venerdì 31 gennaio 2020

“Buona sera. Tua madre probabilmente merita di morire.”, il romanzo GLI INCUBI DI HAZEL

Per un gotico contemporaneo e fiabesco: 
GLI INCUBI DI HAZEL 

UNA STORIA PER BAMBINI? O L'ESPERIENZA DI UN INCONSCIO QUALSIASI?

“Le persone che ammazzano altre persone sono tantissime. Lo hanno sempre fatto, per tutta la storia dell’umanità […] Questo libro dice perché.”
  

“Buona sera. Tua madre probabilmente merita di morire.”, così inizia Gli incubi di Hazel. Nessuno si aspetterebbe che un incipit ci possa propinare una sentenza così frettolosa e sommaria, eppure l’autore qui non usa mezzi termini. Il nostro inconscio e la nostra parte “mostruosa” vengono così spiattellati con crudele genuinità: non possiamo mentire all’autore, non possiamo più nasconderci dietro le maschere sociali.

Questo strano autore è il giovane Leander Deeny, nato nel 1980 e di origini irlandesi. Ha vissuto a New York, e in Inghilterra dove ha frequentato l’Università di Oxford e la London Academy of Music Art, non terminando però gli studi. Il suo primo e unico romanzo, per ora, ha riscosso un grande successo… nonostante ci dica, a tutti, che la nostra madre merita di morire. Una mente assai interessante, visionaria e sadica… sicuramente dispettosa e gotica in un modo ironico, cinico ma profondamente intriso di una bontà così umana da essere chiaroscurata tra le incertezze, le debolezze e le perversioni. Deeny è sincero, e questo ci deve andare bene se vogliamo godere delle sue parole.
Lui ci parla di Hazel, sì una “nocciolina” che nocciolina non è… dato che è una bambina di dieci anni piuttosto burbera; dai ragionamenti adulti e infantili al contempo… sa quello che vuole ma soprattutto, e categoricamente, ciò che non vuole. La piccola viene mandata dai genitori dalla Zia Eugenia: una tipa assai odiosa e spocchiosa. Lady Eugenia Pequierde non sopporta alcun essere vivente: l’ultima volta che ha visto Hazel gli ha rovinato il Natale e gli ha ripetuto assai troppo spesso quanto fosse stupida… e di quanto probabilmente non avesse degli amici… insomma la classica persona frustrata che mette il dito nelle nostre piaghe con gusto. Hazel infatti non ha amici, è forse un po’ viziata dai genitori… ma solamente perché il piccolo dispotismo di Hazel li sfinisce. Lei non vuole assolutamente andare dalla zia; i genitori vogliono assolutamente andare in Egitto. Hazel finisce, quindi, dopo una sequela di capricci e proteste inverosimili (assai esilaranti ed espresse attraverso paragoni assurdi, che volevano mostrare alla mamma quanto Hazel avrebbe preferito qualunque tortura a tre settimane dalla terribile Eugenia). Il maniero dei Pequierde è in rovina: dopo la morte del marito di Eugenia, il quale era il vero detentore di titolo nobiliare e patrimonio, tutto è allo stato di abbandono, anche perché Lord Pequierde scommetteva molto in qualsiasi assurda scommessa, e perdeva sempre. La sua morte nella fossa delle tigri allo zoo sembra quasi la punizione per una scommessa persa… ma proprio questa morte sarà poi il motore di molte brutte cose pensate e fatte all’interno del romanzo, da diversi personaggi. Hazel trova in questa casa piena di funghi, muffe, puzze e segni di tazze di tea ovunque, Zia Eugenia e il figlio Isambard… un bambino, a detta della madre, molto intelligente e ligio allo studio che vive isolato in una delle torri del maniero: appartenente ubbidiente e silenzioso, molto amichevole con Hazel e assolutamente succube della madre, merita pena e compassione… ma piano piano insinua un senso di inquietudine che avrà le sue ragioni verso la fine della storia. Oltre a questi due personaggi ,dai capelli improponibili, troviamo la governante Dungeon, lo pseudo maggiordomo Pude, il giardiniere Boynce: tutti assolutamente inadeguati nelle loro mansioni, e ormai probabilmente diventati stupidi dopo esserselo sentito dire così tante volte dalla crudele Eugenia. In quella casa tutto ha un cattivo odore, non c’è la tv; i sughi di carne, di cui è ossessionata la Signora Dungeon, infestano gli stomaci di tutti… e il cavolo bollito è l’unica alternativa a quel sapore pesante e insostenibile.

