa, si trovarono nell'orrore e nello "sbalordimento”. È da sottolineare che la porta era chiusa dall’interno.

Nella descrizione della gazzetta vengono riportati lo stato della stanza, completamente in disordine; la presenza di un rasoio insanguinato, su una seggiola; due o tre ciocche grigie di capelli umani, insanguinate e staccate dalle radici; una serie di valori e preziosi sul pavimento. Tutti gli elementi, APPARENTEMENTE osservabili, vengono elencati con dovizia.

Il racconto dell’orrore prosegue…

Le due donne furono trovate morte. Non è però la morte il fatto notabile: Madamoiselle L’Espanaye venne trovata a testa in giù nella canna del camino… Madame, invece, inizialmente cercata senza successo, fu ritrovata nel cortiletto lastricato sul retro dell’edificio. Entrambi i corpi presentavano segni di una efferatezza inaudita: il corpo di Madamoiselle mostrava escoriazioni e lividi e graffi, specialmente sulla gola che manifestava i segni di uno strangolamento; Madame aveva la gola tagliata in modo così profondo che la testa si staccò dal corpo quando si provò a spostare il cadavere.

A quel punto la lettura si ferma, e viene rimandata all’edizione del giorno successivo.

Le nuove notizie sono lunghe e accuratissime, forse anche troppo. Nel giornale è elencata la lista dei numerosi e diversissimi testimoni, con il rispettivo racconto delle loro deposizioni.

Tutte le testimonianze concordano parzialmente su un punto… mentre un altro, riguardo cui tra poco vi parlerò, appare disorientante e confuso nelle menti degli interrogati.

Alla fine l’edizione del mattino conclude che il delitto appare inspiegabile, e dubita persino sulla natura di “delitto”. Gli indizi vengono considerati assenti.

La sera la lettura prosegue con l’edizione aggiornata della faccenda: la gente ancora sul posto, i testimoni nuovamente interrogati… e un arresto: Adolphe le Bon, un impiegato di banca che aveva avuto contatti con le vittime (ma questi contatti non posso svelarveli).

Alla notizia riguardo Le Bon, Dupin sembra “animarsi”. All’amico viene chiesto un pensiero sulla faccenda… il quale non fa che ricalcare le conclusioni del giornale, e della polizia.

Dupin lo incalza adducendo a ciò che di carente vi è nel metodo tradizionale di indagini: acume e scaltrezza senza l’ombra del METODO.

Aguste fa riferimento al celebre investigatore Vidocq (realmente esistito)… per alcuni l’antesignano di Dupin… ma ciò non può esser vero dato che Auguste ne critica l’ardore che lo portava a confusione, nonostante l’intuito e la perseveranza.

Un esempio viene di nuovo in aiuto, se così si può dire, al lettore.

Dupin dice che guardare le cose troppo da vicino ne fa perdere di vista l’INSIEME. Infatti afferma:

 “Insomma, la verità non sta sempre in fondo a un pozzo. Anzi, quanto agli aspetti determinanti, ritengo che se ne stia invariabilmente in superficie.”

 Ancora una volta, come nell’introduzione dell’amico… la PROFONDITÀ viene chiamata in causa: questa viene fatta scaturire erroneamente dalla complessità, ma è anche assai complesso “guardare” quando lo si fa profondamente.

Dupin fa l’esempio dell’osservazione di una stella: essa viene vista più distintamente quando la si guarda con la coda dell’occhio, se la fissiamo essa appare sfocata. L’osservazione profonda potrebbe persino far sparire Venere dal firmamento.

Auguste propone all’amico di andare a indagare… e che la cosa “li divertirà”. Rassicurando l’amico con il particolare della sua conoscenza con il prefetto della polizia, convince il suo compagno. Anche Le Bon ha un ruolo, Dupin dice di dovergli un favore.

A quel punto i due iniziano un’indagine accurata sul posto. Anzi, posso dire che Dupin inizia l’indagine SILENZIOSA del luogo del delitto e delle vittime; l’amico guarda, assiste.