Hazel subisce, Hazel odia Eugenia sempre di più… “Noce”, “Nocciola”, “Mandorla” – come viene chiamata apposta o per follia dalla zietta –  a un certo punto incontra tre incubi. Di chi sono? E soprattutto cosa faranno mai a una bambina di dieci anni che è piombata nel loro bivacco interrompendo sonnellini e mangiate di biscotti.
Ah non vi ho detto che quella proprietà ha uno strano alone di fumo di sigaretta tutto intorno: le anatre fumano; dopotutto il cane ha la testa di legno e i due maiali sono cucini insieme… chi non sarebbe talmente stressato da fumare troppo.
Il tutto è magistralmente contornato da sprazzi di illustrazioni, di David Roberts,  a ogni inizio capitolo; e da “aperture” nei fogli di guardia di inizio e fine libro; non ne posso parlare, dovete vedere. Molte cose qui debbono essere viste per essere credute.
La prima edizione è del 2008, l’edizione in foto risale al 2010 ed è della Newton Compton



Peccato non aver potuto acquistare altri libri di Deeny, anche perché credo sia impegnato a salvare il mondo: ha interpretato Capitan America versione magra e sfigata in “Capitan America. Il Primo Vendicatore”. Nulla da dire sulla tua carriera da attore… ma io avrei bisogno di un altro tuo libro, e forse di qualche altro incubo di cui poter essere regista.
“Non è facile fare amicizia. Anche se coloro con cui cerchi di fare amicizia non sono struzzi rana o gorillopardi o pitospini, o assassini o pazzi. La gente è complicata, sola, arrabbiata o ansiosa: è così e basta.
Ma devi provarci lo stesso. Per quanto la gente ti possa spaventare, devi decisamente cercare di conoscerla.
Perché i fifoni non piaccono a nessuno.”

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venerdì 17 gennaio 2020

ARTICOLO num.2: I FANTASMI DI CHARLES DICKENS TRA REALTÀ E SIMBOLO

I FANTASMI DI CHARLES DICKENS TRA REALTÀ E SIMBOLO

UN CANTO DI NATALE

                                                                                     Ph. Francesca Lucidi
In foto l'edizione Newton Compton dei RACCONTI DI NATALE, contenente Un Canto di Natale, Le Campane, Il Grillo del Focolare, La Battaglia della Vita e Il Patto col Fantasma.

Una delle letture tipiche del periodo natalizio è Un Canto di Natale  (A Christmas Carol, in Prose. Being a Ghost-Story of Christmas) di Charles Dickens. La storia è quella, primamente indigesta, dell’avaro Ebenezer Scrooge, che subisce l’apparizione dell’inquieto fantasma del  suo socio in affari Jacob Marley, morto sette anni prima proprio alla Vigilia di Natale, il quale gli preannuncia la visita di tre spettri che Scrooge deve seguire pena la maledizione irrimediabile della sua anima nera e avvizzita… e forse “morta come un chiodo di porta”. 

Henri Christiaan Pieck (19 April 1895, Den Helder – 12 January 1972, The Hague)
                                                                  
In questa storia su cui non voglio anticiparvi nulla, anche se molti ne conoscono lo svolgimento… spicca anche la vita quotidiana della famiglia del mal pagato impiegato di Ebenezer ScroogeBob Cratchit.
La povertà e la ricchezza d’animo di questo nucleo familiare si contrappone all’avarizia e alla disumanità del protagonista di questa storia dai toni gotici, intrisa della critica sociale che per Dickens fu la materia prima da cui trarre le sue storie tormentate, oscure ma rischiarate dal riscatto e dalla morale più luminosa e positiva. Dickens trasse dalla sua stessa esperienza personale la veemenza con la quale raccontò le sue storie.
John Dickens, il padre di Charles, fu rinchiuso per debiti alla Marshalsea dal febbraio al maggio del 1824, quando lo scrittore aveva solo 12 anni. Tutta la famiglia si spostò dal quartiere popolare di Camden Town (quartiere dove vive anche la famgilia Cratchit) direttamente alla prigione; tranne Charles che venne mandato a lavorare in una fabbrica di lucido da scarpe: la Warren’s Blacking Warehouse, e visse in una stanza con altri due ragazzi presso la struttura di una certa Mrs Roylace, sempre a Camden Town.
Dickens rimase profondamente scioccato da quell’esperienza e si impegnò tutta la vita per la difesa dei più poveri, e contro la “New Poor Law” (1834) che non faceva altro che trasformare i poveri in schiavi a buon mercato, intrappolati nelle “Case di Lavoro” dove ricevevano poco cibo e nessuna assistenza. Dickens definì lo stato come “Un genitore cattivo e negligente nei confronti dei più poveri”… i poveri che Dickens andò a visitare più volte anche presso le scarse strutture “scolastiche”per i ceti meno abbienti.
Un Canto di Natale fu un successo clamoroso e vendette seimila copie in soli cinque giorni (fu pronto per l’acquisto e la vendita il 19 dicembre 1843). Dickens impiegò solo sei settimane per la stesura, e i manoscritti presentano una stesura di getto zeppa di note a margine. La verve con la quale lo scrittore ci catapulta tra le strade gelide della prima Londra industriale si evince in ogni passo… le sequenze descrittive ci portano a vestire i panni della GENTE di Londra, ad annusare i cibi portati a cuocere nelle botteghe per il Natale; a vivere i sentimenti puri e genuini della gente semplice e povera… ma ricca di ciò che a Scrooge manca da molto tempo. La semplicità è nei cuori dei personaggi di Dickens, la complessità è nelle metafore e nelle evocazioni vivide e violente… nella durezza della cruda quotidianità di un popolo dimenticato e sul quale Dickens scommette la salvezza… non solo dell’animo dello spietato Scrooge.
Le tragiche condizioni dei lavoratori della Londra del tempo, sono testimoniate dal rinvenimento di cento scheletri durante uno scavo nel parcheggio di New Covent Garden; già parzialmente epurato da altri scavi negli anni sessanta, finalizzati allo spostamento del mercato dal centro della città alla zona sud-ovest. Nel sito del mercato in passato vi era un cimitero, il quale era adiacente alla Chiesa di San Giorgio a Martire. Tra i resti ne furono rinvenuti numerosi associabili bambini e ragazzi. Ogni individuo era morto a causa di una vita molto dura, disumana: infezioni, violenze, sifilide endemica… tutto a testimoniare quanto ciò che Dickens racconta nei suoi scritti sia stato realmente un racconto horror… ma purtroppo tutt’altro che inventato.
La stessa prigione dove fu rinchiuso il padre dello scrittore è tristemente nota per le condizioni in cui vivevano i prigionieri: chi non poteva permettersi di pagare i servizi era condannato a una morte per stenti ( la prigione era a gestione privata, come tutte le prigioni della Londra del XIX secolo).
Il grande successo di Un Canto di Natale non è casuale… Dickens è definito uno scrittore “generoso”, non solo per il suo stile… ma probabilmente per l’amore che circondò ogni sua opera. Nonostante il numero delle vendite del racconto, Dickens in proporzione non guadagnò moltissimo: vendette le copie a soli 5 penny, nonostante l’edizione da lui scelta fosse molto costosa. Ogni volume aveva una copertina in velluto e una carta color salmone con incisioni decorate.
La grande passione dello scrittore era ed è assolutamente contagiosa: fu famoso anche per le letture pubbliche delle sue opere, in cui riusciva a impersonare ogni soggetto… probabilmente perché ogni personaggio ha una base reale che è divertente andare a cercare seguendo i suoi indizi, e anche gli eventi della sua vita privata.
Ma su questo forse torneremo…
“E CHE DIO CI BENEDICA TUTTI QUANTI!”