Come nello stilema del filone generatosi da I DELITTI DELLA RUE MORGUE, il caso troverà le sue risoluzioni… non all’immediato sopralluogo… ma in separata sede.

L’assistente vedrà raccontatosi ogni elemento con le sue spiegazioni, in una circostanza segreta che si svelerà al contempo con lo scioglimento della faccenda.

Alla fine Il METODO e DUPIN si ricongiungono. Due finestre, due chiodi e una corda… per non dimenticare una persiana: tutto questo sarà ciò che Dupin saggerà con DEDUZIONE; e osservazione ben diversa da quella che parte dall’immediatamente constatabile. L’apocrifo investigatore riconduce e riduce la questione generale nelle sue parti, spiegate in un modo che ci farà innervosire e/o “riscaldare” piacevolmente.

Pensate che la polizia sarà riconoscente a chi ha spiegato l’efferato omicidio? Beh, pensate alle altre storie del “genere”…

  

LA VOCE

Tornado ai motivi di accordo e disaccordo tra i testimoni, l’elemento che spicca tra le deposizioni è quello sulla natura delle urla udite.

Tutti concordano sul fatto che una era di un francese e in linea di massima tutti convengono sul suo essere rude, in qualche modo stupita e manifestante rimostranze. Ciò che non combacia sono le descrizioni della seconda voce: questa risultò quasi a tutti ALTA, ACUTA… ma ognuno addusse una nazionalità diversa al padrone di quei suoni. Ovviamente la cosa non sfugge a Dupin, il quale ne svelerà collegamenti e spiegazioni.

Della versione dell’audiolibro ho apprezzato gli aggettivi… quell’ACUTO sembra quasi ricondurre lo straordinario essere sconosciuto allo SDOPPIAMENTO di DUPIN raccontato dall’amico.

I suoni sono assai importanti in questa storia, ed è stato molto interessante ASCOLTARLA invece che leggerla; l’avevo già letta ma questa esperienza si è rivelata assai interessante.

 

L’ESPERIENZA DELLA RUE MORGUE ATTRAVERSO L’AUDIOLIBRO DI ALIRIBELLI

Potrei chiamare in causa la psicologia della percezione o i benefici che certi suoni e frequenze hanno sul nostro cervello… in verità preferisco non cadere, qui,  nel pozzo citato dall’ANALISTA primigenio.

Posso affermare semplicemente che l’esperienza è stata piacevole e interessante. La vita è frenetica e non permette quasi a nessuno di potersi fermare lungo tempo per l’esperienza di una lettura senza troppe interruzioni. L’audiolibro permette di portar con sé comodamente i nostri classici preferiti: mentre ci alleniamo, mentre raggiungiamo un luogo… mentre facciamo un lavoro manuale; anche le faccende di casa possono diventare un’esperienza del tutto nuova!

Il racconto è qui narrato da Riccardo Isgrò. La voce che ci accompagna resta quasi sempre la stessa… varia quando si impossessa di Dupin o potremmo dire quando Dupin parla attraverso il mezzo umano che gli dà voce. Il tutto è molto rilassante, chiaro: tutto è lineare tranne che nel particolare “caso umano” citato e in qualche altro punto.

Io possiedo circa cinque edizioni cartacee de I DELITTI DELLA RUE MORGUE, a cui si aggiunge un ebook di cui mi interessava la traduzione. Non credo che l’audiolibro debba o possa SOSTITUIRE un formato a noi più noto… ma è un essenziale alleato: tutti e tre i formati si compensano perfettamente.

Io sono una persona molto incuriosita dalle sensazioni e da tutte le esperienze percettive: l’audiolibro è una coccola a cui non voglio rinunciare.

Per gli audiolibri di ALIRIBELLI basta visitare il loro sito, per acquistarli singolarmente; o gustarne il contenuto tramite i servizi Audible e Storytel.

 

Ora proviamo a guardare le stelle, non troppo profondamente si intenda! Magari ascoltando una storia.

 

 

sabato 13 giugno 2020

NEI PANNI DI POE

EDGAR ALLAN POE: LA PERSONALITÀ E IL PARTICOLARISSIMO ASPETTO FISICO DEL “CORVO”

Biografia, testimonianze e descrizioni minuziose di un genio “desiderato” e incompreso dal suo tempo

Ph. Francesca Lucidi

Edgar Poe venne alla luce il 19 gennaio del 1809, a Boston.

La sua nascita non fu cinta da felice attesa: la madre, Elizabeth Arnold, era un’attrice di terz’ordine; il padre, David Poe, che era il secondo marito della donna, abbandonò presto la famiglia.

Elizabeth ogni sera recitava dinanzi a un pubblico di certo non di alto rango… tutto ciò per tentare di mantenere i tre figli: William, più grande di Edgar di due anni, Edgar e Rosalie.

La piccola Rosalie era il frutto di un rapporto extraconiugale.

La famiglia si trasferì a Richmond nell’agosto del  1811. La donna era ormai logorata dalle difficoltà e morì di stenti e tubercolosi dopo pochi mesi.

La vita di Edgar, con la morte della sfortunata madre, cambiò radicalmente. Accanto al teatro dove Elizabeth si esibiva vivevano John e Frances Allan, quest’ultima, a volte, si prendeva cura di Edgar mentre la madre cercava di sbarcare il lunario. In realtà Elizabeth riuscì a sopravvivere grazie a delle collette organizzate dagli altri attori di Richmond. La famiglia Allan prese in adozione Edgar: la decisione fu, in verità, un forte desiderio di Frances. Poe divenne, da quel momento, EDGAR ALLAN POE.

La vita dell’oscuro scrittore arrivò a una svolta: cambiò nome e praticamente “identità”. Negli agi sviluppò un carattere capriccioso.

Nel 1815 gli Allan si trasferirono in Scozia… e Edgar non stava nella pelle nel voler dimostrare ai suoi parenti scozzesi quanto la sua condizione fosse cambiata.

Lo scrittore fu iscritto a un collegio di Londra, dove rimase per cinque anni. Nel frattempo Frances si ammalò, e il ribelle giovane tornava a trovare la famiglia solo per questo doloroso motivo.

I tormenti di Poe, da come si evince, non erano di certo terminati .

Nel 1820 la famiglia tornò in America a causa di problemi lavorativi di John. Gli Allan furono ospiti dei Ferris, a Richmond.

Edgar fu iscritto a un nuovo collegio: lì si distinse per acume, talento… e PESSIMO CARATTERE.

Poe si innamorò di una donna sposata: Jane Stith Stanard.

La Stanard era la moglie di un amico di famiglia degli Allan. Tra i due pare che il rapporto fosse prettamente platonico.

Anche questo rapporto finì in tragedia. La Stanard impazzì dopo una caduta e morì nel giro di poco tempo.

La fortuna degli Allan tornò: John ereditò ingenti fortune da uno zio paterno. Purtroppo Edgar, che non era, poi, mai stato a cuore a John, non beneficiò di ulteriori vantaggi economici: il padre adottivo gli lasciava solo quel poco per cui mangiare e vestirsi.

Nonostante tutto, le MADRI di tutta Richmond vedevano nel gracile e inquieto giovane un buon partito.

Il fascino di Edgar assunse la sua caratteristica forza inebriante: le donne lo desideravano e gli uomini lo invidiavano.

John iscrisse il figlio adottivo all’università. In questo periodo Edgar dovette subire un sinistro isolamento… e gli fu anche impedito di ricevere le lettere di quello che fu il suo secondo amore: Sarah Elmira Royster.

La Royster era un’amica della madre di Poe e Allan mal tollerava questa presenza.

Come tutti gli universitari, anche se siamo nell’ottocento, Edgar fece amicizia e si distinse nelle bevute e le serate “proibite”. In verità Poe non era un grande bevitore: non si serviva dell’alcool per gusto o piacere… ma per l’ANNEBBIAMENTO.