Scrivania utilizzata da C. Dickens per le sue letture pubblice.Dal Web.
                                                                                                                                                

mercoledì 13 novembre 2019

ARTICOLO num.1 - PROFANATORI DI TOMBE (Parte Prima)

PROFANATORI DI TOMBE: I RESURREZIONISTI


La sepoltura è una circostanza avvolta da mistero e misticità.  Fin dai tempi antichi si possono riscontrare riti preposti a facilitare e “guidare” la vita dopo la morte. Essere seppelliti, però, non ha sempre significato l’inizio di un pacifico riposo corporeo. La profanazione delle tombe trova come prima motivazione, la sottrazione di oggetti preziosi: primamente inseriti nel luogo di sepoltura (basti pensare ai complessi riti egizi), ma anche presenti addosso al cadavere stesso. In seguito le tombe attirarono gli intenti dei profanatori per scopi ben diversi e particolari; sempre con un guadagno… ma per una posta forse ancor più alta. La professione medica ebbe, nel corso dei secoli, una storia travagliata: prima confusa con le pratiche magiche, fu spesso qualcosa di poco compreso, e fosco per alcuni. Ai giorni nostri, all’interno di quella che chiamiamo “medicina” vi sono i chirurghi. Oramai questa branca è strettamente legata a ciò che veniva comunemente chiamato medicina: in realtà questo non è scontato, considerando che le pratiche chirurgiche o dentistiche, erano in  mano a professionisti che non ci aspetteremmo… come ad esempio i barbieri. I barbieri amputavano arti ed estraevano denti; oggi è difficile pensarlo, ma fino al XIX secolo era consuetudine. Oggi sappiamo che la sala autoptica è il terreno dove si giocano il coraggio e l’abilità degli  studiosi e studenti di medicina: la cosa, anche questa  apparentemente scontata, ha una lunga storia complessa e piena di loschi individui, omicidi; battaglie politiche e risoluzioni poco ortodosse, ma probabilmente, da una parte, necessarie. I corpi che vengono attualmente studiati a scopi medici e scientifici, sono corpi non reclamati o donati alla scienza (dietro diverse procedure su cui è inutile, qui, dilungarsi). Nel secolo XIX, quando il Positivismo diede una forte spinta alla ricerca scientifica, gli studiosi di anatomia si moltiplicarono, e non erano, come abbiamo già detto, tutti medici nel senso che noi attualmente conosciamo. I corpi da studiare era pochi… in Gran Bretagna erano utilizzati quelli appartenenti ai giustiziati, i quali erano stati condannati alla dissezione postmortem.  Sicuramente questa risorsa era insufficiente, specialmente dopo le limitazioni delle pene capitali e del Bloody Code dal 1823, e per questo si iniziò a violare le tombe, con ogni mezzo… e con metodi assai articolati, per rendere poco visibile dall’esterno ciò che si era fatto. I profanatori di tombe del periodo vennero chiamati i “Resurrezionisti” (nome assai ironico e agghiacciante). Il business della vendita dei cadaveri diventò ben presto fiorente: ciò avveniva perché molti erano gli studiosi disposti a pagare per un corpo fresco da dissezionare, e anch’essi in prima persona, a volte, si adoperavano in queste pratiche, se scarsi di risorse economiche o se appartenenti alle categorie inusuali che praticavano la chirurgia e gli studi anatomici. 


La situazione divenne un’emergenza, in special modo dopo il caso Burke-Hare. Gli irlandesi emigrati in Scozia William Burke e William Hare furono due ladri di cadaveri che si macchiarono di ben 16 omicidi, in meno di dodici mesi, tra il novembre del 1827 e l’ottobre del 1828, finalizzati ad avere una merce di scambio migliore in quantità e qualità; con la complicità delle rispettive compagne.

 Ritratto di Burke a Hare (dal web)

I corpi da loro “guadagnati” venivano venduti all’anatomista Robert Knox. I due resurrezionisti, divenuti assassini, furono scoperti grazie a dei passi falsi compiuti nel loro ultimo omicidio (la vittima era Marjory Campbell Docherty). Hare confessò e testimoniò, dietro promessa di aver salva la vita, e Burke fu così condannato a morte. Il suo corpo fu sottoposto a dissezione. Riporto la testimonianza del professor Alexander Monro che intrinse la sua penna d'oca nel sangue di Burke e scrisse: "Queste parole sono scritte con il sangue di William Burke, che fu impiccato ad Edimburgo. Questo sangue è stato preso dalla sua testa." Lo scheletro di Burke, altri oggetti ricavati dalla sua pelle conciata; e le maschere mortuarie di entrambi i serial killer, sono esposti nell’Anatomy Museum dell’Università di Edimburgo. Knox la fece franca, perché protetto dai due malviventi, ma la sua fama ne risentì e la sua richiesta di assunzione alla Edinburgh Medical School fu respinta; tutto ciò dopo l’Anatomy act del 1832. La legge in questione regolamentò lo studio dell’anatomia, che fu sottoposto al controllo di organi preposti; i corpi da studiare aumentarono grazie alla possibilità data agli istituti di medicina riconosciuti, di entrare in possesso dei corpi non reclamati, di chi era deceduto nelle case di lavoro o negli edifici pubblici. Fu data altresì la possibilità ai parenti del defunto di donare il cadavere del congiunto alla scienza, ottenendo il pagamento delle spese per le esequie, a meno che il defunto stesso non avesse messo per iscritto la sua non volontà alla donazione. Chiunque poteva poi donare il proprio corpo… e su questo torneremo.

Continua…

martedì 29 ottobre 2019

APPARIZIONI DI HALLOWEEN STRALCIO 2#



Strane apparizioni e storie che vogliono essere raccontate...
Ecco che allora a voi,
le facciamo arrivare!

SPECIALE DI HALLOWEEN 
di 
Francesca Lucidi

Una breve narrazione che rievoca fiabe antiche, leggende e superstizioni... con un disegnino vezzoso: infantile? Ogni paura sembra infantile... ma è il saggio retaggio della nostra storia. E poi ogni bambino nosconde in sé un grande saggio.

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CATERINA E LO SPAVENTAPASSERI
di
Francesca Lucidi