Un compagno di corso testimoniò:

La passione di Poe per le bevande alcoliche era tanto violenta quanto quella al gioco.

Edgar non sorseggiava ma si ingozzava di alcool per una ricerca agli altri sconosciuta. L’amico di Edgar prosegue:

Di solito gli bastava un bicchiere solo per stordirsi, ma se ciò non avveniva subito, si affrettava a tornare alla carica.

A causa dei debiti di gioco Edgar tornò a chiedere soldi al padre adottivo, che gli negò ogni aiuto.

Il giovane cercò di sopravvivere utilizzando i fondi destinati agli studi. Dovette per questo abbandonare l’università.

Nel 1827 tentò il ritorno a casa ma vi fuggì subito dopo. Senza bagaglio e viveri, trovò ospitalità in un’osteria di cui conosceva la proprietaria.

Poe passò un periodo di ASSOLUTA MISERIA.

Per cercare la sua strada, dopo l’insuccesso della pubblicazione della raccolta poetica Tamerlano, si arruolò nell’esercito degli Stati Uniti… cambiando di nuovo il nome, in Edgar Allan Perry.

Il suo impetuoso carattere venne leggermente smorzato dalla VITA MILITARE, quest’ultima, però, si provocò una profonda insofferenza. Nel frattempo Frances si aggravò e John Allan richiamò Edgar in seno alla famiglia. Il giovane fece ritorno… Frances era però già morta, e Edgar non potette neanche partecipare alle esequie perché non era in possesso di un ABITO SCURO.

Durante il soggiorno padre e figlio discussero, e anche la città di Richmond iniziò a scontrarsi con l’atteggiamento fanfarone del “nostro”.

Edgar riuscì addirittura a impedire il secondo matrimonio di John, con la sorella della defunta Frances.

Rispedito a West Point, Poe incominciò a passare le giornate a leggere, in solitudine…  e fu lì che si imbarcò sul battello «Albany» e raggiunse New York. Era il 1831; e John nel frattempo si era risposato.

Nonostante la sua vita militare non avesse prodotto frutti, gli amici di West Point organizzarono una COLLETTA, che permise a Edgar di sopravvivere.

Baltimora fu la sua nuova casa: lì fu accolto dalla Signora Clemm, una zia. Questo incontro fu fondamentale perché è proprio in quella casa che conobbe Virginia…

Il figlio della Clemm, Henry, morì lasciando in dissesto la famiglia. Edgar prese parte al concorso letterario del «The Philadelphia Saturday Courier». Poe vi partecitò con il racconto Metzengerstein, ottenendo un grande consenso. Da quel momento si delineò lo stile d’INCUBO dello scrittore: autodistruzione, rabbia e simboli si dipanano nella pagine di quella prima, oscura, storia.

Edgar intraprese una burrascosa storia d’amore con Mary Devereaux, che terminò tra sospette violenze.

Poe partecipò, poi, a un nuovo concorso letterario per il «The Baltimore Saturday Visitor». Il suo Manoscritto trovato in una bottiglia vinse il premio per la prosa. In realtà Poe avrebbe vinto anche il premio per la poesia se non avesse avuto un acceso scontro con i membri della giuria.

IL PRESIDENTE DELLA GIURIA, J.H.B LATROHE, CI LASCIA UN RITRATTO DAVVERO INTERESSANTE DI EDGAR, DEL SUO ASPETTO… DELLA SUA UNICA E OSCURA AURA INTRISA DI FASCINO, MISTERO E “DISSONANZA”.

LATROHE SCRISSE:

Indosso agli altri, abiti come i suoi sarebbero sembrati trasandati e lisi, ma v’era qualcosa in quell’uomo che impediva nel criticarne il vestire. Aveva su tutta la persona l’impronta del gentiluomo nato, la fronte alta, caratteristica soprattutto per l’estremo sviluppo delle tempie, e che costituiva il particolare di maggior rilievo della sua testa, particolare che si notava subito e che io non ho mai scordato…

L’espressione del volto era grave, quasi triste; aveva una voce bella e ben modulata, quasi ritmica, e sapeva scegliere elegantemente le parole, senza esitare.

Questi aspetti sembrano ricondurre la figura di Poe a una moderna rockstar: di certo è impressionante entrare in contatto epidermico con un personaggio che abbiamo imparato a figurarci attraverso il suo immaginario. Edgar nella sua vita fu innanzitutto UN "PERSONAGGIO". Fu un individuo che racchiudeva in sé tutte le caratteristiche dell’OUTSIDER. Nei secoli gli sono stati imputati gli appellativi più impietosi e anche quelli più manifesti di un’ammirazione quasi religiosa. Sono felice di conoscere e far a voi conoscere intimi aspetti lontani dall’esclusiva reverenzialità letteraria. Il particolare della sua voce è assai intrigante

Edgar non smetteva di attirare l’attenzione: la Signora Clemm iniziò a tenerlo sotto il suo sguardo, per un motivo ben preciso, che vedremo tra poco.

Poe riuscì a pubblicare il racconto Berenice sul «Richmond Southern Literary Messenger». Il racconto era assolutamente nero, gelido e pregno di effetti abili a disturbare il lettore. Un nuovo modo di scrivere stava iniziando a prendere sempre più forma, e questo STILE cambiò gusti e modi della letteratura mondiale.

Dal feticismo alla necrofilia… Poe è l’iniziatore degli INCUBI che si sono poi espressi, all’ombra degli insegnamenti dello scrittore, attraverso tutti i mezzi artistici. Le “maniere” di Poe sono particolari: sono distaccate ma al contempo ESTREMAMENTE PERSONALI; basta guardare alla sua storia per ritrovare una profetica sovrapposizione di realtà e invenzione. Proprio per questo è stimolante e arricchente CONOSCERE l’uomo, il dissoluto non per piacere ma per inquietudine… il sentimentale e il violento; il marito devoto e l’amante bisognoso.

Ecco che pubblicò “Gordon Pym”, un racconto di avventure…  ma prima si avviò verso la più tragica e intesa avventura della sua vita: sposò la giovanissima cugina VIRGINIA.

Virginia aveva solo tredici anni e fu unita in MATRIMONIO con lo scrittore, il 22 settembre del 1835, nel salotto di una pensione. La Signora Clemm falsificò l’età della figlia per far sì che le nozze si potessero svolgere senza intoppi. Il matrimonio fu poi ripetuto in forma pubblica l’anno successivo.

Ci sono diverse ipotesi, di cui ancora non riesco a reperire fonti attendibili, sul fatto che Poe e Virginia non consumarono l’unione fino a una età più “accettabile” della ragazza.

Il matrimonio non portò Edgar alla stabilità: la scrivania del “Messenger” gli stava stretta… anche se la rivista aumentò esponenzialmente la sua visibilità grazie a questa collaborazione.

Poe raggiunse con tutta la famiglia New York e iniziò a lavorare con il «New York Review». Anche questa rivista ottenne molto successo grazie al lavoro di Edgar; ciò non impedì gli aspri alterchi con il direttore che si ostinava a revisionare e storpiare gli articoli dello scrittore. Questo particolare non può non andare a completare quell’atmosfera fatta di invidie che Poe dovette sopportare. Io credo che la sua presunta antipatia non fosse la causa dei suoi contrasti: spesso una mente eccelsa e SUPERIORE, e DIVERSA, incontra l’intolleranza della gretta umanità invidiosa, spesso dura nella comprensione.

Nel 1838 fu la volta di Philadelphia: anche lì nulla di concluso, apparentemente.

Dopo le iniziali difficoltà, Poe pubblicò presso l’editore inglese Burton Morella, Ligeia… ma anche questa collaborazione terminò nell’INCOMPRENSIONE.

A Burton subentrò Graham e Poe porto il «Graham’sLady’s and Gentleman’s Magazine» a una tiratura impressionante in soli due anni. Sulla rivista, nell’aprile del 1841, venne alla luce I DELITTI DELLA RUE MORGUE.