Si racconta che la Terra dei Gobbi, un tempo, fosse la valle più fertile di tutta la zona nord di quel paese di collina, ora città… che ha dimenticato molte delle sue storie.
La natura a quei tempi era impietosa, oscura e imponente. In quell’angolo di mondo, maestosi pioppi, querce e faggi… proiettavano le loro ombre sulle genti piegate dalla fatica e dai freddi inverni. Da qualche anno imperversava una guerra sanguinosa, lontano da quel paese… ma nelle case di Fiume dei sassi quella guerra era assai vicina: tutti gli uomini erano stati mandati dal Conte verso il mare. Tutti erano saliti sui carri, i cavalli e i muli, e si erano recati verso le spade affilate dei biondi guerrieri della costa. Solo i bambini piccoli erano stati risparmiati… e qualche vecchio malandato, solo perché potessero svolgere altre funzioni…  Una parte dell’esercito del Conte era rimasto a Fiume dei sassi, per far sì che ogni desiderio del padrone potesse trovare sufficiente soddisfazione.
I campi erano noti per le patate grosse dalla buccia rosso fuoco… i finocchi muovevano gli orti con le loro chiome spostate dal vento. In autunno questo spettacolo esplodeva di profili e colori, grazie alla presenza inquietante di tante grasse zucche, che venivano piantate in fondo rispetto alle altre coltivazioni… e quando erano mature sembrava che il campo fosse protetto da strane presenze.
Al centro del grande appezzamento sotto la dimora del Conte… un grosso spaventapasseri osservava attento e immobile: qualche cornacchia gracchiava sulle sue lunghe braccia, e i topolini erano soliti solleticargli la testa di zucca. Sì sulla sommità dello spaventapasseri veniva sempre posta la zucca più spaventosa di tutto il raccolto,  dopo averci inciso una faccia poco accogliente; anche per i topolini che passavano, con timore e lentezza, da un occhio al naso della faccia intagliata.
Le donne erano costrette dal Conte a lavorare giorno e notte per sopperire alla mancanza di braccia maschili, ora impegnate in una sciocca battaglia di potere che il Conte si ostinava a protrarre, per cercare nuovi territori verso il mare…  ricchi di uliveti verdi e nodosi.
Anche le bambine erano impegnate nella cura di patate, finocchi e zucche… anche la piccola Caterina… ormai senza il padre, ma anche senza la mamma… la quale era stata rinchiusa dal Conte nella sua dimora… per spolverare gli scudi arrugginiti, e deliziare i suoi occhietti lascivi e le sue mani lunghe e demoniache.
Caterina veniva allevata dalla donne del paese;  tutte le donne cercavano di fare del loro meglio per i bimbi sfortunati e soli. Nelle serate autunnali, quelle donne poggiavano i piedi stanchi verso il fuoco, sbucciando le castagne arrostite, passate poi alle manine gelide dei bimbi tristi di Fiume dei sassi.
Caterina ogni giorno faceva il suo lavoro con dovizia. A ora di pranzo si sedeva sotto lo spaventapasseri e, mangiucchiando il suo tozzo di pane, parlava a quella figura inquietante con un’angelica vocina… rivolgendosi a quella testa-zucca immaginando che fosse la sua mamma. Il ghigno prepotente di quella testa sembrava ogni giorno addolcirsi alle calde parole di Caterina. Un giorno la bimba portò da casa un vecchio grembiule della madre, la bella Luisa, e lo avvolse intorno allo spaventapasseri; dopo averlo privato dei brutti stracci che lo ricoprivano. Iniziò ad adornare la zucca di fiori di edera… e gli sussurrava pensieri e dolori.

Caterina, nel giorno della Vigilia di Ognissanti, sembrò vedere la sagoma della mamma attraverso la finestra dell’alta torre del Conte. Caterina urlava e piangeva, calpestando le patate, la terra e i poveri lombrichi che dovevano scansarsi al suo passaggio. In un attimo una figura alta e curva tirò via Luisa dalla Finestra. Due guardie si precipitarono nel campo e si posero innanzi alla piccola Caterina. La bimba tremava, mentre il più basso dei due uomini gli tolse dalle mani il tozzo di pane del pranzo, e lo infilzò nella punta della spada dicendo: «Ma guarda guarda… qui abbiamo una piccola piantagrane. Il Conte non apprezza chi rovina le sue giornate e i suoi incontri amorosi. Guarda questo pezzo di pane, se non vuoi vedere la testa di tua madre fare la stessa fine… il Conte ti consiglia di dimenticarti di lei… e di riprendere il tuo lavoro. Il raccolto deve essere terminato per il giorno dei morti. Torna a lavoro!»
Con una mano la guardia afferrò la veste di Caterina e scaraventò la piccola ai piedi dello spaventapasseri. I due andarono via di corsa al rumore del tintinnare delle armature. La piccola iniziò a piangere, a disperarsi per ore. La notte sopraggiunse e Caterina singhiozzava senza più lacrime, addosso al grembiule fiorito che lo spaventapasseri indossava. A un tratto ecco che uno scricchiolio interruppe la disperazione di quella piccola bambina triste.
Crack… Crack… Crack…
Un’aria gelida accarezzò i rossi capelli di Caterina, e il grembiule iniziò a muoversi sfiorando il viso della bimba ormai intontita dal pianto. La piccola si toccò la faccia pensando di essere attraversata da qualche ragno di passaggio… ma i rumori aumentavano e Caterina alzò gli occhi e vide la testa-zucca chinarsi verso di lei. La bimba saltò all’indietro cadendo, lo spaventapasseri si sradicò dal terreno e tentò di afferrarla. Caterina restò impietrita e gelata, tremante e sbigottita. Le testa-zucca si muoveva sopra ai legni sudici e secchi che gli facevano da corpo; avanzò lenta e si trovò “faccia a faccia” con la piccola.
I topi sentivano il cuore battere all’impazzata, gli scarafaggi si stringevano tra di loro, le cornacchie si erano poggiate sui rami sovrastanti il campo… e non si muovevano.
«Piccola mia… come sei cresciuta… sei bellissima!»
Lo spaventapasseri parlò… passando le dita fatte di rami secchi di erica, sulle guance magre e pallide di Caterina, che disse: «Mamma?»
«Mio cuore dolcissimo sono qui. Oggi volevo fuggire, venire da te…  il Conte mi ha scoperta… mi ha afferrata e mi ha spinta giù dalle scale…»
«Sei morta??? È colpa mia… non dovevo urlare, mamma è colpa mia… quell’uomo malvagio… è solo colpa mia!»
«Tesoro io ti amo più di ogni altra cosa, e non è colpa questo… è merito. Ti ho amata dal primo momento che ti ho vista. I tuoi capelli rossi, i tuoi occhioni sinceri. Volevo tornare dalla mia bambina a tutti i costi. E sono tornata.»
«Ma, ora non ti riabbraccerò mai più… mamma oh mamma! Quell’uomo malvagio ci ha portato via papà… adesso ha preso anche te! Sono sola come farò!»
«Mia cara… IO, PRENDERÒ LUI!»
La testa-zucca riprese il suo ghigno originario e scavalcò il corpicino di Caterina dirigendosi ad ampie falcate verso la dimora del Conte. Il grembiule sgusciava tra i legni scricchiolanti di quella figura arrabbiata e altissima.