Edgar acquistò un pianoforte e un’arpa per la sua amata Virginia; la suocera si deliziava del denaro del genero per soddisfare i suoi desideri… Poe, invece, iniziò ad apparire liso e trasandato. Forse questo grigiore di una nuova tonalità fu il preludio della nuova tragedia che attendeva lo scrittore. 

Virginia si ammalò gravemente di tubercolosi: fu colpita da emorragia mentre si esibiva cantando, in casa.

Lo scrittore iniziò degli ossessivi tentativi di creare una propria rivista, lo “Stylus”. Ottenne addirittura di POTER INCONTRARE IL PRESIDENTE: peccato che la sera prima dell’appuntamento lo scrittore si distinse per le pietose condizioni raggiunte durante una festa, in un locale. Il segretario del presidente assistette alla scena e l’incontro fu, ovviamente, annullato.

Poe riportò la famiglia a New York.

Agli inizi degli anni quaranta vennero pubblicati capolavori come Il gatto nero e Il cuore rivelatore. Poe, però, risentiva sempre di più della malattia di Virginia: pur essendo legato a lei da un Amore indissolubile, iniziò a frequentare le donne facenti parti di quella mondanità che non lo aveva mai “riconosciuto”.

Di nuovo altalenanti condizioni economiche… fino alla pubblicazione de IL CORVO. La notorietà raggiunta con il poema lo portò anche a ottenere la pubblicazione di un’intera raccolta di racconti, sempre nel “glorioso” 1845.

Edgar fu nominato direttore del «Journal». La collaborazione si tinse di foschi slanci di rabbioso rancore: Poe sfogò tra quelle pagine il suo astio, armandosi di feroci critiche verso il prossimo.

Lo scrittore tornò in rovina. A quel punto andò in suo soccorso il suo vecchio amore Mary Davereaux.

Mary arrivò a New York, in tempo per la tragica morte di Virginia occorsa il 30 gennaio 1847.

Poe, da quel momento, si trascinò in diverse relazioni sentimentali. Le donne erano PROFONDAMENTE ATTRATTE DA LUI; nessuna, però, si volle legare a lui definitivamente.

Edgar era ormai conosciuto come “IL CORVO”. Affascinante e tormentato, come tutte le figure circondate da sensuale decadenza, si alternava tra l’attrazione e la repulsione altrui.

Poe arrivò a tentare il suicidio, a Boston. Il laudano non gli dette però la morte.

Nel settembre del 1849, lo scrittore scomparve misteriosamente. Fu ritrovato il 3 ottobre, a Baltimora, dall’amico medico Snodgrass. Poe era in evidente stato confusionario e indossava abiti apparentemente non suoi. SPOGLIATO dei suoi vestiti e della sua LUCIDITÀ, fu ricoverato al Washington Hospital.

Edgar Allan Poe si spense a soli 40 anni, tra i deliri e le convulsioni.

Le cause della sua morte restano avvolte nel mistero: molte ipotesi sono state fatte… e ne parleremo… posso prometterlo.

Sussurando “SIGNORE, AIUTA LA MIA POVERA ANIMA”, il grande visionario dell’incubo passò nell’altra dimensione, portando con sé i suoi segreti. Fu privato spesso del suo valore, altre volte fu bramato. Un animo sensibile facile preda di un mondo ostile… parlò come nessun altro del terrore e dell’oscurità… e in quella oscurità svanirono i suoi abiti eccentrici e così attraenti.

A distanza di così tanto tempo, possiamo dire che la sua anima non sappiamo se sia stata perdonata dall’entità da lui evocata… sappiamo, però, quanto ancora TUTTI NE RESTIAMO RAPITI. Che le nostre anime sappiano sempre accogliere quella immensa e bisognosa di EDGAR ALLAN POE.

 

Per le testimonianze si rimanda all'introduzione di Gabriele Morandi ai Racconti del Terrore (ediz. a cura di Alberto Peruzzo Editore, 1985).