Il Conte dormiva sereno nel suo baldacchino di velluto dorato. Un freddo pungente lo fece svegliare. Tirò la coperta a sé e si guardò intorno: degli strani scricchiolii avevano attirato la sua attenzione. Spostò la tenda arabescata del baldacchino e fu atterrito da un ghigno enorme e adirato che lo fissava. Il corpo del Conte fu sollevato da una forza inumana e inconsistente: la sua veste da notte pendeva e s’impigliava nei rami e nelle ragnatele spesse dello spaventapasseri. La finestra si aprì in un attimo, da sola… anzi dal vento che sembrava aver risposto a un comando.
Il corpo sudato, e al contempo gelato, del Conte… volò giù dalla torre e si fermò, con un tonfo sordo, su un masso millenario del “Fiume dei sassi”: il corso d’acqua pieno di pietre, e povero di acqua, che aveva dato nome al paese di cui la storia racconto.
Il sangue sgorgava dalla camicia da notte lacerata dalle ossa rotte e fuoriuscite del Conte. Quel rosso fiume sembrava più copioso del corso che lo accoglieva. Due volpi saltellarono sui sassi e iniziarono a banchettare e straziare, a mangiare e guaire.
Caterina aveva visto il Conte volare dalla finestra, e due strani tondi lucenti fissarla dalla torre.
Le cornacchie si allontanarono… e il ragni iniziarono a camminare sulle mani di Caterina, che abbracciavano la terra con le dita. Una voce risuonò in aria: «Mio Cuore, ogni notte della Vigilia di Ognissanti, vieni in questo campo… e lo Spaventapasseri camminerà… io camminerò e ti stringerò a me. Per tutta la tua vita io ci sarò. Tu assicurati che lo Spaventapasseri abbia sempre la sua testa-zucca, saluta i ragni che vi abitano. Cura la terra e parla con ogni essere vivente. Non sei sola. Noi ti proteggeremo. La terra che tu tanto ami, che curi… si prenderà cura di te. Addio Amore mio… NON DIMENTICARE…
Ad ogni Vigilia di Ognissanti i morti passeggiano sulla terra… chi per Amore, chi per vendetta!»
Il giovane cugino del conte venne da lontano. Gli uomini tornarono a casa… anche il papà di Caterina.
La piccola divenne donna… e ogni anno, per la notte stabilita, cucinò una pagnotta di pane e cucì un grembiule nuovo… per uno Spaventapasseri assai speciale. 

 Illustrazione di Francesca Lucidi (Rose)